Il sonno nell’infanzia rappresenta un comportamento ancor più importante che nell’ età adulta, basti pensare che i bambini trascorrono circa il 60% del tempo dormendo e col passare degli anni si avvicina ad un terzo del totale. Ciò potrebbe significare che, specialmente in età evolutiva, il sonno potrebbe avere un ruolo di importanza cruciale per lo sviluppo del bambino.
Dalla nascita fino all’età adulta, il sonno va incontro a consistenti cambiamenti che interessano: la qualità e la quantità del sonno e l’organizzazione temporale e
percentuale degli stati di vigilanza. Come già detto le variazioni riferite alla quantità di sonno e alla distribuzione percentuale durante l’arco della giornata hanno più peso nell’infanzia che nell’età adulta.
Il sonno di un neonato è frammentario e distribuito in modo uniforme per tutto il giorno e la notte. L’adattamento al ritmo diurno di 24 ore avviene tramite un processo graduale regolato in gran parte dalla maturazione della rete neurale (Handford et al., 1991). Il ritmo circadiano, generalmente, fino ai 4 mesi di età non è ben stabilito (Armstrong et
35 al., 1994) e ciò si ripercuote sui numerosi risvegli regolari che richiedono l’intervento dei genitori; quasi un terzo dei bambini con meno di un mese di vita tende a svegliarsi più di tre volte a notte. Sebbene il sonno si vada consolidando con lo sviluppo, i risvegli notturni possono continuare ad essere comuni anche dopo i 3 mesi di vita: il 22% dei bambini di 8 mesi di età è stato segnalato a svegliarsi ogni notte e il 10% più di tre volte a notte, circa il 50% dei bambini continua a svegliarsi durante la notte almeno fino ai 2 anni di età. Il sonno in età evolutiva, oltre per la quantità, si differenzia da quello adulto anche dal punto di vista della qualità. Infatti il sonno subisce notevoli variazioni durante l’arco di vita: a partire dall’età neonatale o addirittura dalla vita intrauterina, esso va sempre più riducendo la quantità di sonno REM (Cordelli, 1997). La particolare preponderanza quantitativa di sonno REM nella vita intrauterina e nel periodo neonatale potrebbe errere spiegato dalla funzione che questa fase del sonno assume. Infatti durante il sonno REM si incrementa il ritmo di sviluppo delle funzioni cerebrali e probabilmente questo provoca un aumento della sinaptogenesi, che nel feto e nel bambino, in particolar modo, è alla base dell’organizzazione delle “esperienze” per mezzo della la formazione di mappe corticali e di schemi operativi nuovi.
Anche la durata dei cicli di sonno nREM/REM è legata all’età ed in particolare, alla nascita i cicli del sonno hanno una durata di circa 50 minuti che rimane tale fino circa ai 3 anni, età in cui i cicli arrivano a raggiungere una durata pari a 90 minuti, similmente a quella dell’adulto (Sheldon et al., 2002).
I bambini nel loro primo periodo scolastico, dai cinque agli undici anni di età, è
consigliato che dormano circa 10 ore per notte, ma le richieste di tempo da parte della scuola, dello sport, di attività extracurricolari e sociali sono aumentate in modo
significativo.
Inoltre i bambini in età scolare diventano più interessati a TV, computer, media e Internet, nonché a prodotti contenenti caffeina che possono portare a difficoltà ad addormentarsi, incubi e interruzioni di sonno. In particolare, il guardare la TV poco prima di andare a dormire è associato a resistenza nel voler andare a letto, difficoltà ad addormentarsi, ansia e insonnia (Astill et al., 2012). Problemi e disturbi del sonno prevalgono in questa età ed un sonno povero o inadeguato può comportare un umore
36 altalenante, problemi comportamentali come ADHD, e problemi cognitivi che hanno impatto sulle capacità di apprendimento (Astill et al., 2012).
Ci sono numerosi studi che cercano di indagare i fattori che vanno a influenzare il sonno nei bambini, la classe socio-economica (SES) e il livello culturale dei genitori. I risultati evidenziano una maggior incidenza di problemi di sonno in bambini provenienti da un ambiente familiare con SES e livello culturale più basso (Bøe et al., 2012; Sheridan et al., 2013); altri si sono occupati di studiare la relazione fra patologie mediche e l’effetto che queste comportano sul sonno (Abou-Khadra et al., 2013); infine è stata prsa in esame l’abitudine di alcuni bambini di coricarsi insieme ai genitori e rimanervi per tutta la notte (Iwata et al., 2013).
Tra i bambini l’interazione sociale e le caratteristiche di temperamento possono svolgere un ruolo più forte nella qualità del sonno rispetto agli adulti. In uno studio condotto da Owens-Stively nel 1997 si è visto che un tipo di personalità emotiva in bambini di 5 anni è associato a disturbi del sonno; altri studi dimostrano che persistenti problemi di sonno sono riconducibili ad eccessi di collera, situazioni “difficili da gestire”, come testimoniano le madri, paure e stress emozionale (Verlander et al., 1999). La qualità del sonno dei bambini può essere influenzata negativamente dall’interazione con i genitori, spesso associabile in buona percentuale ad un attaccamento materno insicuro (Benoit et al., 1992).
Uno studio (Wiggs France, 2000) ha evidenziato come nei bambini con disabilità fisiche o psichiche ci sia una maggior frequenza e persistenza di problematiche del sonno rispetto alla popolazione normale.
I disturbi di sonno in età evolutiva sono frequenti e rappresentano la quinta causa di di preoccupazione per i genitori, in seguito a malattia, alimentazione, problemi
comportamentali e anomalie fisiche (Mindell et al., 1994) ma nonostante questo a livello pediatrico ed ancora di più in ambito psicologico i professionisti tendono a non considerarli come problematiche gravi ed ingravescenti.
I disturbi del sonno vanno ad incidere sia sulla quantità che sulla qualità del sonno stesso, hanno effetti negativi sulle attività diurne del bambino e di conseguenza sulla famiglia.
37 Diversi studi epidemiologici hanno dimostrato che circa un terzo dei bambini soffre di problemi del sonno (Blader et al., 1997; Kahn et al., 1989; Rona et al., 1998; Simonds et al., 1984). Persistenti problemi di sonno sono comuni, con una prevalenza che va dal 17% al 41% (Manni et al., 1997; Pollock, 1994; Zuckerman et al., 1987). Diverse problematiche sono caratteristiche di specifiche fasce d’età, mentre l’insonnia sembrerebbe essere il disturbo più comune di tutte le età (Wiggs et al., 2001). La sonnolenza diurna viene spesso associata a diversi fattori come pigrizia, problemi comportamentali etc. e trascuarata dai genitori; infatti è frequente che la diagnosi venga effettuata con l’ingresso a scuola. Nei bambini si manifesta in modo diverso rispetto agli adulti: tra i sintomi più frequenti troviamo iperattività, irritabilità, problemi attentivi, aggressività, disturbi dell’apprendimento, attacchi improvvisi di sonno,
frequenti sonnellini, cadute di concentrazione, distraibilità e linguaggio rallentato. I disturbi del sonno che colpiscono i bambini vengono suddivisi in quattro categorie diagnostiche per la classificazione internazionale dei disturbi del sonno (ASDA 1997).
1. Dissonnie: di cui fanno parte i disturbi da inizio e mantenimento del sonno o