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TESTIMONIANZE SULLA SCUOLA NEL TERRITORIO MARCHIGIANO IN ETÀ CONTEMPORANEA. L’archivio delle fonti orali come patrimonio storico e come strumento per la didattica della storia nella scuola primaria

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI MACERATA

DIPARTIMENTO DI SCIENZE POLITICHE, DELLA COMUNICAZIONE E DELLE RELAZIONI INTERNAZIONALI

CORSO DI DOTTORATO DI RICERCA IN HUMAN SCIENCES

CICLO XXXII

TESTIMONIANZE SULLA SCUOLA NEL TERRITORIO MARCHIGIANO IN ETÀ CONTEMPORANEA.

L’archivio delle fonti orali come patrimonio storico e come strumento per la didattica della storia nella scuola primaria

RELATORE DOTTORANDO

Chiar.mo Prof. Juri Meda Dott.ssa Lucia Paciaroni

COORDINATORE

Chiar.mo Prof. Angelo Ventrone

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INDICE

Introduzione………...2

Capitolo I. Le testimonianze orali: orientamenti storiografici, questioni metodologiche e prospettive euristiche 1.1 Rassegna delle più recenti tendenze storiografiche in ambito storico-educativo ……….5

1.2 Le fonti orali: il loro sviluppo in Italia e gli studi dedicati alla metodologia di raccolta e analisi………...17

1.3 Rassegna degli studi più recenti e accreditati dedicati all’impiego delle fonti orali nella ricerca storico-educativa………37

Capitolo II. Costumi scolastici, pratiche educative ed esperienze professionali nelle testimonianze orali 2.1 Le testimonianze orali di ex-maestri/e ed alunni/e delle scuole marchigiane ………..46

2.2 Presentazione del campione statistico sulla base della metodologia quantitativa……….49

2.3 Analisi del campione statistico sulla base della metodologia qualitativa………..54

Capitolo III. Le memorie scolastiche nella didattica della storia a scuola e nelle iniziative di public history 3.1 L’utilizzo delle testimonianze orali nella didattica della storia nella scuola primaria………….………...………113

3.2 Social network e public history: strumenti per la generazione delle memorie di comunità……128

Conclusioni………...136 Appendice………...140 Appendice fotografica………...988 Bibliografia………993

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2 Introduzione

Negli ultimi anni la storiografia educativa italiana ha vissuto un processo di rinnovamento e ha iniziato a dedicare una crescente attenzione nei confronti del patrimonio storico-scolastico1, inteso oggi come quel patrimonio che non comprende solo i tradizionali beni librari e archivistici ma anche beni materiali e immateriali.

Questo rinnovamento può essere collocato nella prima metà degli anni Novanta sulla scia della riflessione proposta sulla culture scolaire da Dominique Julia. Lo storico francese ha contribuito in maniera determinante al mutamento dei paradigmi della ricerca storico-educativa proponendo di considerare la cultura scolastica, intesa come «un insieme di norme che definiscono le conoscenze da insegnare e le condotte da inculcare, e come un insieme di pratiche che permettono la trasmissione di quei saperi e l’assimilazione di quelle condotte»2, un oggetto storico su cui indagare per conoscere

con esattezza le dinamiche all’interno dell’aula scolastica, che comprendono saperi, conoscenze, norme e valori da insegnare, ma anche pratiche educative e materiali scolastici, quindi ambienti, sussidi e oggetti.

Un sempre crescente numero di storici ha spostato il proprio interesse verso nuovi approcci storiografici, quindi verso lo studio dell’evoluzione storica delle discipline scolastiche e delle pratiche didattiche ad esse relative. I primi studi avviati sono stati quelli degli storici André Chervel, Marc Depaepe, Frank Simon, Ian Grosvenor, Martin Lawn e Kate Rousmaniere3.

In seguito, la cultura materiale della scuola è stata oggetto di pioneristiche ricerche da parte della comunità iberica. Si ricordano, tra i più importanti, i lavori di Agustín Escolano Benito e Antonio Viñao Frago4. È nell’ultimo decennio che questi nuovi approcci storiografici attecchiscono anche nella comunità accademica italiana con i primi studi sul tema del libro scolastico e dell’editoria

1Si vedano: Monica Ferrari, Giorgio Panizza, Matteo Morandi (a cura di), I beni culturali della scuola: conservazione e

valorizzazione, in “Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche”, n. 15, 2008, Sezione monografica, pp.

15-191; Juri Meda, La conservazione del patrimonio storico-educativo: il caso italiano, in La historia de la cultura

escolar en Italia y en Espana: balance y perspectivas, a cura di Juri Meda e Ana M. Badanelli, Eum, Macerata 2013;

Marta Brunelli, L’educazione al patrimonio storico-scolastico, FrancoAngeli, Milano 2018.

2Dominique Julia, La culture scolaire comme objet historique, in The colonial experience in education. Historical issues

and perspectives, a cura di António Nóvoa, Marc Depaepe, Diana Soto Arango, Erwin Johanningmeier, in “Paedagogica

Historica. Supplementary Series”, vol. I, 1995, PP. 353-382.

3 Si vedano: André Chervel, La culture scolaire. Une approche historique, Belin, Paris 1998; Id., L’historie des

disciplines scolaires. Réflexions sur un domaine de recherche, in “Historie de l’éducation”, vol. 38, 1998, pp. 59-119;

Marc Daepepe, Frank Simon, Is there any Place for the History of ‘Education’ in the ‘History of Education’? A plea for

the History of Everyday Educational Reality in-and outside Schools, in “Paedagogica historica”, vol. XXX, n. 1, 1995,

pp. 9-16; Ian Grosvenor, Mark Lawn, Kate Rousmaniere (a cura di), Silences and Images. The Social History of the

Classroom, Peter Lang, New York 1999.

4Agustín Escolano Benito (a cura di), La cultura material de la escuela, CEINCE, Berlanga de Duero 2007; Antonio Viñao Frago, Por una historia de la cultura escolar: enfoques, cuestiones, fuentes, in “Culturas y civilizaciones, III Congreso de la Asociación de Historia Contemporánea”, Universida de Valladolid, Valladolid 1998, pp. 167-183.

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scolastica5. In particolare, si ricorda il progetto TESEO (Tipografi ed Editori Scolastico-Educativi

dell’Ottocento), diretto da Giorgio Chiosso, il quale ricostruisce la storia dell’editoria scolastica con la pubblicazione di schede relative a imprese editoriali e presenta alcuni saggi dedicati a specifiche tipologie di prodotti scolastici.

Negli ultimi anni gli studiosi italiani hanno proseguito in questa inversione di rotta storiografica indagando su un’altra tipologia di fonte da affiancare a quelle materiali, ormai pienamente affermate. Si tratta delle fonti orali, un territorio ancora largamente inesplorato, nonostante sia ampiamente accettato dalla storiografia contemporanea6.

Le fonti orali fanno parte del patrimonio immateriale storico-scolastico e rappresentano un’importante risorsa per affrontare le nuove sfide euristiche della storiografia educativa. Attraverso le vive voci dei protagonisti della scuola del passato è infatti possibile indagare quale fosse la «scuola reale» dietro quella «legale» studiata attraverso la manualistica e la stampa pedagogica e la legislazione e ricostruire una nuova storia della didattica e delle reali pratiche educative svolte in classe.

Si ritiene, infatti, che attraverso le testimonianze sia possibile ricostruire ciò che realmente accadeva all’interno dell’aula scolastica, specie rispetto a episodi come le punizioni corporali, denunciate dalla pedagogia ufficiale e proibite dalla legge.

Un imprescindibile punto di riferimento in questa ricerca è stato costituito dalle prime ricerche italiane avviate in questi anni. Dopo il pioneristico lavoro di Davide Montino sulle interviste guidate ai maestri7, spiccano in particolare – per qualità, sistematicità e quantità dei materiali raccolti – il

progetto coordinato da Alberto Barausse, direttore del Centro di documentazione e ricerca sulla storia delle istituzioni scolastiche, del libro scolastico e della letteratura per l’infanzia dell’Università del Molise, che mira alla costruzione di un archivio orale attraverso la raccolta di un campione significativo di video-interviste rivolte agli insegnanti8, così come quello di Gianfranco Bandini che

5 Si ricordano, per esempio, Giorgio Chiosso (a cura di), Il libro di scuola tra Sette e Ottocento, La Scuola, Brescia 2000;

Anna Ascenzi, Roberto Sani (a cura di), Il libro per la scuola tra idealismo e fascismo. L’opera della Commissione

centrale per l’esame dei libri di testo da Giuseppe Lombardo Radice ad Alessandro Melchiorri (1923-1928), Vita e

Pensiero, Milano 2005; Monica Galfré, Il regime degli editori. Libri, scuola e fascismo, Laterza, Roma-Bari 2005; Fabio Targhetta, Tra riorganizzazione industriale e sviluppo editoriale: la casa editrice Paravia tra le due guerre, in “History of Education and Children’s Literature”, vol. I, n. 2, 2006, pp. 209-229; Id., La capitale dell’impero di carta. Editori per

la scuola a Torino nella prima metà del Novecento, SEI, Torino 2007.

