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4. Caratteri dell’impiego femminile immigrato e della tipologia di immigrazione

4.2 Le tipologie di immigrate

Per quanto riguarda la scelta di emigrare, vediamo come tale decisione viene presa in famiglia, essendo queste, nella maggior parte dei casi, donne con figli a carico. Come sottolinea Vianello (2009),

la decisione di migrare è spesso il risultato di un processo di negoziazione che ha luogo tra i membri della famiglia volto a considerare sia le ricadute positive e negative della mobilità internazionale sia la persona più adeguata a intraprendere questa esperienza. [...] Quando la decisione viene presa all'interno di una strategia familiare, la migrazione viene regolata da un complesso di obbligazioni reciproche tra chi parte e chi rimane.108

Tale decisione viene presa per integrare il reddito familiare e per garantire un tenore di vita migliore alla propria rete familiare. Entrambe queste condizioni portano alla scelta di lasciare la famiglia, in particolar modo, di lasciare i propri figli, per evitare loro una futura migrazione, il rischio di cadere in situazioni precarie e rischiose, e per garantirgli il proseguimento degli studi, visto come una via di fuga rispetto al rischio di disoccupazione o di un impiego scarsamente remunerato (Vianello 2009). Queste donne, madri prima che immigrate, vivono la loro migrazione come un atto dovuto, necessario e fondamentale per ricoprire in maniera esaustiva il loro ruolo familiare, per assumersi la responsabilità di donne, moglie e madri, ma così facendo ottengono anche il ruolo di bread winner, tradizionalmente maschile. Come sottolinea Vianello (2009),

l’elemento della maternità caratterizza infatti il discorso di molte donne migranti, poiché è una delle giustificazioni più forti che una donna possa dare a sostegno di una scelta che sfida le norme relative al genere.109

Cfr. Ehrenreich Barbara, Hochschild Arlie Russell, Donne globali. Tate, colf e badanti..., cit., pp.

107

81-82.

Cfr. Vianello Francesca Alice, Migrando sole... cit., p. 93.

108

Ivi. p. 102.

Entrando più nel dettaglio della tipologia di migrazione che queste donne pensano per sé e per la propria famiglia, è utile prendere in considerazione la schematizzazione delineata da Vianello, che suddivide le donne immigrate in tre profili principali: in transito, permanenti oppure sospese. La figura della donna in transito si caratterizza per la volontà di intraprendere un progetto di migrazione a breve termine (volontà generalmente condivisa dalla maggior parte delle persone che decidono di partire), con l’obiettivo primario di accumulare il necessario e poi tornare al proprio paese di origine. In realtà, nella maggior parte dei casi, la loro esperienza si prolunga per anni, creando appunto una situazione transitoria. Il ritardo nel ritorno a casa deriva sia dall’importanza che le rimesse acquistano, diventando elemento irrinunciabile per la rete familiare, sia per la nuova figura che la persona emigrata e immigrata assume, ovvero quella di lavoratrice che vive tra due realtà, in cui si sente immersa e al contempo non pienamente inclusa. Come sottolinea Vianello nella sua analisi delle donne immigrate in transito, esse, con l’idea del ritorno massimizzano i guadagni da spedire in patria e non puntano al miglioramento delle proprie condizioni di vita nel paese di arrivo,

non investono energie nell’inserimento sociale in Italia, poiché la loro vita all’estero è strumentale al perseguimento degli interessi familiari, la cui realizzazione informa l’esperienza migratoria. Il ruolo materno costituisce per le migranti in transito l’identità primaria che attribuisce senso alla migrazione, e il legame familiare rappresenta la fonte delle risorse emotive che le sostengono durante l’esperienza di lavoro all’estero.110

Sono donne che vivono il senso della loro migrazione come qualcosa di temporaneo, una parentesi caratterizzata dalla retorica del sacrificio (Vianello, 2009), secondo cui il benessere ultimo diventa un sogno, se non un miraggio, da godere nel momento del ritorno a casa. In realtà, poi esse si trovano incatenate e dipendenti da una serie di fattori esterni da cui risulta difficile svincolarsi, come in primis la responsabilità in quanto madri, oltre alle aspettative dei familiari, la seppur ristretta rete sociale creata nel paese di arrivo, and last but not least il soffocante impiego a domicilio a cui rimangono legate e di cui diventano schiave.

La seconda tipologia di donna è l’immigrata permanente, mossa da una volontà individuale per creare una nuova esistenza per sé e spesso per i figli a carico, che

Ivi. p. 138.

cerca comunque di ricongiungere il prima possibile, per formare una nuova identità personale e sociale nel paese di arrivo. Essa va alla ricerca di un impiego che permetta l’instaurarsi di una rete sociale allargata, e per attuare ciò, si impegna ad apprendere la lingua più rapidamente e cerca di ottenere un’autonomia abitativa. Come spiega Vianello gli spazi di libertà e il ricongiungimento si rivelano fattori fondamentali per un percorso di realizzazione personale, perciò l’immigrata permanente tenta il prima possibile di sradicarsi ‘da quei legami comunitari e da quelle condizioni di lavoro che inibiscono ogni slancio verso l’affermazione di progetti individuali’.

Il terzo tipo di donna è l’immigrata sospesa, e si caratterizza per aver preso la decisine di interrompere il proprio progetto migratorio e di tornare quindi al paese di origine. È generalmente una donna giovane, rimasta all’estero per un breve periodo, a cui si sono aperte concrete prospettive lavorative nel paese d’origine oppure generalmente con figli emancipati che possono pensare al proprio sostentamento economico e che quindi non necessitano più del costante appoggio della madre. Oppure è una donna anziana, che dopo un lungo periodo di permanenza fuori, torna al paese di origine, tendenzialmente per un peggioramento delle condizioni di salute, che non permettono più un lavoro continuativo e profittevole, o che spera di godersi la pensione, ottenuta con i risparmi accumulati, tra le mura familiari. In realtà, nella maggior parte dei casi il ritorno non risulta semplice, sia perché il contesto di riferimento è cambiato nel periodo di assenza, sia perché sono cambiate le dinamiche familiari. Come sottolinea Vianello, queste donne ‘trovano augusta e limitante la vita in Ucraina, tanto da sentirsi nuovamente straniere, questa volta però in casa propria’, e si scatenano dinamiche problematiche di riadattamento, per cui subentrano nuovamente il senso di incertezza e insicurezza del passato, con la paura di non farcela e di ricadere in miseria.

Quella che si è creata, è una nuova mappa mentale, che non coincide più né con né con il paese di origine, né con quello di emigrazione. La conseguenza più evidente è un cambiamento di perfezione della propria identità personale e sociale, che non è più soltanto quella di madre in patria, perché si è anche partite alla ricerca di un lavoro, né quella di lavoratrice nel paese di destino, perché si è ancora legate alle proprie famiglie nella terra di origine. Il contesto di riferimento non è più soltanto il paese da cui si proviene, perché parte della propria identità si è sviluppata anche altrove, ma non è neanche coincidente con la realtà di arrivo,

perché non ci si sente completamente parte di essa e perché comunque non si vuole rinunciare al proprio ruolo di madre e moglie a casa. Si crea, in fondo, una nuova identità che va oltre i confini nazionali, che appartiene qua e là.