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I mezzi di comunicazione di massa, come abbiamo ampiamente discusso nei paragrafi precedenti, compiono opere di selezione di quei fatti che essi inseriti nei loro processi produttivi, “trasformano” in notizie. Tuttavia nel flusso dinamico della realtà quotidiana esistono innumerevoli fatti (o problemi) che rivendicano la loro unicità e la loro importanza nell’ambito del contesto sociale. Il fenomeno degli abusi sessuali nella Chiesa Cattolica rientra in questo discorso, in quanto, come si è detto (e come si vedrà in seguito), esso ha origini lontane rispetto a quando i media hanno cominciato ad interessarsene.

Le caratteristiche che contribuisco al processo di trasformazione da un

problema reale (e percepito) a un problema di tipo sociale sono molteplici.

Wendy Griswold affronta questo discorso prendendo come punto di riferimento la creazione degli oggetti culturali. Un oggetto culturale si può definire come

«un significato condiviso incorporato in una forma […]. È un’espressione significativa che è udibile, o visibile, o tangibile, o che può essere articolata. Un oggetto culturale, inoltre, racconta una storia […] lo status di oggetto culturale è il risultato di una decisione analitica che noi compiamo in quanto osservatori; non è qualcosa di intrinseco all’oggetto stesso»133

L’oggetto culturale rientra in un sistema più ampio, quello della cultura, definito come:

67 «[un] significato incorporato in simboli attraverso i quali gli esseri umani comunicano e trasferiscono sapere e abitudini […]. La cultura è l’esternalizzazione, oggettivazione e interiorizzazione dell’esperienza umana»134

Per questa ragione, quindi, tutti gli oggetti culturali presuppongono un

creatore e al tempo stesso delle persone che fanno esperienza di essi e che

si collocano in una dimensione attiva, ovvero

«i ricevitori culturali sono attivi produttori di significato»135

In questa prospettiva, sia gli oggetti culturali, sia i creatori che i loro ricevitori operano all’interno di uno specifico contesto, il mondo sociale, da intendersi come l’insieme dei

«modelli, bisogni economici, politici, sociali e culturali che caratterizzano un particolare punto nel tempo»136

A questo punto Griswold inserisce questi quattro elementi in una struttura, il cosiddetto diamante culturale, che mette in relazione ogni elemento a un altro. Questo modello non tenta di spiegare le modalità con cui tutti e quattro gli elementi sono in relazione tra loro, si propone invece come uno

134 Geertz C. (1973), The Interpretation of Cultures, Basic Books, New York, trad. it.

Interpretazione di culture, il Mulino, Bologna, 1987; Berger P. L. (1969), The Sacred Canopy: Elements of a Sociological Theory of Religion, Author, New York, trad. it. La volta sacra,

SugarCo, Milano, 1984.

135

Griswold (1997), p. 30.

68 «strumento euristico inteso a favorire una più piena comprensione della relazione di qualsiasi oggetto culturale col mondo sociale. Esso non dice quale debba essere la relazione tra i vari punti, ma solo che lì esiste una relazione»137

A tal proposito applichiamo questo discorso nell’ambito della costruzione

sociale dei problemi; ovvero quando un semplice fatto diventa un oggetto culturale. Sahlins spiega questo processo mettendo in relazione la creazione

di un oggetto culturale con la creazione di un evento; secondo Sahlins esiterebbe un rapporto tra

«un fatto e una struttura, un rapporto creato dall’interpretazione […]. Sembra che per creare un oggetto culturale e poi definirlo come problema sociale esso debba essere articolato con un insieme di idee e istituzioni tra loro intersecantesi»138

La presenza di una struttura e di istituzioni a cui un oggetto culturale e quindi, il problema sociale è strettamente connesso spiega come

«i problemi pubblici sono generalmente costruiti in un modo e non in altri ugualmente possibili»

Secondo uno studio condotto dal Philip Jenkis, i problemi pubblici sarebbero inoltre frutto di interpretazioni soggettive; per questa ragione, quindi, risulterebbe difficile fornire un’esatta definizione del problema.

