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LO SPAZIO E IL TEMPO DEL MALATO IN RELAZIONE ALL’OSPEDALIZZAZIONE

Nel documento Strategie comunicative (pagine 140-147)

TEORICI E PRATIC

4.3 LE PROBLEMATICHE DELLA COMUNICAZIONE IN RELAZIONE ALLA PERSONA MALATA

4.3.5 LO SPAZIO E IL TEMPO DEL MALATO IN RELAZIONE ALL’OSPEDALIZZAZIONE

Per meglio comprendere la dimensione psicologica dell’ammalato, è opportuno fare alcune considerazioni sulle variazioni spazio - temporali che si determinano durante la malattia. L’uomo ha bisogno di muoversi all’interno di queste due dimensioni, lo spazio ed il tempo, che gli appartengono, benché egli non ne abbia una consapevolezza costante. Lo

spazio non è soltanto quello cosiddetto vitale, inteso cioè come la

tridimensionalità assolutamente necessaria alla sopravvivenza. Vi è un anelito continuo verso i grandi spazi: la stanza, la casa, la piazza, la città, le

praterie, il mare, l’universo. La conquista del grande spazio è la conquista della libertà. La dimensione spazio viene peraltro profondamente modificata dalla velocità dei mezzi di comunicazione. E tale velocità non comporta soltanto lo spostamento nello spazio, ma attraverso i successi della tecnologia, anche la comunicazione del pensiero in tempo reale. Ciascuno di noi ha sicuramente fatto esperienza diretta dell’importanza dello spazio. Quando esso si riduce al di là di parametri accettabili, le reazioni possono giungere a stati fobici sino a fenomeni di panico (comune è l’esperienza riportata da chi rimane intrappolato in un ascensore che si è bloccato).

In particolare, la malattia relega in una stanza, in un letto, a volte in uno spazio ristretto ed imposto da specifici accertamenti e terapie. Basti pensare alla condizione di spazio imposto dalla terapia flebologica o al lettino operatorio o al tubo della risonanza magnetica.. Lo spazio che l’ospedale rende disponibile per l’ammalato è sempre ristretto: una corsia, una stanza a più letti. Egli perde i propri punti di riferimento: la strada, l’ufficio, la sua casa, i suoi mobili, i suoi oggetti. Spesso deve condividere con estranei i servizi igienici, il riposo, rinunciare alla sua privacy. Il suo spazio si restringe non soltanto fisicamente, ma si restringe anche il suo spazio

interno, costretto com’è a riferirsi ai ricordi e alla fantasia, in assenza di stimoli esterni. Si modifica anche lo “spazio relazionale”: per esigenze istituzionali le relazioni con parenti ed amici sono estremamente ridotte e comunque mantenute su livelli superficiali. I rapporti sono soprattutto con il personale medico e infermieristico, ma anche in questo caso è possibile individuare alcune caratteristiche che possono provocare disturbi alla comunicazione; infatti lo spazio del paziente è, spesso, limitato. Lo spazio dei medici, degli infermieri, dei familiari e degli amici è proiettato in una realtà esterna assai più ricca di contenuti. Ma ad un attento esame risultano di particolare rilievo le storie con i compagni di stanza. Cosicché lo spazio della stanza diventa un nuovo microcosmo per la realizzazione di un funzionamento affettivo necessario ad un diverso e provvisorio adattamento.

Il tempo è l’altra grande variabile, assolutamente fondamentale per rispondere ai bisogni di progettualità propri dell’individuo. Vi è un tempo regolato da eventi esterni, come l’alternanza delle stagioni, in cui la variabile climatica contribuisce al determinismo della percezione del tempo medesimo. Come il giorno e la notte sono regolati dall’incidenza dei raggi di luce. La percezione corretta del “tempo esterno” è un parametro che

necessita di segnali dal mondo. Basti pensare a tal proposito che gli speleologi che si avventurano in esperienze sotterranee di lunga durata, dopo un po’ perdono la cognizione del tempo trascorso. Vi è poi un “tempo interno”, di cui abbiamo una conoscenza non immediata e che è ritmato da quell’orologio biologico interiore che si avvale, allo stato delle conoscenze, di modificazioni biochimiche, ormonali, umorali, in buona parte conosciute.

La corretta valutazione del tempo risente moltissimo dei nostri stati d’animo. Tutti hanno sperimentato l’ansia, quando il tempo disponibile per un determinato compito è estremamente ridotto. Al contrario, il troppo tempo a disposizione a volte può determinare una condizione di noia, che in alcune circostanze e per determinati individui non è disgiunta dalla depressione. Il nostro vivere quotidiano, dunque, si svolge in uno scenario nel quale spazio e tempo arrivano a dare, in condizioni particolari, una percezione di benessere o di disagio. Al di là dei nostri stati emozionali interiori, legati a problematiche conflittuali, e fatte salve le variazioni indotte da eventi esterni, una dilatazione o un restringimento del tempo e dello spazio possono rendersi responsabili di per sé di alterazioni psico - affettive.

