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SOLUZIONE PARERE 26: CONTRATTO DI DEPOSITO E PERDITA DELLA DETENZIONE DEL BENE

Nel documento TRACCIA PARERE N. 19 (pagine 33-39)

Viene richiesto parere legale motivato da parte di Mevio in merito alle possibili azioni da intraprendere per tutelare i propri diritti in relazione alla perdita della statua di sua proprietà, affidata al restauratore Caio per riparare alcune scheggiature e sottratta dal suo locale a seguito di una rapina a mano armata.

In particolare, è necessario indagare le conseguenze della condotta omissiva di Caio, il quale, nonostante fosse a conoscenza dell’importanza della statua per la mostra organizzata da Mevio e che si sarebbe tenuta a breve, non si preoccupava minimamente di informare quest’ultimo della perdita del bene, impedendogli così sia di partecipare all’archiviata indagine penale sia di riorganizzare per tempo l’organizzata esposizione.

A fronte, inoltre, della richiesta di ristoro dei danni subiti, avanzata Mevio, Caio declinava ogni responsabilità per l’accaduto e negava qualsiasi risarcimento, non essendo la perdita a lui imputabile.

La principale questione giuridica da affrontare, per valutare la fondatezza della pretesa di Mevio, attiene alle conseguenze, in termini di risarcimento del danno, della omessa comunicazione ex art. 1780 c.c., da parte del depositario, della perdita della detenzione del bene depositato, anche se avvenuta per causa a lui non imputabile.

A tal uopo, risulta necessario un esame preliminare della disciplina del contratto di deposito e della sua estensibilità a quei contratti, come quello di specie, in cui il deposito del bene (ed il conseguente obbligo di custodia) rappresenti un’obbligazione accessoria ad un’altra principale.

Il contratto di deposito è quel negozio, non soggetto ad alcun particolare onere formale, con il quale una parte riceve dall’altra una cosa mobile con l’obbligo di custodirla e di restituirla in natura (art. 1766 c.c.). Indiscussa è tanto la sua natura reale quanto la presunzione di gratuità dello stesso.

A differenza di tutti gli altri contratti in cui una parte riceve un bene altrui con l’obbligo di restituirlo al termine del rapporto (quali ad esempio il contratto d’appalto e d’opera), nel contratto di deposito l’attività di custodia costituisce la vera e propria ragion d’essere del negozio. Nelle altre tipologie contrattuali, invece, la dazione non avviene al fine di custodire il bene, ma per ulteriori e varie ragioni di tipo economico, essendo la custodia comunque un momento necessario affinché il contratto possa assolvere alla propria funzione.

Tanto nel contratto di deposito quanto nelle altre fattispecie, la custodia viene considerata oggetto di un dovere di protezione discendente direttamente dagli artt. 1175 e 1375 c.c.. In tale ottica viene altresì letto l’obbligo di avviso, sotto pena di risarcimento del danno, della perdita

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del bene per causa non imputabile al depositario, di cui all’art. 1780 c.c.. Tale norma è evidentemente finalizzata a porre il depositante in condizione di assumere iniziative dirette al recupero del bene ed eventualmente ad agire nei confronti del terzo che si sia reso responsabile della sua sottrazione.

Secondo consolidata giurisprudenza di legittimità, l'ambito oggettivo della disposizione “de qua” si estende anche ai contratti nei quali l'obbligo di custodia non costituisce l'obbligazione principale. Infatti "L'art. 1780 c.c., in forza del quale il depositario, per ottenere la liberazione dalla propria obbligazione, è tenuto a fornire la prova che l'inadempimento è dipeso da causa a lui non imputabile, trova applicazione anche quando l'obbligazione della custodia e della riconsegna formi parte di un contratto misto nel quale confluiscano le cause del deposito e di altro contratto, come nel caso dell'affidamento di un'autovettura ad un'officina per la riparazione, in cui l'obbligo di custodia e di restituzione assume funzione accessoria, in quanto finalizzato all'adempimento dell'obbligazione principale" (Cass. n. 10956/2010).