137 Griswold (1997), p. 31. 138

Sahlins (1985), Island of History, University of Chicago Press, Chicago, trad. it. Isole di storia, Einaudi, Torino, 1986.

69

L’objective condition139 risulterebbe così costituita da una serie di elementi da osservare, esaminare e da quantificare; tuttavia, sottolinea Jenkis,

«the exact interpretation depend on subjective factors, the perception that the condition is harmful, threatening, and worthy of attention»140

Ciò che innalza un problema a un livello sociale è il risultato sempre di un processo di interpretazione; Hilgartner e Bosk ritengono che la società sia da considerare come un’arena in cui ha luogo una vera e propria

competizione tra situazioni che possono definirsi come problemi sociali.

Questa competizione si realizza tra l’altro:

«nella cattura dell’attenzione delle istituzioni – il governo, i media, le fondazioni – le cui risorse o “capacità di azione” sono limitate»141

Quando sono selezionate specifiche situazioni come problema sociale esse, quindi, rispondono ad alcune specifiche caratteristiche:

«possono essere drammatizzate; trattano temi mitici profondamente radicati nella cultura; e sono politicamente vitali, spesso perché sono collegati a gruppi potenti di interesse»

Il problema degli abusi sui minori da parte di ecclesiastici, secondo Jenkis, sebbene fosse presente sin dagli anni Sessanta e Settanta solo

139 Jenkis (1996), Pedophiles and Priests. Anatomy of Contemporary Crisis, Oxford Press, New

York, p. 6.

140 Jenkis (1996), p. 6-7. 141

Hilgartner S., Bosk C. (1988), The Rise and Fall of Social Problems: A Public Arenas Model, in “American Journal of Sociology”, 94, pp. 53-78.

70 «by the early 1990s, clergy abuse was perceived as so ubiquitous and pernicious a threat»142

Tuttavia, il problema resta confinato negli Stati Uniti e solo nel 2002, con l’inchiesta-scandalo pubblicata dal quotidiano The Boston Globe, esso comincia ad assumere un dimensione più generale. Il caso sembra essere percepito dal “resto del mondo” come un problema sociale strettamente connesso alla sola realtà americana.

L’estensione del fenomeno anche in altre realtà (quelle europee) e la continua crescita dell’attenzione mediatica alla vicenda ha contribuito ad

ampliare maggiormente la percezione del problema. Jenkis, in proposito,

sostiene che:

«If we find accounts of some other individuals who fit a comparable pattern, then we inevitably begin to generalize and perceive that these separate instances represent components of some larger issue»143

Negli Stati Uniti in cui il caso è esploso in tutta la sua drammaticità, questo tipo di problema sociale è stato affrontato tenendo in considerazioni alcuni

valori propri delle istituzioni americane. Un esempio ci è fornito dai

processi giudiziari che, seppur in un numero esiguo, sono stati intentati contro i sacerdoti o le diocesi; ad oggi questo fenomeno è aumentato in quanto, come vedremo, le cause intentate contro la chiesa americana e i

142

Jenkis (1996), p. 7.

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forti risarcimenti rivolti alle vittime hanno provocato una vera e propria

crisi finanziaria della Chiesa144.

L’interesse dei mass media, inoltre, sembra aver contribuito ad accelerare i tempi con cui la società nella sua totalità, si è dovuta “scontrare” con un problema di questa natura.

Uno studio che si inserisce in questo discorso è quello elaborato da Stanley Cohen a proposito della costruzione sociale dei moral panics (panici morali).

