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Sophie e Maria: dalla narrazione alla realtà

OLTRE LA PAGINA SCRITTA: PAUL AUSTER E SOPHIE CALLE

IV. 3. Sophie e Maria: dalla narrazione alla realtà

Collaudare libri significa incoraggiare un uso improprio della letteratura: narrativa, saggistica e poesia mettono alla prova il mondo, e il mondo a sua volta le verifica o le falsifica. Si tratta, in piccolo, di una critica della critica letteraria: siamo sicuri che si debba rimanere chiusi dentro l’utopia carceraria delle nostre biblioteche mentali, mobilitando soltanto categorie estetiche? L’unica cosa da fare, alla fine di ogni lettura, è dire: «brutto», «bello»? Oppure bisogna tentare una messa in pratica, un’esperienza suggerita da quelle pagine?16

Tiziano Scarpa, in questo breve saggio intitolato Diciasette collaudi (più uno) presente nella raccolta Cos’è questo fracasso? Alfabeto e intemperanze, propone un differente approccio nei confronti della letteratura, abbandonando la concezione convenzionale del testo come area di pertinenza meramente intellettuale, ed esortando a mettere in questione quanto scritto trasponendolo nella realtà. Questo è esattamente quello che fece, nel 1998, Sophie Calle con i rituali del suo alter-

ego narrativo Maria: verificare se fosse possibile metterli in atto, testandone il grado di aderenza

alla realtà, e collaudandoli al fine di dimostrare se possono sussistere al di fuori del perimetro della pagina scritta, compiendo un movimento unidirezionale dall’interno verso l’esterno, inverso rispetto a quello operato da Auster.

Il primo rituale ad essere posto in esame è la «dieta cromatica» che, nel romanzo, viene descritta nel seguente modo:

Certe settimane [Maria] seguiva quella che chiamava «la dieta cromatica», in cui ogni giorno doveva mangiare esclusivamente cibi di un unico colore. Lunedì, arancione: carote, melone, gamberetti lessi. Martedì, rosso: pomodori, cachi, bistecca alla tartara. Mercoledì, bianco: passera di mare, patate, formaggio. Giovedì, verde: cetrioli, broccoli, spinaci e così via, fino all’ultimo pasto della domenica.17

Ad una prima analisi, Auster presenta la «dieta cromatica» in maniera lacunosa e inadeguata: innanzitutto i giorni ai quali l’autore assegna un colore, con i relativi cibi, sono quattro su sette; in secondo luogo, egli non considera le bevande; infine, elenca, per motivi stilistici, solamente tre alimenti al giorno, costituendo un problema per il fabbisogno alimentare di chi si avvia a collaudare tale regime dietetico. Ovviamente, sul piano della narrazione, queste omissioni

15

P.AUSTER,Leviatano, cit., p. 120.

16

TIZIANO SCARPA,Cos’è questo fracasso? Alfabeto e intemperanze, Torino, Einaudi, 2000, p. 131.

17 P.A

79 non creano alcuna disfunzione; ma nel momento in cui Sophie Calle si appresta a mettere in pratica il rituale, esse costituiscono una barriera da superare. Quindi, l’artista ha dovuto sopperire a tali vuoti, integrando, di sua iniziativa, le componenti mancanti: il lunedì aggiunge alle pietanze il succo d’arancia; il martedì, peperoni rossi arrosto e del vino rosso “Lalande de Pomerol, domaine de Viaud, 1990”; il mercoledì, riso e latte, eliminando, però, dal menu le patate, dato che il loro colore giallo stona con la bianchezza degli altri piatti; il giovedì, pasta verde al basilico, uva, kiwi e una bevanda alla menta. Per i tre giorni restanti, l’artista francese sceglie dei colori a proprio piacimento e crea dei menu adeguati. Venerdì, giallo: omelette afghana, insalata di patate, Young girl’s dream18 ovvero, un dolce costituito da una banana e due palline di gelato al mango, bibita frizzante al limone “Pschitt”. Sabato, rosa: prosciutto, taramasalata,19 gelato alla fragola e vino Rosé della Provenza. Domenica, riassume tutti i colori della settimana, apparecchiando la tavola per sei commensali e assegnando, ad ogni posto, uno dei menu monocromi da lei sperimentati. Calle tuttavia ci tiene a precisare che quel giorno: «Personally, I preffered not to eat; novels are all very well but not necessarily so very delectable if you live them to the letter.».20

Attraverso il collaudo, l’artista francese ha dimostrato che la «dieta cromatica» è un rituale che può essere concretizzato nella realtà, ovviando alle carenze insite nella sua definizione romanzesca. Inoltre, trasponendolo dalla dimensione letteraria a quella reale, Sophie Calle, in quanto artista, le ha conferito lo statuto di opera d’arte concreta.