Non altrettanto pacifiche sono le conseguenze giuridiche della mancata denunzia al depositante della perdita del bene sul diritto al risarcimento del danno, prestandosi l’art. 1780 c.c. ad una duplice interpretazione.

Secondo una prima lettura, il depositario che non proceda tempestivamente alla denunzia potrebbe essere ritenuto responsabile solo dei danni che il depositante ha subito per causa specifica della mancata denunzia.

Logico presupposto di tale assunto è che la denuncia al depositante non costituisce condizione di liberazione del depositario dalla responsabilità per la restituzione della cosa, ma oggetto di un'ulteriore obbligazione che deriva dal rapporto di deposito come conseguenza dell'estinzione dell'obbligazione primaria.

Secondo un’altra lettura, invece, si potrebbe ritenere che il depositario, che perda la detenzione della res depositata per causa a lui non imputabile, sia tenuto a versare al depositante il valore della stessa, qualora non abbia tempestivamente denunciato a quest'ultimo il fatto per cui non ha più la detenzione. In tal modo la liberazione dall'obbligo della restituzione è subordinata, oltre che al fatto non imputabile, anche alla tempestiva denuncia della sottrazione da parte di quest'ultimo, pena il risarcimento del danno per equivalente.

Tale ambiguità normativa ha fatto susseguire - in giurisprudenza - interpretazioni contrastanti sugli effetti della previsione normativa dell'obbligo del depositario di denunziare immediatamente al depositante il fatto che ha determinato la perdita del bene.

Secondo la giurisprudenza di legittimità più risalente (ex multis Cass. civ. n. 775/1948; Cass.

Civ. 339/1959; Cass. civ. 658/1966; Cass. civ. 2193/1974) il depositario, che perda la detenzione della res per causa a lui non imputabile, è tenuto a versare al depositante il valore della stessa, qualora non abbia tempestivamente denunciato a quest'ultimo il fatto per cui non

115 ha più la detenzione.

In tal modo il giudice di legittimità subordinava la liberazione dall'obbligo della restituzione, oltre che al fatto non imputabile, anche alla tempestiva denuncia della sottrazione da parte di quest'ultimo, pena il risarcimento del danno per equivalente.

Secondo le argomentazioni poste alla base di tale risalente indirizzo della Cassazione, la disposizione di cui all'art. 1780 c.c., sarebbe unica e inscindibile, nel senso che per l'esonero del depositario da ogni responsabilità richiederebbe, oltre alla prova della non imputabilità della perdita, che libera il custode dall'obbligo di restituire il bene, anche l'immediata denuncia del fatto al depositante come requisito oggettivo, cui è subordinata l'esenzione dal risarcimento del danno rappresentativo della restituzione per equivalente.

Un significativo cambiamento si rinviene con la sentenza n. 203 del 17.1.1978 e la sentenza n.

8541 del 1991 che hanno affermato che l'art. 1780 c.c., comma 1, ove stabilisce che il depositarlo, perduta la detenzione della cosa per fatto a lui non imputabile, è tenuto al risarcimento del danno nel caso in cui non provveda a denunciare immediatamente al depositante il predetto fatto, va inteso nel senso che quel danno comprende esclusivamente i pregiudizi che siano conseguenza immediata e diretta dell'omessa o ritardata denuncia.

E ciò perché questa interpretazione si armonizza con il principio generale sul nesso di causalità in materia di danni posto dall'art. 1223 c.c., laddove invece, facendo nascere dall'osservanza dell'obbligo dell'immediata denunzia una responsabilità per danni comprensiva, in ogni caso, del valore della cosa in custodia, si verrebbe a spezzare il rapporto causale tra il fatto colposo (costituito dalla mancata denuncia) e l'evento dannoso, il che contrasta anche con il significato logico del citato primo comma dell'art. 1780. Pertanto, l'indicato danno può identificarsi con il valore della cosa depositata solo se il depositante dimostri che la perdita definitiva di esso sia dipesa dall'inosservanza dell'obbligo di denuncia, come avviene in qualsiasi azione per danni, che richiede appunto la prova non solo del fatto colposo o doloso, ma anche del nesso eziologico tra il fatto stesso ed il danno.

