Capitolo III. Le memorie scolastiche nella didattica della storia a scuola e nelle iniziative di public
3.2 Social network e public history: strumenti per la generazione delle memorie di comunità
Negli ultimi anni in Italia si sente sempre più spesso parlare di public history, un movimento nato in America negli anni Settanta ad opera dello storico americano Robert Kelley. Nel nostro Paese si tratta di un fenomeno piuttosto recente: possiamo infatti iniziare a parlare di public history a partire dagli anni Duemila, quando inizia ad essere guardata con meno diffidenza e ritrosia quella storia in cui lo storico è chiamato a rinnovare la propria forma di narrazione e in cui il pubblico ha un ruolo attivo e contribuisce a quella narrazione368.
Un importante segnale della diffusione della pubblic history in Italia è data anche dal fatto che nel 2016 si è costituita l’Associazione Italiana di Pubblic History che ha fra i suoi scopi, per esempio, quello della «promozione della conoscenza storica e delle metodologie della ricerca storica presso pubblici diversi favorendo il dialogo multidisciplinare», «la valorizzazione di pratiche ed esperienze che puntano sul coinvolgimento attivo di gruppi e comunità anche nel mondo digitale», «la promozione e la valorizzazione di ricerche storiche innovative e di qualità i cui risultati sono conseguiti anche grazie a metodologie e pratiche di partecipazione che consentono, talvolta, l’emersione di nuovi documenti» e «lo sviluppo della public history come nuova area di ricerca e insegnamento universitario»369. Inoltre, l’associazione intende anche contrastare gli «abusi della storia, ovvero le pratiche di mistificazione sul passato finalizzate alla manipolazione dell’opinione pubblica»370.
Secondo il manifesto dell’associazione «la public history è un campo delle scienze storiche a cui aderiscono storici che svolgono attività attinenti alla ricerca e alla comunicazione della storia all’esterno degli ambienti accademici nel settore pubblico come nel privato, con e per diversi pubblici. È anche un’area di ricerca e di insegnamento universitario finalizzata alla formazione dei public
historian»371.
368 Per un approfondimento sulla public history e, in particolare, sulla sua diffusione in Italia, si vedano: Paolo Bertella
Farnetti, Lorenzo Bertucelli e Alfonso Botti (a cura di), Public History. Discussioni e pratiche, Mimesis Passato Prossimo, Milano-Udine 2017; Maurizio Ridolfi, Fare e raccontare storia nel tempo presente, Pacini Editore, Pisa 2017.
369 Manifesto della public history italiana in https://aiph.hypotheses.org/3193 (ultimo accesso: 3 novembre 2019). 370 Ibidem.
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Se fino a poco tempo fa i risultati delle ricerche scientifiche erano destinati solamente agli “addetti ai lavori” e pubblicati in un linguaggio poco adatto al pubblico in generale, oggi si sente l’esigenza di promuovere pubblicamente la storia, anche sulla spinta delle innovazioni tecnologiche e informatiche che si sono sempre più diffuse.
I social media e il web hanno contribuito a diffondere numerose iniziative e progetti anche virtuali legati alle memorie locali o alla costruzione di luoghi di memoria. Per questo si parla anche di digital
public history. Il compito dello storico è quello di diffondere attraverso un rigore scientifico la storia
in pubblico e con il pubblico372.
Soprattutto quando si parla di social media e storia bisogna prestare particolare attenzione, proprio per evitare distorsioni e banalizzazioni. Il web per lo storico rappresenta un problema di ordine metodologico ed è caratterizzato da instabilità, immaterialità e fragilità373 ma può anche essere considerato una risorsa se sfruttato con rigore scientifico.
Attraverso i social media del Museo della scuola «Paolo e Ornella Ricca» è stato avviato dal 2017 un progetto, in via sperimentale, al fine di raccogliere alcune testimonianze dagli utenti per arricchire quel patrimonio di fonti immateriali a cui il museo sta lavorando.
Oggi non è possibile non fare i conti con lo sviluppo del web 2.0, considerando anche che, ormai, le nuove generazioni sono considerate nativi digitali e si devono necessariamente considerare anche gli strumenti che essi quotidianamente utilizzano.
La pagina Facebook del Museo della scuola, che conta 2.320 follower374, è seguita in particolare da
un pubblico che ha un’età compresa tra i 35 e i 44 anni, quindi da quella fascia di età che ha principalmente genitori o nonni che hanno frequentato la scuola tra gli anni Quaranta e Settanta, periodo su cui questa ricerca si è concentrata maggiormente.
