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specifica è ammissibile ove sussistano i presupposti prescritti dall’art 2058 c.c

Nel documento L’art. 42-bis del d.P.R. n. 327 del 2001 (pagine 161-163)

299 Si ricorda che già l’art. 7, comma 3, della legge n. 1034 del 6 dicembre 1971, (sostituito prima

dall'art. 35, D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 80 e, successivamente, dall'art. 7, della legge 21 luglio 2000, n. 205, il quale ha sostituito, come di seguito riportato, il solo primo periodo del comma 3) stabiliva che “Il tribunale amministrativo regionale, nell’ambito della sua giurisdizione, conosce anche di tutte le questioni relative all'eventuale risarcimento del danno, anche attraverso la reintegrazione in forma specifica, e agli altri diritti patrimoniali consequenziali”. La disposizione, tuttavia, pur ammettendo il ricorso alla tutela risarcitoria in forma specifica, non ne indicava esplicitamente i limiti di ammissibilità e la disciplina applicabile. Sulla portata applicativa della disposizione, pertanto, si erano registrate opinioni dottrinarie e giurisprudenziali contrastanti, nascenti, essenzialmente dall’osservazione che l’azione costitutiva di annullamento non risultava sempre idonea a garantire adeguata tutela della posizione di interesse sostanziale sottesa all’azione stessa.

Gli effetti tradizionalmente connessi alla sentenza di annullamento (ripristinatorio e conformativo) manifestavano spesso tale inadeguatezza, sia per la mancanza in sentenza di un dispositivo che ne esplicitasse la portata, sia per la necessità, in caso di inerzia della p.a., di adire nuovamente il g.a. in sede di ottemperanza: la soddisfazione degli interessi sostanziali finiva, così, per spostarsi ad una fase successiva alla cognizione, riservata alla p.a. e poteva richiedere un nuovo ricorso al g.a. in sede di ottemperanza. Nella previsione del potere di reintegrazione in forma specifica, da parte della l. n. 205/2000 e nella modifica dell’art. 7 della l. n. 1034/1971, parte della dottrina aveva visto la volontà del legislatore di porre rimedio al deficit di effettività della tutela della azione di annullamento. Per una sintetica ricostruzione del dibattito, non ancora del tutto superato, vedi nota che segue.

300 I termini della questione possono, forse, essere meglio compresi partendo dalla osservazione

che l’ordinamento giuridico reagisce al verificarsi di una situazione antigiuridica attraverso diversi modelli di tutela (così TRAVI Aldo, Processo amministrativo e azioni di risarcimento del danno:

il risarcimento in forma specifica, in Dir. proc. amm., 2003, 1003 e ss.). In sede civilistica si

distingue tra: 1) la coazione di un dovere rimasto inadempiuto: tale rimedio presuppone una pretesa rimasta inadempiuta e prescinde da ogni profilo di colpevolezza o dal verificarsi di un danno, in quanto mira a far conseguire, al titolare della pretesa, quello specifico risultato o utilità che avrebbe ottenuto se vi fosse stata una collaborazione spontanea e volontaria della controparte; 2) la tutela restitutoria (o ripristinatoria): tale rimedio presuppone che vi sia una divergenza tra la situazione di diritto e la situazione di fatto in ordine ad un determinato bene; anche in questo caso il rimedio opera indipendentemente dall’accertamento di un profilo di colpa e mira a far conseguire al titolare della pretesa la restaurazione di una situazione conforme a diritto, in natura oppure attraverso l'equivalente economico; 3) la tutela risarcitoria (o riparatoria): questo rimedio presuppone che si sia verificato un fatto dannoso ed è volto ad eliminare proprio le conseguenze lesive; anche in questo caso l’eliminazione potrà avvenire in forma specifica, ricostituendo la situazione antecedente, o per equivalente, attribuendo al danneggiato un valore economico corrispondente. L’operatività di questo ultimo rimedio, tuttavia, è subordinata all’accertamento dell’elemento soggettivo della colpa (cfr. ancora TRAVI Aldo, Tutela risarcitoria e diritto

amministrativo, in Dir. amm., 2001, 7). All’indomani della riforma dell’art. 7 della l. 1034/1971,

parte della dottrina ha sostenuto che il rimedio della reintegrazione in forma specifica non dovesse essere ricondotto al novero dei rimedi risarcitori di stampo civilistico (cfr. TRIMARCHI BANFI Francesca, Tutela specifica e tutela risarcitoria degli interessi legittimi, Torino, 2001, 40 e ss.), ma dovesse piuttosto essere intesa come l’attribuzione al giudice amministrativo del potere di condannare l’amministrazione, attraverso puntuali statuizioni contenute nella sentenza e non più rimandate alla fase dell’ottemperanza, a tenere tutti i comportamenti idonei a realizzare l’interesse al bene della vita, la cui fondatezza fosse stata accertata dal g.a.: in ipotesi, dunque, con lo strumento della reintegrazione in forma specifica il g.a. avrebbe potuto condannare alla rimozione delle conseguenze dell’atto (nel caso di provvedimenti restrittivi) o all’attribuzione dell’utilità

