• Non ci sono risultati.

SPAZI DELL'INTERMEDIAZIONE DEL MERCATO BOVINO

Nel documento Cronache Economiche. N.009-010, Anno 1979 (pagine 43-49)

IN PIEMONTE

Fausto M. Pastorini

Le indagini di mercato condotte in tempi relativamente recenti nel settore dei beni agricolo-alimentari convergono notoria-mente nel rilevare che il sistema distbutivo realizzato nel nostro Paese ri-guardo ai beni riferiti è eccessivamente frazionato e pletorico.

Questa situazione comporta conseguen-ze negative sul livello generale del be-nessere economico, sull'avanzata dei processi di sviluppo e sul migliore im-piego delle risorse disponibili, atteso che la polverizzazione dell'apparato di-stributivo favorisce, da un lato, l'au-mento dei costi di distribuzione e la lievitazione dei prezzi al consumo, men-tre ostacola, dall'altro, l'introduzione e la diffusione delle innovazioni tecnolo-giche.

Connotazioni non dissimili caratterizza-no il mercato piemontese dei bovini e delle relative carni. Si tratta di un mer-cato dagli aspetti interessanti, dovuti al-la complessità dei circuiti di commer-cializzazione che si inseriscono tra l'al-levatore-produttore dell'animale da ma-cello o da ristallo ed il consumatore di carne bovina, o l'industriale conserviere

e trasformatore, o l'allevatore-ingrassa-tore.

LE FIGURE DEGLI OPERATORI NEL M E R C A T O DEI BOVINI

Tali circuiti delineano la via dell'inter-mediazione, via che appare frazionata in segmenti più o meno numerosi rappre-sentati da operatori diversi tra cui spic-cano due figure preminenti, costituite dal « negoziante » di bovini e dal « ma-cellaio ».

Il negoziante è un vero e proprio im-prenditore commerciale che esercita una attività intermediaria nella circolazione e nello scambio di un unico bene, cioè del bovino, per la cui negoziazione egli si presenta molto spesso in veste di ope-ratore specializzato nel senso che tratta

Nota dell'Autore. Il presente studio ripropone in

larga parte l'articolo comparso sul settimanale « Terra e vita » <n. 38 - 1979), la cui intelligibi-lità è stata in alcuni punti pregiudicata da tagli e bizzarre variazioni apportate al testo originale.

in esclusiva una sola categoria animale, ad es. vitelli, oppure vacche da latte, oppure bovini da ristallo. È un impren-ditore, poiché si assume i rischi della compravendita degli animali corrispon-dendone il prezzo all'allevatore-produt-tore e rivendendo in proprio gli animali sul mercato.

Talvolta il negoziante si accorda con l'allevatore per trattenere gli animali ac-quistati in « stalle di sosta », in attesa del momento più favorevole per la ven-dita. Altre volte il negoziante compra bovini appena slattati e li affida per l'in-grasso ad allevatori riproponendosi di vendere in proprio gli animali una volta che questi abbiano raggiunto il peso voluto, e remunerando l'allevatore con un compenso fìsso prestabilito.

Nelle transazioni di bovini da ristallo molti allevatori si accordano direttamen-te, ma i più preferiscono dare fiducia al negoziante che si interpone quindi fra le parti, talvolta con funzioni di sem-plice mediatore, ma più frequentemente con funzioni di rivenditore.

Il negoziante affermato, il cui medio cir-colante assume valori che gli permet-tono di sostenere un rilevante giro d'af-fari, si avvale della collaborazione di raccoglitori, di mediatori e di commis-sionari.

Il raccoglitore segnala gli animali dispo-nibili nei vari allevamenti, li raccoglie a contratto concluso dal negoziante e li avvia sul mercato per la vendita; il

me-diatore si limita a facilitare i contatti e

le conseguenti contrattazioni tra nego-ziante e produttore; il commissionario acquista animali sul mercato in nome proprio ma per conto del negoziante cui è vincolato da un contratto di commis-sione.