6 Luisa Passerini, Storia orale: vita quotidiana e cultura materiale delle classi subalterne, Rosenberg & Seller, Torino

1978; Giovanni Contini, Alberto Martini, Verba manent. L’uso delle fonti orali per la storia contemporanea, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1993; Alessandro Portelli, “L’uso dell’intervista nella storia orale”, in Didattica della storia

dell’800 e del ‘900, a cura di Emilia Cento, Liliana Di Ruscio, Titivillus, Corazzano (Pisa), pp. 58-67; Id., Storie orali. Racconto, immaginazione, dialogo, Donzelli, Roma 2007; Bruno Bonomo, Voci della memoria. L’uso delle fonti orali nella ricerca storica, Carocci, Roma 2013.

7 Davide Montino, Storie magistrali. Maestre e maestri tra Savona e la Valle Bormida nella prima metà del Novecento,

Comunità Montana “Alta Val Bormida”, Millesimo 2008.

8 Alberto Barausse, “E non c’era mica la bic! Le fonti orali nel settore della ricerca storico-scolastica”, in La ricerca storico-educativa, a cura di Antonio Hervé Cavallera, Pensa Multimedia, Vol. II, Lecce 2013, pp. 539-560.

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ha ideato e realizzato un laboratorio sulle fonti orali nell’ambito del corso di Storia dell’Educazione dell’Università di Firenze.

Questi progetti evidenziano le ampie potenzialità euristiche delle fonti orali nell’ambito storico-educativo, le quali si intendono dimostrare anche attraverso questa ricerca per la quale sono state intervistate oltre cinquanta persone, ex-alunni e alunne ed ex-maestri e maestre, con l’obiettivo, inoltre, di costruire un archivio di testimonianze che sarà messo a disposizione del Museo della scuola «Paolo e Ornella Ricca» dell’Università degli Studi di Macerata, il quale, da anni, lavora con le scuole di ogni ordine e grado del territorio, proponendo una ricca offerta didattica, nella quale è inserito, sin dall’inizio, un laboratorio dedicato proprio alle fonti orali che permette a studenti e studentesse non solo di venire a conoscenza, attraverso un’intervista da essi realizzata, di innumerevoli aspetti della storia della scuola, ma anche di acquisire una serie di competenze trasversali in ambito multimediale e giornalistico.

Attraverso l’analisi delle testimonianze è stato possibile conoscere i costumi educativi e le pratiche didattiche e disciplinari in uso nelle aule scolastiche, restituendo un quadro assai meno monolitico della scuola elementare marchigiana studiata da un punto di vista eminentemente storico-istituzionale.

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CAPITOLO I

Le testimonianze orali: orientamenti storiografici,

questioni metodologiche e prospettive euristiche

§ 1.1 – Rassegna delle più recenti tendenze storiografiche in ambito storico-educativo

La ricerca in ambito storico-educativo ha vissuto dall’inizio del secolo scorso ad oggi un processo di profondo rinnovamento, che ha visto spostare l’attenzione dalla storia delle idee pedagogiche a quella della scuola e delle istituzioni educative, considerate per molto tempo «espressione di una storia minore o, in altri casi, come un esercizio di semplice ricostruzione filologica»9. Questo fenomeno è ascrivibile alla profonda influenza a lungo esercitata dalla cultura filosofica idealistica introdotta da Giovanni Gentile e dai suoi allievi a partire dall’inizio degli anni Venti, la quale ha continuato a produrre i propri effetti anche in ambito pedagogico nei decenni successivi, determinando una interpretazione restrittiva della storia della pedagogia10.

Negli ultimi trent’anni, però, si è assistito a una inversione di rotta nella storiografica educativa italiana. Come sottolineato da Roberto Sani, i sostanziali mutamenti a cui si è assistito in seguito al superamento della prospettiva gentiliana, comprendono «una graduale apertura nei riguardi dei nuovi indirizzi della ricerca storica europea ed extra-europea» e «una significativa evoluzione sul versante delle metodologie di ricerca e delle fonti, che ha reso possibile il recupero e la valorizzazione degli archivi e di tipologie di materiali documentari per lungo tempo trascurati o del tutto ignorati». E ancora, «l’attenzione crescente verso problematiche e filoni di ricerca affatto nuovi e, nel contempo, il ricorso a metodologie d’indagine di tipo quantitativo, completamente assenti nella tradizionale impostazione di ricerca gentiliana». Altro aspetto di questo rinnovamento storiografico, evidenziato da Sani, riguarda anche «la differente e più articolata formazione dei ricercatori, calibrata sui due elementi caratteristici del settore scientifico-disciplinare: un’indispensabile competenza nell’ambito

9Giorgio Chiosso, La manualistica scolastica in Italia: tematiche, metodologie, orientamenti, in La historia de la cultura

escolar en Italia y en España: balance y perspectivas, a cura di Juri Meda e Ana M. Badanelli, Eum, Macerata 2013, pp.

49-50.

10Cfr. Barausse, I sentieri di Clio. Bilanci e nuove prospettive di ricerca nella storia della scuola oggi, in Inaugurazione Anno Accademico 2008-2009 dell’Università degli Studi del Molise, Campobasso 2008; Meda, I «Monumenta Italiae

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delle metodologie della ricerca storica e della storiografia e una altrettanto significativa e solida preparazione sul versante delle scienze dell’educazione»11.

Come vedremo in questo capitolo, infatti, la storiografia educativa italiana ha iniziato, già dagli anni Ottanta del secolo scorso a indagare la storia della scuola e delle istituzioni educative ampliando nel tempo i filoni di ricerca, così come la propria prassi metodologica, mentre studiosi e ricercatori si sono aperti ai portati euristici di altre discipline. Si sono così affermate nuove tendenze storiografiche e un nuovo modo di intendere la storia dell’educazione.

A determinare una vera svolta nella storiografica educativa è stata la nascita – tra le due guerre mondiali – della scuola storica delle «Annales»12, che segnò l’avvio di «una vera e propria rivoluzione storiografica basata sul sistematico ampliamento dell’indagine storica dalla ricostruzione degli eventi politici, diplomatici e militari allo studio del gruppi sociali, delle attività economiche, delle dinamiche demografiche, dei rapporti degli essere umani con l’ambiente naturale, della cultura materiale, della vita della gente comune e delle mentalità collettive»13.

A questa scuola si deve lo sviluppo di un articolato processo di rinnovamento storiografico che è stato identificato come nouvelle historie, che si è caratterizzata per «la tendenza a ribaltare la visione “dall’alto” tipica della storiografia tradizionale, incentrata sulle gesta di “grandi uomini”, a favore di un approccio “dal basso” focalizzato sulle vicende e la cultura della gente comune e dei gruppi subalterni o marginali, come i contadini, i poveri, i giovani o le donne»14.

Questo ha comportato in Italia – come negli altri paesi europei – un diverso approccio anche nel settore della ricerca storico-educativa, dove è mutata l’impostazione storiografica tradizionale per lasciare spazio a una ricerca della storia intesa in senso più ampio.

Si è quindi affermato un nuovo modo di fare storia, il cui significato è ben esplicato in un articolo della metà degli anni Novanta del secolo scorso dello storico francese Dominique Julia15, il quale ha elaborato una riflessione sulla culture scolaire – ovvero il complesso delle norme che definiscono le conoscenze da insegnare e i comportamenti da inculcare e delle pratiche educative che consentono una corretta trasmissione e l’apprendimento di quelle conoscenze e l’assimilazione di quei comportamenti – proponendo di considerarla come oggetto storico e assegnando alla «storia delle discipline scolastiche» un ruolo preminente nell’ambito dei filoni di ricerca emergenti nell’ambito

11 Roberto Sani, Nuove tendenze della ricerca storico-educativa, in La ricerca sull’educazione tra pedagogia e storia, a

cura di Sira Serenella Macchietti e Giuseppe Seragini, Pensa Multimedia Editore, Lecce 2008, pp. 68-69.

