DALLA SUPERFICIE ALLA PROFONDITÀ: IL FLUSSO DELL’ARTE NELL’OPERA DI MAURO COVACICH
III. 2 3 Terzo livello: il romanzo inteso come performance
[…] per me Prima di sparire è stato il libro più rischioso perché appunto era un libro nel quale io intendevo imitare il gesto degli artisti, cioè intendevo provare a offrire – come gli artisti che poi nel libro ho citato, cioè i grandi performer contemporanei Marina Abramović , Sophie Calle, Joseph Beuys e altri – un pezzo della mia vita e farne un’opera, anche se detto così suona come solenne e altisonante e non vorrebbe esserlo, però volevo che l’arrischiamento e la mia messa in gioco personale fosse totale.24
Il terzo capitolo della «pentalogia», per come è stato concepito, è molto più vicino al percorso dell’arte contemporanea che a quello letterario: il tentativo di Covacich è quello di porsi in linea con gli artisti che hanno fatto del proprio corpo e della propria vita un’opera d’arte.
La parte biografica del libro si riferisce a ciò che l’autore ha vissuto nei diciotto mesi precedenti la sua stesura: Mauro s’invaghisce di Susanna, nonostante sia legato da molti anni ad Anna. Tra i due nasce una relazione adulterina che porterà lo scrittore a dividersi tra l’oppressione continua del senso di colpa, delle bugie, della sofferenza, e la volontà di chiudere con il passato e iniziare una nuova vita con la donna che sta cominciando ad amare. Nel riportare questo difficile periodo della sua esistenza, Covacich cerca di evitare qualsiasi forma di mistificazione del sé, mostrandosi nella scrittura così com’è, senza filtri e senza migliorarsi: «Offrire un pezzo di me senz’alcuna trasfigurazione […]».25
È a questo punto che si accede ad una nuova manifestazione del rapporto tra arte e scrittura nel percorso di Covacich: scrivere diviene un’azione simile a compiere una performance, mettendo a nudo il soggetto, esibendo se stesso al lettore.
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M.ITALIA, Intervista a Mauro Covacich, cit.
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EWA NICEWICZ, L’uomo in caduta. Intervista a Mauro Covacich,
55 La scelta di raccontare proprio il tradimento non è casuale perché lo scrittore triestino pensa che la verità dell’identità di un individuo sia percepibile solamente attraverso tre sentimenti: «[…] io vado in quel posto dove mostro il mio dolore, la mia colpa, e la mia oscenità; probabilmente lì troverò la mia verità».26
Il senso di colpa provato da Mauro è causa di un’afflizione tale da indurlo a cercare di espiarla compiendo dei rituali masochistici volti a debilitare il proprio corpo:
Durante l’assenza di Anna sorbisco cinque porzioni di quotidiane di Juice Plus: frutta e verdura disidratate in pillole. […] Quando la fame s’incattivisce, tolgo dal freezer un recipiente sottovuoto con dentro il vomito che metto da parte tutte le volte che mi procuro un’indigestione d’acqua, e lo mangio prima che ridiventi completamente liquido. È un atto che compio in modo piuttosto cerimonioso. Mi siedo a gambe incrociate davanti allo specchio della camera da letto e cerco di rimanere impassibile mentre ingoio.27
E ancora:
Quando stai male, quando stai talmente male che ti pare di morire, quando il cuore ti scoppia e il male dilaga dappertutto, quando pensi che lo scricchiolio che senti è il tuo cervello che si spacca, fai così: trattieni l’urina. Esci, parla con gli amici, bevi insieme a loro, non pensare a te. Resta fuori fino a tardi, continua a bere e non andare al bagno. A un certo punto, molto dopo lo stimolo, comincerai a sentire dolore, ma tu non mollare. Resisti. […] Finché sentirai il punto, un punto che la disperazione riconoscerà all’istante, oltre il quale davvero non potrai fare a meno di urinare.28
Questo accanimento autolesionistico portato avanti con ostinata determinazione, da evento privato, attraverso il racconto, diviene pubblico, condiviso. Nonostante non vengano mai citati nel corso della pentalogia e negli altri libri dell’autore, è difficile non vedere in questa volontà di esibire dei comportamenti masochistici un riferimento alle performances di due artisti che proponevano il dolore auto-inflitto come forma d’espressione artistica: Gina Pane (1939-1990) e Vito Acconci (1940). Della prima si pensi ad Azione sentimentale (1973) in cui l’artista italo-francese, vestita di bianco, stringeva a sé un mazzo di rose, fino al punto di pungersi con le spine, oppure si tagliuzzava con delle lamette, cospargendo di sangue rosso la sua candida veste; del secondo, invece, si consideri la serie Three adaptation studies (1970) in cui l’artista italo-americano cercò: di infilarsi in bocca un pugno; di tenere gli occhi aperti mentre si gettava in volto dell’acqua e sapone; di afferrare, bendato, delle palline da ping pong che gli venivano sparate contro; oppure Trademarks (1970), in cui morse la superficie del proprio corpo, lasciando impressi sulla pelle i segni dei denti. Ad esso, tuttavia, Covacich è legato anche per un altro tema comune: l’esposizione pubblica di
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M.ITALIA, Intervista a Mauro Covacich, cit.
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M.COVACICH, Prima di sparire, cit., p. 28.
56 azioni che umiliano chi le compie. Mauro si nutre del proprio vomito, trattiene la propria urina fino quasi ad esplodere, espone le proprie miserie e vanità, il suo egoismo, con lo scopo intrinseco di mostrare la sincerità del proprio racconto, la volontà di non autocelebrarsi, di non mentire, di non omettere certi avvenimenti per preservare la dignità dell’«io». Acconci, nell’opera intitolata
Seedbed (1972) si masturbò nascosto sotto una pedana, all’interno di una galleria d’arte,
amplificando i propri ansimi in modo che fossero uditi dagli spettatori in tutto l’edificio. La
performance venne documentata anche attraverso degli scatti fotografici che mostrano l’artista
intento a compiere l’atto onanistico. Sebbene il fine di Acconci sia diverso da quello di Covacich («Le sue azioni si sono svolte all’insegna del rapporto tra la persona e il pudore, dei limiti invalicabili oltre i quali una relazione tra individui si trasforma in fastidio o insulto»),29 anch’egli compie un atto privato, e riprovevole per la società, in un contesto pubblico, umiliando se stesso attraverso lo sguardo dello spettatore.