Raccoglitori, mediatori e commissionari allungano ovviamente la catena dell'in-termediazione. Pur conoscendo il « me-stiere », essi occupano una posizione su-bordinata e vi rimangono, o per scarso spirito d'intrapresa o per carenza di liquidità; ma quando l'uno e l'altra non fanno difetto gli operatori summenzio-nati, forti dell'esperienza acquisita, pos-sono diventare abili negozianti.

Nel commercio dei bovini da macello si pone un'altra figura di rilievo, oltre a quella del negoziante, cioè il macellaio.

Anch'esso è un imprenditore commer-ciale che tuttavia unisce all'abilità nego-ziatrice approfondite conoscenze tecni-che nel settore specifico della macella-zione degli animali. Egli è ad un tempo negoziante e macellatore ed esercita l'at-tività che gli compete in grosso oppure al dettaglio quale titolare di una bot-tega di macelleria.

Il macellaio grossista è collegato, da un lato, con gli allevatori o con i negozian-ti, dall'altro con i macellai dettaglianti e / o con le industrie conserviere e di trasformazione.

Anche il macellaio in grosso può avva-lersi della collaborazione di raccoglitori, mediatori e commissionari.

I CIRCUITI

DI C O M M E R C I A L I Z Z A Z I O N E

I circuiti di commercializzazione dei bo-vini e delle relative carni diversificano in rapporto al territorio da approvvigio-nare, il quale può cadere in zona rurale, oppure può essere costituito da un gran-de centro urbano.

Nelle zone rurali il circuito è dominato dalla figura del macellaio che si inter-pone fra l'allevatore-produttore ed il consumatore finale di carne fresca. È il macellaio che compra i bovini dagli al-levatori locali — in via diretta o tal-volta con la collaborazione di raccogli-tori e mediaraccogli-tori — e serve una clientela di consumatori piuttosto ridotta, forma-ta per la massima parte dagli stessi alle-vatori-fornitori.

L'approvvigionamento dei grandi centri urbani è molto più complesso. Esso si

svolge su un doppio circuito che risulta molto intermediato attorno alle due fi-gure principali del negoziante e del ma-cellaio in grosso.

Una quota delle carni avviate al con-sumo proviene del cosiddetto « circuito

morto »: si tratta di carni foranee che

giungono in città già macellate in ma-celli extraurbani. Un'altra quota provie-ne dal cosiddetto « circuito vivo »: sono carni derivate da animali condotti in stabilimenti intraurbani e quivi macel-late.

La ripartizione delle carni macellate fra i due circuiti ora ricordati va osservata con attenta considerazione e meriterebbe di essere specificamente analizzata con dati da raccogliersi in serie temporali. Relativamente alla città di Torino, alcu-ne informazioni assunte in tempi non re-centi ponevano in evidenza un'aumen-tata richiesta di carni foranee rispetto a quelle provenienti dal circuito vivo. Sarebbe certo utile puntualizzare il fe-nomeno per un arco di tempo riportato agli ultimi anni e sufficientemente lungo a delineare una significativa retta del trend. Se da questa scaturisse, per ipo-tesi, l'osservazione che il circuito morto si è via via collocato su posizioni espan-sive e prioritarie rispetto al circuito vi-vo, l'Autorità preposta all'ordinamento politico-amministrativo potrebbe trarne documentati motivi decisionali per favo-rire la diffusione e l'adeguata organizza-zione di macelli dislocati negli agri cir-convicini alle grandi aggregazioni urba-ne o ubicati urba-nei centri prossimiori a lar-go ed efficiente sviluppo zootecnico. Indipendentemente dal problema ora esposto, sembra opportuno rilevare, co-me nota di fondo presentata dal co-mercato dei bovini in Piemonte, che le negozia-zioni intercorrenti tra allevatore, nego-ziante e macellaio si basano essenzial-mente sulla collaudata conoscenza e sul-la fiducia interpersonale.