12 Nel 1929 Marc Bloch e Lucien Febvre fondano la rivista “Annales d’histoire économique et sociale” che ha poi ispirato

la nascita della scuola storica «Annales». Dopo la seconda guerra mondiale, la scuola ha visto avvicendarsi diverse generazioni di studiosi, tra cui si ricordano Fernand Braudel, Jacques Le Groff, Georges Duby e Pierre Nora.

13 Bruno Bonomo, Voci della memoria. L’uso delle fonti orali nella ricerca storica, Carocci Editore, Roma 2013, p. 20. 14 Ibidem.

15 Dominique Julia, La culture scolaire comme objet historique, in The Colonial Experience in Education: Historical Issues and Perspectives, a cura di Antonio Novoa, Marc Depaepe e Erwin Johanningmeier, «Paedagogica Historica»,

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della storia dell’educazione, in quanto tra i pochi in grado di descrivere con esattezza le dinamiche in atto all’interno della scuola o per meglio dire dell’aula scolastica16.

Sulla scia di questa riflessione, nell’ultimo ventennio, è aumentato il numero degli storici dell’educazione impegnati nella ricerca sulla cultura scolastica; essi hanno iniziato a dedicare una crescente attenzione alla ricostruzione della cultura – intesa come insieme di saperi, norme e valori – prodotta all’interno della scuola stessa nonché alle stesse pratiche educative attraverso le quali la scuola ha inteso trasmettere alle nuove generazioni quella stessa cultura.

Tra i maggiori contributi, si ricordano in Francia lo storico André Chervel che si è specializzato nella storia delle discipline scolastiche17 e in Belgio Marc Depaepe e Frank Simon che hanno evidenziato le potenzialità euristiche di questo filone di ricerca18.

Più tardi, quella cultura scolastica fatta di saperi, norme e valori che si produceva all’interno della scuola è stata messa in diretta relazione con l’ambiente in cui quotidianamente veniva prodotta e trasmessa, ossia l’aula scolastica. Tra i primi a porre l’attenzione su questo aspetto, si ricordano Ian Grosvenor, Martin Lawn e Kate Rousmaniere19 che hanno pubblicato un testo il quale ha contribuito al processo di evoluzione storiografica in atto. I tre studiosi hanno raccolto i risultati di due conferenze – tenutesi presso l’Università di Birmingham nel 1995 e a Toronto nel 1996 – le quali hanno rappresentato un importante momento per discutere sul tema della storia sociale dell’aula scolastica e «il cui obiettivo era quello di porre fine al silenzio da sempre riservato alla ricostruzione della cultura degli spazi sociali dell’apprendimento scolastico da parte della storia dell’educazione e di determinare quali ne fossero le abitudini, che genere di attività fossero svolte al loro interno, come venissero vissuti quotidianamente e in quale modo vi venissero mediati i contenuti dell’insegnamento»20.

L’aula scolastica è diventata, in seguito, oggetto di approfondite ricerche in Spagna e proprio la comunità iberica ha fatto un ulteriore passo in avanti, sancendo lo scarto esistente tra la cultura scolastica e la cultura materiale della scuola, di cui si iniziano ad esplorare le straordinarie potenzialità euristiche21. Negli anni Novanta del secolo scorso la comunità iberica ha dimostrato di essere molto

16 Cfr. Meda, Mezzi di educazione di massa. Nuove fonti e nuove prospettive di ricerca, in «History of Education & Children’s Literature», VI, 1, 2011, p. 254.

17 Si segnalano, in particolare, André Chervel, Des disciplines scolaires á la cultura scolaire, in Education and Cultural Transmission: Historical Studies of Continuity and Change in Families, Schooling and Youth Cultures, «Paedagogica

Historica», Supplementary Series, II, 1996, pp. 181-195; Id., La cultura scolaire. Une approche historique, Belin, Paris 1998.

18 Mark Depaepe e Frank Simon, Is There any Place for the History of “Education” in the “History of Education”? A plea for the History of Everyday Educational Reality in-and outside Schools, «Paedagogica Historica», XXXI, 1, 1995,

pp. 9-16.

19 Ian Grosvenor, Martin Lawn e Kate Rousmaniere, Silences and Images: The Social History of the Classroom, Peter

Lang, New York 1999.

20 Meda, Mezzi di educazione di massa, cit., pp. 254-255.

21Si vedano gli atti ufficiali del XII Congresso nazionale di storia dell’educazione Etnohistoria de la Escuola, organizzato dalla Società spagnola di storia dell’educazione in collaborazione con l’Università di Burgos dal 18 al 21 giugno 2003.

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sensibile alle nuove linee di tendenza della storiografia educativa europea; infatti ha dato avvio a una feconda stagione di rinnovamento della propria produzione scientifica e sviluppato numerosi filoni di ricerca22.

Nel 2005 – sulla scia delle ricerche della comunità iberica – gli storici inglesi Martin Lawn e Ian Grosvenor lavorano a un volume23 che si concentra sullo studio degli oggetti scolastici e degli strumenti didattici di vario genere, a lungo sottovalutati24. Nel 2007 arriva un altro segnale dalla comunità iberica: lo storico spagnolo Agustín Escolano Benito dedica un volume alla cultura materiale della scuola25 in cui emerge la necessità di non considerare l’oggetto materiale solamente dal punto di vista della sua evoluzione tecnica e materiale ma di cogliere la relazione esistente tra essi e il loro contesto di produzione e di impiego26. Nell’ambito della comunità iberica importanti promotori di questo nuovo filone di ricerca sono anche Antonio Viñao Frago e Pedro Luis Moreno Martínez.

Gli storici dell’educazione hanno quindi riconosciuto le straordinarie potenzialità euristiche della cultura della scuola ed essa è diventata oggetto di studio in tutte le sue componenti, ossia cognitiva – i saperi, le conoscenze, le norme e i valori da insegnare –, comportamentale – le pratiche e le condotte codificate, insegnate e messe in atto nella scuola – e materiale, quindi gli spazi, i sussidi e gli oggetti scolastici27.

Anche l’Italia si è mossa verso questo nuovo filone di ricerca, ma con tempi meno rapidi rispetto agli altri paesi europei e solo a partire dagli anni Novanta gli storici dell’educazione si sono concentrati maggiormente sulla cultura scolastica, avviando ricerche che sanciscono l’uscita da quella fase che si era contraddistinta per la produzione di studi sulla storia delle idee e delle teorie pedagogiche. Le prime ricerche che evidenziano il mutamento in atto sono quelli avviati da Stefano Pivato, Marcella Bacigalupi e Piero Fossati, Simonetta Soldani e Gabriele Turi28.

In questa occasione lo storico spagnolo Agustín Escolano Benito ha coniato l’efficace definizione di «cultura empirica de

la escuela» nel suo intervento dal titolo Escenografias escolares: espacio y actores, in Etnohistoria de la Escuola: XII

Coloquio nacional de historia de la educación, a cura di Juan Alfredo Jiménez Eguizábal et al., Sociedad de historia de la educacion - Universidad de Burgos, Burgos 2003, pp. 365-376.

22 Si veda Meda, Mezzi di educazione di massa. Saggi di storia della cultura materiale della scuola tra XIX e XX secolo,

Franco Angeli, Milano 2018, p. 21.

23 Martin Lawn e Ian Grosvenor, Materialities of Schooling: Design, Technology, Object, Routines, Symposium Books,

Oxford 2005.

24 Meda, Mezzi di educazione di massa, cit., pp. 22-23.

25Agustín Escolano Benito, La cultura material de la escuela: en el centenario de la Junta para la Ampliacion de Estudios, 1907-2007, CEINCE, Berlanga de Duero 2007.

26 Meda, Mezzi di educazione di massa, cit., p. 257.

27Marta Brunelli, L’educazione al patrimonio storico-scolastico. Approcci teorici, modelli e strumenti per la progettazione didattica e formativa in un museo della scuola, Franco Angeli, Milano 2018, p. 12.

28 Cfr. Stefano Pivato, Pane e grammatica: l’istruzione popolare in Romagna alla fine dell’800, Franco Angeli, Milano

1983; Marcella Bacigalupi e Piero Fossati, Da plebe a popolo: l’educazione popolare nei libri di scuola dall’Unità

d’Italia alla Repubblica, La Nuova Italia, Scandicci 1986; Simonetta Soldani e Gabriele Turi, Fare gli italiani: scuola e cultura nell’Italia contemporanea, Il Mulino, Bologna 1993.

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Tra i centri propulsori di questo rinnovamento della storiografia storico-educativa in Italia si ricorda, negli anni Ottanta, quello promosso a Milano e a Brescia intorno a grandi progetti di ricerca storiografica ai quali hanno contribuito studiosi di matrice diversa sotto la direzione di Luciano Pazzaglia e che hanno visto impegnati alcuni autorevoli storici dell’educazione come Giorgio Chiosso e Roberto Sani.

