L'influenza di Herbert Spencer nella vita intellettuale di Beatrice Potter merita un’analisi approfondita innanzitutto perché la sua carriera di scienziata sociale non sarebbe stata possibile senza l’educazione scientifica che lui le fornisce e che era in buona parte preclusa alle donne in età vittoriana. In secondo luogo perché l’influenza spenceriana sul suo pensiero è stata considerata solo parzialmente, a partire da un’analisi dell’individualismo e del collettivismo come concezioni antitetiche, la prima attribuibile a Spencer, la seconda a Potter. La «biografia dell'opera» dei due autori mette però in questione una semplificazione di questo tipo, dal momento che Spencer parte dall'individuo per immaginare con l'evoluzione una progressiva simbiosi armonica tra i bisogni privati e i bisogni della società e Potter pensa il collettivismo in prima battuta come una forma di individualismo, l'unico adatto alla società moderna, l'unico in grado di garantire libertà sostanziale a ogni individuo e non solo a una parte di essi. Ci sembra
necessario innanzitutto contestualizzare le riflessioni che danno vita a queste due dottrine e alla loro contrapposizione, tenendo presente che l’età vittoriana è caratterizzata dalla loro compresenza e coesistenza, nell'irruzione della questione sociale come problema del rapporto tra individuo e società. Il liberalismo cerca di rispondere a questa coesistenza, assorbendo alcune delle nuove istanze sociali. In secondo luogo, bisogna tenere presente che la filosofia di Spencer non può essere classificata come individualista senza confrontarsi con il significato che egli assegna all'organismo sociale, e quindi al ruolo che svolge l’organicismo nella sua
39 S. Pierson, Marxism and the Origins of British Socialism: The Struggle for a New Consciousness,
NY, Ithaca, 1973, p. 276. Cfr. anche G. Claeys – G.S. Jones, The Cambridge History of Nineteenth-
29 sintesi filosofica. In modo simile, il collettivismo di Potter mostra caratteri peculiari, soprattutto se pensiamo alla sua idea del soggetto povero, rispetto sia al fabianesimo sia al marxismo. Non è un caso che il rapporto tra allieva e maestro si riveli allora una trama di contrapposizioni e corrispondenze.
«The last three weeks I have been trying to describe Herbert Spencer as an influence in my life. It is difficult to sum up in one short paragraph the greatness of his purpose and the nobility of his self- sacrifice and the pettiness of some of his little ways and the mean misery of those last years of declining strength. […] He began life as a mystical optimist; he ended it as a pessimistic materialist; the cause of this transformation being that he allowed his creed to be determined by the findings of his reason working on fanciful data - he practised neither the scientific method in the ascertainment of fact nor the will to believe in what is essential to the salvation of man. Human life is intolerable without Faith»40.
Tra le molte descrizioni di Spencer che troviamo nei diari di Potter, la più significativa è quella che lo definisce «no less as a warning than as a model»41. Ai
First Principles di Spencer, il primo volume del suo sistema filosofico, si può far
risalire non solo la capacità di Potter nella raccolta empirica dei dati, ma anche quella di fare generalizzazioni, di costruire una teoria grazie ai dati raccolti. L'influenza di Spencer si manifesta quindi non solo laddove c'è un’evidente continuità, come nel caso dei concetti di evoluzione e di progresso, di organismo sociale e di istituzione, ma anche nella discontinuità e nella tensione che si stabilisce tra la sua teoria dell'evoluzione e la riflessione sulla società di Potter. A dimostrazione della profondità in cui ha agito quel warning, la stessa Potter riconosce l'influenza del maestro anche sulla sua concezione del collettivismo: «This generalization illuminated my mind; the importance of functional adaptation was, for instance, at the basis of a good deal of the faith in collective regulation that I afterwards developed»42. Qui sta l'apparente paradosso, la tensione caratteristica
di questa influenza: essa non fu solo essenziale per la social investigator degli anni ottanta dell'Ottocento, ma manifesta i suoi effetti anche sulla social scientist collettivista, socialista e infine comunista: «Once engaged in the application of the scientific method to the facts of social organization […] I shook my self completely free from laissez-faire bias – in fact I suffered from a somewhat violent reaction from it»43.