LA FORMAZIONE DEI PREZZI

Alla formazione del prezzo al dettaglio della carne macellata concorrono ovvia-mente il prezzo pagato all'allevatore ed il costo delle trasformazioni operate nei circuiti di commercializzazione sopra-descritti.

In proposito, si è condotta una breve indagine su una categoria rappresenta-tiva di bovini da macello, cioè sul vitel-lone portato ad un p.v. finito mediamen-te pari a kg 400. Va subito rilevato che tale indagine è ristretta per il numero dei dati raccolti e per il tempo di osser-vazione; da ciò discende che i risultati conseguenti non sono ovviamente da ac-cettarsi in via" definitiva, ma possono

es-sere interpretati come un primo orienta-mento non privo di significato.

Per quello che si riferisce al prezzo

pa-gato all'allevatore si è seguita la

seguen-te metodologia di ricerca:

Dai prezzi di mercato in grosso praticati per 3 importanti gruppi di vitelloni (di razza Piemontese di la cat., di razze estere della coscia, di razze estere nor-mali) e dalle quantità dei medesimi ven-dute durante il trimestre aprile-giugno 1979 nel Foro boario di Chivasso se-condo le indicazioni riportate nei relati-vi listini ufficiali, si è ricavata la quota-zione media ponderata del vitellone. Da tale quotazione si è poi desunto — con il conforto delle informazioni raccolte presso allevatori delle provincie di Cu-neo e di Torino — il prezzo medio ri-scosso in azienda dal produttore, prezzo che è risultato pari a L. 1698 il kg. Relativamente ai prezzi al dettaglio si sono consultati i listini elaborati dall'Uf-ficio statistica della città di Torino nel trimestre sopra ricordato e si sono rile-vati i prezzi medi — desunti dalle osser-vazioni effettuate in 42 macellerie citta-dine — attribuiti alle carni fresche di vitellone per le preparazioni qui di se-guito elencate:

— preparazioni di 1° taglio (filetto, fesa, noce, lombata, ...): L. 7800 il kg; — preparazioni di 2° e 3° taglio

(sotto-spalla, bianco costato, punta di petto, lingua, ...): L. 4200 il kg.

Per un vitellone del p. v. medio di kg 400 ed appartenente ad uno dei grup-pi precedentemente indicati, la resa me-dia al macello dei quattro quarti è del 5 5 % . Tenuto conto delle perdite in peso del bovino macellato e ridotto in quarti, nonché di quelle dovute all'esclusione di parte delle ossa e del tessuto adiposo perimuscolare dalle normali preparazio-ni dei tre tagli, la resa media in carne vendibile si riduce al 4 5 % , di cui il 6 0 % viene mediamente assegnato alle preparazioni di 1° taglio e la restante quota a quelle di 2° e 3° taglio.

Si fa ora seguire un quadro sinottico che prospetta i ricavi calcolati su la base dei parametri precedentemente indicati, nonché il margine acquisito dai circuiti di commercializzazione:

I) Ricavo dal vitellone venduto a p.v. in azienda: kg 400 a L. 1698 = L. 679.200

II) Resa media di carne vendibile del vitellone di kg 400 di p.v.:

kg 400 X 0,45 = kg 180

III) Peso delle preparazioni destinate alla vendita al dettaglio:

a) di 1° taglio: kg 180 x 0,60 = kg 108 b) di 2° e 3° taglio: kg 180 X 0,40 = kg 72 IV) Ricavo dalle preparazioni vendute al dettaglio:

a) preparazioni di 1° taglio:

kg 108 X L. 7800 = L. 842.400 b) prepar. di 2° e 3° taglio:

kg 72 X L. 4200 = 302.400 c) preparaz. del quinto quarto:

fegato kg 3 X L. 7800 = L. 23.400 trippa cotta kg 20 X L. 2000 =

= L. 40.000 63.400 Totale ricavo L. 1.208.200

Il margine acquisito dai circuiti di com-mercializzazione sopradescritti, desunto dai dati esposti nei precedenti punti I e IV, assume quindi il valore medio qui di seguito riprodotto:

Ricavo dal vitellone Margine dei circuiti

di commercializzazione Ricavo dalle preparazioni

vendute al dettaglio

679.200 56,2 529.000 43,8

L. 1.208.200 100,0

Che i prezzi della carne fresca, soprat-tutto per le preparazioni di 1° taglio, raggiungano livelli elevati è certamente dovuto, in parte, al frazionamento

del-l'intermediazione ed in parte ad altre circostanze non meno incidenti.

