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studio longitudinale: relazione tra disturbi del sonno e del comportamento in età evolutiva

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Academic year: 2021

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Università di Pisa

Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica Corso di Laurea Magistrale in Psicologia Clinica e della Salute

Tesi di Laurea

Studio longitudinale: relazione tra disturbi del

sonno e del comportamento in età evolutiva

Relatore

Dott. Pietro Muratori

Candidato

Elena Guarguagli

ANNO ACCADEMICO 2016/2017

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1

INDICE

INTRODUZIONE 3

CAPITOLO 1 - I DISTURBI DA COMPORTAMENTO DIROMPENTE 6

1.1 Clinica dei disturbi del comportamento 6

1.2 Comportamenti violenti e aggressivi a scuola 21

CAPITOLO 2 - RELAZIONE TRA DISTURBI COMPORTAMENTALI E SONNO 26

CAPITOLO 3 - IL SONNO 31

3.1 Sonno in età evolutiva 34

CAPITOLO 4 – LA RICERCA 39

CAPITOLO 5 - METODOLOGIA E RICERCA 46

5.1 Lo studio 46

5.2 Il campione 46

5.3 Varibili misurate: 48

5.4 Strumenti utilizzati 48

5.5 Risultati e analisi dati 50

CAPITOLO 6 - DISCUSSIONE 52

CONCLUSIONI 62

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2 RIASSUNTO TESI

La ricerca longitudinale di cui questa tesi fa parte, condotta in collaborazione fra

l'Università di Pisa, la Fondazione Stella Maris e l'Istituto comprensivo Tongiorgi di Pisa, ha come obiettivo quello di valutare la relazione tra i disturbi del sonno e i

comportamenti disadattivi dei bambini a scuola.

In particolare lo scopo dello studio di follow up, preso in analisi in questa tesi, ha come ipotesi sperimentale quella di verificare se la variazione dei disturbi del sonno sia predittiva delle problematiche comportamentali rilevate in ambito scolastico in una fase successiva.

Per lo studio di follow up, è stato utilizzato lo Strengths and Difficulties Questionnaire (Goodman, 2005) nella versione italiana per insegnanti.

I risultati ottenuti nello studio evidenziano una relazione tra disturbi di inizio e mantenimento del sonno e problematiche comportamentali di tipo

iperattivo/disattentivo. Dai risultati non si evidenziano invece relazioni tra disturbi del sonno e problematiche di condotta.

Alla luce dei risultati ottenuti su un campione normativo, è possibile progettare un intervento di tipo preventivo. Intervenendo sulle abitudini di sonno dei bambini in età scolare è auspicabile che gli effetti benefici dell'intervento si possano ripercuotere anche sui disturbi di comportamento per prevenire lo svilupparsi di veri e propri comportamenti patologici.

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3

INTRODUZIONE

La presenza di problemi comportamentali, in particolare legati all’aggressività,

sembrerebbe riguardare una popolazione sempre più vasta. Basti pensare che in Italia si è riscontrato che circa il 42% dei bambini nella scuola primaria e il 28% dei ragazzi nella scuola secondaria hanno dichiarato di essere stati vittime di aggressioni da parte di coetanei almeno una volta nei tre mesi precedenti.

Sempre più spesso le scuole richiedono interventi o modelli di natura preventiva per rispondere ai bisogni degli studenti e la richiesta comunemente più diffusa verte su interventi che mirino a ridurre i problemi di comportamento esternalizzanti.

Nella maggior parte dei casi i comportamenti aggressivi a scuola rappresentano un’esperessione comportamentale sottosoglia dei comportamenti patologici esternalizzanti, quindi riuscire a identificarli potrebbe rappresentare un’occasione privilegiata di prevenzione e sensibilizzazione sulla popolazione scolare.

Per poter mettere in atto programmi di prevenzione efficaci è necessario individuare le variabili che vanno ad influire con i dusturbi comportamentali. Dalla letteratura è noto che in età adulta i disturbi del sonno rappresentino un importante fattore di rischio per lo svilupparsi di disturbi psichiatrici, somatici e di elaborazione emotiva alterata. La ricerca scientifica ha inoltre dimostrato

l’importanza di buone abitudini di sonno per il benessere psicofisico dei bambini e per rafforzare le loro capacità di attenzione e apprendimento.

Tuttavia, in letteratura sono presenti ancora pochi studi che esaminino

longitudinalmente l’associazione tra disturbi del sonno e difficoltà comportamentali a scuola.

Da quattro anni la fondazione Stella Maris, in collaborazione con l’Istituto Comprensivo Tongiorgi e l’Università di Pisa, promuove uno studio sulla relazione tra disturbi

comportamentali e problematiche di sonno riscontrate in bambini di età scolare.

In questo studio di follow up è stato chiesto agli insegnanti dei bambini che avevano già partecipato alle fasi precedenti dello studio di compilare lo Strengths and Difficulties

Questionnaire- SDQ (Godmann, 2005) nella sua versione italiana per insegnanti. L’SDQ è

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screening breve che permette di identificare i problemi di salute mentale e di

comportamento.

Lo studio cerca di delineare se vi sia una relazione fra i comportamenti problematici a scuola e i disturbi e le cattivi abitudini del sonno, tendo conto delle altre variabili che spesso correlano con queste problematiche, relazione spesso trascurata e poco studiata.

Lo scopo dello studio condotto quindi è quello di verificare longitudinalmente se i disturbi del sonno possono prevedere problemi di condotta e di disattenzione nei bambini in età scolare.

Nel primo capitolo vengono descritti i disturbi da comportamento dirompente, facendo riferimento alla classificazione diagnostica del DSM 5 e ne vengono analizzate le

principali caratteristiche. I comportamenti patologici descrittiin questo capitolo sono utili a comprendere quei comportamenti disadattivi sotto soglia ai quali il nostro studio si è interessato. Questi comportamenti, anche se in forma più lieve, possono

compromettere lo sviluppo del bambino e vanno ad interferire con le abilità di

apprendimento. In particolare l’aggressività e i problemi della condotta interferiscono con il rendimento scolastico del bambino, limitandone il potenziale di apprendimento. Nel secondo capitolo si passano in rassegna studi che abbiano indagato la relazione esistente tra disturbi comportamentali e le loro possibili cause, in particolar modo si è preso in esame la sua relazione con il sonno. I risultati di questi studi evidenziano che bambini con disturbi dello sviluppo, deficit di attenzione /iperattività, depressione e ansia hanno una maggiore probabilità di avere disturbi del sonno rispetto ad altri bambini è quindi possibile che i problemi di sonno siano un fattore di rischio per lo svillupparsi di comportamenti iperattivo-disattenti come pure per comportamenti aggressivi.

Nel terzo capitolo ci è sembrato necessario approfondire la tematica sonno andandone ad analizzare il suo funzionamento e le sue modificazioni, sia in età evolutiva che nei disturbi del sonno. Il sonno in età evolutiva, oltre per la quantità, si differenzia da quello in età adulta anche dal punto di vista della qualità. Infatti il sonno subisce notevoli variazioni durante l’arco di vita: a partire dall’età neonatale o addirittura dalla vita intrauterina, esso va sempre più riducendo la quantità di sonno REM. La particolare

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5 preponderanza quantitativa di sonno REM nella vita intrauterina e nel periodo

neonatale potrebbe errere spiegato dalla funzione che questa fase del sonno assume. Infatti durante il sonno REM si incrementa il ritmo di sviluppo delle funzioni cerebrali e probabilmente questo provoca un aumento della sinaptogenesi, che nel feto e nel bambino, in particolar modo, è alla base dell’apprendimento.

Nel quarto capitolo si è spiegata la ricerca longitudinale portata avanti negli anni scorsi, lo scopo era quello di verificare longitudinalmente se i disturbi del sonno possono prevedere problemi di condotta e di disattenzione nei bambini in età scolare. Sono descritti in questo capitolo il campione della ricerca longitudinale e gli strumenti utilizzati che sono: Sleep Disturbance Scale for Children (SDSC) per la valutazione del sonno e Strengths and Difficulties Questionnaire (SDQ) per valutare il comportamento. Nel Quinto capitol abbiamo descritto la metodologia di ricerca utilizzata nello studio oggetto di questa tesi, specificando obiettivo, caratteristiche del campione, variabili misurate, strumenti utilizzati, risultati ottenuti e analisi dei dati.

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CAPITOLO 1 - I DISTURBI DA COMPORTAMENTO DIROMPENTE

1.1 CLINICA DEI DISTURBI DEL COMPORTAMENTO

I disturbi esternalizzanti comprendono una vasta gamma di problematiche, con esordio nell’età evolutiva, caratterizzate dalla tendenza di tradurre i conflitti interiori in

comportamenti disadattivi.

Gli episodi di violenza e aggressività da parte di adolescenti e giovani sembrano essere aumentati in questi ultimi anni (Finkelhor et al., 2009).

