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Aspetti metrico-stilistici

4.3 Sonetto caudato

I sonetti caudati, metro molto spesso usato dai vicentini, sono diciassette e hanno una lunghezza molto varia.

ABBA ABBA CDC DCC cEE eFF…yZZ 74

ABBA ABBA CDC DCD dEE 55, 56, 57, 77, 78

ABBA ABBA CDC DCD cEE eFF…yZZ 14, 22, 32, 41, 46, 47, 52, 58, 68, 79 ABBA ABBA CDC DCDcEE eFF… vZYZ 4

Il numero di code, cellule formate da un settenario e due endecasillabi, è molto vario: ci sono sonetti con una sola coda (55, 56, 57, 77 e 78), con otto (32, 74), con tredici (22), con quindici (52), con diciassette (58), con ventuno (41), con ventisette (68), con ventotto (14, 46, 47) con quarantacinque (4) e con 64 (79). Non manca l’eccezione allo schema rimico con la presenza di una cellula conclusiva di quattro versi secondo lo schema vZYZ (4). La forma del sonetto caudato che lascia la possibilità di disporre ed impiegare a propria discrezione le code vista la loro brevità, è adatta all’ironia e alla narrazione. I sonetti con minori code sono quelli di corrispondenza tra poeti, per i quali è più facile la risposta per le rime, o possono essere una vera e propria sfida tra scrittori come si evince dai Filò per le rime di Gavegnà (46) e Tuogno (47) nei quali la narrazione più facile ed armoniosa del primo si fa acrobatica nel secondo. Sono pure brevi quelli che trattano i temi della fame e della miseria (argomenti sviluppati in special modo, come abbiamo visto, nei madrigali) lasciando alle code una sentenza od un invito risolutivo (56, 77, 78) oppure, semplicemente, la

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conclusione del discorso iniziato (57). Due casi particolari sono i sonetti di corrispondenza con Sandron (19, 20) ai quali si aggiunge una terzina con rime nuove con funzione di congedo. Sandron usa i tre versi per concretizzare la situazione descritta all’inizio (i poeti «gha sempre i gabban tutti tacon», la povertà colpisce la creatività dei poeti impedendo di avere la luce per scrivere) mentre Tuogno li sfrutta per rivolgersi direttamente all’amico, salutarlo ed inviargli il componimento. Interessanti sono il sonetto 32 nel quale il poeta ha lo spazio per manifestare il dolore e i due componimenti di lode verso i predicatori frate Lupo (22) e frate Tasso (74) non nascondendo, nel contempo, tratti moraleggianti e sentenziosi verso la fine. Sonetto encomiastico, pur con ampie divagazioni, è il numero 4 in laude delli signori Cappelli. La narrazione si trova in tutti gli altri casi ed è caratterizzata da una importante presenza di realismo, discorsi diretti e tratti di «carnalité» (68.62) che danno vivacità alle vicende legate per lo più alle attività del mondo agricolo della semina e della vendemmia. Caso singolare è la Caza dei luvi ravazzi, componimento lungo ma dal ritmo veloce diviso in due grandi blocchi nel primo dei quali la concitazione dell’azione è resa con la continua iterazione in forma di incitamento («Fuogo, fuogo!» v. 7, «Fuora, fuora!» v. 9, «Curi, curi» vv. 12, 26, 54, «Vegì, vegì» v. 17, «i luvi, i luvi» v. 19, «Dai, dai!» v. 22 ecc.), la folta presentazione di nomi (una ventina) e dall’alta presenza di verbi all’imperativo, mentre nella seconda parte l’elencazione dei toponimi rende l’idea del lungo corteo che si snoda per contrade, paesi e città.

Facciamo notare la presenza di rime equivoche dì:di’ (4.64, 66) ed inclusive

sproviso:viso (4.76-77), rivaggio:aggio:bagio (4.115-117).