Pazzaglia è stato uno tra gli studiosi convinti «della necessità di superare l’impostazione storiografica tradizionale e di andare oltre la vecchia storia del pensiero pedagogico e delle teorie educative, per dare spazio a una storia dell’educazione e della scuola considerata nel suo significato più ampio, come storia delle dottrine sì, ma anche delle istituzioni, delle pratiche dei costumi, della mentalità ecc. La sua posizione […] s’imperniava su una concezione della storia dell’educazione e della scuola come ambito privilegiato per cogliere e valutare nelle sue reali caratteristiche e dimensioni la più generale evoluzione culturale, civile e religiosa della società italiana degli ultimi due secoli»29. Pazzaglia, infatti, ha dato corso ad alcune indagini di ampio respiro e d’indiscussa importanza e ha favorito l’emergere di una nuova generazione di ricercatori maggiormente attrezzata sotto il profilo metodologico e storiografico. Si è così costituita una équipe di ricercatori provenienti da una formazione rigorosamente storiografica, ma non esclusivamente storico-pedagogica, ovvero caratterizzati per un approccio interdisciplinare alla storia dell’educazione30.

A Luciano Pazzaglia e al gruppo di ricercatori di storia dell’educazione e della scuola dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano si debbono la fondazione a Brescia, nei primi anni Novanta, dell’Archivio per la Storia dell’Educazione in Italia, un centro di documentazione e ricerca altamente specializzato in questo settore di studi, e, nel 1994, della rivista scientifica «Annali di Storia dell’Educazione e delle Istituzioni Scolastiche»; nonché la promozione di una serie di importanti convegni destinati ad approfondire il ruolo esercitato dalla Chiesa e dal cattolicesimo italiano in campo educativo e scolastico in epoca contemporanea31.

A questo ambizioso progetto di rinnovamento culturale e storiografico della storia della pedagogia danno un contributo fattivo anche Chiosso e Sani, convinti anch’essi della necessità di superare la

29Sani, La mia Pedagogia, in Atti della prima Summer School SIPED, a cura di Simonetta Ulivieri, Lorenzo Cantatore, Francesco Claudio Ugolini, Edizioni ETS, Pisa 2015, p. 142.

30Ibidem.

31Si ricorda il convegno di studi sul tema Chiesa e progetto educativo nell’Italia del secondo dopoguerra (1945 – 1958), svoltosi a Milano dal 6 al 9 maggio 1986 (si veda Chiesa e progetto educativo nell'Italia del secondo dopoguerra,

1945-1958, La scuola, Brescia 1988); quello dedicato a Chiesa e prospettive educative in Italia tra Restaurazione e Unificazione,

tenutosi a Brescia dal 20 al 23 novembre 1991 (si veda Luciano Pazzaglia, Chiesa e prospettive educative in Italia tra

Restaurazione e Unificazione, La scuola, Brescia 1994); il convegno su Cattolici, educazione e trasformazioni socio-culturali in Italia tra Otto e Novecento, svoltosi a Brescia alla fine di maggio del 1996 (si veda Luciano Pazzaglia, Cattolici, educazione e trasformazioni socio-culturali in Italia tra Otto e Novecento, La scuola, Brescia 1999); e, infine,

quello incentrato sul tema Chiesa, cultura e educazione in Italia tra le due guerre, tenutosi anch’esso a Brescia nel dicembre 1999 (si veda Luciano Pazzaglia, Chiesa, cultura e educazione in Italia tra le due guerre, La scuola, Brescia 2003).

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tradizionale storia della pedagogia di stampo gentiliano per dare spazio ad una storia dell’educazione e della scuola considerata nel suo significato più ampio come storia delle istituzioni, delle pratiche, dei costumi e della mentalità.

Tuttavia, Chiosso e Sani, erano convinti che questa impresa non dovesse rimanere confinata nella dimensione confessionale, ma fosse necessario che essa si aprisse ad obiettivi e orizzonti più ampi, destinati a creare le premesse per la promozione di una seria e strutturata organizzazione della ricerca nel settore storico-pedagogico. Quindi, l’intera comunità di storici di quegli anni era chiamata a trarre più ispirazione dai modelli della storiografia educativa e scolastica già affermati in Francia, Spagna e Gran Bretagna fornendo contributi di alto profilo e un lavoro di équipe collaborando con ampie e qualificate reti di specialisti32.

Questi due studiosi hanno dato avvio a una stagione di rinnovamento nel settore rendendo possibile – attraverso alcuni progetti di ricerca – il recupero e la valorizzazione delle principali fonti per la storia della scuola e dei processi formativi nel nostro paese e l’approntamento di nuovi e più sofisticati approcci e strumenti di ricerca33.

Questi importanti progetti si collocano in uno scenario che vede gli storici dell’educazione sempre più impegnati nell’apportare sensibili mutamenti alle loro abitudini individuali e collettive nell’ambito della ricerca.

Nell’ultimo ventennio, in Italia, gli storici dell’educazione hanno anche iniziato a risentire degli influssi della storiografia internazionale e, di conseguenza, si è posta l’attenzione su un nuovo e interessante filone di ricerca, quello della cultura materiale della scuola. Le prime campagne di studio in questo ambito34 riguardano il libro scolastico, il quale, come evidenziato da Giorgio Chiosso, «costituisce una significativa documentazione circa il modello di scuola di una certa epoca» e la questione dei libri-manuali viene affrontata sotto due principali punti di vista, «il primo riguarda il loro contenuto e il loro impiego educativo e didattico, il secondo la loro circolazione editoriale»35.

32 Marino Raicich tracciò un quadro fortemente critico dello stato degli studi storico-pedagogici in Italia. Si veda Raicich, Scuola, cultura e politica da De Sanctis a Gentile, Nistri-Lischi, Pisa 1982, pp. 19 e 26.

33 Si fa riferimento, per esempio, «alla realizzazione dei due repertori dei periodici pedagogici, scolastici e magistrali

italiani dell’Ottocento e del Novecento, alla creazione di quelli dedicati all’editoria scolastica ed educativa nell’Italia contemporanea, alla costruzione del database EDISCO sulla manualistica scolastica e i libri di testo relativi alle scuole di ogni ordine e grado dati alle stampe nella penisola dal 1800 ad oggi, nonché alla gran messe di studi e ricerche condotti sui diversi aspetti dell’istruzione e dell’educazione scolastica nell’Italia degli ultimi tre secoli e, infine, alla realizzazione del Dizionario Biografico dell’Educazione (1800-2000), opera in due volumi curata da Giorgio Chiosso e Roberto Sani. Dal 2016 è consultabile anche on line: http://dbe.editricebibliografica.it/dbe/ricerche.html. Si veda Sani, La mia

Pedagogia, cit.

34 Le potenzialità euristiche nell’ambito della cultura materiale della scuola erano state evidenziate già dai lavori di Ilaria

Porciani, Marino Raicich, Marcella Bacigalupi e Piero Fossati. Si vedano Ilaria Porciani, Il libro di testo come oggetto di

ricerca: i manuali scolastici nell’Italia unita, in Storia della scuola e storia d’Italia, De Donato, Bari 1982, pp. 237-271;

Marcella Bacigalupi e Piero Fossati, Da plebe a popolo: l’educazione popolare nei libri di scuola dall’Unità d’Italia alla

Repubblica, La Nuova Italia, Scandicci 1989; Raicich, Di grammatica in retorica. Lingua, scuola, editoria nella Terza Italia, Archivio «Guido Izzi», Roma 1996.

35 Chiosso, La manualistica scolastica in Italia: tematiche, metodologie, orientamenti, in La historia de la cultura escolar en Italia y en Espana: balance y perspectivas, a cura di Juri Meda e Ana Maria Badanelli, Eum, Macerata 2013, p. 49.