Si è deciso, quindi, di pubblicare sulla pagina alcuni post in cui sono state fatte delle domande, abbinate sempre a un’accattivante immagine di una persona, di un oggetto scolastico o di un luogo legato ai ricordi di scuola. Lo scopo di questa iniziativa era quello di stimolare la partecipazione di coloro che seguono la pagina Facebook del Museo alla condivisione di ricordi e aneddoti sulla propria storia scolastica.
In questo modo si è voluto cercare anche di stimolare la raccolta di memorie familiari, a cui spesso non si dà importanza, quindi cercando di incuriosire gli utenti in modo che coinvolgessero anche i propri familiari. Si è cercato quindi di attirare gli utenti con post dal forte impatto emotivo che
372 Si vedano: Dario Ragazzini, La storiografia digitale, UTET, Torino 2004; Bandini, Bianchini (a cura di), Fare storia in rete. Fonti e modelli di scrittura digitale per la storia dell’educazione, la storia moderna e la storia contemporanea,
Carocci, Roma 2007.
373 Ragazzini, cit., p. 103.
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riuscissero a stimolare i ricordi delle loro memorie scolastiche, di cui il Museo della scuola intende farsi promotore e conservatore.
Tra coloro che hanno risposto a questi post, oltre a qualche “addetto ai lavori”, ci sono anche molte persone estranee all’ambito accademico, i quali hanno condiviso sia esperienze personali che quelle raccontate dai genitori o dai nonni.
Per esempio, il 7 giugno 2017 è stata pubblicata una foto di una scuola di Macerata, che si trovava nei pressi dei giardini pubblici «Diaz» della città. La scuola oggi non esiste più, ma ci sono diverse immagini e testimonianze che ne ricostruiscono, in parte, la storia. Nel post la foto della scuola era accompagnata dal testo «Lo sapete che a Macerata esisteva una scuola di legno all’aperto? La signora Clara ha raccontato che si trovava vicino ai giardini pubblici e si tenevano le lezioni all’aperto. Se guardate bene la foto, noterete delle sedie con gli alunni proprio all’esterno dell’edificio».
In questo caso è stata utilizzata una foto della scuola e una testimonianza orale per condividere un’informazione con gli utenti. Il post ha ricevuto diverse reazioni, infatti Massimo Lanzavecchia ha commentato in maniera ironica: «Ci passavo tutte le mattine per andare alla Mestica del Convitto, quindi in fondo non molto tempo fa», mentre Ivo Cabascia ha scritto: «Già me la ricordo bene anch’io. Lì ho frequentato la quarta e la quinta con la maestra Mancini… insieme a mio cugino Sergio. Ho anche le foto anche se la location esterna era un po’ diversa!!!». Walter Marchesini ha lasciato questo commento: «Anch’io la ricordo! Ho frequentato la prima e seconda elementare. Insegnante maestra Caraceni, che collaborava con la maestra Mancini Marchesini! Bei ricordi! Bellissima scuola!». Laura Zucconi ricorda che «ci è andata la mia cara nonna Maria» e Giuseppe Pieroni ha scritto solamente: «… me la ricordo bene!». Dai commenti degli utenti emergono i nomi delle insegnanti di questa scuola e, inoltre, si è instaurato un primo contatto con potenziali testimoni della scuola passata. Come si è già dimostrato nel secondo capitolo, anche i social network sono stati un prezioso strumento per cercare persone disposte a lasciare la propria testimonianza sui ricordi di scuola.
L’11 gennaio 2018 è stato pubblicato un post dedicato all’ora di ricreazione scrivendo: «Un momento per fare merenda, per giocare o… per dare fastidio alle femmine? Quali giochi ricordate della vostra ricreazione a scuola?». In questo caso solamente un utente ha commentato ma con un lungo messaggio che evidenziava come fossero ancora vivi i ricordi nella sua mente, per questo, la signora è stata successivamente contattata ed è diventata un testimone della scuola passata.