Questo tipo di comportamenti hanno alla base delle caratteristiche temperamentali comuni come aggressività impulsività e mancanza di rispetto per le regole (Patterson, Degarmo & Knutson; 2000).

Si riscontra un crescente interesse da parte di genitori e insegnanti sull’individuazione precoce dei fattori che possano predire la traittoria di sviluppo dei bambini, con l'obiettivo di poterli guidare verso direzioni desiderabili (Hartup, 1985; Hays, 1994; Lewis, 1995).

Tale conoscenza permetterebbe agli individui che influenzano lo sviluppo psicosociale dei bambini di poter promuovere valori e ideali che evitino lo sviluppo di problematiche sociali (Cairns & Cairns, 1995). Nel corso degli anni, alcune ricerche sono state dedicate agli effetti negativi di una precoce predisposizione all’aggressiviità e il successivo sviluppo di relazioni interpersonali e l’influenza su risultati scolastici (Zumkley et al., 1992; Socolar, 1997).

I disturbi comportamentali esternalizzanti sono suddivisi nel DSM 5 in due categorie: i Disturbi del Neurosviluppo, tra cui troviamo il Disturbo da Deficit di Attenzione e

Iperattività (ADHD), e i Disturbi da Comportamento Dirompente (DCD), tra cui troviamo il Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP) e il Disturbo della condotta (DC).

I Disturbi del Comportamento sono solitamente legati a situazioni ambientali e familiari difficili, come patologie dei genitori e/o esperienze di perdita di un caregiver, le quali possono aumentare la probabilità di sviluppo di queste patologie (Hinshaw & Anderson, 1996; Romani, Di Scipio & Levi, 2003).

L’ambiente di crescita e sviluppo del bambino gioca un ruolo fondamentale per

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7 maggiore probabilità in quei bambini che si ritrovano inseriti in ambienti disfunzionali, con disaccordi coniugali, clima ostile o rifiutante, modalità educative incostanti e incoerenti, maltrattamenti fisici o psicologici, trascuratezza e abbandono da parte dei

caregiver. Condotte genitoriali eccessivamente permissive o al contrario coercitive

possono allo stesso modo provocare lo sviluppo di condotte aggressive e violente nel bambino (Petterson, 1995).

Il Disturbo da Deficit di Attenzione e Iperattività (ADHD)

L’ADHD è un disturbo del neurosviluppo con esordio precoce nell’età evolutiva e persistenza in una percentuale sostanziale di soggetti in adolescenza /età adulta. E’ una patologia caratterizzata da problemi relativi all’inattenzione, l’iperattività e l’impulsività che si dispongono lungo un continuum, quando sono più severi e frequenti della media assumono un significato diagnostico, definendosi sintomi nucleari

dell’ADHD (livello di inattenzione, impulsività ed iperattività motoria inadeguati per l’età del soggetto). In associazione sono presenti vari deficit neurocognitivi, comorbilità psichiatriche, difficoltà emozionali e sociorelazionali (la patologia viene spesso definita come eterogenea). Questo insieme eterogeneo di caratteristiche può essere quindi concettualizzato come un cluster di comportamenti che rappresentano il percorso finale comune ad una serie di diverse problematiche biopsicosociali e processi di sviluppo cerebrale (Taylor, 2013)

Nonostante nel DSM 5 l’ADHD sia stato inserito nei disturbi del neurosviluppo restano molte le caratteristiche in comune con i disturbi del comportamento dirompente. Allo stesso tempo come altri disordini del neurosviluppo l’ADHD ha un esordio precoce, un decorso continuo, un elevato rapporto M/F, sono presenti significative influenze genetiche e multiple associazioni con alterazioni funzionali del cervello (Taylor, 2013). Nello sviluppo dell’ADHD i geni svolgono un ruolo importante nello sviluppo della patologia, infatti sono coinvolti nella trasmissione familiare e la stima di ereditabilità risulta essere 75%.

Tra le mutazioni identificate emergono quelle a carico di geni molto attivi soprattutto nelle cellule della corteccia prefrontale, in quelle dei nuclei della base e nelle cellule delle aree limbiche e coinvolti nella trasmissione sinaptica che prevede l'utilizzo della

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8 dopamina. Questi bambini quindi possono presentare recettori meno sensibili per la dopamina, alterando così la trasmissione sinaptica all'interno del cervello e quindi di tutta quella complessa rete di informazioni ad essa sottostante. Inoltre le mutazioni identificate vanno ad interferire anche con il trasporto e la riassunzione della dopamina, dopo che questa è stata secreta dal neurone presinaptico per legarsi al neurone post-sinaptico e permettere così il trasferimento dell'informazione. Queste mutazioni tuttavia, non sono sufficienti a spiegare l'origine dell’ADHD, in quanto non sono state riscontrate in tutti i bambini con il disturbo (in circa il 51% dei casi) e risultano essere presenti anche nel 21% di bambini normali.

La complessa funzione di controllo dell’attenzione e di pianificazione del

comportamento è il risultato dell’azione coordinata di diverse regioni corticali e sottocorticali, in un continuo alternarsi di attivazione ed inibizione che mantiene il sistema nervoso centrale aperto alla ricezione di impulsi sensoriali significativi e pronto a reagire ad essi con movimenti e comportamenti appropriati. Il sistema attentivo è strutturato in modo da avere una capacità limitata, non può essere, infatti, occupato da troppi segnali contemporaneamente, rendendo obbligatoria una loro selezione. Quindi ha una funzione di soppressione di stimoli irrilevanti a vantaggio dell’elaborazione di quelli rilevanti, il neurotrasmettitore maggiormente coinvolto nella funzione attentiva è la dopamina. I bambini con ADHD, a causa dell’insufficiente rilascio e del suo eccessivo riassorbimento a livello sinaptico non possiedono una concentrazione di questo neurotrasmettitore tale da permettere un adeguato funzionamento del sistema di controllo dell’attenzione. Risulta così compromessa la selezione degli stimoli sensoriali rilevanti e la scelta dei comportamenti più adeguati in relazione alle situazioni. Le aree maggiormente coinvolte sembrerebbero essere corteccia prefrontale e i nuclei della base.

La corteccia prefrontale è responsabile della programmazione del pensiero e del comportamento, del mantenimento dell’attenzione, delle capacità di giudizio ed astrazione, della motivazione, dell’espressione dell’emotività e dell’inibizione di comportamenti socialmente inappropriati. In particolare, è il complesso sistema di connessioni tra la corteccia prefrontale ed nuclei della base, una formazione

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9 giocare un ruolo fondamentale nella regolazione della funzione motoria e del

comportamento (Banich M.T., 1998).

Similitudini tra la sintomatologia manifestata da adulti celebrolesi frontali e quella tipica dei bambini con ADHD sono sate evidenziate (Castellanos et al., 1996; Mataro et al., 1997) e infatti in pazienti con lesioni frontali si osserva frequentemente un ridotto apprezzamento delle regole e delle restrizioni sociali, una compromissione del ragionamento logico e della memoria di lavoro, un comportamento caratterizzato da impulsività e da difficoltà di programmazione.

Nei bambini con ADHD sono state riscontrate anormalità morfologiche e funzionali proprio in quelle regioni encefaliche normalmente coinvolte nel controllo dei processi attentivi e comportamentali; per mezzo delle tecniche di neuroimmagine i ricercatori hanno potuto rilevare che la corteccia frontale ed alcuni nuclei della base (nucleo caudato e globo pallido) dei bambini con ADHD risultano più piccoli rispetto a quelli dei bambini del gruppo di controllo e che tali differenze risultano maggiori nell’emisfero destro (Castellanos et al., 1996; Mataro et al., 1997).

I fattori genetici ed ambientali interagiscono in una fase precoce dello sviluppo alterando diversi network neuronali che portano ai deficit neuropsicologici presenti nell’ADHD (Curatolo, 2013) oppure può essere presente una storia di abuso durante l’infanzia, trascuratezza, adozioni multiple, esposizione a neurotossine, infezioni.

Oltre ai sintomi primari è da tenere in considerazione che i comportamenti messi in atto generalmente da soggetti affetti da Disturbo da Deficit dell’Attenzione/Iperattività sono associati ad una compromissione funzionale. Ovvero, tale disturbo condiziona fortemente il funzionamento sociale dei soggetti che ne riscontrano la diagnosi, creando difficoltà sul piano delle abilità della vita quotidiana, delle abilità sociali e delle relazioni interpersonali (Klimkeit et al., 2006; Kolko, Loar & Sturnick, 1990).

Come abbiamo detto l’ADHD viene classificato come un disturbo del neurosviluppo piuttosto che essere compeso nei disturbi del comportamento dirompente.