È necessario allora innanzitutto mettere a fuoco quei nodi problematici dell’opera di Spencer – del suo system of synthetic philosophy – che più mettono in tensione
40 BWD, June 28, 1923.
41 B. Webb, My Apprenticeship, cit., p. 53. 42 Ibidem.
30 una contraddizione filosofica, quella tra l'individuo, la Società e il suo Stato. Ci interessa in altri termini ricostruire in che modo proprio Spencer abbia contribuito, suo malgrado, alla diffusione delle idee socialiste in Inghilterra44. La filosofia di
Spencer è una sfida costante alle dicotomie, al tempo antinomico della società in cui vive, una società, quella vittoriana, che è innanzitutto in cerca di una fede secolarizzata45. La teoria spenceriana è il tentativo di stabilire una convergenza,
non tanto tra teorie diverse, quanto tra la scienza, la società e l’individuo, vale a dire una chiave interpretativa del cosmo vittoriano, una sintesi tanto ambiziosa da
rievocare quella che George Eliot in Middlemarch, descrivendo l'attività intellettuale di Casaubon46, chiama con sarcasmo la chiave di tutte le mitologie. La
mitologia di Spencer è la legge dell'evoluzione, che è valida, anche se come vedremo in misura diversa, sia per l'individuo che per l'aggregato sociale e impone a entrambi uno stesso ritmo, quello del progresso. La teoria spenceriana è un pensiero della contraddizione e l'età vittoriana stessa può essere definita un'età di contraddizioni, di co-esistenza tra idee e concetti differenti. Concetti come equità, libertà, comunità, individuo potevano essere declinati in più direzioni e servire per concezioni rivali. Caratterizzare le scienze sociali e politiche di questo periodo dentro la dicotomia ideologica che oppone individualismo a collettivismo non solo è fuorviante47 ma anche storiograficamente errato perché il collettivismo vittoriano
nasce proprio all'interno dell'individualismo48. Per questa ragione il periodo
vittoriano è un laboratorio politico ricchissimo per la storia delle dottrine politiche perché è un'epoca in cui i concetti sono forzati a tradire la propria rigidità interna per potersi riaffermare e per resistere a una nuova configurazione dei rapporti di forza. L'identità teorica e politica del liberalismo, in particolare, subisce una ridefinzione che gli permetterà di diventare una corrente espansiva49. I concetti
44 D. Torr, Tom Mann and His Times, London, Lawrence &Wishart, 1956, p. 190. 45
E.J. Feuchtwanger, Democrazia e Impero, cit.; G.S. Jones, Londra nell'età vittoriana: classi
sociali, emarginazione e sviluppo, Bari, De Donato, 1980.
46 Causabon è l'austero intellettuale di mezza età che nel romanzo di Eliot sposa Dorothea, molto più
giovane di lui, perché ha bisogno di un'assistente per il suo monumentale lavoro sulla mitologia - che avrebbe dovuto racchiudere la sintesi della conoscenza - ormai da lungo tempo a un punto morto e che non riuscirà mai a concludere.
47 Cfr. M. Francis, Herbert Spencer and the Invention of Modern Life, Ithaca, Cornell University
Press, 2007.
48
S. Collini, Liberalism and Sociology. L. T. Hobhouse and Political Argument in England, 1880-
1914, Cambridge, Cambridge University Press, 1979.
49 Cfr. M. Freeden, Liberalism divided 1914-1939, Oxford, Clarendon press, 1986 e Id., Liberal
Languages: Ideological Imaginations andTtwentieth-century Progressive Thought, Princeton,
31 politici che animano quest'epoca di transizione rappresentano per molti aspetti un vocabolario non ancora «occupato»50 del tutto che viene attraversato con pari
legittimità da conservatori e da liberali, da radicali e socialisti. Tuttavia, è forse più appropriato parlare di una «rioccupazione» dei concetti, nel senso di Hans Blumenberg, cioè di un modo differente di abitare un termine, di quel «processo di
rioccupazione nel suo riferimento a una griglia costante di bisogni» e di problemi51.
Spencer scrive in un’epoca di crisi della politica tradizionale e di entusiasmo per la scienza e per lo studio della società su base scientifica. In questo contesto, il socialismo si presenta in principio come sviluppo dell'idea individualistica, come dottrina dell'organizzazione sociale. Spencer osserva l'individuo nello specchio della società e mira a ricomporre sinteticamente il suo destino in una teoria dell'umanità, l'evoluzione. Si potrebbe dire in questo senso che l'Inghilterra non ha avuto un Weber, non solo perché non ha avuto un Kant e un Hegel come ha scritto Burrow52, ma anche perché ha avuto Spencer che più di ogni altro sociologo o
filosofo inglese del suo tempo si è occupato del rapporto tra dominio e organizzazione della società.
