3. Il welfare ai tempi del neoliberismo e l’immigrazione femminile a esso legata
3.1 Il sistema di welfare liberista
Come già ampiamente analizzato e delineato nel precedente capitolo, a partire dagli anni Ottanta la classe dominante ha promosso e mosso una serie di iniziative e politiche atte a riconquistare il terreno perduto negli anni precedenti. Per quanto riguarda la questione del welfare state, esso è stato progressivamente de-strutturato, tramite l’ideologia e le politiche neoliberiste, facendo passare il messaggio che fosse solo una zavorra per il completo e totale dispiegamento del libero mercato. La teoria oggi imperante si fonda sul principio che solo un mercato realmente libero da vincoli è in grado di risolvere i problemi economici e sociali, in cui le diseguaglianze, che sono inizialmente il volano dello sviluppo, sono poi destinate a sparire, generando benefici che cadranno a cascata sull'intera società, grazie appunto al mercato stesso che porterà benessere, soddisfacimento e quindi equilibrio. Il welfare state viene così indicato non solo come un peso, ma soprattutto come una delle cause primarie che impediscono il libero funzionamento del mercato, un'intromissione dello stato nel mercato. Come evidenzia Perocco (2012), il welfare
è uno degli ambiti istituzionali e sociali in cui è avvenuto uno dei più profondi processi di trasformazione del mondo contemporaneo. In questo ambito sono stati
Cfr. Sassen Saskia, Città globali e circuiti di sopravvivenza..., cit., p. 233.
realizzati rilevanti, imponenti processi di amputazione e privatizzazione che in modo differenziato sono in corso in tutta Europa da almeno tre decenni.86
Perciò, la riduzione o ancor meglio l’eliminazione del vecchio sistema sociale 87 risulta un presupposto fondamentale per lo sviluppo economico, poiché esso è nocivo alla libertà economica e quindi al dispiegamento del mercato al tutto . 88 Esso viene ritenuto completamente inutile, perché dovrebbe essere il mercato stesso, ad occuparsi della redistribuzione per garantire equilibrio, secondo una logica di profittabilità e convenienza individuali. L’idea, infatti, è che tutti partano dal medesimo punto, che tutti abbiano le stesse possibilità di riuscita, successo, avanzamento, arricchimento ed sia perciò sufficiente un impegno serio nel lavoro per avere successo, imputando la colpa a se stessi o alla sfortuna in caso di fallimento. Il nuovo modello di welfare deve essere
magro, fortemente ridotto nella platea dei fruitori, rivolto soprattutto ai poveri e agli indigenti a cui offrire un po’ di assistenza caritatevole. Un welfare basato, nella sua gestione, su criteri aziendali e caratterizzato da rapporti strettamente individuali e individualizzanti. Il ‘nuovo welfare’ dovrebbe essere organizzato, infatti, su principi neoliberisti e corrispondere alla relativa idea di società.89
Questa visione porta alla scomparsa dell’ottica sociale e tutto diventa individuale; si passa ad un’aziendalizzazione, privatizzazione e individualizzazione del sistema. Non esiste più una medicina sociale, una sanità globale e la salute diventa un bene che si acquista, una merce, in cui è necessaria una capacità reddituale di acquisto della cura, e non della salute stessa. È una rational choise in cui tutto dipende da se stessi, dalle proprie capacità, dando totale responsabilità della cura all’utente, che diventa cliente, non più solo paziente.
Cfr. Perocco Fabio, Trasformazioni globali e nuove disuguaglianze..., cit., p. 34.
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In quanto non si parla di un’eliminazione totale del sistema sociale, piuttosto di una sua de-
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strutturazione e ricomposizione secondo logiche che rispecchiano maggiormente quelle neoliberiste.
La realtà dei fatti è che anche la salute deve diventare un settore e una fonte di investimento
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economico, un mercato in cui penetrare perché enorme e quindi estremamente profittevole. Ne discende che la salute diventa un mezzo, uno strumento e non più un fine: per competere, per crescere economicamente. Perciò anche la salute stessa del lavoratore viene tutelata in quanto produttivo, perdendo così il diritto ad essere malati. È l’idea secondo la quale essere sani non è una finalità a cui tendere, ma un mezzo per far crescere il PIL.
Cfr. Perocco Fabio, Trasformazioni globali e nuove disuguaglianze..., cit., p. 35.
La presenza del welfare come cosa pubblica è quindi da eliminare perché è solo un peso, e soprattutto una delle cause primarie dell’aggravamento delle diseguaglianze. Ciò si comprende meglio se si prende in considerazione la questione del salario: esso è costituito, infatti, da un salario diretto, la busta paga, e uno sociale o indiretto, ovvero l’accesso gratuito o agevolato ai servizi pubblici - acqua, istruzione, trasporti, strade, ecc...-. Le classi medie integrano il salario diretto con l’utilizzo del pubblico, ma se questo viene a mancare, eliminando il welfare, si elide anche una parte del salario, e le persone si ritrovano costrette a ricoprire tale parte con quello direttamente percepito. Infatti, la conquista del sistema sociale ha significato una lotta indiretta alle malattie; la mobilitazione popolare della classe lavoratrice per un miglioramento delle proprie condizioni, in termini di orario di lavoro, di abitazione, di accesso ai servizi e di salute, ha permesso il debellamento delle malattie. Questo perché il concetto di patrimonio di salute di una persona è strettamente legato al risultato del prodotto della posizione sociale occupata nel corso della vita; l’individuo è esposto ad un’accumulazione selettiva di vantaggi o svantaggi passati, presenti e futuri e le determinanti sociali, come istruzione, reddito, posizione sociale, professione, tendono ad influenzare la salute. Perciò la mancanza di redistribuzione amplifica, accentua e aggrava le diseguaglianze, invece che attenuarle.
In termini di politiche attuate, vediamo come il nuovo welfare si conformi quindi per: l’introduzione di interventi integrati dall’individuo, come i ticket, per cui è il cittadino a spendere direttamente in base alla prestazione richiesta, secondo la logica che è impensabile una cura per tutti ; o come la promozione di programmi 90 assicurativi sanitari privati; o la privatizzazione dei servizi sanitari; oppure ancora, la decentralizzazione della sanità dal governo .91
Negli anni 80 la BM inizia a sostenere l’idea che la salute per tutti ha costi troppo elevati e
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propone di procedere con interventi mirati per combattere singole malattie, affermando che così diminuiranno i costi e aumenterà l’efficienza. Si crea così un’assistenza sanitaria verticale con lo stanziamento di grandi fondi per una sola malattia. Questo passaggio genera una prevenzione di tipo secondario, in quanto, invece che creare le condizioni per prevenire la malattia, si cura secondariamente, intervenendo sanitariamente e verticalmente, invece che creare programmi sanitari pubblici orizzontali. Non si parla di servizi integrati, ma solo di definizione centrale dei problemi sanitari senza il coinvolgimento della popolazione che lavori sul miglioramento delle proprie condizioni. Diventa così un intervento sull’organo, con un approccio biomedico, e non più un intervento sul contesto sociale.
Basti pensare in Italia alla riforma del Titolo V della Costituzione (2001), il cosiddetto federalismo
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che, in merito alla sanità, riconosce la responsabilità diretta alle autorità locali, per cui non hanno più solo una funzione di controllo, ma gestiscono la cosa pubblica anche in termini finanziari. Ciò significa che, in caso di superamento del limite di bilancio, gli enti locali spesso si trovano a doversi rivolgere ai cittadini con un aumento delle tasse per poter ricoprire le spese.