I criteri diagnostici della dimensione inattentiva ed iperattivo-impulsiva non sono stati modificati ed anche la concettualizzazione clinica di base del disturbo non è cambiata, i criteri proposti dal DSM-5 (American Psychiatric Association, 2013) sono:

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10 A. Un pattern persistente di disattenzione e/o iperattività-impulsività, che interferisce con il funzionamento o lo sviluppo, come caratterizzato da (1) e/o (2): 1. Disattenzione: sei (o più) dei seguenti sintomi sono persistiti per almeno 6 mesi con un’intensità incompatibile con il livello di sviluppo e che ha un impatto negativo diretto sulle attività sociali e scolastiche/lavorative.

Nota: I sintomi non sono soltanto una manifestazione di un comportamento oppositivo, sfida, ostilità o incapacità di comprendere i compiti o le istruzioni. Per gli adolescenti più grandi e per gli adulti (17 anni e oltre di età) sono richiesti almeno cinque sintomi.

a. Spesso non riesce a prestare attenzione ai particolari o commettere errori di distrazione nei compiti scolastici, sul lavoro o in altre attività (per es., trascura o omette dettagli, il lavoro non è accurato)

b. Ha spesso difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti o sulle attività di gioco (per es., ha difficoltà a rimanere concentrato/a durante una lezione, una conversazione o una lunga lettura).

c. Spesso non sembra ascoltare quando gli/le si parla direttamente (per es., la mente sembra altrove, anche in assenza di distrazioni evidenti).

d. Spesso non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti scolastici, le incombenze o i doveri sul posto di lavoro (per es., inizia i compiti ma perde rapidamente la concentrazione e viene distratto/a facilmente).

e. Ha spesso difficoltà a organizzarsi nei compiti e nelle attività (per es., difficoltà nel gestire compiti sequenziali; difficoltà nel tenere in ordine materiali e oggetti; lavoro disordinato, disorganizzato; gestisce il tempo in modo inadeguato, non riesce a rispettare le scadenze)

f. Spesso evita, prova avversione o è riluttante a impegnarsi in compiti che richiedono sforzo mentale protratto (per es., compiti scolastici o compiti a casa; per gli adolescenti più grandi e gli adulti, stesura di relazioni, compilazione di moduli, revisione di documenti).

g. Perde spesso gli oggetti necessari per i compiti o le attività (per es., materiale scolastico, matite, libri, strumenti, portafogli, chiavi, documenti, occhiali, telefono cellulare).

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11 h. Spesso è facilmente distratto/a da stimoli esterni (per gli adolescenti più

grandi e gli adulti, possono essere compresi pensieri incongrui).

i. È spesso sbadato/a nelle attività quotidiane (per es., sbrigare le faccende; fare commissioni; per gli adolescenti più grandi e per gli adulti, ricordarsi di fare una telefonata; pagare le bollette, prendere appuntamenti).

2. Iperattività e impulsività: Sei (o più) dei seguenti sintomi persistono per almeno 6 mesi con un’intensità incompatibile con il livello di sviluppo che ha un impatto negativo diretto sulle attività sociali e scolastiche/lavorative. Nota: I sintomi non sono soltanto una manifestazione di comportamento oppositivo, sfida, ostilità o incapacità di comprendere i compiti o le istruzioni. Per gli adolescenti più grandi e per gli adulti (17 anni e oltre di età) sono richiesti almeno cinque sintomi.

a. Spesso agita o batte mani e piedi o si dimena sulla sedia.

b. Spesso lascia il proprio posto in situazioni in cui si dovrebbe rimanere seduti (per es., lascia il posto in classe, in ufficio o in un altro luogo di lavoro, o in altre situazioni che richiedono di rimanere al proprio posto).

c. Spesso scorrazza e salta in situazioni in cui farlo risulta inappropriato (Nota: negli adolescenti e negli adulti può essere limitato al sentirsi irrequieti). d. È spesso incapace di giocare o svolgere attività ricreative tranquillamente. e. È spesso “sotto pressione”, agendo come se fosse “azionato/a da un motore” (per es., è incapace di rimanere fermo/a, o si sente a disagio nel farlo, per un periodo di tempo prolungato come nei ristoranti, durante le riunioni; può essere descritto/a dagli altri come una persona irrequieta o con cui è difficile avere a che fare).

f. Spesso parla troppo.

g. Spesso “spara” una risposta prima che la domanda sia stata completata ( per es., completa le frasi dette da altre persone; non riesce ad attendere il proprio turno nella conversazione).

h. Ha spesso difficoltà nell’aspettare il proprio turno (per es., mentre aspetta in fila).

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12 i. Spesso interrompe gli altri o è invadente nei loro confronti (per es., interrompe conversazioni, giochi o attività; può iniziare a utilizzare le cose degli altri senza chiedere o ricevere il permesso; adolescenti e adulti possono inserirsi o subentrare in ciò che fanno gli altri).

B. Diversi sintomi di disattenzione o di iperattività-impulsività erano presenti prima dei 12 anni.

C. Diversi sintomi di disattenzione o di iperattività-impulsività si presentano in due o più contesti (per es., a casa, a scuola o al lavoro; con amici o parenti; in altre attività).

D. Vi è una chiara evidenza che i sintomi interferiscono con, o riducono, la qualità del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.

E. I sintomi non si presentano esclusivamente durante il decorso della schizofrenia o di un altro disturbo psicotico e non sono meglio spiegati da un altro disturbo mentale (per es., Disturbo dell’Umore, Disturbo d’Ansia, Disturbo Dissociativo, Disturbo di Personalità, intossicazione o astinenza da sostanze).

Specificare quale:

314.01 (F90.2) Manifestazione combinata: Se il Criterio A1 (disattenzione) e il Criterio A2 (iperattività-impulsività) sono soddisfatti entrambi negli ultimi 6 mesi.

314.00 (F90.0) Manifestazione con disattenzione predominante: Se il Criterio A1 (disattenzione) è soddisfatto ma il Criterio A2 (iperattività-impulsività) non è soddisfatto negli ultimi 6 mesi.

314.01 (F90.1) Manifestazione con iperattività/impulsività predominanti: Se il Criterio A2 (iperattività-impulsività) è soddisfatto e il Criterio A1 (disattenzione) non è soddisfatto negli ultimi 6 mesi.

Specificare se:

In remissione parziale: Quando tutti i criteri sono stati precedentemente soddisfatti, non tutti i criteri sono stati soddisfatti negli ultimi 6 mesi e i sintomi ancora causano compromissione del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.

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Specificare la gravità attuale:

Lieve: Sono presenti pochi, ove esistenti, sintomi oltre a quelli richiesti per porre la diagnosi, e i sintomi comportano solo compromissioni minori del funzionamento sociale o lavorativo.

Moderata: Sono presenti sintomi o compromissione funzionale compresi tra “lievi” e “gravi”.

Grave: Sono presenti molti sintomi oltre a quelli richiesti per porre la diagnosi, o diversi sintomi che sono particolarmente gravi, o i sintomi comportano una marcata compromissione del funzionamento sociale o lavorativo.

Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP)

Nell’ambito della psicopatologia dell’età evolutiva, il disturbo oppositivo-provocatorio può rappresentare un esempio di complessità diagnostica ed interpretativa. Infatti tutti i bambini possono essere scontrosi e capricciosi, però quelli con il disturbo oppositivo-provocatorio presentano queste caratteristiche amplificate tanto da arrivare a

compromettere in maniera significativa il loro inserimento sociale.

I comportamenti sociali sono il risultato di una rete di interazioni che difficilmente possono essere spiegate con un unico fattore, infatti interagiscono con un elevatissimo numero di variabili e (Farruggia et al., 2008).

L’aggressività rappresenta un tratto stabile e la sua precoce manifestazione rappresenta un buon predittore per la manifestazione del disturbo in adolescenza. Ovviamente questa affermazione sarebbe riduttiva, infatti devono essere prese in considerazione anche le componenti culturali, familiari, socio-economiche e i vantaggi che essa può comportare: ciascuno di questi aspetti non soltanto può fare la differenza, ma può modificare il modo e lo stile con i quali il singolo individuo può esprimere la propria aggressività. Il disturbo oppositivo-provocatorio è una patologia dell’età evolutiva caratterizzata da una modalità ricorrente di comportamento negativistico, ostile e di sfida, che però non arriva a violare le norme sociali né i diritti altrui.