Il confronto con l'opera di Spencer è stato caratterizzato da una doppia lettura, un approccio evoluzionista alla sociologia e un approccio statico alla politica53, che
riflette anche un’ulteriore distinzione tra il campo della dottrina liberale e quello della teoria sociologica54. Pensiamo che sia più utile osservare la filosofia
spenceriana non come auto-contraddittoria, ma piuttosto come il tentativo di andare a fondo nel rapporto tra individuo e società, un rapporto sempre contraddittorio, concepito prima di tutto come naturale, cioè conforme alla natura, un rapporto che può solo porre continuamente una domanda su stesso, sulla sua forma, ma che non dispone immediatamente della risposta. È impossibile comprendere l'opera di
50 J.W. Burrow scrive: «È sempre più utile, per scrivere la storia del pensiero politico, pensare alle
teorie come a vocabolari che noi occupiamo con le loro diverse istanze, opportunità, limiti, piuttosto che come dottrine a cui aderire» (J. W. Burrow, La crisi della ragione: il pensiero europeo 1848-
1914 , Bologna, il Mulino, 2002, p. 76).
51 H. Blumenberg, La legittimità dell'età moderna, Genova, Marietti, 1992, p. 499. «Il concetto di
rioccupazione designa come implicazione il minimo di identità che deve poter essere reperito, o per
lo meno presupposto, e ricercato anche nel movimento più movimentato della storia. […]
rioccupazione significa che asserzioni diverse possono essere intese come risposte a domande
identiche. […] nel procedimento di rioccupazione viene dimostrata precisamente l'instabilità» (Ivi, pp. 502-503).
52 J.W. Burrow, Evolution and Society, cit., p. 260.
53 Cfr. T.S. Gray, The Political Philosophy of Herbert Spencer, Aldershot, Avebury, 1996. Vedi anche
J.D.Y. Peel, Herbert Spencer. The Evolution of a Sociologist, New York, Basic Books, 1971.
54
32 Spencer separando del tutto il liberalismo dalla sociologia, perché il suo è il tentativo di spiegare scientificamente l'uno con l'altra, o in altre parole, «l'evoluzionismo di Spencer è ugualmente un primo tentativo di rifondazione filosofica del liberalismo»55, di fondazione di una teoria sociale liberale derivata
direttamente dalla teoria dell'evoluzione. Questa derivazione non è affatto priva di problemi e costituisce il nodo cruciale del sistema spenceriano. La sovrapposizione spenceriana di sociologia e liberalismo è rilevante proprio perché definisce il liberalismo come unica forma possibile, secondo la legge evolutiva, delle relazioni sociali. Spencer è stato studiato soprattutto come il filosofo della supremazia dell'individuo in un tempo in cui l'individuo viene minacciato dall'entrata in scena dei primi grandi sindacati e del socialismo, dall'idea della comunità come sola unità funzionale. Per capire meglio il rapporto tra l'etica dell'evoluzione e la sua teoria politica è necessario invece partire dal suo concetto di organismo sociale, perché è a partire da qui che, non risolvendo mai del tutto il rapporto tra ordine naturale e ordine civilizzato, egli elabora il suo concetto di evoluzione, in contrasto sia con la dottrina darwiniana, sia con il concetto marxiano di rivoluzione.
Alla base di tutto il sistema c'è l'analogia tra organismo biologico e organismo sociale che rimane tuttavia sempre imperfetta dal momento che il «superorganismo», cioè la società, è sempre in contrapposizione con l'irriducibile individualità dei suoi membri56.
La sua operazione sintetica comporta prima di tutto «una rifondazione biologica dei diritti che soppianta la fondazione teologica operata da Locke»57. Il liberalismo
spenceriano, a differenza di quello classico, è fondato sulle leggi della vita piuttosto che su una legge economica universale. Il laissez faire di Spencer, in questo senso, risponde a una necessità naturale, non a un calcolo economico. Alla base della sua concezione del laissez faire c'è la legge lamarckiana dell'uso, secondo cui un organo si sviluppa quanto più è utilizzato, e viceversa. Trasposto dal campo biologico a quello sociale questo significa che un individuo nel suo ambiente sociale evolverà quanto più è lasciato libero di agire di fronte alle naturali difficoltà imposte dalla lotta per l'esistenza. Qualsiasi azione esterna che interviene sulle leggi della vita per compensare una mancanza (si pensi alla legge sui poveri o alla
55 C. Laval – P. Dardot, La nuova ragione del mondo, Roma, DeriveApprodi, 2014, pp. 139-140. 56 P. Tort, Spencer et l'évolutionnisme philosophique, Paris, PUF, «Que sais-je?», 1996.