4.4 Ercolana

Le Rime alla rustega contengono due ercolane: la numero 3 Al so’ caro

Miotto Sbregò, munaro del pavan, del cralissimo segnor Loise Cappello so’ segnor paron

e la numero 59 Reculiana de Tuogno ch’va a zugare al “Mal delle bote” con la Tia e

altre tose.

AbAb c5c5d5d5e5e5 X 3, 59

L’ercolana è una forma particolare di canzone che si sviluppa in strofe di otto versi con fronte di due piedi formate da un endecasillabo ed un settenario in rima alternata (la rima b è ossitona), la sirma è composta di tre coppie di quinari

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rimati tra loro secondo lo schema (c5+c5) (d5+d5) (e5+e5) chiusi da un endecasillabo tronco a rima irrelata280. Il particolare tipo metrico è caratteristico della poesia popolare dialettale e la sua struttura «è legata alla vicenda della villotta quattro-cinquecentesca»281. A ben guardare, infatti, i quinari dal quinto al settimo verso operano un mutamento del ritmo che sembra imitare un «improvviso moto di danza»; è una struttura tripartita riconducibile a quella della villota di fine Quattrocento della quale ripropone i tre corpi di quartina, l’intermezzo (i quinari) e il nio282. Soffermiamoci ad osservare il numero tre. La lunghezza del componimento, come avviene nei sonetti caudati, permette di narrare una vicenda in modo disteso ed in questo caso il poeta desidera raccontare i fatti che accadono solitamente in un mulino: l’usanza del mugnaio di trattenersi maggior grano del dovuto è al centro del raccontare, ma non è l’unica situazione. A macinare, infatti, vanno soprattutto le massaie e le ragazze perciò il mugnaio le canzona e cerca di guardare le loro gambe, opportunamente nascoste. Nel corso dello sviluppo il poeta si comporta come un vero cantastorie intervenendo più volte, a tratti con sottile ironia, a richiamare l’attenzione del pubblico affinché ascolti con interesse ed attenzione:

S’a’ gh’ì piaser, segnor paron me caro, d’aldir cantar pavan,

le lalde che xe puorpio del munaro de bel chì stà doman,

perch’in affetto, s’a’ gh’ì intelletto, a vorì stare, per ascoltare in pè, o sentà, fin ch’ho rivà de cantarve sta stuoria chivelò.

(3.1-8)

S’a’ no saì l’usanza del munaro, a’ ve la vo’ pur dir;

perqué a no cherzo gnan, paron me caro, que a’ me laghè mentir

(3.25-28)

Ascoltè pure s’a’ volè sgrignare, pì de quel ch’a’ suolì

280

Ciò non è vero sempre: vi sono casi nei quali X riprende la rima b (3.24, 48, 72) oppure la rima e (più casi al numero 59). Lo stessa difformità si riscontra anche nelle altre parti della strofa (es. la quarta strofa del numero tre, riprende la rima munaro:caro invertendola).

281

F. Bandini, La letteratura pavana, cit., p. 351.

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(3.41-42)

Stè chì a sentire ch’a’ ve vo’ dire le so’ noele, che xe sì belle, e de robbare, a chi sa fare, a tutti quigi che va al so’ molin.

(3.61-64)

Una volta assicurata l’attenzione, gli interventi si fanno diversi. L’ascoltatore non riceve più inviti ad «aldire» ma gli spunti servono per far riflettere sulla vicenda per trarne una piccola morale: ecco allora presenti domande retoriche (vv. 81-83), interventi di giudizio (la ragazze sono «puore» v. 121, i mugnai sono «giotton» vv. 122, 139, 154, 170 o «lovason» v. 156 o «caggasangue» v. 155) o riflessioni come ai vv. 144-152 e dal v. 161 nei quali il poeta dà consigli, pondera la propria posizione salvando i lavoratori onesti (ma sono solo quelli «viecchi scartosè») e concludendo in modo sentenzioso citando Zan Galvan, che funge qui da autorità popolare, con un detto paesano. Il lessico è a tratti basso e diretto («culo» vv. 160, 184).