Si può parlare di disturbo oppositivo-provocatorio quando il comportamento ostile, anziché svanire lentamente, persiste nel tempo ed in forme accentuate, tanto da creare

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14 difficoltà relazionali, inizialmente nell’ambiente familiare poi in quello sociale

(Despinoy, 2001). Rispetto ai bambini della stessa età questi soggetti presentano un’aggressività molto più invalidante e difficilmente modificabile. Questi soggetti sono arrabbiati, risentiti, insofferenti, non accettano l’autorità degli adulti e si ribellano apertamente. Sono continuamente in lotta con i genitori, non si conformano alle loro regole e non rispettano gli orari; la loro aggressività non è esclusivamente reattiva, ma amano provocare, sfidare gli altri, disturbare volontariamente, senza mostrare tuttavia alcun tipo di violenza (Mastroeni, 1997). Inoltre questi bambini non si ritengono

responsabili dei loro errori e attribuiscono le colpe ad altri, di conseguenza non hanno consapevolezza del loro problema, considerano i loro cattivi comportamenti come normali risposte ad un ambiente irritante e frustrante e non come comportamenti oppositivi o provocatori. Nella fase iniziale questi comportamenti potrebbero manifestarsi solo all’interno delle mura domestiche, ma di solito, successivamente cominciano ad interessare anche l’ambiente esterno. Infatti in questo modo inizialmente vengono coinvolte le persone che il bambino conosce meglio, come i compagni di gioco, e in seguito è probabile che gli atteggiamenti aggressivi vengano rivolti a tutte le persone che cercheranno di instaurare un rapporto con loro (Di Scipio & Romani, 2001). Le prime manifestazioni del disturbo si manifestano già intorno ai 3-4 anni ma sarà soltanto con l’ingresso a scuola che il problema diverrà sempre più evidente. Questi bambini, infatti, mostrano una totale incapacità di adattamento alle regole scolastiche e la loro oppositività finisce con il condizionare l’attività didattica dell’intera classe. Anche se dotati di un normale livello intellettivo, spesso essi non ottengono buoni risultati accademici, in quanto sono penalizzati dalle loro condotte, manifestando la loro incapacità di conformarsi alle regole anche nelle relazioni tra pari, come i lavori di gruppo o le attività ricreative. Il bambino oppositivo-provocatorio può interferire negativamente in qualsiasi tipo di attività, anche se ben organizzata. Scatena risate generali, innervosisce i compagni, ribalta le sedie e assume un atteggiamento di passivo rifiuto nei confronti di chiunque cerchi di avvicinarsi (Colvin, Ainge, & Nelson, 1998). Questi bambini tuttavia soffrono molto a causa del loro isolamento ma, in un certo senso lo giustificano (Fabre, 2001). Il bambino oppositivo-provocatorio ha una bassa considerazione di se stesso che nasce proprio nell’ambiente domestico (Patterson et al., 1989).

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15 Convinto di non meritare affetto, arriva a considerare normale l’atteggiamento di chi vuole allontanarsi da lui. Se qualcuno gli si avvicina per instaurare un rapporto, anziché esserne felice, si mostra diffidente e reagisce con comportamenti ostili, come a voler mettere alla prova le intenzioni del suo interlocutore. Il soggetto con disturbo

oppositivo-provocatorio è convinto che anche chi cerca di avvicinarsi amichevolmente, chi dice di volergli bene e di volerlo aiutare alla fine, imparando a conoscerlo, cambierà idea e lo lascerà nuovamente solo.

I criteri proposti dal DSM-5 (American Psychiatric Association, 2013) per il Disturbo Oppositivo-Provocatorio sono i seguenti:

A. Un pattern di umore collerico/irritabile, comportamento polemico/provocatorio o vendicativo che dura da almeno 6 mesi evidenziato dalla presenza di almeno quattro sintomi di qualsiasi tra le seguenti categorie, e manifestato durante l’interazione con almeno un individuo diverso da un fratello.

Umore collerico/irritabile 1. Va spesso in collera.

2. È spesso permaloso/a o facilmente contrariato/a. 3. È spesso adirato/a e risentito/a.

Comportamento polemico/provocatorio

4. Litiga spesso con figure che rappresentano l’autorità o, per i bambini e gli adolescenti, con gli adulti.

5. Spesso sfida attivamente o si rifiuta di rispettare le richieste proveniente da figure che rappresentano l’autorità o le regole.

6. Spesso irrita deliberatamente gli altri.

7. Spesso accusa gli altri per i propri errori o il proprio cattivo comportamento. Vendicatività

8. È stato/a dispettoso/a o vendicativo/a almeno due volte negli ultimi 6 mesi. Nota: La persistenza e la frequenza di questi comportamenti dovrebbero essere usate per distinguere un comportamento che è entro i limiti della normalità da quello che rappresenta un sintomo. Per bambini di età inferiore a 5 anni, il comportamento dovrebbe verificarsi quasi tutti i giorni per un periodo di almeno 6

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16 mesi, se non diversamente specificato (Criterio A8). Per gli individui di 5 anni o maggiori, il comportamento dovrebbe verificarsi almeno una volta alla settimana per almeno 6 mesi, se non diversamente specificato (Criterio A8). Mentre questi criteri forniscono indicazioni sul livello minimo di frequenza per definire i sintomi, anche altri fattori devono essere considerati, come per esempio se la frequenza e l’intensità dei comportamenti sono al di fuori dei limiti considerati normali per il livello di sviluppo, il genere e la cultura dell’individuo.

B. L’anomalia del comportamento è associata a disagio dell’individuo o di altre persone nel suo immediato contesto sociale (per es., famiglia, coetanei, colleghi di lavoro), oppure ha un impatto negativo sul funzionamento in ambito sociale, educativo, lavorativo o in altre aree importanti.

C. I comportamenti non si manifestano esclusivamente durante il decorso di un disturbo psicotico, da uso di sostanze, depressivo o bipolare. Inoltre, non vengono soddisfatti i criteri per il disturbo da disregolazione dell’umore dirompente.

Specificare la gravità attuale:

Lieve: I sintomi sono limitati a un unico ambiente ( per es., a casa, a scuola, al lavoro, con i coetanei).

Moderata: Alcuni sintomi sono presenti in almeno due ambienti. Grave: Alcuni sintomi sono presenti in tre o più ambienti.

L’elemento di novità più rilevante è la ripartizione dei descrittori su tre pattern prevalenti: - Umore collerico/ irritabile,

- Comportamento polemico/ provocatorio, - Vendicativo.

Tali componenti, vanno a definire tre diversi fenotipi clinici, con possibili diverse traiettorie evolutive: il primo a maggiore componente affettiva; il secondo a maggiore componente trasgressiva; il terzo a maggiore componente manipolatoria.

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17 Disturbi della Condotta (DC)

Gli individui aggressivi con disturbo della condotta (DC) spesso travisano le intenzioni degli altri considerandole come più ostili e minacciose e reagiscono con un’aggressione. In concomitanza con il Disturbo della Condotta spesso si verificano caratteristiche di personalità del tratto emozionalità negativa e scarso autocontrollo, tra cui scarsa tolleranza alla frustrazione, irritabilità, scoppi di collera, sospettosità, indifferenza per le punizioni, ricerca di emozioni e sregolatezza. L’abuso di sostanze è spesso una caratteristica associata, specialmente nelle adolescenti femmine.

Tra i principali fattori di rischio troviamo un temperamento infantile difficile e

scarsamente controllato, un’intelligenza inferiore alla media, con particolare attenzione alle abilità linguistiche. I fattori di rischio a livello familiare comprendono: il rifiuto e la trascuratezza da parte dei genitori; pratiche educative incoerenti; una disciplina rigida; l’abuso fisico o sessuale; la mancanza di controllo; un precoce regime istituzionale di vita; frequenti cambi di caregiver; una famiglia numerosa; la criminalità dei genitori e la presenza di alcuni tipi di psicopatologia in famiglia. A livello di comunità possono essere considerati fattori di rischio il rifiuto da parte del gruppo dei pari; l’associazione con gruppi di coetanei devianti e l’esposizione alla violenza del quartiere. Il disturbo della condotta è influenzato anche da fattori genetici; infatti risultano più a rischio di sviluppare il disturbo i bambini con genitori o fratelli con diagnosi di disturbo della condotta.

I criteri proposti dal DSM-5 (American Psychiatric Association, 2013) sono i seguenti: A. Un pattern di comportamento ripetitivo e persistente in cui vengono violati i

diritti fondamentali degli altri, oppure le principali norme o regole sociali appropriate all’età, che si manifesta con la presenza nei 12 mesi precedenti di almeno tre dei seguenti 15 criteri in qualsiasi fra le categorie sotto indicate, con almeno un criterio presente negli ultimi mesi:

Aggressione a persone e animali

1. Spesso fa il/la prepotente, minaccia o intimorisce gli altri. 2. Spesso dà il via a colluttazioni.

3. Ha usato un’arma che può causare seri danni fisici ad altri (per es., un bastone, un mattone, una bottiglia rotta, un coltello, una pistola).

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18 4. È stato/a fisicamente crudele con le persone.

5. È stato/a fisicamente crudele con gli animali.

6. Ha rubato affrontando direttamente la vittima (per es., aggressione, scippo, estorsione, rapina a mano armata).

7. Ha costretto qualcuno ad attività sessuali. Distruzione della proprietà

8. Ha deliberatamente appiccato il fuoco con l’intenzione di causare seri danni. 9. Ha deliberatamente distrutto proprietà altrui (in modo diverso dall’appiccare il fuoco).

Frode o furto

10. È penetrato/a nell’abitazione, nel caseggiato o nell’automobile di qualcun altro.