Successivamente con la sentenza n. 16950 del 2003 la Cassazione ha affermato che l'art. 1780 c.c., comma 1, dispone che se la detenzione è tolta al depositario in conseguenza di un fatto a lui non imputabile, egli è liberato dall'obbligazione di restituire la cosa, ma deve sotto pena di risarcimento del danno, denunziare immediatamente al depositante il fatto per cui ha perduto la detenzione. La norma, nel caso in cui il depositario perde la detenzione della cosa per causa a lui non imputabile, mentre lo esonera dal doversi attivare per recuperarla, alla obbligazione di restituirla, che altrimenti avrebbe, sostituisce quella di rendere edotto immediatamente il depositante del fatto per cui ha perso la detenzione. Il depositarlo, dunque, ha l'obbligo contrattuale di dare al depositante le notizie necessarie per porlo in condizioni di rientrare nella materiale disponibilità della cosa e se non lo fa è soggetto a risarcirgli i danni che dal proprio

116 inadempimento gli possono derivare.

Orbene, quando l'obbligato non tiene il comportamento atteso e si verifica per l'altra parte una situazione pregiudizievole che il comportamento dovuto avrebbe reso possibile evitare, in tanto è possibile escludere che il danno sia conseguenza del comportamento mancato, in quanto si possa ritenere che il danno si sarebbe prodotto egualmente.

Di recente, la Cassazione si è nuovamente espressa al riguardo, non optando né per l'uno né per l'altro orientamento.

Secondo la Suprema Corte, la norma contenuta nell'art. 1780 c.c., comma 1, obbliga il depositario a denunciare al depositante immediatamente il fatto in conseguenza del quale ha perduto il bene depositato presso di lui e se non lo adempie è soggetto a risarcirgli i danni che dal proprio inadempimento gli sono derivati.

Questo "dovere di avviso" deve essere configurato come un obbligo di protezione del depositante, particolarmente esposto ai rischi del contratto, accessoria o principale che sia l'obbligazione di custodia, avuto riguardo al suo interesse all'adempimento del contratto e alle modificazioni dell'originaria situazione di fatto in conseguenza di fatti non imputabili - nella specie impossibilità sopravvenuta della prestazione, art. 1256 c.c. - in modo da consentirgli, in attuazione del generale principio di buona fede, in tempo utile di compiere gli atti necessari al recupero del bene ovvero di agire contro il responsabile della sottrazione.

In virtù di ciò ha affermato che "Anche nel contratto di prestazione di opera in cui l'obbligo di custodia è accessorio e strumentale all'adempimento della prestazione, il mancato adempimento dell'obbligo del depositario di denunziare immediatamente al depositante il fatto per cui ha perduto la detenzione - art. 1780 seconda parte primo comma cod. civ. - anche qualora non interferisse con l'estinzione dell'obbligazione per impossibilità sopravvenuta non imputabile al debitore della prestazione, ma fosse fonte di un autonomo obbligo risarcitorio in sostituzione dell'originario di restituzione del bene, obbliga il depositante a risarcire al depositario i danni che siano conseguenza immediata e diretta della perdita del bene e che perciò possono anche consistere nel valore dello stesso, avuto riguardo a tutte le circostanze dedotte nel caso concreto ed all'art. 1780 c.c., comma 3, che prevede che il depositante ha diritto di ricevere ciò che in conseguenza del fatto stesso il depositario abbia conseguito e subentra nei diritti spettanti a quest'ultimo". (Cassazione civile sez. III, 19/01/2018, n.1246).