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Chiosso nell’ultimo ventennio si è dedicato molto alle modalità con cui furono veicolati i processi d’istruzione ed educazione nel passaggio tra XIX e XX secolo con approfondite ricerche su fonti ancora poco esplorate come i periodici per gli insegnanti, l’editoria educativa e i testi in uso nelle scuole36, ma dalle straordinarie potenzialità euristiche. Come ha dichiarato Chiosso, infatti, «i giornali ci svelavano non solo le idee della scuola in circolo tra Otto e Novecento, ma ci consentivano di entrare anche “dentro l’aula” e cioè di cogliere aspetti essenziali della vita scolastica quotidiana»37. Tra i progetti che egli ha promosso – spesso in collaborazione con docenti di altri atenei italiani come quelli di Padova, Bologna, Firenze, Udine e Macerata –, molte riguardano l’editoria per l’educazione e la scuola, tra cui ricordiamo Teseo. Tipografi e editori scolastico-educativi dell’Ottocento e Teseo

‘900. Editori scolastico-educativi del primo Novecento38, attraverso i quali è stato possibile rappresentare una mappa del libro scolastico italiano sul piano della produzione editoriale, intendendo «tale sussidio non solo in quanto “oggetto didattico” ma anche in quanto “oggetto economico”, condizionato dalle esigenze di organizzazione del consenso espresse dalle istituzioni politiche e dagli orientamenti culturali dell’editore, ma anche soggetto alle leggi del mercato»39. Il progetto Teseo ha

avuto lo scopo di ricostruire la storia editoriale del libro di scuola attraverso il quale è stato possibile individuare 1054 imprese tipografiche ed editoriali impegnate nella produzione dei manuali scolastici e dei libri di testo.

La storia dell’editoria scolastica per tutto il primo decennio del nuovo secolo ha ricevuto attenzioni da parte degli storici dell’educazione, tra i tanti, si ricordano Anna Ascenzi, Roberto Sani, Carla Ida Salviati, Monica Galfré, Fabio Targhetta, Carmen Betti e Alberto Barausse, solo per citarne alcuni40. L’ampia produzione di studi sull’editoria scolastica tra il 2000 e il 2010, ha favorito l’apertura di un

36 Si vedano a questo proposito Chiosso, Scuola e stampa nel Risorgimento. Giornali e riviste per l’educazione prima dell’Unità, Angeli, Milano 1989; Id., I periodici scolastici nell’Italia del secondo Ottocento, La scuola, Brescia 1992; Id., Scuola e stampa nell’Italia liberale. Giornali e riviste per l’educazione dall’Unità a fine secolo, La scuola, Brescia 1993;

Id., La stampa pedagogica e scolastica in Italia. 1820-1943, La scuola, Brescia 1997.

37 Antonella Cagnolati, Espandendo i confini della ricerca storico-educativa. Sulle orme di Giorgio Chiosso, in Espacio, Tiempo y Educación, v.2, n.1, gennaio-giugno 2015, pp. 349-372

38 Chiosso, Teseo. Tipografi e editori scolastico-educativi dell’Ottocento, Bibliografica, Milano 2003; Id., Teseo ‘900. Editori scolastico-educativi del primo Novecento, Bibliografica, Milano 2008. Si vedano anche Id., Il libro per la scuola tra Sette e Ottocento, La scuola, Brescia 2000.

39 Meda, Mezzi di educazione di massa, cit., p. 26.

40 Si vedano Carmen Betti, Percorsi del libro per la scuola fra Otto e Novecento. La tradizione toscana e le nuove realtà del primo Novecento in Italia, Pagni-Regione Toscana, Firenze 2004; Anna Ascenzi e Roberto Sani, Il libro per la scuola tra idealismo e fascismo. L’opera della Commissione centrale per l’esame dei libri di testo da Giuseppe Lombardo Radice ad Alessandro Melchiori (1923-1928), Vita e Pensiero, Milano 2005; Carla Ida Salviati, Paggi e Bemporad editori per la scuola. Libri per leggere, scrivere e far di conto, Giunti, Firenze 2007; Monica Galfré, Il regime degli editori. Libri, scuola e fascismo, Laterza, Roma-Bari 2005; Fabio Targhetta, La capitale dell’impero di carta. Editori per la scuola a Torino nella prima metà del Novecento, SEI, Torino 2007; Stefano Oliviero, L’editoria scolastica nel progetto egemonico dei neoidealisti, ETS, Pisa 2007, Barausse, Il libro per la scuola dall’Unità al fascismo. La normativa sui libri di testo dalla legge Casati alla riforma Gentile (1861-1922), 2 voll., Alfabetica, Macerata 2008; Anna Ascenzi e Roberto Sani, Il libro per la scuola nel ventennio fascista. La normativa sui libri di testo dalla riforma Gentile alla fine della Seconda guerra mondiale (1923-1945), Alfabetica, Macerata 2009; M. Jolanda Palazzolo, Sara Mori e Giorgio Bacci, Edoardo Perino. Un editore popolare nella Roma umbertina, Franco Angeli, Milano 2012.

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altro filone di indagine – che nel frattempo era oggetto della letteratura scientifica prodotta all’estero – ossia la cultura materiale della scuola che si configura a tutti gli effetti come una «storia dell’industria scolastica», particolarmente attenta ai processi produttivi e alle complesse dinamiche di mercato vigenti nell’ambito del mercato scolastico41.

Quello dell’editoria scolastica e dei libri di testo è stato forse l’ambito della ricerca storico-scolastica che – almeno in Italia – ha conosciuto in tempi recenti il più intenso e fecondo sviluppo42.

L’interesse verso l’industria scolastica è strettamente legato all’attenzione che è stata rivolta verso il settore editoriale, che ha visto sempre più approfondite ricerche da parte degli storici dell’educazione. Proprio queste ricerche hanno fatto capire che ampliare lo spettro delle fonti adottandone altre attinenti più alla natura materiale che alla dimensione culturale della produzione editoriale – e che non erano mai state prese in considerazione –, costituiva il percorso ideale per ricostruire la vita scolastica e tutte le sue componenti indagando da un diverso punto di vista.

Gli storici dell’educazione hanno poi iniziato a prendere in considerazione altre fonti, come i quaderni di scuola. Questo filone di indagine ha iniziato ad affermarsi all’inizio degli anni Duemila.

Tra le iniziative che hanno confermato questa tendenza si ricorda il progetto FISQED dell’Istituto Nazionale di Documentazione, Innovazione e Ricerca Educativa di Firenze (INDIRE) che ha promosso un’approfondita ricerca sull’evoluzione storica del quaderno di scuola, coordinata da Juri Meda43.

Altra iniziativa molto importante – in occasione della quale sono stati presentati i primi risultati del progetto di INDIRE appena citato – è stata quella del convegno di studi «I quaderni scolastici: una fonte per la storia dell’educazione», tenutosi presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia il 27 ottobre 200544.

Questo convegno ha rappresentato «un punto di partenza per un’attenzione non episodica e marginale della storiografia scolastica ed educativa italiana nei riguardi di una fonte che, fino a quel momento, era stata sostanzialmente trascurata, quando non del tutto ignorata, dagli studiosi del settore»45. È

41Meda, Mezzi di educazione di massa, cit., p. 26.

42Ascenzi, La ricerca sulla manualistica scolastica in Italia: nuovi orientamenti storiografici e prospettive per il futuro, in La historia de la cultura escolar en Italia y en Espana: balance y perspectivas, cit., p. 123.

43L’INDIRE nel 2003 ha deliberato di elaborare un software per la catalogazione informatizzata e l’indicizzazione semantica di una vasta collezione di quaderni scolastici ed elaborati didattici di vario genere, ripartita su più fondi, posseduta dall’istituto. Il software FISQED identifica i materiali in rapporto alla loro tipologia, provenienza, collocazione; ne descrive le caratteristiche fisiche, li situa nello spazio e nel tempo, indicizza i nomi degli scolari e insegnanti responsabili dei contenuti, riporta le denominazioni delle scuole di appartenenza, riserva un determinato spazio ai contenuti concettuali e iconografici attraverso la descrizione sintetica e l’indicizzazione con thesaurus. Cfr. Meda, Mezzi

di educazione di massa, cit., pp. 27-29.

44Gli atti del convegno sono stati pubblicati nella sezione monografica, I quaderni di scuola tra Otto e Novecento de «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche in Italia», n. 13, 2006, pp. 13-188.

45Sani, Bilancio della ricerca sui quaderni scolastici in Italia, in La historia de la cultura escolar en Italia y en Espana:

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stata, quindi, l’occasione per sancire l’inizio di una nuova stagione di studi sul quaderno scolastico in quanto fonte le cui potenzialità euristiche erano ancora inesplorate46.

Decisiva, due anni dopo, è stata la conferenza internazionale organizzata a Macerata dall’Università degli Studi di Macerata e dall’Istituto nazionale di documentazione per l’innovazione e la ricerca educativa (INDIRE) di Firenze dal 26 al 29 settembre 2007 sul tema «School Exercise Books. A Complex Source for a History of the Approach to Schooling and Education in the 19th and 20th Centuries»47.