11. Spesso mente per ottenere vantaggi o favori o per evitare dei doveri (cioè raggira gli altri).

12. Ha rubato articoli di valore senza affrontare direttamente la vittima (per es., furto nei negozi, ma senza scasso; contraffazione).

Gravi violazioni di regole

13. Spesso, già prima dei 13 anni di età, trascorre la notte fuori, nonostante le proibizioni dei genitori.

14. Si è allontanato/a da casa di notte almeno due volte mentre viveva nella casa dei genitori o di chi ne faceva le veci, o una volta senza ritornare per un lungo periodo.

15. Spesso, già prima dei 13 anni di età, marina la scuola.

B. L’anomalia del comportamento causa una compromissione clinicamente significativa del funzionamento sociale, scolastico o lavorativo.

C. Se l’individuo ha 18 anni o più, non sono soddisfatti i criteri di disturbo antisociale di personalità.

Specificare quale:

312.81 (F91.1) Tipo con esordio nell’infanzia: Gli individui presentano almeno un sintomo caratteristico del disturbo della condotta prima dei 10 anni di età.

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19 312.82 (F91.2) Tipo con esordio nell’adolescenza: Gli individui non mostrano alcun sintomo caratteristico del disturbo della condotta prima dei 10 anni d’età.

312.89 (F91.9) Esordio non specificato: Sono soddisfatti i criteri per la diagnosi di disturbo della condotta, ma non sono disponibili informazioni sufficienti per determinare se l’esordio del primo sintomo si è verificato prima o dopo i 10 anni d’età.

Specificare se:

Con emozioni pro sociali limitate: Perché gli venga assegnato questo specificatore, un individuo deve aver mostrato in modo persistente, per almeno 12 mesi e in diversi tipi di relazioni e ambienti, almeno due delle seguenti caratteristiche. Queste riflettono i tipici pattern di funzionamento interpersonale ed emotivo dell’individuo in un determinato periodo e non solo in eventi occasionali in alcune situazioni. Pertanto, per valutare i criteri dello specificatore sono necessarie più fonti di informazione. Oltre a ciò che riferisce l’individuo, è necessario prendere in considerazione le testimonianze di altre persone che sono state in contatto con lui per lunghi periodi di tempo (per es., genitori, insegnanti, colleghi, altri parenti, coetanei).

Mancanza di rimorso o senso di colpa: Non prova rimorso o senso di colpa quando compie qualcosa di sbagliato (escludere il rimorso se questo viene espresso solo dall’individuo in arresto e/o messo di fronte a una punizione). L’individuo mostra una generale mancanza di preoccupazione per le conseguenze negative delle sue azioni. Per esempio, l’individuo non è pentito dopo aver ferito qualcuno o non si preoccupa delle conseguenze derivanti dall’infrangere le regole.

Insensibilità- mancanza di empatia: Disprezza ed è incurante dei sentimenti degli altri. L’individuo è descritto come freddo e indifferente. Appare preoccupato più per gli effetti che le sue azioni hanno su di sé che per quelle sugli altri, anche quando comportano un grave danno per gli altri.

Indifferenza per i risultati: Non mostra preoccupazione per lo scarso/problematico rendimento a scuola, al lavoro o in altre attività importanti. L’individuo non mette l’impegno necessario per una buona riuscita, anche quando le aspettative sono chiare, e tipicamente incolpa gli altri per i suoi scarsi risultati.

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20 Affettività superficiale o anaffettività: Non esprime sentimenti né mostra emozioni verso gli altri, se non in modi che sembrano poco profondi, insinceri o superficiali (per es., le azioni contraddicono l’emozione mostrata; può “accendere” o “spegnere” in fretta le proprie emozioni) o usando espressioni emotive per il proprio vantaggio (per es., emozioni mostrate per manipolare o intimidire gli altri).

Specificare la gravità attuale:

Lieve: Pochi o nessun problema di condotta oltre a quelli richiesti per porre la diagnosi, e questi problemi causano altri danni relativamente minori (per es., bugie, assenze ingiustificate, stare fuori fino a tardi senza permesso, altre infrazioni delle regole). Moderata: Il numero dei problemi di condotta e i loro effetti sugli altri sono intermedi tra quelli definiti “lievi” e quelli “gravi” (per es., rubare senza affrontare direttamente la vittima, vandalismo).

Grave: Numerosi problemi di condotta oltre a quelli richiesti per porre la diagnosi, oppure questi problemi causano danni notevoli agli altri (per es., sesso forzato, crudeltà fisica, uso di armi, rubare affrontando direttamente la vittima, furto con scasso).

Questi disturbi condizionano enormemente il funzionamento sociale degli individui, creando difficoltà sul piano delle abilità della vita quotidiana, delle attività sociali e delle relazioni interpersonali (Klimkeit et al., 2006; Kolko & Loar & Sturnick, 1990). Influiscono fortemente anche sul funzionamento scolastico (DUPaul & Power, 2000) e sulla capacità di rapportarsi sia con il gruppo dei pari che con i genitori (Kolko et al., 1990; Smith, Brown, Bunke, Blount & Christophersen et al., 2002).

L’ ADHD è uno dei disturbi comportamentali più diffusi (Evans et al., 2006) e studiati (Vitiello & Sherril, 2008), ed interessa il 7,8% della popolazione in età scolare (Center for

Disease Control, 2005). Il Disturbo della Condotta è una condizione clinica diagnosticata

frequentemente nell’età evolutiva (Phelps & McClintock, 1994), è presente circa nel 9% della popolazione urbana (Rutter et al., 1975) e ha prevalenza nei maschi. Il Disturbo Oppositivo Provocatorio ha prevalenza maggiore nei maschi durante l’infanzia per poi

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21 essere equivalenti nei due sessi nell’adolescenza, eccetto gli quanto riguarda gli aspetti di aggressività fisica e distruttività, prevalenti per lo più nei maschi.

I disturbi da comportamento dirompente comprendono condizioni caratterizzate da difficoltà nell’autoregolazione del comportamento e nel controllo delle emozioni. I soggetti mettono in atto azioni che violano i diritti e l’incolumità altrui e/o sono in conflitto con le comuni norme della società. L'identificazione precoce di bambini a rischio di disturbo del comportamento dirompente consente di avviare un percorso terapeutico precoce che prevede la messa in atto di numerosi interventi (Eyberg et al., 2008).

I comportamenti patologici sopra descritti sono utili a comprendere quei comportamenti disadattivi sotto soglia ai quali il nostro studio si è interessato. Questi comportamenti, anche se in forma più lieve, possono compromettere lo sviluppo del bambino.

1.2 COMPORTAMENTI VIOLENTI E AGGRESSIVI A SCUOLA

Un problema globale che colpisce molti bambini e giovani sembra essere la sempre più diffusa esposizione alla violenza, che comprende la vittimizzazione tra pari (il bullismo), la violenza familiare (il maltrattamento e testimonianza di abusi) e la violenza della comunità (…), che viene sperimentata direttamente o indirettamente (come testimoni) a casa, a scuola e nella comunità.

Un recente studio americano ha esaminato l’esposizione ai diversi tipi di violenza su un campione di bambini di età compresa tra 0 e 17 anni; i risultati hanno mostrato che oltre il 60% era stato testimone di atti di violenti e che il 10% era stato vittima di infortuni dovuti a episodi violenti (Finkelhor et al., 2009). Gli effetti negativi della violenza vanno ad interferire in modo sostanziale con lo sviluppo sano dell’individuo, l’esposizione ad atti violenti durante l’infanzia e l’adolescenza infatti, come

suggeriscono alcuni studi, è fortemente legata alla comparsa di problematiche sia di tipo internalizzante che esternalizzante (Fowler et al., 2009; Hawker & Boulton, 2000; Paolucci et al.,2001; Reijntjes et al 2010; Reijntjes et al 2011; Wolfe et al., 2003). Gli effetti negativi dell’esposizione tendono a persistere anche in età adulta (Wolke et al., 2013) e fanno aumentare il rischio di sviluppare problemi di salute mentale.

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22 Quindi dalla letteratura appare chiaro che per la salute di bambini e giovani

l’esposizione alla violenza rappresenti un rischio significativo che va ad interferire in numerosi ambiti dello sviluppo della loro vita.

Una ricerca longitudinale (Caprara et al., 2014) ha analizzato l’incidenza di

comportamenti prosociali e aggressivi nella prima infanzia come fattori predittivi per i risultati accademici e per il successo nella relazione con i pari. I comportamenti prosociali considerati nella ricerca sono la collaborazione, la condivisione e l’aiuto, mentre per i comportamenti aggressivi considerano la predisposizione a aggressioni fisiche e verbali. I risultati di questo studio evidenziano che comportamenti prosociali precoci correlano negativamente con lo sviluppo successivo di comportamenti di tipo aggressivo e promuovono sia rapporti positivi con i pari che il successo scolastico. Al contrario, l'aggressività precoce influisce negativamente sia le relazioni tra pari che con la realizzazione accademica. Si può notare da questo studio che comportamenti prosociali, come la cooperatività, la disponibilità, la condivisione e la capacità di essere empatico, rappresentano uno dei fattori che aiuta a promuovere reti sociali adattive che favoriscano all'apprendimento scolastico (Bandura, 1999; Bandura et al., 1996). Un crescente numero di ricerche testimoniano i molteplici effetti benefici dei

comportamenti prosociali sullo sviluppo successivo dei bambini (Bandura et al., 1996; Eisenberg & Fabes, 1998; Patterson, Reid, & Dishion, 1992; Wentzel, 1991).