Ciò chiarito, premesso che la rapina è costantemente ritenuta dalla giurisprudenza una causa di forza maggiore liberatoria per il depositario, è evidente come nel caso prospettato da Mevio, egli avesse tutto l’interesse ad ottenere la restituzione del bene in occasione della mostra che si sarebbe tenuta a breve, mentre Caio, pur essendo stato rapinato nel mese di settembre, colpevolmente non lo ha informato di tale circostanza, lasciando che egli ne venisse a conoscenza solo i primi giorni di dicembre, in prossimità della mostra e quando la denuncia

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era ormai stata archiviata dall’Autorità giudiziaria penale.

In altre parole, l’omessa denuncia ha di fatto impedito a Mevio di partecipare alla procedura in sede penale ed ha creato un grave problema per la mostra, visto il venir meno del pezzo di punta ed il poco tempo per riorganizzare l’esposizione. L’aver denunciato i fatti all’Autorità e alla propria assicurazione non libera certamente Caio dalle sue responsabilità.

In considerazione di quanto detto e del recente orientamento della giurisprudenza, deducendo l’omessa denunzia di perdita del bene, Mevio potrà citare in giudizio Caio al fine di ottenere il risarcimento del danno emergente pari al valore della statua, anche surrogandosi nei confronti dell’assicurazione di Caio, ed il lucro cessante derivante dal minor introito e dai maggiori costi da sostenere per la mostra, in cui doveva essere esposta l’opera d’arte.

118 TRACCIA PARERE N. 27

Caio, dopo un periodo di lavoro all’estero, ritornava nel suo paese di residenza e scopriva che nel terreno (sito all'esterno di un fabbricato condominiale) di cui egli era comproprietario pro indiviso con la società Gamma, quest’ultima aveva realizzato una serie di locali interrati e seminterrati. Indispettito dall’atteggiamento prepotente del titolare della società, Caio conveniva in giudizio la società medesima, proponendo domanda di scioglimento della comunione di tutti i beni realizzati dalla convenuta nel sottosuolo di detto terreno, con conseguente attribuzione delle quote di spettanza di ciascuno, previa individuazione di eventuali conguagli.

Si costituiva la società convenuta, concludendo per il rigetto della domanda di divisione ed, in ogni caso, per l'attribuzione in proprietà esclusiva delle porzioni interrate e seminterrate da essa costruite ex novo, poiché non costituenti parti comuni.

In particolare, la società Gamma evidenziava la mancanza dei presupposti della cosa comune, in quanto la porzione sui due piani in contestazione: (a) risultava essenzialmente incorporata alla proprietà esclusiva della società appellata, che accede al piano seminterrato ed interrato solo per mezzo di una scala interna dall'unità abitativa di proprietà della Gamma situata al piano terra dell'edificio condominiale realizzata su progetto e con lavori, pagati esclusivamente dalla stessa proprio in quanto porzione esclusiva e non bene condominiale; (b) non era incorporata nè era funzionalmente legata alla proprietà di Caio; (c) era del tutto priva delle caratteristiche (quali un muro maestro o un tetto) tali da indurre a ritenerla essenziale all'esistenza delle proprietà o dei beni comuni; (d) non era nemmeno essenziale per l'esistenza ed il godimento delle proprietà esclusive, non trattandosi, ad esempio, di un vano scala da cui si acceda a più proprietà esclusive.

Il Tribunale rigettava la domanda di Caio e dava ragione alla società convenuta, riconoscendo in capo a quest'ultima la proprietà esclusiva della realizzata porzione seminterrata, essendo la stessa concepita e venuta ad esistenza, non come cosa comune, ma in funzione esclusiva della proprietà della società medesima.

Il candidato, assunte le vesti di legale di Caio:

a) premessi brevi cenni sugli istituti della comunione e dell’accessione, rediga parere motivato sulla opportunità di proporre atto di appello avverso la sentenza di primo grado;

b) rediga atto di appello avverso la sentenza del Tribunale.

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SOLUZIONE PARERE 27: COSTRUZIONE REALIZZATA SU UN FONDO

Nel documento TRACCIA PARERE N. 19 (pagine 33-39)

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