Lo schema rimico è rispettato in quasi tutte le ventiquattro strofe: la quarta segue lo schema AbAb c5c5a5a5d5d5 X inserendo nei quinari le stesse parole rima invertendole ed equivocando «caro», la quinta ha come schema AbAb c5c5b5b5d5d5 X, infine le strofe tre, sei e nove concludono riproponendo le rispettive rime B. Segnaliamo la rima imperfetta mandarghe:contarve (vv. 185, 187).

Si differenzia l’ercolana 59: il poeta si limita a raccontare una serata di gioco, manca un destinatario ed un pubblico al quale rivolgersi, tutti i discorsi sono interni al racconto stesso, la voce narrante si rivolge a Tia, a Ninetta e a pochi altri convenuti con continui cambi che ben rappresentano la confusione che il “Bal delle botte” creava. La popolarità del contenuto riflette sullo stile con tratti di oscenità e doppi sensi: «Perqué mi vo’ po nare inanzo notte / un puoco in veragagia» (vv. 9-10) dove veragagia è la smania sessuale che chiede di essere soddisfatta, «Cara figiuola / sto me struccare sì el to guarare / per quei tuo occhion bieggi que tron / me fa tremare e spaurare / e così i slimbri se ven po a tirar» (vv. 68-72) nei quali l’intenso sguardo e gli occhi belli di Nina non causano semplice innamoramento ma la più carnale tensione delle membra. Pure il lessico ne risente ammettendo il diretto «scoraguzzo» (culo, v. 116).

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Questa ercolana merita un approfondimento rispetto allo schema rimico che abbiamo indicato come AbAb c5c5d5d5e5e5 X. Per la verità solo quattro strofe seguono tale schema: la terza, la tredicesima, la quattordicesima e la sedicesima. Le restanti immettono continue varianti:

Strofa Schema rimico Annotazioni 1 AbAb a5a5c5c5d5d5 D

2 AbAb c5c5d5d5e5e5 E A, d consonanti in -tt- 3 AbAb c5c5d5d5e5e5 X

4 AbAb c5c5d5d5e5e5 E 5 AbAb c5c5d5d5e5e5 E

6 AbAb c5c5a5a5d5d5 X A: man (v. 41):man (v. 46) rima identica 7 AbAb c5c5d5d5e5e5 E b rima equivoca

8 AbAb c5c5d5d5e5e5 X e rima imperfetta (assonanza) 9 AbAb c5c5d5d5c5c5 X X è rima tronca della rima c 10 AbAb c5c5d5d5e5e5 A

11 AbAb c5c5d5d5e5e5 E A, d assonanti in -a-e 12 AbAb c5c5d5d5e5e5 E 13 AbAb c5c5d5d5e5e5 X A, b, e consonanti in -tt- 14 AbAb c5c5d5d5e5e5 X 15 AbAb c5c5a5a5d5d5 X 16 AbAb c5c5d5d5e5e5 X 4.5 Epitaffio

Nella tradizione letteraria pavana l’epitaffio si presenta nella forma di quartina di endecasillabi a rima incrociata. All’interno delle Rime alla rustega solamente tre sono epitaffi:

ABBA 107

ABBA CDC 100

ABBA CDDC EFFE 33

L’ultimo componimento della raccolta (di Miotto Taelon) rispecchia perfettamente la struttura delineata mentre ne sono un’eccezione i restanti due. Il centesimo, infatti, alla quartina, dal tipico testo indicante il luogo della sepoltura, aggiunge una terzina con lo schema CDC che si presenta come una preghiera per l’anima del defunto. Il trentatreesimo è una sequenza di tre quartine a rime incrociate: un epitaffio, per l’appunto, «longo un brazzo» (v. 4).

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