Nelle scuole è possibile ritrovare un numero rilevante di bambini con difficoltà comportamentali e di autoregolamentazione, è stato evidenziato dalla ricerca che in alcune zone raggiungono fino al 35% (Swaim et al., 2006).

La presenza di problemi comportamentali, in particolare legati all’aggressività,

all’interno dei diversi gradi di scuole è stato evidenziato anche in uno studio condotto in Italia nel quale si è riscontrato che: nella scuola primaria circa il 42% dei bambini e il 28% dei ragazzi nella scuola secondaria erano stati vittime di aggressioni da parte di coetanei almeno una volta nei tre mesi precedenti (Genta et al., 1996).

Sempre più spesso le scuole richiedono interventi o modelli di natura preventiva per rispondere ai bisogni degli studenti; la richiesta comunemente più diffusa verte su interventi che mirino a ridurre i problemi di comportamento esternalizzanti (Reddy et al., 2009). Probabilmente la ragione dell’interesse da parte delle scuole a questo tipo di problematica è legata sia al forte impatto che essa provoca sul processo di

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23 insegnamento e di apprendimento, sia al fatto che è facilmente identificabile dagli insegnanti.

La gestione di bambini con problematiche comportamentali risulta complessa poiché questi soggetti oltre a presentare difficoltà di apprendimento e di relazione con i pari, possono avere un effetto negativo anche sui docenti, che si trovano spesso di fronte a classi molto numerose, sugli educatori e sui dirigenti scolastici. Soprattutto in Italia, come riportato nello studio di Tobia et al. 2011, gli insegnanti non hanno una specifica preparazione per intervenire su problematiche legate all’aggressività e possono

inavvertitamente aumentare le risposte negative nei bambini che presentano maggiori difficoltà. Infatti una delle conseguenze più comuni del comportamento disadattivo è quella di ricevere meno attenzioni e gratificazioni da parte dei docenti anche quando vengono adottati comportamenti adattivi (Arnold et al., 1998).

Difficoltà comportamentali come disattenzione, iperattività e aggressività nei primi anni delle scuole elementari preannunciano scarso rendimento accademico nel successivo percorso di studi, necessità di educazione speciale e una maggiore probabilità di abbandono scolastico (Masten et al., 2010).

Il comportamento di rifiuto della scuola da parte di bambini dagli otto agli undici anni è stato studiato, in Germania (Hochadel et al., 2013), in relazione a problematiche del sonno come insonnie, parasonnie e sonnolenza diurna. I risultati di questo studio hanno evidenziato che i disturbi del sonno in età pediatrica sono frequenti e che c'è una relazione tra questi disturbi e quelli del comportamento di rifiuto della scuola. Infatti i bambini che ottenevano punteggi significativamente più alti nei comportamenti di rifiuto della scuola erano quelli che risultavano affetti da insonnie (difficoltà ad addormentarsi e a mantenere il sonno), parasonnie (incubi notturni) e sonnolenza diurna. Queste tre condizioni di sonno disturbato risultano essere tutte associata a disturbi d'ansia (ansia o disturbi depressivi, così come il disturbo d’ansia da

separazione). Sarebbe dunque auspicabile che nella ricerca e nella pratica clinica si riuscisse ad ottenere un quadro generale del bambini; in modo tale da riuscire ad analizzare il comportamento di rifiuto della scuola e i problemi di sonno in relazione reciproca e non come problematiche isolate.

Uno studio (Kellametal S.G. et al., 1998) condotto su classi elementari ha cercato di individuare quali fossero i fattori predittivi dello sviluppo di disturbi comportamentali

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24 negli anni successivi; ha ricercato il ruolo delle influenze contestuali sullo sviluppo e sull’eziologia del comportamento aggressivo. Tra i fattori individuati vi è il genere; i maschi infatti fin dalla prima elementare sembrerebbero essere più predisposti delle femmine ad assumere comportamenti aggressivi e dirompenti.

La situazione socioeconomica familiare è stata associata ad una maggiore vulnerabilità nello sviluppo di questi comportamenti disadattivi a prescindere dal sesso del soggetto. L’aggressività e i problemi della condotta interferiscono con il rendimento scolastico del bambino, limitandone il potenziale di apprendimento (Barth et al., 2004; Feldman et al., 2014). Infatti, per seguire con successo una lezione in classe è necessaria attenzione sostenuta e selettiva, capacità che possono essere inficiate in questi soggetti. Inoltre, come già detto, le problematiche comportamentali in classe portano

frequentemente a problemi scolastici e in alcuni casi al rifiuto da parte del gruppo dei pari (Farme, 2001).

I bambini che presentano problematiche di aggressività tendono ad interpretare negativamente i segnali ambigui provenienti dall’ambiente esterno, questo li porta alla tendenza ad avvertire il gruppo di coetanei come contrapposto a loro e di conseguenza a relazionarcisi in modo ostile e aggressivo (Guidetti, 2006). Questa tesi è avvalorata anche dagli studi condotti da Lemerise e Arsenio (2000) che hanno esaminato gli aspetti della vita emotiva del bambino che influiscono sulle modalità di interpretazione dei contesti di vita, fra cui le abilità di autoregolazione emozionale. Proprio le abilità di autoregolazione emozionale se deficitarie, facilitano la percezione e l’interpretazione impulsiva ed imprecisa degli stimoli ambientali, alle quali seguono comportamenti disadattivi da parte di questi soggetti.

Il comportamento aggressivo spesso porta anche a minor autostima e ad un maggior rischio di sviluppare sintomi depressivi.

Studi di prevenzione in ambito scolastico hanno identificato tre fattori di rischio nello sviluppo di problematiche comportamentali: scarsa autoregolamentazione, difficoltà nei modelli di elaborazione delle informazioni socio-cognitive e fattori sociali (Durlak et al., 2009).

Allo stesso tempo il comportamento disadattivo di questi soggetti va ad interferire anche con la vita della classe in cui si trovano inseriti (Barth et al., 2004; Frick et al., 1993; Morrison et al., 2004).

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25 I bambini con queste difficoltà instaurano relazioni povere con i compagni e risultano molto vulnerabili a causa delle loro scarse abilità sociali. La ricerca ha evidenziato l’importanza della socializzazione con i pari come occasione privilegiata per lo sviluppo e l’autoregolazione emozionale. Nel corso di tutta la loro carriera scolastica, i bambini costruiscono la propria identità attraverso le interazioni sociali e le relazioni con i coetanei. Tuttavia soggetti con comportamenti aggressivi vengono spesso esclusi dal gruppo dei pari e questo viene associato ad una successiva difficoltà di adattamento. Infine, la presenza di alunni con problemi comportamentali di tipo aggressivo può incidere in maniera molto negativa sia sulla didattica che sulla qualità del clima in classe (Bierman, 2005).

La prevenzione dei comportamenti aggressivi, soprattutto in età scolare, è auspicabile; ciò nonostante, sappiamo che tra il 70% e il 90% dei bambini che necessitano di un intervento per problemi comportamentali, non lo ricevono (Brestan & Eyberg 1998). Tuttavia, il riconoscimento di diversi fattori di rischio per problemi di aggressività e iperattività è fondamentale per sviluppare interventi preventivi efficaci durante l'infanzia (Dodge et al., 2008).

Un possibile contributo biologico a comportamenti aggressivi e disattentivi può essere legato ai problemi di sonno, uno spettro che comprende l'ansia all’addormentamento / paure notturne, parasonnie (tra cui terrori notturni, sonnambulismo e risvegli

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26

CAPITOLO 2 - RELAZIONE TRA DISTURBI COMPORTAMENTALI E SONNO

Gli studi che si sono proposti di indagare la relazione tra sonno e comportamenti

aggressivi presenti in letteratura sono pochi, solitamente molto specifici e nella maggior parte dei casi sono studi singoli che non prevedono nel loro modello sperimentale un gruppo di controllo (Wiggs, France, 2000).

Le problematiche del sonno nell'infanzia (durata insufficiente, scarsa qualità, disturbi respiratori, movimenti delle gambe e sonnolenza durante il giorno) sono associate al peggioramento del rendimento scolastico (Dewald et al., 2010) e a difficoltà emozionali e comportamentali (Hansen et al., 2014).