Il secondo rituale compiuto da Maria, e collaudato dalla Calle, è il seguente: «Giornate intere sarebbero trascorse all’insegna della b, della c o della w e poi, con la stessa repentinità con cui l’aveva iniziato, [Maria] abbandonava il gioco per passare a qualcos’altro».21

In questo caso si tratta di un accenno, di un’idea en passant che Auster sfrutta per rendere conto della personalità creativa ed estrosa del personaggio. Egli non ha alcun interesse ad approfondire tale pratica, ad esplicitarne le modalità di esecuzione, ad indicarne il significato; la sua ideazione è solamente accessoria alla caratterizzazione di Maria.

Nel momento in cui Sophie Calle decide di dare vita a questo progetto, ancora una volta deve darne una propria interpretazione, avvalendosi della propria esperienza e immaginazione al fine di rendere concreta la descrizione estremamente generica di Auster.

18

Sophie Calle racconta che mangiò il Young girl’s dream in un bar quando aveva quattordici anni. Lo ordinò attratta da quel nome che prometteva sogni per giovani ragazze come lei, ma, in realtà, esso non denotava nulla di ideale in quanto le venne servito un dolce composto da una banana e due palline di gelato poste in posizione fallica. Vd. SOPHIE

CALLE,Appointment with Freud, London, Thames & Hudson, 2005.

19

Un piatto tipico della cucina greca e turca a base di uova di carpa, cipolla, aglio, olive e succo di limone.

20

S.CALLE,Double game, cit., p. 21.

21 P.A

80 L’artista francese comincia il collaudo passando un giorno sotto il segno della b: il 10 marzo 1998 è la data in cui Calle realizza una serie di fotografie il cui oggetto è se stessa mentre veste i panni di una Big Time Blonde Bimbo,22 distesa in un letto affollato da numerose specie animali. La foto, nel libro Double game, viene accompagnata da una frase composta interamente da sostantivi inizianti con la lettera b, i quali hanno tutti a che fare con il mondo animale rappresentato nell’immagine; eccezion fatta per Beauty, che si riferisce alla bellezza della Bimbo impersonata dalla Calle, BB, che sta ad indicare Bridgitte Bardot, la quale: «[…] in recent years has taken her preference for the cause of animals over that of humans to the point of caricature».23

Allo stesso modo, Sophie Calle vive due giorni all’insegna della lettera c: uno, il 16 febbraio 1998, intitolato C for Calle and Calle in the Cemetery, in cui si reca al cimitero di Montparnasse a visitare la propria tomba acquistata, sei anni prima, insieme al padre, e uno il 19 marzo 1998, intitolato C for Confession, in cui si confessa in una chiesa. Entrambe le giornate vengono documentate con del materiale fotografico accompagnato da un testo composto da parole inizianti con la lettera c.

Sophie Calle, per il giorno sotto il segno della w, decide di combinare tutte le parole che cominciano per w presenti alla pagina 321 del suo dizionario Harrap francese-inglese in un'unica azione. Il risultato è W for Weekend in Wallonia, dove l’artista francese parte per un finesettimana in Vallonia, compiendo azioni che hanno come oggetto i sostantivi presenti nelle pagine del dizionario (ad esempio: ascolta il walkman, beve del whisky, legge un libro sulla storia del western) e scrivendo un breve testo in cui le racconta.

In questo caso Sophie Calle collauda l’opera, ponendola in linea con il suo modus operandi: viverla in prima persona, supportandola con l’ausilio di immagine fotografiche e testi che descrivono quanto eseguito, i quali assumono la forma di piccoli racconti autobiografici.

In entrambi i casi Sophie Calle ha dovuto riconsiderare le idee di Auster sul piano pratico, colmando le lacune e dando una propria interpretazione di come tali rituali dovevano essere svolti e documentati, approcciandosi attivamente al testo scritto.