Questa iniziativa ha sancito il vero e proprio avvio di un approfondimento sistematico delle caratteristiche e delle potenzialità euristiche del quaderno di scuola. Le due direttrici di ricerca emerse in quell’occasione hanno messo in luce come, da una parte, si possa studiare il quaderno come mezzo o supporto della pratica didattica e dei processi formativi e culturali scolastici da indagare nella sua evoluzione storica e nelle sue caratteristiche e funzioni alla stregua di altri strumenti e apparati della scuola (la manualistica e i libri di testo, le esercitazioni in classe, i registri, etc.); e, dall’altra, le scritture scolastiche veicolate dai quaderni, sulle quali soffermarsi al fine di cogliere le molteplici dimensioni e caratteristiche dell’interazione educativa tra l’alunno e l’istituzione scolastica, nonché di verificare l’incidenza delle pratiche formative scolastiche sulla costruzione dell’immaginario degli allievi e sullo sviluppo della loro personalità48.

In seguito alle considerazioni sul quaderno di scuola, gli studiosi hanno iniziato a valutare come fonte anche altri sussidi didattici e materiali scolatici. In un articolo uscito nel 2010 sulla rivista History of Education & Children’s Literature, Juri Meda parla di «mezzi di educazione di massa», ovvero «l’ampia e variegata gamma dei sussidi didattici, fruibili con o senza mediazione pedagogica, attraverso i quali era possibile determinare essenziali processi di apprendimento in una pluralità indistinta di destinatari, aggiungendo che la commistione tra carattere mediatico e pedagogico del quaderno così come di numerosi altri sussidi didattici traeva origine dalla progressiva massificazione dei processi educativi avvenuta tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, la quale aveva provocato un aumento esponenziale della produzione di materiale scolastico in grado di favorire a livello formale e non solo la standardizzazione dei processi di apprendimento»49.

46Si vedano Meda, Quaderni di scuola. Nuove fonti per la storia dell’editoria scolastica minore, in I quaderni di scuola

tra Otto e Novecento, sezione monografica di «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», 13, 2006,

pp. 73-98 e Davide Montino, Quaderni scolastici e costruzione dell’immaginario infantile, cit., pp.167-189.

47Si veda Meda, Davide Montino e Sani, School Exercise Books. A Complex Source for a History of the Approach to

Schooling and Education in the 19th and 20th Centuries, 2 voll, Polistampa, Firenze 2010.

48Cfr.Sani, Bilancio della ricerca sui quaderni scolastici in Italia, in La historia de la cultura escolar en Italia y en

Espana: balance y perspectivas, a cura di Meda e Badanelli, Eum, Macerata 2013, p. 90-91.

49Meda, Musei della scuola e dell’educazione. Ipotesi progettuale per una sistematizzazione delle iniziative di raccolta,

conservazione e valorizzazione dei beni culturali delle scuole, in “History of Education and Children’s Literature, V,

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In occasione della conferenza di Macerata, Meda aveva già illustrato dettagliatamente la complessa categoria di fonti che intendeva descrivere col termine «mezzi di educazione di massa»50.

I mezzi di educazione di massa sono stati proposti quale oggetto di ricerca e per i quali si intende, per essere più specifici, «i sussidi didattici, gli strumenti di scrittura e gli articoli di cancelleria di vario genere prodotti da un certo momento in avanti su scala industriale e per questo opportunatamente serializzati al fine di indurre una generalizzata omologazione dei metodi di insegnamento e dei processi di apprendimento»51. Insomma, sono libri, quaderni, diari e strumenti di scrittura (cannucce con pennini, poi penne stilografiche, quindi penne a sfera, ma anche calamai, tamponi e carta assorbente), oltre che sussidi didattici utilizzati per insegnare le materie più varie come la scrittura (alfabetieri, quaderni prestampati a completamento per l’avviamento alla scrittura e modelli di calligrafia), l’aritmetica (abachi, pallottolieri, regoli e altri strumenti di calcolo), la geografia (carte geografiche, globi terrestri, mappamondi e planetari), la scienza e l’igiene (tabelloni didattici, modelli in cera e in plastica, modelli tassidermici, campionari di pesi e misure e raccolte scientifiche di vario genere), la storia (atlanti storici, carte murali), ma anche degli oggetti e degli articoli che componevano il cosiddetto corredo dello scolaro (cartelle scolastiche, grembiuli, uniformi e distintivi scolastici) e degli stessi arredi scolastici (cartella, predellino, lavagna e banchi)52.

Questi elementi rappresentano, come notava Meda, una nuova gamma di fonti che possono aiutare a far luce sulla storia della scuola e delle pratiche educative attraverso «rigorosi criteri metodologici e secondo una genuina prospettiva interdisciplinare, capace di far dialogare proficuamente tra loro fonti diverse, sia in grado di fornire nuovi utili elementi di riflessione non solo in relazione ai processi economici connessi allo sviluppo della scolarizzazione di massa e ai metodi impiegati nell’elaborazione, nella produzione e nel consumo degli oggetti didattici e degli strumenti educativi, ma anche alla costante evoluzione dei processi formativi, delle pratiche scolastiche e dei costumi educativi che quegli oggetti e quegli strumenti hanno stimolato»53.

È stato così che anche in Italia gli storici dell’educazione hanno iniziato a indagare le potenzialità euristiche di un’ampia gamma di «nuove fonti»: quaderni e fotografie scolastiche, cataloghi commerciali delle case editrici scolastiche e delle ditte produttrici di arredi e sussidi scolastici, periodici pedagogico/scolastici, manuali scolastici e libri per l’infanzia, sussidi didattici e arredi scolastici e fonti orali54.

50Meda, The Exercise Book as a Material Object, in School Exercise Books. A Complex Source for a History of the

Approach to Schooling and Education in the 19th and 20th Centuries, a cura di Juri Meda, Davide Montino e Roberto

Sani, 2 voll, Polistampa, Firenze 2010, pp. XXV-XXVIII. 51Meda, Mezzi di educazione di massa, cit., p. 262. 52Ibidem.

53Ivi, p. 279.

54Un importante segnale è arrivato nel settembre del 2017 quando è stata costituita la Società Italiana per il Patrimonio

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Un problema, però, che ad oggi non si può considerare risolto – nonostante la crescente attenzione verso questa tipologia di fonti – è quello relativo alla salvaguardia, conservazione e valorizzazione di questo patrimonio.

Nell’ultimo decennio si è a lungo dibattuto all’interno della comunità scientifica italiana circa l’improrogabile necessità di promuovere su larga scala – oltre che a livello locale – sistematiche iniziative di raccolta, recupero e conservazione del patrimonio storico-educativo, sia custodito presso gli istituti scolastici sia di proprietà di privati a grave rischio di dispersione. Ancora oggi, non si è riusciti ad avviare una campagna di studio autorevole in grado di mettere a fuoco la questione in tutti i suoi molteplici ed eterogenei aspetti, così come non si è riusciti a proporre un’efficace strategia di intervento creando le condizioni politiche affinché le iniziative di cui sopra venissero concretamente intraprese55. Quindi, se da una parte l’attenzione verso la storia della scuola e delle istituzioni educative è significativamente cresciuta negli ultimi decenni e sono numerosi gli studi e le ricerche al riguardo, è necessario lavorare ancora affinché tanto da parte delle istituzioni pubbliche quanto da parte dei privati sia chiara l’importanza dei beni materiali e immateriali ai fini della ricerca.

Tra gli studiosi che negli anni Duemila hanno dimostrato maggiore interesse nei confronti di questo filone di ricerca, si ricordano, solo per citarne alcuni, Fabio Targhetta che ha indagato sulla produzione di materiale didattico e scientifico della casa editrice Paravia56, Monica Ferrari e l’unità di ricerca da lei coordinata all’interno del Centro interdipartimentale per lo studio e la valorizzazione dei beni culturali scolastici e educativi dell’Università degli Studi di Pavia che, nel 2008, ha pubblicato un lavoro sugli oggetti didattici prodotti, utilizzati e conservati nelle scuole dell’infanzia mantovane tra Otto e Novecento57 e, infine, nel 2014 Marta Brunelli che ha elaborato una nuova interessante prospettiva metodologica relativa alla produzione industriale e alla circolazione commerciale del materiale didattico in Italia tra le fine dell’Ottocento e la prima metà del Novecento, in cui ha stabilito le indicazioni d’uso degli oggetti scolastici in quanto fonti materiali per una corretta ricostruzione storica della cultura materiale della scuola58.

Prodotti, utilizzo e circolazione degli arredi scolastici e degli ausili didattici tra Europa e America Latina nel XIX e XX secolo» con lo scopo di promuovere ricerche altamente specializzate nello studio del patrimonio storico-educativo. Lo statuto e l’atto costitutivo sono stati sottoscritti da professori universitari di dodici Atenei italiani. Per un maggiore approfondimento: Brunelli, La recente costituzione della Società Italiana per lo studio del Patrimonio Storico-Educativo

(SIPSE), in “History of Education & Children’s Literature”, XXI, vol. 2, 2017.