Gli effetti di una scarsa quantità di sonno sono stati presi in esame in uno studio in cui sono stati valutati due aspetti, la prestazione cognitiva e quella psicomotoria, in un campione di bambini fra i 10 e i 14 anni in seguito a deprivazione di sonno. Sia i test psicomotori che le prestazioni cognitive sono state ripetute in quattro sessioni sperimentali ed i risultati hanno evidenziato delle differenze significative in alcune variabili come quella di creatività verbale (fluidità, flessibilità e indici medi) e di apprendimento di nuovi concetti astratti (Randazzo et al., 1998).

Una scarsa qualità del sonno, come già detto, viene legata al rendimento scolastico ed anche alla presenza di comportamento aggressivo, comportamenti iperattivi /

disattentivi e problemi di condotta (Pesonen et al., 2009).

Altri studi si sono concentrati sulla relazione esistente tra movimenti nel sonno (come i movimenti periodici delle gambe) o disturbi respiratori (come russare) e problematiche di disattenzione (Chervin et al., 2002), iperattività (O'Brien et al., 2003), comportamenti aggressivi (ad esempio, Ali et al, 1993;. Chervin et Al., 2003) e problemi di condotta (Constantin et al., 2015).

Una delle patologie più comuni dei disturbi respiratori nel sonno è l’apnea ostruttiva (OSA), una condizione che viene comunemente riscontrata nell'infanzia e causa di gravi conseguenze sullo sviluppo fisico e mentale del bambino. Le caratteristiche principali di questa patologia sono spesso inserite nei disturbi comportamentali del sonno; proprio perché la causa di tali disturbi sembra essere legata al comportamento del bambino stesso. Tra questi, in una recente revisione di ricerca sul disturbo di apnee ostruttive nell’infanzia da parte dell’American Accademy of Pediatrics è evidenziato che i problemi

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27 respiratorinel sonno sono associati ad anormalità cognitive e comportamentali, tra cui iperattività, disattenzione e sonnolenza (LeBourgeois MK., 2004).

I bambini in sovrappeso hanno una percentuale 4-5% maggiore di sviluppare una Sindrome delle Apnee Ostruttive rispetto ai bambini con l’Indice di Massa Corporea (BMI) nella norma per età e sesso. Per ogni incremento dell’Indice di Massa Corporea (BMI), oltre la media di riferimento, il rischio di sviluppare una Apnea Ostruttiva aumenta del 12%. Il motivo è che il tessuto adiposo in eccesso si deposita nei tessuti molli delle vie aeree superiori, determinando un restringimento delle stesse fino ad una ostruzione completa nelle ore di sonno quando anche i muscoli circostanti si rilassano. A differenza degli adulti, i bambini con apnee presentano meno arousals, cioè brevi risvegli. Così come per gli adulti, anche nei bambini la Sindrome delle Apnee Ostruttive ha importanti implicazioni, non solo per quanto riguarda la qualità di vita, ma anche per le complicazioni organiche.

Durante la notte, oltre al russamento, si possono verificare episodi di sonno

frammentato ed irrequieto, incubi ed episodi di pavor notturno, enuresi, sudorazione profusa. A seguito sia della frammentazione del sonno che dei ripetuti episodi di ipossia, si hanno conseguenze negative sullo sviluppo dell’intelligenza, della

concentrazione, delle capacità attenzionali, così come della memoria: i bambini con apnee notturne hanno generalmente un minor rendimento scolastico spesso imputato a distrazione e scarsa motivazione.

Alcuni studi si sono concentrati sull’impatto che i disturbi del sonno legati alla

respirazione possono provocare sul funzionamento diurno del bambino (LeBourgeois MK., 2004). Un minor numero di studi ha riportato gli effetti della sonnolenza diurna sul comportamento, anche se l’eccessiva sonnolenza diurna (DES) è un problema comune che colpisce circa il 15% dei bambini (Calhoun SL,2012).

Infatti anche la sonnolenza durante il giorno provoca disagi nella vita del bambino, andando ad interferire con il rendimento scolastico peggiorandolo (Dewald, 2010), con i problemi da disattenzione (Chervin et al., 2002) e con l’alterazione della regolazione emotiva (O'Brien et al., 2011).

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28 In letteratura molti studi (Anders, T. F., & Eiben, L. A., 1997; Calhoun SL et al., 2011; Kandel E.R, 2014) si sono concentrati sui fattori predittivi dei problemi di eccessiva sonnolenza diurna: il più influente sembrerebbe essere l’obesità.

Uno studio (Calhoun S.L. et al., 2012) ha approfondito l'associazione tra eccessiva sonnolenza diurna osservata dai genitori e misure oggettive neurocognitive: disturbi di apprendimento, di attenzione/iperattività e di condotta in un ampio campione di popolazione generale.

Dai risultati di questo studio emerge che la velocità di elaborazione e le prestazioni della memoria di lavoro sono forti mediatori dell'associazione tra DES con problematiche di apprendimento e di attenzione / iperattività; mentre in misura leggermente inferiore sono mediatori per i problemi di condotta. Questo studio ci suggerisce quindi che le prestazioni più povere in termini di velocità di elaborazione e di memoria di lavoro, che vanno ad interferire con le abilità neurocomportamentali del bambino, siano associate a problematiche di eccessiva sonnolenza diurna.

A causa di questa modificazione cognitiva e comportamentale, legata ai DES, possiamo prevedere un impatto significativo sullo sviluppo del bambino. I dati ottenuti in questo studio sono coerenti con il modello teorico secondo il quale i DES vanno a interferire con l’apprendimento, l’attenzione / iperattività e i problemi di condotta attraverso il suo impatto sulla velocità di elaborazione e la memoria di lavoro (Calhoun et al., 2012). Un altro studio (Zuckerman, 1987) ha riferito che la resistenza ad andare a dormire è collegata a problemi di condotta, il sonno agitato è stato associato con l'iperattività e i DES sono stati associati a sintomi emotivi come ansia e depressione.

Una forte relazione tra disturbi del sonno e comportamento iperattivo e disattentivo è stata dimostrata sia su campione di popolazione normale (Chervin et al, 1997; O'Brien et al., 2003) che su campioni clinici (Herman, 2015). Un altro studio (Waters, Suresh, Nixon 2013) ha analizzato i disturbi del sonno e la loro comorbidità con altre condizioni mediche e psicologiche. Per questa ragione domande sul sonno dovrebbero essere parte integrante di ogni consulenza pediatrica anche perché i bambini con sindromi sottosoglia o complessa condizione medica spesso hanno problemi di sonno che non devono essere trascurati.

Gli studi condotti su bambini con disturbi dello sviluppo neurologico come il disturbo da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) e l'autismo hanno riscontrato una maggior

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29 incidenza di siturbi di sonno, tra cui maggior sonnolenza diurna rispetto ai bambini di controllo (Karen Spruyt & David Goza, 2012).

I problemi di sonno sono comuni nel corso della vita, ed è possibile pensare che quando il sonno è ridotto, interrotto o non ristoratore modifichi il comportamento diurno (Pilcher & Huffcutt, 1996; Cirelli, 2006; Jan et al., 2010; Dahl, 1996). Dalla letteratura è noto che in età adulta i disturbi del sonno rappresentino un importante fattore di rischio per lo svilupparsi di disturbi psichiatrici, somatici e di elaborazione emotiva alterata (Baglioni et al., 2011; Baglioni & Riemann, 2012; Riemann et al., 2011; Palagini et al., 2013; Kyle et al., 2014). Negli adulti è stato dimostrato che problemi di

sonnolenza possono essere un predittore di deficit di funzionamento

neurocomportamentale; allo stesso modo una maggiore sonnolenza nei bambini piccoli è stata associata con problemi di apprendimento, d’ iperattività e di comportamento. Inoltre esiste una raccolta di studi che dimostrano un'interazione tra il sonno e

l’elaborazione dell’informazione emotiva. E’ stato descritto il consolidamento selettivo di stimoli emotivi negativi (spiacevoli), che sembra essere strettamente associato con il sonno REM (Wagner et al. 2001, 2006, 2007; Hu et al. 2006; Sterpenich et al. 2007; Payne et al. 2008; Nishida et al. 2009). In questo caso l’ipotesi potrebbe far propendere per un’alterazione della qualità del sonno legata ad un comportamento aggressivo a scuola piuttosto che alla quantità. Inoltre, è stato dimostrato che la deprivazione del sonno altera specificamente la codifica iniziale di stimoli emotivi positivi, nonostante la capacità di apprendimento di informazioni negative possa rimanere invariata (Walker e Stickgold 2006).

Le problematiche legate al sonno in età di sviluppo, inoltre, aumentano il rischio di successive difficoltà emotive e cognitive in adolescenza e nell'età adulta (Gregory e O'Connor 2002; Roberts et al 2001; Gregory et al 2008). Collegamenti tra il sonno e la psicopatologia sono complessi e probabilmente bidirezionali. Tuttavia uno studio riportano che i disturbi e le modificazioni del sonno normale sono stati individuati nelle principali forme di psicopatologia infantile, tra cui disturbi d'ansia, depressione e d’attenzione (Bruni O, Novelli L, & Verrillo E., 2007)

Allo stesso tempo altri due studi hanno dimostrato che gli studenti con comportamenti aggressivi, in confronto ad altri alunni, presentano più sintomi di disturbi del sonno (Chervin R.D. et al, 2011).