Alba Furiasse ha scritto: «Ricordo la ricreazione nella scuola elementare di Villa Potenza, anni ’53-’57 del secolo scorso. Era un breve intervallo per potere andare in bagno e solo un’alunna poteva fare merenda: Gianna Carboni, perché arrivava a piedi da oltre il ponte (sul Potenza) verso la strada che porta a Passo di Treia. Una bella distanza considerata anche l’età. Ciò che mi colpiva era la sua merenda che per me poteva essere cena perché erano grandi fette di pane tra le quali c’erano frittata, insalata, il pollo avanzato del pasto domenicale. Io guardavo la sua merenda con stupore
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perché mi sembrava impossibile che si potessero mangiare quei cibi di mattina. Terminato di mangiare, terminava la ricreazione».
Il 22 gennaio 2018 con gli utenti di Facebook si è deciso di condividere una parte del copione utilizzato nella visita al Museo della scuola raccontando l’evoluzione del corredo dello scolaro tra la fine dell’800 e gli anni 1920/30 e invitandoli a dire quale fosse la borsa con la quale andavano a scuola: «Dalla tavoletta di ardesia si passa alla cartella composta da due tavolette di legno, tenute assieme da cinghie di cuoio regolabili con fibbie di metallo. Con il passare del tempo, arriva la cartella: di panno, legno o cartone. Negli anni ’60 ecco comparire le prime cartelle in similpelle. Poi arrivano gli anni Ottanta e, con essi, lo zaino scolastico! Inizia l’era degli zaini dei supereroi, dei calciatori, dei cartoni giapponesi e degli idoli musicali! E voi, ricordate il vostro corredo scolastico? Zaino o cartella? Lasciate un commento con i vostri ricordi!».
Questo post ha suscitato diverse reazioni. Elisabetta Parisi, racconta che alle elementari è stata accompagnata «prima dalla cartella e poi dallo zaino di Barbie in varie versioni! Dalle scuole medie in poi, ho utilizzato solo il mio fedele zaino Invicta Pop! Lo conservo ancora in qualche antro dell’armadio!». Francesca Munafò ricorda, invece, «la sua cartella nera, la parte superiore era di stoffa scozzese, colore predominante il rosso. Si chiudeva con 2 fibbie grosse color argento. Oltre al manico aveva le bretelle e la portavo sempre sulle spalle come uno zaino. Era bellissima e originale, anno 1966. Peccato non averla più», mentre Francesca Marcantonelli aveva «uno zaino rosa e bianco con doppia cerniera a chiusura e porta ombrello laterale. Odiavo il rosa ma la sua forma diversa dalle altre la rendeva davvero speciale». Infine, Anna Carassai ricorda «la cartella di Barbie, un fantastico rosa e fucsia fiammante, in pieno stile primi anni ‘90». Si nota come gli stessi commenti degli utenti permettono di fare un viaggio nell’evoluzione del corredo a scuola, partendo dagli anni Sessanta fino agli anni Novanta.
Qualche mese più tardi, il 16 giugno 2018, un altro post ha catturato l’attenzione di alcuni utenti. È stata pubblicata un’immagine del gioco «campana» chiedendo quante persone lo conoscessero. Angela Articoni ha commentato: «Nella nostra città (Lucera – FG) hanno avuto la bella idea di riproporre questi giochi nella villa comunale», mentre Francesca Munafò ha ricordato che «da bambina, appena finiva la scuola, tutti sotto casa (via Mameli) a giocare a “zompetto” o “campana”». Infine, Marlene Freguglia ha scritto «Sì, è la campana!».
La pagina Facebook del Museo della scuola è stata utilizzata, a volte, per diffondere i primi risultati della ricerca sulle memorie magistrali prendendo spunti dagli aneddoti raccontati durante l’intervista. Per esempio, il 20 luglio 2018, è stato pubblicato un estratto dell’intervista al maestro Quinto Del Giudice, il quale ha raccontato di come a volte fosse costretto a indossare gli sci per tornare a casa da scuola, quando insegnava nel piccolo borgo di montagna Elcito, nel comune di San Severino Marche. Del Giudice ha anche insegnato in un fienile e ha dato vita al festival della canzone per bambini a
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Macerata. Tra gli utenti, David Fiacchini ha commentato: «Sono storie “d’altri tempi” di persone splendide e genuine. Anche mio nonno, negli anni ’50-’60, andava in bici (o a piedi, quando c’era la neve!) da Esanatoglia alla scuola elementare di Crispiero».