55 Cfr. Meda, La conservazione del patrimonio storico-educativo: il caso italiano, in La historia de la cultura escolar en Italia y en Espana: balance y perspectivas, cit.

56 Fabio Targhetta, Tra riorganizzazione industriale e sviluppo editoriale: la casa editrice Paravia tra le due guerre, in

“History of Education & Children’s Literature”, I, n. 2, 2006, pp. 209-229 (cit. pp. 224-225); Id., Tra i sussidi didattici e

i libri di testo, in Le origini delle materie. Discipline, programmi e manuali scolastici in Italia, a cura di Paolo Bianchini,

Società Editrice Internazionale, Torino 2010, pp. 95-1100.

57 Monica Ferrari, Matteo Morandi, Enrico Platé, La lezione delle cose: oggetti didattici delle scuole dell’infanzia mantovane tra Ottocento e Novecento, Mantova, Comune di Mantova – Settore Politiche Educative, 2008.

58 Brunelli, Posibles metodologías de trabajo histórico sobre la cultura material de la escuela: entre el material didáctico y los catálogos de enseñanza. Primeros resultados de una investigación en curso,in Vera Gaspar, De Souza, e César

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Oggi la cultura materiale della scuola è studiata prendendo in considerazione tutte le sue componenti, per esempio, i quaderni e i diari59, l’aula scolastica60 e i suoi arredi61 e molti altri. Anche il volume – di recente pubblicazione – di Brunelli L’educazione al patrimonio storico-scolastico. Approcci teorici,

modelli e strumenti per la progettazione didattica e formativa in un museo della scuola62 pone l’attenzione sulle testimonianze materiali della storia della scuola. Brunelli sottolinea che, da una parte, lo sviluppo dell’inedito filone di ricerca sulla cultura materiale della scuola ha permesso agli storici dell’educazione di approfondire lo studio e la conoscenza del patrimonio materiale e immateriale della scuola; dall’altra, pone l’attenzione sulla diffusione sul territorio italiano di realtà museali sempre più numerose finalizzate alla conservazione e alla valorizzazione dei materiali scolastici. Questo dimostra come tale patrimonio sia ormai percepito come una testimonianza della storia e dell’identità dei singoli come di intere comunità63.

Le istituzioni di musei della scuola e dell’educazione rappresentano un importante indicatore del rinnovamento nell’ambito della storiografia storico-educativa. Ad oggi si contano cinquanta musei del patrimonio storico della scuola ufficialmente censiti in Italia64, tra cui, quelli istituti presso un ateneo universitario, sono, per esempio, quello di Macerata, Padova, Campobasso e Roma 65.

59 Montino, Le parole educate. Libri e quaderni tra fascismo e Repubblica, Selene, Milano 2005; Meda, Quaderni di scuola. Nuove fonti per la storia dell’editoria scolastica minore, in «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni

scolastiche in Italia», n. 13, 2006, pp. 73-98; Id., La politica quotidiana. L’utilizzo propagandistico del diario scolastico

nella scuola fascista, in «History of Education & Children’s Literature», vol. I, n. 1, 2006, pp. 287-313; Giovanni

Genovesi, Il quaderno umile segno di scuola, Franco Angeli, Milano 2008; Ascenzi, Le Cartiere Pigna e i quaderni

scolastici della Terza Italia (1870-1945), in School Exercise Books. A complex Source for a History of the Approach to Schooling and Education in the 19th and 20th Centuries, a cura di Meda, DMontino, Sani, Vol. I, Polistampa, Firenze

2010, pp. 487-505.

60 Fabio Pruneri, Oltre l’alfabeto. L’istruzione popolare dall’Unità d’Italia all’età giolittiana: il caso di Brescia, Vita e

Pensiero, Milano 2006, pp. 116-123; Id., L’aula scolastica tra Otto e Novecento, in «Rivista di storia dell’educazione», n. 1, 2014, pp. 63-72.

61Fulvio De Giorgi, Appunti sulla storia del banco scolastico, in «Rivista di storia dell’educazione», n. 1, 2014, pp.

85-98; Meda, Dalla disciplina al design. L’evoluzione del banco scolastico in Italia tra Ottocento e Novecento, in Dall’aula

all’ambiente di apprendimento, a cura di Giovanni Biondi, Samuele Borri, Leonardo Tosi,, AltraLinea Edizioni, Firenze

2016, pp. 129-150; Brunelli e Meda, Gymnastics between school desks: an educational practice between hygiene

requirements, health care and logistic inade-quacies in Italian primary schools (1870-1970), in «History of Education

Review», vol. 46, n. 2, 2017, pp. 178-193.

62 Brunelli, L’educazione al patrimonio storico-scolastico. Approcci teorici, modelli e strumenti per la progettazione didattica e formativa in un museo della scuola, Franco Angeli, Milano 2018.

63 Ivi, pp. 12-14.

64 Questi sono i dati del Secondo censimento (31 dicembre 2016) realizzato dall’Osservatorio permanente dei musei

dell’educazione e dei centri di ricerca sul patrimonio storico-educativo (OPeNMuSE) dell’Università degli Studi di Macerata. Url: https://www.unimc.it/cescom/it/openmuse [ultimo accesso: 23 dicembre 2018].

65 Si ricordano, il Museo storico della didattica «Mauro Laeng» che rappresenta la più antica realtà relativa alla storia

della scuola e alla storia sociale dell'educazione, ha sede presso il Dipartimento di Scienze della Formazione dell'Università degli Studi Roma Tre, il Museo dell’Educazione istituito nel 1993 dal Dipartimento di Scienze dell’Educazione dell’Università di Padova, il Museo della scuola «Paolo e Ornella Ricca» istituito nel 2009 dal Dipartimento di Scienze della Formazione, dei Beni Culturali e del Turismo dell’Università degli Studi di Macerata, il Museo della scuola e dell’educazione popolare dell’Università del Molise istituito nel 2013.

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Inoltre, ciò che fino ad oggi è stato considerato come «beni culturali della scuola»66, su sollecitazione

degli studiosi spagnoli, viene oggi identificato come «patrimonio storico-educativo», che comprende anche il patrimonio storico-scolastico e/o il patrimonio culturale delle scuole; come Meda ha evidenziato, esso «consiste nel complesso dei beni materiali e/o immateriali fruiti e/o prodotti in contesti educativi formali e/o non formali nel corso del tempo che fanno parte di istituti di istruzione pubblica e privata d’ogni ordine e grado. Conseguentemente si è esteso il concetto a categorie di beni non precedentemente contemplate come i beni immateriali composti da quei beni che non hanno materialità corporea e non sono quindi percepibili dai sensi umani»67.

Tra questi beni immateriali della scuola sono pienamente ascrivibili le fonti orali, che saranno trattate nello specifico nei prossimi capitoli. Si tratta di un argomento di estrema attualità all’interno del dibattito storiografico: sono fonti che hanno ricoperto per lungo tempo uno spazio marginale e sono state considerate «fonti minori», quindi scarsamente utilizzate dagli studiosi e sostanzialmente trascurate. Come vedremo, alcuni studiosi hanno dimostrato le straordinarie potenzialità euristiche delle fonti orali e, di conseguenza, hanno posto l’attenzione sulla necessità di valorizzare anche questo tipo di fonte.

§ 1.2 – Le fonti orali: il loro sviluppo in Italia e gli studi dedicati alla metodologia di raccolta e analisi

In Europa lo sviluppo della storia orale prende avvio dal mondo anglosassone a partire dagli anni Cinquanta. È infatti la Gran Bretagna il paese che per primo si distingue grazie a pioneristiche ricerche come quelle di George Ewart Evans68 e Ronald Blythe69, storici locali che indagano sulla vita delle comunità rurali del Suffolk. Mentre in Italia è possibile collocare le origini della storia orale a partire dal secondo dopoguerra. Ad accomunare le due esperienze europee, è l’approccio di storia sociale che prevalse nell’ambito delle ricerche, a differenza di quanto era avvenuto negli Stati Uniti, dove la storia orale aveva avuto origine alla fine degli anni Quaranta70 e si era caratterizzata, in una prima fase, come elitaria71.