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30 Lo studio longitudinale delle problematiche di sonno durante l’infanzia può essere utile per prevenire e prevedere l’aumento di rischio di sviluppare in seguito disturbi d'ansia, disturbo oppositivo provocatorio, così come disturbi di tipo esternalizzante (Shanahan et al., 2014; Sivertsen et al., 2015). Il trattamento dei disturbi del sonno può essere uno degli strumenti utilizzati per mitigare gli altri comportamenti disfunzionali del bambino. Considerato il legame tra i disturbi di sonno e la salute sia fisica che psicologica; i

comportamenti disadattivi a scuola rischiano di essere aggravati dalla scarsa quantità e qualità di sonno.

In conclusione i risultati di questi studi evidenziano che bambini con disturbi dello sviluppo, deficit di attenzione /iperattività, depressione e ansia hanno una maggiore probabilità di avere disturbi del sonno rispetto ad altri bambini.

È possibile che i problemi di sonno siano un fattore di rischio per lo svillupparsi di comportamenti iperattivo-disattenti come pure per comportamenti aggressivi (Aronen et al., 2000; Gregory et al., 2004; Lam, Hiscock & Wake, 2003; Paavonen et al., 2000; Stein et al., 2001)

Gli studi fin ora condotti sulla relazione tra disturbi del sonno e problemi

comportamentali ed in particolare la relazione tra disturbi del sonno e comportamenti aggressivi in bambini di età scolare non sono, per la maggioranza, di natura

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CAPITOLO 3 - IL SONNO

Il sonno e i sui disturbi possono essere identificati come fattori predisponenti per lo sviluppo di innumerevoli patologie, disturbi psichiatrici, somatici, comportamentali e di elaborazione emotiva alterata (Baglioni et al., 2011; Baglioni & Riemann, 2012; Riemann et al., 2011; Palagini et al., 2013; Kyle et al., 2014).

Il sonno rappersenta sicuramente una delle componenti fondamentali della vita di tutte le specie animali, pur essendo un comportamento che rende vulnerabili, è presente dagli invertebrati ai mammiferi, dove è strutturato in modo più preciso e complesso (Jouvet, 2000). Di conseguenza ricopre un ruolo fondamentale anche nella vita dell’uomo, è regolato dal punto di vista biologico e fisiologico in maniera precisa, così come sono regolate tutte le altre funzioni vitali per l’organismo.

Il sonno può essere definito come stato di riposo opposto alla veglia, ma questa

definivione è solo in parte vera. Infatti il sonno, come la veglia, è un processo fisiologico attivo, frutto di una precisa interazione delle diverse componenti del sistema nervoso centrale ed autonomo: nonostante il sonno sia rappresentato da un apparente stato di quiete, durante questo stato avvengono complessi cambiamenti a livello cerebrale che non possono essere spiegati solo come un semplice stato di riposo fisico e psichico (psicologia-italia.it /cartcontributisonno).

Il sonno è caratterizzato da una lenta e graduale disconnessione della coscienza. Rappresenta il passaggio dalla veglia, in cui il soggetto presenta un tipico quadro di attivazione fisiologica, al sonno, fase in cui il soggetto presenta una forte riduzione di coscienza fino a raggiungere uno stato di completa non-coscienza (Tononi, 2008). Come abbiamo detto il fenomeno dell’addormentamento è graduale e conduce ad una progressiva disconnessione dall’ambiente esterno ma questo non significa tagliare completamente i ponti con la realtà: durante il sonno si determina una serie complessa di fenomeni (Mancia, 1996).

Il ciclo sonno-veglia è regolato da interazioni complesse che coinvolgono diversi neurotrasmettitori a carico del diencefalo e del tronco.

Grazie all’utilizzo di macchinari elettromiografici (EEG) e elettroculografici è stato possibile studiare le onde cerebrali che sono più lente ed ampie durante il sonno

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32 rispetto a quelle che si possono osservare durante la veglia, fatta eccezione per una fase che è caratterizzata da rapidi movimenti oculari definita fase REM (Rapid Eye

Moviment) (Cordelli, 1997).

Il sonno può essere suddiviso in cinque stadi, ai quali l’individuo si avvia per gradi, uno REM e quattro non REM. La macrostruttura del sonno è costituita dall’alternarsi

periodico e ciclico degli stadi non REM-REM.

Il sonno REM è caratterizzato da movimenti oculari rapidi, come suggerisce il nome stesso, da riduzione del tono muscolare antigravitario e da onde che si registrano per mezzo dell’EEG a frequenza mista di basso voltaggio, simili a quelle che si registrano nella veglia; per questo motivo viene anche chiamato “sonno paradossale”.

Il sonno nREM è suddiviso in quattro stadi ed ognuno di questi fa registrare un particolare andamento nelle onde cerebrali del tracciato EEG.

Il primo stadio è una transazione dalla veglia al sonno che avviene in modo graduale, infatti, esso viene considerato di passaggio ed è rappresentato dall’addormentamento. Nello stadio due del sonno nREM la soglia per il risveglio è nettamente aumentata, i movimenti oculari e il tono muscolare sono significativamente ridotti.

Gli stadi tre e quattro sono definiti come “sonno profondo” si raggiunge quasi la completa atonia muscolare.

Durante una notte di sonno le fasi nREM e REM si alternano, questo meccanismo costituisce un ciclo che dura nell’adulto circa dai 90 ai 110 minuti e si hanno in media 4 o 5 cicli nel corso della notte (Borbély 1982; Jones 2000; Conti 2005). Il pattern di sonno solitamente comprende una percentuale del 75-80 % nei diversi stadi del sonno NREM ed un 25-20% nella fase REM. Esso subisce modificazioni durante l’arco della vita e si associa a cambiamenti dei sistemi circolatorio, respiratorio ed endocrino.

Il sonno è un fenomeno complesso e numerose ipotesi sono state fatte sulla sua funzione, è certamente uno dei comportamenti fondamentali nella vita dell’uomo, infatti trascorriamo un terzo della nostra vita dormendo. Ogni essere umano sperimenta i fenomeni del sonno e dei sogni, ma la maggior parte delle persone li danno per scontati, senza mai domandarsi quale potrebbe essere il loro scopo biologico (Stern, 2001).

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33 Una teoria, che promuovono il sonno come fondamentale nel ripristinare funzioni metaboliche o nel favorire la plasticità nervosa, hanno tuttavia provato a dare una spiegazione (Stern, 2001).

Inoltre numerosi studi dimostrano che la deprivazione o restrizione di sonno provocano aumento dell’irritabilità, riduzione della vigilanza e deterioramento delle capacità cognitive fino a portare alla morte del soggetto, come nel caso dell’insonnia fatale familiare (Lugaresi et al., 1986; Randazzo et al., 1998; Walker e Stickgold 2006). E’ possibile che il sonno abbia come scopo quello di facilitare la conservazione dell’energia; il sonno potrebbe quindi avere una funzione opposta alla veglia e cioè quella di ristorare l’organismo. A supporto di questa teoria possiamo notare che sia gli uomini che gli animali deprivati di sonno tendono a mangiare di più, quindi

sembrerebbero necessitare di un maggior apporto energetico.

Alcuni studi (Laureys, 2001; Maquet, 2000) sono stati condotti a supporto dell’ipotesi, che il sonno possa influire favorevolmente sia sulla memoria sia dichiarativa che non dichiarativa. Infatti dai risultati ottenuti appare evidente che la memoria viene

potenziata grazie a una riattivazione esperienza-dipendente di popolazioni neuronali. In altri casi, invece, il sonno viene collegato alla memoria emotiva, ed anche in questo caso sembra uscirne potenziata (Holland & Lewis, 2006).

Il sonno REM, in particolar modo, gioca un ruolo fondamentale per il potenziamento del sistema nervoso, infatti durante questa fase di sonno si assiste ad un incremento

dell'attività cerebrale.

Questa osservazione ha ispirato lo studio sperimentale condotto da Stern (2001), in cui i soggetti venivano sottoposti a sessioni intensive di apprendimento e facevano

registrare un aumento significativo del sonno REM durante la notte. Il sonno REM è l’espressione del processo di fissazione dei dati appresi durante il giorno nella memoria a lungo termine. A supporto di questi risultati è possibile riportare che i

bambini presentano una percentuale maggiore di sonno REM rispetto agli adulti ed agli anziani, parallelamente alla maggiore capacità di apprendimento (Stern, 2001).

Una delle ipotesi più recenti riguarda principalmente il sonno ad onde lente (nREM) ed è quella che viene definita omeostatica. La quantità di onde lente andrebbe a

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