L’8 novembre 2018 è stato pubblicato un altro estratto dell’intervista di Del Giudice: «La scuola durava dalle 8 alle 10 di sera perché avevo organizzato anche i corsi serali per gli adulti. Avevo preso accordi con l’Ispettorato dell’Agricoltura di Macerata che mi mandava una persona a insegnare. Prima era il turno delle donne: a rammendare, a gestire il pollaio e a fare l'orto, per due, tre ore. Poi facevamo una pausa e, subito dopo, entravano gli uomini. Avevo chiamato un falegname in modo che insegnasse loro a riparare, per esempio, la porta rotta della stalla, e un elettricista per imparare ad aggiustare altre cose da soli». Questo post ha suscitato grande entusiasmo in chi l’ha letto, infatti Stefania Filice ha commentato: «Il vostro lavoro di recupero e conservazione della memoria, è ammirevole. Aspettiamo il video!», mentre Paola Belardetti ha scritto solo «Meraviglia» e Alessio Cavicchi: «Testimonianza meravigliosa! Aspettiamo il video! Grazie».
È stato riscontrato, quindi, che anche il social network possa essere visto come uno strumento per condividere con la comunità, o comunque con chi non si occupa dell’ambito storico-educativo direttamente, progetti di questo tipo promuovendo la partecipazione pubblica e sensibilizzando sull’uso corretto e responsabile della storia.
Si ritiene, quindi, che lo storico che intenda rivolgersi a pubblici non specialistici debba non solo condurre con rigore scientifico una ricerca, ma debba saper conoscere a fondo i numerosi strumenti messi a disposizione, compresi il web e i social media, e modulare la narrazione storica in base al tipo di strumento attraverso il quale si decide di diffondere le proprie ricerche e di coinvolgere il pubblico. Il 23 gennaio 2019 si è cercato di indagare su aspetti personali degli utenti, pubblicando una foto di due bambine con il grembiule fuori dalla scuola e chiedendo quale fosse il ricordo più bello legato alla scuola elementare, «un’amicizia, una maestra o un giorno speciale?».
Donatella Montanari ha commentato: «La mia maestra e i miei compagni di scuola. Ero felice di andare a scuola perché mi sentivo accolta e la mia maestra mi ha insegnato a voler bene agli altri, al di là del ceto sociale, perché tutti figli di uno stesso Padre. Ho imparato la carità verso gli altri. La mia maestra non mi ha semplicemente insegnato delle nozioni, ma è stata una vera e propria educatrice, una maestra di vita. Erano gli anni 1967-1973», mentre Silvia Alessandrini Calisti come ricordo più bello ha pensato a quello della «prima grande amicizia con Serena Luzi». Sempre legato all’amicizia il ricordo di Chiara Lepri: «Il corridoio della Scuola Elementare Francesco Petrarca di Firenze mi pareva infinito. A ricreazione formavamo gruppi di amiche e ci inventavamo mondi. Uno stava di là di una porticina sempre chiusa, che si confondeva con la tinta giallina del muro. Noi dicevamo che lì dietro abitava una strega. Eravamo consce del gioco fantastico, ma ci piaceva raccontarci questa storia paurosa. Nella stessa scuola ci ho lavorato e adesso è frequentata da mia
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figlia. Anche lei corre per quei corridoi, che per me adulta si sono ridimensionati. Chissà cosa immaginano le bambine adesso negli stessi spazi?».
L’11 giugno, invece, è stata utilizzata la foto di un luogo per stimolare gli utenti nel raccontarsi. È stata pubblicata la foto del castello di Pitino, nel comune di San Severino Marche, in provincia di Macerata, dove aveva insegnato un’altra testimone della scuola, la maestra Anna Caltagirone, la quale ha raccontato: «Vinsi il concorso magistrale nel 1951 e per l’anno scolastico 1951-52 fui assegnata alla scuola elementare statale di Monticole, frazione di San Severino Marche. Era una sede scomoda che raggiungevo solo col “cavallo di San Francesco”, cioè a piedi. La corriera mi lasciava sulla strada provinciale, a valle di un monticello chiamato Pitino e dopo circa cinque chilometri in salita arrivavo alla sede scolastica».
Anche questo post ha ricevuto molte visualizzazioni e interazioni e ha suscitato sia riflessioni sull’importanza di conservare tali memorie – come il commento di Tania Bertholdo che ha scritto: «È molto importante che tutte queste storie di vita siano salvate e contate! Congratulazioni al team del museo» –, sia ricordi legati al luogo. Estela Palombarini, infatti, ha scritto: «Bellissimo Pitino della mia nonna!».