66 Il concetto di beni culturali della scuola è stato elaborato da Monica Ferrari e proposto per la prima volta alla comunità

scientifica nazionale nell’ambito del convegno di studi beni culturali della scuola: problemi di conservazione e di valorizzazione», tenutosi a Cremona il 26 e il 27 settembre del 2007; si veda Monica Ferrari, I beni culturali della scuola

tra storia e pedagogia, in «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche», 15, 2008, pp.21-26. 67 Meda, Mezzi di educazione di massa, cit., p. 262.

68 George Ewart Evans, Ask the Fellows Who Cut the Hay. Faber & Faber, Londra 1956. 69 Ronald Blythe, Akenfield. Portrait of an English Village, Allen Lane, Londra 1969.

70 Nel 1948 il giornalista e storico Allan Nevins fonda l’Oral History Research Office (OHRO), il primo centro di storia

orale del mondo, presso la Columbia University. In seguito, nel 1966 viene fondata l’associazione professionale Oral History Association (OHA) con lo scopo di coordinare le attività degli studiosi del settore.

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I ricercatori italiani erano orientati ad indagare sulle storie di vita delle persone comuni, di coloro ai quali tradizionalmente non veniva data voce nella documentazione storica ed erano mossi dall’interesse nei confronti delle culture popolari. Lo sviluppo della storia orale porta alla luce, per esempio, le storie dei contadini del Sud Italia grazie al lavoro di Rocco Scotellaro72 che ne ha documentato le condizioni di vita, e del borgo siciliano di Partinico con l’inchiesta di Danilo Dolci73. Ad influenzare maggiormente la diffusione della storia orale in Italia sono figure come Ernesto de Martino74, Danilo Montaldi75 e Gianni Bosio76, estranei agli ambienti accademici.

De Martino analizzò credenze e rituali diffusi tra le popolazioni del Sud Italia dedicandosi, in particolare, allo studio del folklore magico-religioso nella cultura contadina meridionale, mentre Bosio nutriva interesse verso le culture subalterne in opposizione alla cultura ufficiale elaborate dai ceti dirigenti e intellettuali e imposta al resto della popolazione. Montaldi, dal canto suo, si dedicò maggiormente alla ricerca sociale indagando le storie di vita degli immigrati a Milano, dei sottoproletari e marginali e dei militanti di base della sinistra77.

Continua ad essere la storia sociale ad animare il movimento di storia orale, che ebbe la sua fase più importante negli anni settanta e nei primi anni ottanta, sulla scia anche del clima di intensa mobilitazione che aveva caratterizzato il Paese a partire dal ’68: la nuova generazione di ricercatori, anch’essi non storici di professione, continua a dar voce «ai ceti subalterni, agli oppressi e alle forme di opposizione politica e culturale»78 e sono mossi da un interesse per la cultura popolare, la storia del movimento operaio, l’antifascismo e la Resistenza, a conferma che la storia orale – in Italia, come nel resto d’Europa – si era caratterizzata «come pratica di ricerca orientata a ricostruire la vita, le attività e la cultura delle persone “comuni” appartenenti a quei gruppi sociali – contadini, operai, poveri, minoranze etniche, donne – che non avevano grandi opportunità di lasciare traccia diretta di sé nella documentazione storica tradizionale»79. Questo ha permesso di conoscere una “nuova storia” alternativa a quella ufficiale. Come evidenziato da Cesare Bermani, infatti, i risultati dell’utilizzo frequente delle narrazioni orali sono stati quelli di aver affrontato «argomenti che la difficoltà di

72 Rocco Scotellaro, Contadini del Sud, Laterza, Bari 1954. 73 Danilo Dolci, Banditi a Partinico, Laterza, Bari 1955.

74 Tra le opere di Ernesto De Martino si ricordano Morte e pianto rituale nel mondo antico: dal lamento pagano al pianto di Maria, Einaudi, Torino 1958 e Sud e magia, Feltrinelli, Milano 1959.

75 Tra le opere di Danilo Montaldi si ricorda, per esempio, Autobiografie della leggera, Einaudi, Torino 1961, un’inchiesta

sulla cultura delle classi subalterne nella Bassa padana.

76 Gianni Bosio nel 1962 comincia a produrre dischi di canto popolare e a raccogliere testimonianze orali sul paese di

Acquanegra sul Chiese e in generale sul Cremonese e sul Mantovano. Tre le sue opere, ricordiamo Il trattore ad

Acquanegra sul Chiese. Piccola e grande storia in una comunità contadina, De Donato, Bari 1981. Bosio contribuisce

anche allo sviluppo della storia orale con alcuni progetti culturali degli anni Sessanta, come il «Nuovo canzoniere italiano» e l’«Istituto Ernesto De Martino». Quest’ultimo è stato fondato nel 1966 – insieme a Alberto Mario Cirese – e si tratta di un archivio sonoro specializzato in cui sono confluiti e confluiscono i risultati delle ricerche sul campo di numerosi studiosi del mondo popolare e proletario.

77 Bonomo, Voci della memoria. L’uso delle fonti orali nella storia, Carocci editore, Roma 2015, pp. 52-53. 78 Ivi, p. 56.

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consultazione delle fonti scritte rende tuttora impraticabili» e «l’elaborazione di storie in collaborazione con operai, contadini, militanti politici di base, spesso dissacranti anche delle “verità” propagate dalle “storie ufficiali” prodotte da associazioni partigiane, sindacati, partiti e movimenti di sinistra, dai quali, di conseguenza, essa è stata a volte rifiutata e ritenuta “pericolosa”»80. Tra i contributi più importanti nell’ambito della storia orale spicca proprio quello di Cesare Bermani sulle brigate garibaldine durante la Resistenza in Piemonte condotto utilizzando fonti orali e documentazione archivistica81.

Un’altra importante figura nel processo di diffusione della storia orale è quella di Nuto Revelli, che si è ampiamente servito delle testimonianze orali raccogliendo storie di donne e uomini contadini delle valli cuneesi82 utilizzando un «metodo artigianale»83, che lui stesso ha definito senza regole ben precise «ma tutte mie, tutte inventate e poi collaudate nell’impegno pratico del giorno dopo giorno»84. Le opere di Revelli rappresentano un punto di riferimento imprescindibile nel lavoro con le fonti orali, in quanto, anche se non dotate dell’impiego di una metodologia scientifica, è possibile cogliere l’importanza del rapporto che si instaura tra intervistato e intervistatore e della capacità di entrare in empatia di quest’ultimo con il testimone, elemento – che come sarà successivamente analizzato – costituisce un tassello importante nelle ricerche dove la testimonianza orale diventa una delle risorse principali.

Revelli, come anche i ricercatori citati precedentemente, è completamente estraneo agli ambienti accademici, i quali iniziarono ad accogliere la storia orale sul finire degli anni Settanta. L’accademia, infatti, come evidenziato da un’altra figura importante nello sviluppo della storia orale, Giovanni Contini, è stata spesso in polemica con quell’ambiente militante dove lo studio delle fonti orali si stava diffondendo:

«Queste fonti, raccolte a partire dagli anni ‘60, sono spesso state il corredo di un ricercatore o di un gruppo di ricercatori che si muoveva da solo o all’interno di associazioni di tipo volontario e che raccoglieva queste fonti nel corso di specifiche ricerche. Le fonti orali inizialmente vengono raccolte da ricercatori che studiano prevalentemente le classi subalterne – anche se non soltanto – e che sentono un vincolo di lealtà nei confronti delle persone con cui lavorano»85.

80 Cesare Bermani, Considerazioni sulla memoria, la storia e la ricerca sul campo, in Fonti orali. Istruzioni per l’uso, a

cura di Bermani e Antonella De Palma, Società di Mutuo Soccorso Ernesto De Martino, Venezia 2008, p. 19.

81 Bermani, Pagine di guerriglia: l’esperienza dei garibaldini della Valsesia, Sapere, Milano 1971.

82 Nuto Revelli, La strada dei davai, Einaudi, Torino 1966; Id., Il mondo dei vinti, Einaudi, Torino 1977; Id., L’anello forte. La donna: storie di vita contadina, Einaudi, Torino 1985.

83 Bonomo, Voci della memoria. L’uso delle fonti orali nella storia, Carocci editore, Roma 2015, p. 57.

84 Revelli, Una esperienza di ricerca nel mondo contadino, in Storia orale e storie di vita, a cura di L. Lanzardo, Milano

1989, pp. 43-44. Nelle stesse pagine Nuto Revelli d’altronde notava: «Sono un autodidatta della ricerca, sono una persona

che vuole capire la società in cui vive. Sono quello che sono, e basta. Senza qualifiche. Non sono dottore, non sono professore, sono niente, ecco tutto».

85 Giovanni Contini e Rachele Sinello, Linee guida per l’uso delle fonti orali, in Atti del convegno nazionale «La storia:

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