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Le SixR: come favorire il feedback positivo di talenti emigrati

Sforzi, anche europei, si moltiplicano per contrastare il fenomeno del brain drain, nella sua accezione più negativa, e per creare una brain network, per una libera circolazione di competenze. La 'fuga dei cervelli' può generare effetti di retroazione, che possono produrre vantaggi economici per i paesi di emissione di emigranti (sia che si parli di paesi in via di sviluppo, sia per i paesi ritrovatisi in difficoltà dalla crisi economica più recente). La maggior parte della letteratura politica non usa il termine scomodo 'brain drain', ma preferisce adoperare termini come 'brain gain' o 'brain circulation'. Si parla, infatti, di fuga di cervelli, e di riduzione della crescita economica del paese di invio, solo se non c'è compensazione a questa migrazione, attraverso un feedback positivo, in grado di ripristinare un livello ottimale. All'interno di una serie di studi condotti dall'Ufficio internazionale del lavoro, Lowell ha contribuito, nel 2001, con un rapporto in cui ha sintetizzato in sei categorie ( le SixR) le politiche che i paesi di origine possono mettere in atto, riguardo alla questione internazionale della mobilità dei loro lavoratori altamente qualificati. Questo intervento di Lowell ha a che fare con i dibattiti internazionali che, dagli anni Novanta fino allo scoppio della crisi internazionale, trattavano il tema HSM in relazione alle sfide che i paesi in via di sviluppo dovevano superare, ovvero la riduzione dell'accumulo di capitale umano e di conoscenza.

Ritorno. Il ritorno dei migranti è il modo più sicuro per coltivare capitale umano per i paesi di emissione. Questo insieme di politiche è volto ad adottare accorgimenti per far rientrare i cervelli fuggiti all’estero. Si basa sull’idea che i migranti abbiano acquisito competenze che possano essere molto utili nel Paese di origine. Gli incentivi possono essere di varia natura, ma tendenzialmente riguardano riduzioni fiscali, agevolazioni nell’ottenimento della cittadinanza per le famiglie, o l’offerta di condizioni scolastiche speciali per i figli del personale in rientro.

Restrizione: limitazione della mobilità internazionale. Molti paesi in via di sviluppo hanno politiche di emigrazione restrittive, mentre i paesi riceventi limitano l'immigrazione di cittadini stranieri per proteggere i propri lavoratori nazionali dalla concorrenza. Come ad esempio il sistema delle quote annuali (Australia), o particolari programmi di permanenza temporanea (USA).

Reclutamento. Se ci sono carenze interne di lavoratori qualificati, perché non assumere un lavoratore straniero idoneo per tale posto vacante? Le competenze sono attratte solo per colmare le carenze registrate in quel momento in quel determinato paese (ad esempio la Green Card con cui la Germania cercava di attrarre esperti delle ICT), o l'ormai noto e consolidato sistema a punti australiano che conta i livelli più alti di istruzione e competenze dei candidati immigranti2.

Riparazione per perdita di capitale umano. Si tratta di un insieme di politiche volte a compensare la perdita subita dai Paesi di origine. Sono 2 Altro esempio, mal riuscito, è quello dell'Unione europea. Nel 2001, l'allora Presidente della Commissione europea, Romano Prodi, ha chiesto fino a 1,7 milioni di immigrati per riempire una carenza di manodopera a livello europeo , attraverso un sistema simile a quello della carta verde degli Stati Uniti "per qualificati immigrati". Questa strategia, naturalmente, si riferisce al grande problema dell'invecchiamento della popolazione occidentale. Finora, la forza di attrazione ha raggiunto solo una mobilità temporanea.

politiche di tipo fiscale che ipotizzano l’introduzione di tasse per recuperare parte degli investimenti perduti con la migrazione. Tali tasse possono gravare sui redditi del migrante oppure sui Paesi di destinazione, come nel caso della tax on brain (Hamada, 1977) o di altre proposte di policy mai realizzate.

Resourcing. Si tratta delle politiche che permettono di beneficiare degli espatriati, e sono di frequente associate alla cosiddetta diaspora option (Brown M., 2000), che rappresentano un fondamentale cambiamento di ottica nella gestione delle migrazioni qualificate. Anziché implementare il brain gain attraverso il ritorno degli espatriati, si implementa una mobilitazione a distanza, ovvero creando reti di espatriati che riportano nel paese innanzi tutto rimesse (assai note nella letteratura in questione), ma anche conoscenze, ovvero trasferimenti di tecnologie nel paese d'origine, attraverso le quali accrescere i propri livelli di benessere. Ad oggi, la maggior parte delle reti tra espatriati e paese di provenienza si sono fondate autonomamente. Emigranti qualificati possono, in questo senso, essere cioè una risorsa importante, se esiste un contatto tra istituzioni del settore accademico e privato. Persistendo legami diasporici con il paese natale, iniziative del governo e del settore privato cercano di aumentare la comunicazione, il trasferimento delle conoscenze, le rimesse e gli investimenti.

Retention. Le politiche di ritenzione servono a trattenere. Sono politiche volte a potenziare determinate istituzioni, ad esempio quelle educative (università) e quelle economiche (aziende più numerose, all'avanguardia e inserite in una rete internazionale), in modo da incrementare il benessere del paese interessato da una fuga dei cervelli. Migliorando il sistema educativo o il mercato del lavoro nazionale, lo stato incoraggia i suoi

laureati a rimanere entro i confini, mantenendo i suoi investimenti iniziali di formazione di capitale umano.

In generale, i governi tendono ad applicare un mix di queste politiche, sebbene vi sia una certa caratterizzazione di tipo geografico. Infatti, nei Paesi asiatici prevalgono misure che tendono ad associare politiche di ritenzione associate a politiche di sviluppo industriale, mentre in Sud America si punta maggiormente allo sfruttamento di risorse presenti all’estero, al fine di organizzare network di migranti. Per l’Africa, l’America centrale e i Caraibi, infine, dove la riduzione del capitale umano è consistente, le politiche sono orientate verso il rientro o la limitazione della fuga. Tuttavia, l’effetto di queste politiche è attenuato e frenato sia da limitazioni di budget, che da situazioni economiche non ottimali, quindi non in grado di gestire le politiche desiderabili. Oltre a questioni di natura economica, i governi devono tener conto di altri tipi di problematiche, che possono sorgere e che interessano i propri espatriati. Ad esempio, politiche di ritorno, seppur accattivanti, possono far sorgere resistenze nel migrante che non vuole perdere la residenza temporanea, o addirittura permanente, acquisita nel paese di destinazione, o a non voler perdere lo status o lo stile di vita adottato dopo l'emigrazione. Per ovviare questo tipo di situazioni, occorrerebbe che paese di origine e paese di destinazione collaborassero: se il paese di accoglienza accettasse la cittadinanza straniera del migrante, che torna a casa anche per un lungo periodo, i flussi di ritorno sarebbero più cospicui, perché i migranti saprebbero di poter tornare in qualunque momento. Esistono molte altre specificazioni e sfumature che riguardano le possibili politiche nazionali; ma ancor più importante è il fatto che esistano altri agenti coinvolti in questo tipo di situazioni, ovvero le organizzazioni internazionali.