La storia dell’inclusione negli Stati Uniti inizia con un’esclusione totale e un’evidente forma di discriminazione (Smith, 1985): tra il 1800 e 1900 molti disabili e immigrati furono sterilizzati al fine di mantenere la superiore razza umana inalterata (Fleischer & Zames, 2001).
Agli inizi del secolo ventesimo cominciò a diffondersi la scuola pubblica istituita anche per fronteggiare l’utilizzo di bambini come forza lavoro: il risultato, tuttavia, non fu sempre positivo in quanto molti alunni, secondo l’opinione dei docenti, non rispondevano agli standard della supposta normalità; gli insegnanti ritenevano, infatti, che sarebbe stato meglio offrire agli alunni con bisogni speciali un’istruzione più adatta alle loro necessità (Osgood, 2008).
Cominciarono a nascere molte scuole speciali in cui alunni di diverse età e diversi funzionamenti erano riuniti in una stessa classe (ungraded classes); durante questo periodo, inoltre, divenne molto popolare la rilevazione del grado di intelligenza degli studenti attraverso specifici test utilizzati dalla ricerca scientifica per suffragare la teoria dei differenti livelli cognitivi e della necessità di scuole speciali rivolta agli studenti non in grado di conformarsi allo standard (Bennett, 1932).
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Nonostante non fossero esplicitamente menzionate dalla legge federale, nella prima metà del secolo scorso iniziarono ad istituirsi classi speciali per studenti con disabilità fisiche e intellettive. Gli studenti con gravi disabilità, invece, non avevano alcun diritto alla formazione ed erano destinati a rimanere nelle loro case o in istituti preposti (Mutua, Siders & Bakken, 2011).
Con l’avvento del movimento dei diritti civili nel 1954 si cominciò a riflettere sull’idoneità delle istituzioni scolastiche rivolte ad alunni con disabilità e sulla loro effettiva efficacia.
Tra il 1950 e il 1960 alcuni ricercatori iniziarono a comparare i risultati dal punto di vista didattico e relazionale di alunni con disabilità frequentanti le classi speciali e alunni con disabilità inclusi nelle scuole generali (general education school). I risultati dimostrarono che gli alunni nelle scuole generali avevano avuto risultati migliori dal punto di vista didattico rispetto a quelli inseriti nelle scuole speciali (Goldstein, Moss & Jordan, 1965).
Negli anni’60 il ricercatore Lloyd Dunn (1963) scrisse un saggio nel quale si interrogava sull’idoneità delle scuole speciali dal punto di vista didattico e ventilava l’ipotesi di un’integrazione degli alunni con disabilità nella general education. Molto interessante la posizione di Mercer (1973) il quale coniò la frase “ritardo di sei ore” riferita agli studenti che durante le ore di lezioni a scuola erano considerati disabili intellettivi (spesso appartenenti all’etnia non predominante e non in grado di parlare correttamente la lingua inglese), mentre nella loro realtà quotidiana non erano in alcun modo oggetto di stigma sociale.
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L’atteggiamento delle istituzioni scolastiche continuava ad essere molto restio nei confronti degli alunni considerati non in grado di uniformarsi ad un tipo di scuola lontana dalla focalizzazione nei confronti degli specifici bisogni dei discenti. Alla fine degli anni ‘60 del secolo scorso il mondo accademico iniziò a criticare la
special education e contemporaneamente si sollevarono numerose proteste da parte
dei genitori degli alunni con disabilità contro il sistema scolastico statunitense (Codrington & Fairchild, 2012).
La più importante legge federale fu la “Elementary and Secondary Education Act” del 1965 che prevedeva il finanziamento da parte degli stati di programmi e servizi dedicati all’educazione rivolta a studenti con disabilità.
Nel 1975 la “Education of the Handicapped Act”, sucessivamente rinominata
“Individuals with Disabilities Education Acts” (IDEA, 1990), mise le basi per la
creazione del sistema legislativo ancora oggi vigente.
Questi importanti traguardi legislativi furono integrati nel 1997 attraverso l’introduzione di direttive riguardanti le differenze discipline e il ruolo dell’insegnante (con nessun riferimento, tuttavia, all’insegnante di sostegno). Nel 2004 la IDEA è stata modificata e completata attraverso la definizione dei seguenti principi fondamentali per la salvaguardia degli studenti con bisogni speciali:
- Zero reject (nessun rifiuto), che definisce l’inclusione di tutti gli studenti, indipendentemente dalla tipologia e dalla gravità della loro disabilità - il Free Appropriate Public Education (Istruzione pubblica gratuita) che
prevede la fruizione della special education e dei servizi correlati a titolo gratuito
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- Least restrictive environment (ambiente più inclusivo) che garantisce un ambiente adeguato allo studente e limita l’esclusione dalle classi appartenenti alla general education
- Non-discrimination evaluation (valutazione non discriminatoria) che pone regole specifiche per la valutazione della disabilità (i test devono essere fatti nella lingua madre, devono adeguarsi all’età dello studente ai suoi livelli cognitivi).
- Procedure safeguard (procedura di salvaguardia) che definisce che ogni decisione dev’essere presa insieme ai genitori e nel rispetto della legge.
Attualmente negli Stati Uniti il processo di inclusione sta intraprendendo due fondamentali direzioni: la possibilità di inserimento di tutti gli alunni con bisogni speciali nelle general classes e l’individuazione di pratiche inclusive al fine di valutare i contesti scolastici (Turnbull, 2013).
Il passaggio dalla teoria alla pratica inclusiva, infatti, risulta molto complesso soprattutto a causa della mancanza di formazione, di programmi condivisi e di servizi in grado di soddisfare l’esigenza di una scuola realmente inclusiva (Bateman, Lloyd & Tankersley, 2015).
Il sistema scolastico statunitense prevede otto tipologie di scuola per alunni con bisogni speciali:
• Scuola pubblica: completa inclusione • Scuola pubblica con programmi pull-out • Scuola pubblica con classi speciali
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• Charter school (equiparabile alle scuole paritarie italiane): completa inclusione
• Charter school con programmi pull-out • Charter school con classi speciali
• Scuola privata per alunni con bisogni speciali
I programmi pull-out, basati sul “portar fuori” dalle general classes gli alunni con bisogni speciali affinché possano seguire una programmazione alternativa, non soddisfano i criteri dell’inclusione in quanto gli studenti non partecipano a tutte le attività della classe in cui sono inseriti (Idol, 2006).
5.2 Gli atteggiamenti degli insegnanti statunitensi nei confronti della