I commenti che sono stati rilasciati fanno emergere che anche la condivisione attraverso questi canali rappresenta un importante spazio di confronto e che anche gli odierni strumenti digitali possono essere utilizzati per contribuire ad arricchire la ricerca storico-educativa. Come ha affermato Bandini, «in rete è possibile studiare la storia scientificamente con rigore e serietà metodologica. Sono state poco sfruttate le possibilità multimediali che offre il contesto digitale, lavorando con continuità e stabilità nel tempo»375.
Si ritiene che proprio attraverso la rete potrebbero essere coinvolte le giovani generazioni in progetti avviati nelle scuole, con il supporto della figura dello storico per evitare semplificazioni e banalizzazioni e per comunicare la storia e la metodologia storica in modo appropriato.
Questa ricerca è stata anche diffusa in due importanti iniziative, di cui una organizzata al di fuori degli ambienti accademici e in cui si è cercato di interpretare i primi risultati con il contributo dei presenti.
Nel 2018 l’Istituto storico «Morbiducci» di Macerata e il Centro Studi Acli Marche, in seguito al sisma che ha colpito il Centro Italia nel 2016, hanno avviato il progetto itinerante «Cantieri mobili di storia» per far dialogare i paesi del sisma e, quindi, per offrire un contributo per la rinascita delle comunità appenniniche.
Il progetto ha visto coinvolte persone provenienti da realtà diverse, ossia storici ed esperti dell’ambiente, dell’economia e della cultura e i residenti dei luoghi colpiti dal terremoto con lo scopo
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di lavorare insieme affinché non perdessero l’identità e la propria storia e si ricostruisse quel mondo complesso e immateriale fatto di relazioni, identità, senso di appartenenza, di memorie collettive e condivise.
Ogni incontro organizzato (in tutto ne sono stati realizzati cinque) è servito per ricostruire la memoria di luoghi che, in seguito all’effetto distruttivo del sisma, rischiavano di perdere la propria identità. Da una parte si è voluto creare un ambiente partecipativo e interattivo avviando una raccolta di memorie, foto e materiale d’archivio, dall’altro avviare un confronto sul presente e sul futuro dell’entroterra appenninico376.
Uno di questi incontri, quello del 17 giugno 2018 a Fiastra, in provincia di Macerata, è stato organizzato sul tema del recupero e della valorizzazione delle memorie scolastiche a cui hanno partecipato anche i dirigenti scolastici Maurizio Cavallaro, Fabiola Scagnetti e Agata Turchetti. In quell’occasione, dopo aver illustrato la tematica della ricerca di dottorato, è stato mostrato un video con gli estratti di alcune testimonianze sui ricordi di scuola. L’incontro è stato molto produttivo in quanto non solo una delle relatrici, Agata Turchetti, ha poi raccontato le sue memorie di scuola (diventando successivamente anche una delle testimoni di questa ricerca) ma si è dato il via a un interessante scambio di opinioni con gli altri dirigenti scolastici e si è suscitato l’interesse del pubblico, il quale si è personalmente candidato a diventare un testimone della scuola passata, consapevole dell’importanza della conservazione della memoria di comunità. Inoltre, è stata avviata una riflessione sull’importante ruolo delle memorie di comunità, in particolare in un luogo come quello in cui si è svolto il convegno, ossia uno dei comuni colpiti dal terremoto del 2016, che rischia di perdere la propria identità se non si preserva la storia del territorio.
Un’altra importante iniziativa servita per diffondere i primi risultati della ricerca in questione con un pubblico non specialistico è stata organizzata il 24 febbraio 2018 al Museo della scuola «Paolo e Ornella Ricca» dell’Università degli Studi di Macerata. In quell’occasione è stato organizzato l’evento «Testimoni di scuola cercasi» con lo scopo di reperire potenziali testimoni della scuola passata per raccogliere le loro testimonianze orali. L’evento ha registrato circa cinquanta presenze di persone che desideravano partecipare alla ricostruzione della storia della scuola attraverso i loro ricordi.
Il pomeriggio è stato caratterizzato da un confronto costruttivo con i partecipanti, i quali, di fronte ai primi risultati di questa ricerca, hanno commentato, spiegato e arricchito molti degli aspetti sulla scuola di una volta. Alcuni di essi, successivamente, sono ritornati al Museo della scuola per realizzare una vera e propria intervista, entrando così a far parte dell’albo dei testimoni della scuola passata e contribuendo ad ampliare il patrimonio di fonti storico-educative del museo universitario.