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negata (nel caso di provvedimenti negativi) (parla ad esempio di introduzione di una forma di decisione molto prossima al Verpflichtungsklage, istituto che, nell’ordinamento della Germania federale, consentiva di agire in giudizio per ottenere la condanna della p.a all’emanazione del provvedimento amministrativo rifiutato od omesso, DOMINICHELLI Vittorio, Il giudizio

amministrativo, in AAVV, Diritto amministrativo, II, Bologna, 2005, 549). In questa prospettiva,

la reintegrazione in forma specifica più che assumere il carattere di strumento di riparazione del danno, doveva essere intesa come uno strumento volto a dare concreta soddisfazione alla pretesa inerente il rapporto originario e si negava l’applicabilità dei principi di cui all’art. 2058 c.c., assumendo il carattere di una vera e propria azione di adempimento. La possibilità di condannare la p.a. ad un facere specifico, in vista della piena soddisfazione della posizione giuridica soggettiva del ricorrente, veniva, tuttavia limitata ai casi di attività vincolata e con esclusione delle attività con significativo tasso di discrezionalità (così DOMINICHELLI Vittorio, Il giudizio

amministrativo, in AAVV, Diritto amministrativo, cit., 549; cfr., inoltre LIGUORI Fiorenzo, La reintegrazione in forma specifica nel processo amministrativo, Napoli, 2002. L’Autore, pur non

condividendo la qualificazione della reintegrazione in forma specifica come azione di adempimento, ne afferma l’applicabilità alla tutela degli interessi legittimi pretensivi, con riferimento particolare alla materia dei contratti pubblici, in cui ad avviso dell’Autore, raramente residuerebbero spazi di discrezionalità della p.a., per essere stata la discrezionalità amministrativa già “spesa” nella legge o nel bando di gara o in determinazioni autovincolanti dalla p.a. stessa). La tesi trovò effettivamente riscontro in alcune pronunce del giudice amministrativo: cfr., ad esempio, Cons. di Stato, sez. VI, 19 novembre 2003, n. 7470 (www.giustizia-amministrativa.it) in cui viene confermata la pronuncia di primo grado che ordinava l’immediata assegnazione delle quote societarie al ricorrente, in luogo dell’aggiudicatario, dopo aver annullato il provvedimento conclusivo di una procedura ad evidenza pubblica per la scelta del socio privato di minoranza di una società per il trasporto pubblico partecipata dalla Provincia di Venezia e da diciotto comuni del Veneto orientale: “In merito al secondo aspetto si deve osservare che, in disparte il problema dei limiti ascrivibili al rimedio della reintegrazione in forma specifica, nella specie la tutela somministrata si sostanzia nella condanna agli adempimenti necessari per l’attribuzione al ricorrente vittorioso del bene della vita la cui spettanza è stata riconosciuta alla stregua delle coordinate sopra tracciate. Reputa la Sezione che una lettura sostanzialistica dello spettro dei poteri del g.a., che lo sincronizzi con le stesse coordinate costituzionali e comunitarie in punto di effettività della tutela giurisdizionale, consente al giudice amministrativo uno scrutinio sostanziale in sede di cognizione del rapporto quante volte l’annullamento dell’atto non lasci sul tappeto profili di discrezionalità tecnica o amministrativa e, per l’effetto, non venga in rilievo il rischio di debordare in aree riservate alla riedizione dell’azione amministrativa ai sensi della clausola di salvaguardia cristallizzata dall’articolo 26 della legge n. 1034/1971.”.

Alla posizione dottrinaria summenzionata, tuttavia, si contrapponeva un’interpretazione più restrittiva della norma, che riconduceva il rimedio della reintegrazione in forma specifica al novero degli strumenti risarcitori, con conseguente applicabilità dell’art. 2058 c.c.. Sul punto molto chiara la presa di posizione di Cons. di Stato, sez. VI, 18 giugno 2002, n. 3338, (in Riv.

giur. ed., 2002, 1344 e in Urb. e app., 2003, 928) che opta per la tesi c.d. civilistica e nega che la

reintegrazione in forma specifica costituisca, come detto, il mezzo per impartire un ordine alla P.a. di emanare un determinato provvedimento o quanto meno di provvedere in un determinato modo, in quanto in tal modo essa assumerebbe i caratteri della tutela ripristinatoria. L’istituto, quindi, secondo la pronuncia citata “consiste nella diretta rimozione delle conseguenze derivanti dall'evento lesivo tramite la produzione di una situazione materiale corrispondente a quella che si sarebbe realizzata se non fosse intervenuto il fatto illecito produttivo del danno. Sempre nell'ottica civilistica la reintegrazione in forma specifica rimane un rimedio risarcitorio (o comunque riparatorio), ossia una forma di reintegrazione dell'interesse del danneggiato mediante una prestazione diversa e succedanea rispetto al contenuto del rapporto obbligatorio e non va confusa né con l'azione di adempimento (diretta ad ottenere la condanna del debitore all'adempimento dell'obbligazione) né con il diverso rimedio dell'esecuzione in forma specifica quale strumento per l'attuazione coercitiva del diritto e non mezzo di rimozione diretta delle conseguenze pregiudizievoli. La forma specifica non è né una forma eccezionale né una forma sussidiaria di responsabilità, ma uno dei modi attraverso i quali il danno può essere risarcito, la cui scelta spetta al creditore salva l'ipotesi di eccessiva onerosità o l'oggettiva impossibilità.”.

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