Non va infatti dimenticato che la conser-vazione della carne, consideratane la ra-pida deperibilità, esige l'impiego di un servizio aggiuntivo rappresentato dalla catena del freddo; che l'alta quantità dei materiali « di scarto » provenienti dagli animali macellati grava sul prezzo delle preparazioni destinate al consumo; che la propensione verso te utilizzazioni del quinto quarto risulta in Piemonte assai ridotta; che il ritmo di diffusione delle innovazioni tecnologiche nel settore del-la maceldel-lazione ed in quello deldel-la tra-sformazione e conservazione delle carni è piuttosto lento e contenuto, atteso che molti operatori continuano a permanere

su posizioni di carattere artigianale; che i canali commerciali attualmente ope-ranti non sono facilmente eliminabili, garantiti come sono, almeno per coloro che li percorrono, da consuetudini affer-mate di generazione in generazione e tal-volta da antiche tradizioni.

L ' A S S O C I A Z I O N I S M O C O M E VIA DI DIFESA DEL POTERE CONTRATTUALE DEGLI ALLEVATORI

Una causa certo primaria dell'eccessivo frazionamento dei circuiti di commercia-lizzazione dei bovini e delle relative car-ni è dovuto alle dimensiocar-ni operative de-gli allevamenti.

In Piemonte i nuclei d'allevamento bo-vino di minima entità (da uno a non più di 10 capi) e di media entità (da 11 a 20 capi) costituiscono 1*87% del to-tale e raccolgono il 5 0 % dei bovini alle-vati. Ciò significa che nella panoramica

del patrimonio bovino piemontese si svi-luppa una rilevante frangia di alleva-menti frazionati condotti in aziende ugualmente frazionate.

È evidente che gli allevamenti polveriz-zati manifestano aspetti di insufficienza tecnica e commerciale: essi non posso-no condurre un'attività zootecnica mo-dernamente evoluta, e ad un tempo costi-tuiscono un forte incentivo al consoli-damento dei più lunghi percorsi dell'in-mediazione poiché si presentano sul mer-cato con un'offerta dispersa ed atomisti-ca, che contribuisce ad indebolire il po-tere contrattuale degli allevatori. Di qui l'inderogabile necessità di pro-muovere ogni utile iniziativa che asse-condi l'associazionismo degli allevatori che operano su dimensioni di alleva-mento ai margini della convenienza eco-nomica.

Senza discutere il diverso grado di effi-cienza delle varie formule associazioni-stiche vale tuttavia riflettere che, secon-do i casi e le differenti circostanze, gli allevatori associati possono limitare il loro interesse alla sola fase della produ-zione strettamente zootecnica con la rea-lizzazione di stalle sociali, oppure pos-sono allargare i loro intendimenti

asso-ciativi alla programmazione delle produ-zioni foraggere che rappresentano il na-turale supporto degli allevamenti, e pos-sono anche percorrere la via della com-mercializzazione con l'impianto, ad es., di cooperative di macellazione.

Con ciò non si vuole negare l'utilità di alcune tappe dei circuiti di commercia-lizzazione difficilmente assegnabili o ac-cettabili da parte degli allevatori; si vuol soltanto affermare che è interesse degli allevatori diffondere ed adottare i pro-cessi di integrazione poiché questi rap-presentano la via maestra per modificare in meglio la loro posizione contrattuale di produttori di fronte agli altri opera-tori del mercato.

LA PEDONALIZZAZIONE

Nel documento Cronache Economiche. N.009-010, Anno 1979 (pagine 43-49)

Documenti correlati