Innanzitutto, definire un fenomeno come un panico morale costruito socialmente non significa negare la sua esistenza, ma:

«the attribution of the moral panic label means that the “thing” extent and significance has been exaggerated (a) in itself (compared with other more reliable, valid and objective sources) and/or (b) compared with other more serious problems»145

L’autore sostiene che affrontare un tema come i panici morali, potrebbe servire per gettare delle basi per una più ampia comprensione di quei

problemi che sembrano sorgere da alcune specifiche categorie di individui

(gruppi di interesse, vittime o movimenti sociali che sono in una stretta relazione con quel problema). Cohen, infatti, sostiene che

144 Tralasciamo in questa sede l’analisi di gruppi di interesse che avrebbero potuto “accendere” la

questione allo scopo di ottenere ingenti somme di denaro. Le considerazioni appena esposte sono alcune delle ipotesi formulate in seguito all’analisi condotta sui quotidiani (Capitolo due).

72 «the contested claims are made – by victims, interest groups, social movements, professional and politicians – in the construction of new social problem categories»146

All’interno di questo discorso si inseriscono proprio i mezzi di comunicazione di massa che, secondo Cohen, nel processo di creazione dei

panici morali, sembrano attenersi a tre criteri principali147: 1. Setting the agenda:

«selecting those deviant or socially problematic events deemed as newsworthy, then using finer filters to select which of those events are candidate for moral panic»

2. Transmitting the images:

«transmitting the claims of the claims-maker, by sharpening up or dumbing down the rhetoric of moral panics»

3. Breaking the silence, making the claim:

«More frequently now than three decades ago, the media are in the claims- making business themselves»

La presenza di un problema reale e la percezione che l’opinione pubblica ha del problema stesso creano un meccanismo all’interno del quale i mass

146

Cohen (2002), p. XVII.

73

media assolvono un ruolo ancora più specifico, ovvero, quello di creare

virtual vigilantism:

«This contrast between dangerous predators and vulnerable innocents allow the media to construct what Reiner terms “virtual vigilantism”»148

A tal proposito, Massimo Introvigne, riprendendo questo studio, riconduce il problema degli abusi sessuali nella Chiesa Cattolica nella categoria dei

panici morali.

Un caratteristica fondamentale da applicare al caso in questione, spiega Introvigne, riguarda la dimensione temporale in cui i fatti sono raccontati e presentati all’opinione pubblica; i media, infatti, tenderebbero a

«presentare come “nuovi” dei fatti risalenti a molti anni or sono, in alcuni casi a oltre trent’anni fa, in parte già noti»149

I casi di abuso esaminati durante il nostro lavoro risalirebbero a circa trent’anni fa, ma

«la loro incidenza è esagerata da statistiche folkloriche che […] sono ripetute da un mezzo di comunicazione all’altro e possono ispirare campagne mediatiche persistenti»150

Secondo Cohen le società sarebbero periodicamente soggette ai panici

morali, ma il nodo centrale della questione (che resta ancora aperto nel caso

148 Cohen (2002), p. XXII.

149 Introvigne M. (2010), Indagine sulla Pedofilia nella Chiesa. Il diavolo insegna in seminario?,

Verona, Fede & Cultura, p. 6.

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degli abusi, in quanto al momento la questione è in continua evoluzione) riguarda gli effetti che i mass media possono produrre nella società:

«A volte il panico passa ed è dimenticato, tranne che nel folklore e nella memoria collettiva, in altri casi è più grave e di lunga durata e le ripercussioni potrebbero produrre cambiamenti, come quelli in materia di politica giuridica e sociale, o anche nel modo in cui la società concepisce se stessa»151

Nel capitolo successivo tenteremo di esaminare dal punto di vista della trattazione mediatica del caso, la dimensione del panico morale e se questo ha generato nell’opinione pubblica effetti sulla percezione del problema in relazione al contesto cattolico.

151

Cohen (2002) trad. it. in Barberi P. (2010), È successo qualcosa alla città, Donzelli, Roma, p. 85.

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CAPITOLO DUE

IL DISCREDITO: LO SCANDALO DEGLI ABUSI