Con la scoperta di una malattia molto grave il tempo subisce un arresto. Quello che era lo svolgersi anche caotico e incessante della vita, con i mille impegni imposti dal vivere quotidiano e con la velocità legata al bisogno di esperire rapporti in tempo reale, come d’incanto rallenta notevolmente, quasi fino a fermarsi. Nuovi soggetti e nuove situazioni entrano nel proprio mondo a scandirne i ritmi. Se la malattia è di breve durata e di lieve entità il processo temporale rallenta soltanto, e anzi può divenire una salutare pausa per ritrovare sopiti interessi. Ma se è seria e cronica, ed ancor di più a prognosi incerta, il tempo è stravolto.

Ad esempio se un individuo ha subito un danno cardio - vascolare vive, almeno all’inizio, il proprio tempo come svolto in piccoli frammenti. E anche chi ha superato la fase acuta è costretto a “rallentare” i propri impegni, cioè a dilatare il tempo. È soprattutto il cancro che stravolge la dimensione temporale. Crolla la capacità progettuale, caratteristica peculiare dell’uomo. Il tempo non si proietta più al di là che di poche settimane. I ritmi sono scanditi dai tempi delle terapie e dei controlli del follow - up, che in certi casi si protraggono per anni.

Alcuni studiosi affermano che soprattutto il paziente oncologico sperimenti la dimensione dell’extra - time. Questo termine assume

l’accezione di “tempo che resta da vivere” per quanti si prendono cura del soggetto, come parenti o sanitari, con tutte le fantasie che ne conseguono sino a quella del lutto anticipato che si vive in alcune famiglie. Dal punto di vista del malato l’extra - time è invece un “vivere fuori dal tempo”. Superata positivamente la malattia, questi pazienti apprendono una nuova dimensione temporale. I loro ritmi rallentano nuovamente. Colui che ha lambito il limite della morte comprende meglio la vita ed indugia ad assaporarne ogni attimo. Ci sono pazienti che una volta guariti hanno abbandonato l’uso dell’orologio, come a dimostrare che la dimensione tempo finisce per essere una convenzione sociale, che può intralciare il libero fluire della vita.

È possibile pertanto che si stabilisca una divergenza ideologica tra l’ammalato e il mondo, tra il paziente e i suoi medici. Essi si trovano rispettivamente a vivere un tempo rallentato ed un tempo accelerato e questo può rappresentare una prima barriera per una comunicazione efficace. Ad esempio, un messaggio dato dal medico o da un infermiere in pochi secondi trova nel paziente un ascoltatore che ha fin troppo tempo per elaborarlo e rielaboralo. Questa possibile ruminazione ossessiva diviene facilmente fonte di angoscia. Una comunicazione empatica non può

prescindere dalla conoscenza di queste variabili, che hanno un peso specifico di elevato significato.

Anche la gestione del tempo subisce una modificazione: si dilata o si contrae in funzione del contenuto affettivo degli avvenimenti. La vigilia di esami diagnostici particolarmente impegnativi, ad esempio, comporta una dilatazione del tempo, dominato dall’angoscia e dalla paura per un risultato sfavorevole.

Alla vigilia di un intervento chirurgico l’angoscia più frequente nei pazienti è legata ai tempi dell’anestesia. Con l’immaginazione il paziente vive la “sospensione del tempo” in una fantasia che accomuna l’incoscienza dell’anestesia all’incoscienza del sonno, alla sospensione della vita, ad una “morte artificiale”. Un tempo mai più recuperabile, neanche se assimilato al sonno notturno, durante il quale il mondo, nella sala operatoria e fuori di essa continua a muoversi freneticamente.

Il follow - up, benché rappresenti una modalità necessaria, rappresenta un “luogo temporale” impregnato di angoscia. C’è uno sforzo notevole per dilazionare nel proprio mondo fantasmatico le scadenze, quasi a voler allontanare da sé il timore di responsi infausti. Anche qui il tempo determina una barriera tra personale medico - infermieristico e paziente. I

sei mesi del prossimo esame sono per il medico un tempo dai significati esclusivamente statistici, ma per l’ammalato rappresentano una dilazione concessa alla propria sopravvivenza. Il tempo dell’indagine diventa interminabile ed ancora più lungo il tempo dell’attesa dei risultati. Benché in termini profondamente diversi, questa percezione temporale distorta coinvolge spesso anche i familiari.

4.4 L’ATTIVITÀ ASSISTENZIALE DELL’INFERMIERE E I RISCHI

Nel documento Strategie comunicative (pagine 140-147)