33 cooperazione obbligatoria o ancora alla legislazione di fabbrica) ha l'effetto di indebolire la costituzione degli esseri viventi, dotati della facoltà di autoadattamento e di autorigenerazione, e con essa di rallentare o invertire il corso naturale del progresso. Spencer, a differenza dei primi liberali, prevede uno stato di perfezione dell'umanità, perciò il laissez faire non è solo uno strumento di selezione dei più adatti, ma anche di miglioramento complessivo dell'individuo in relazione all'ambiente, ossia di adattamento funzionale dell'individuo all'ambiente sociale: lasciar agire le leggi della vita produce naturalmente progresso sociale. È necessario chiarire che la stessa concezione spenceriana prende le distanze dalla violenza della libera competizione come legge economica oggettiva; il suo laissez
faire rappresenta più una lettura del comportamento umano che una cruda legge
economica, alla quale egli non è, in ultima analisi, interessato. In Social Statics afferma infatti:
«the paths we must pursue in our search after a true social philosophy. It suggests the idea that the
moral law of society like its other laws, originates in some attribute of the human being. It warns us
against adopting any fundamental doctrine which, like that of “the greatest happiness to the greatest number”, cannot be expressed without presupposing a state of aggregation. On the other hand it hints that the first principle of a code for the right ruling of humanity in its state of multitude, is to be found in humanity in its state of unitude - that the moral forces upon which social equilibrium depends, are resident in the social atom - man; and that if we would understand the nature of those forces, and the laws of that equilibrium, we must look for them in the human constitution».58
Qualsiasi teoria della società deve necessariamente procedere dagli individui, perché sono loro che la caratterizzano e la rendono più o meno giusta e più o meno adatta. Diritti naturali e desideri umani sono allora inscindibili perché i primi derivano dai secondi. L'equilibrio tra desideri individuali e bisogni della società è il fine dell'evoluzione, ma ciò significa anche che se questo equilibrio non è dato, ma è il suo fine ultimo, l'analogia tra organismo biologico individuale e organismo sociale, punto di partenza della teoria spenceriana dell'evoluzione, è sin dal principio problematica: essa non è data, come Spencer vorrebbe, e gli sfugge continuamente.
L’antinomia presente nella filosofia di Spencer ha origine nell’universalità del suo concetto di evoluzione, di quel Dio da lui adorato che, secondo Talcott Parsons59, si
ritorce contro di lui cancellando ogni memoria del suo sistema sintetico, una delle
58 Ivi, p. 18.
59 T. Parsons ha scritto che Spencer è stato ucciso dal Dio che ha adorato, l'Evoluzione. Lo stesso
Parsons meno di trent'anni dopo ha ripublicato The Study of Sociology trovandovi concezioni «sorprendentemente moderne». T. Parsons, La struttura dell'azione sociale, Bologna, il Mulino, 1968; H. Spencer, The Study of Sociology, introduction by Talcott Parsons, Ann Arbor, University of Michigan Press, 1961, p. 31.
34 ultime «teorie dell'umanità» nella storia intellettuale del mondo moderno. Nessun altro sistema filosofico nel periodo moderno ha avuto un successo tanto esteso e profondo e tanto internazionale60, per poi entrare nell'oblio più completo. Le tracce
del pensiero di Spencer, tuttavia, sono rimaste, e numerose, sul percorso della scienza sociale e della teoria liberale, perché hanno aperto questioni che continuano a essere discusse. La relazione tra la società e liberalismo è tuttora al centro dei dibattiti.
Secondo Tim S. Gray, nella sua opera non c'è un vero conflitto tra individualismo e organicismo: essi sono entrambi elementi centrali della filosofia spenceriana, convergenti ma mai assimilabili completamente61, mentre John Offer ha
sottolineato come nell'analogia tra organismo biologico e società risieda il germe dell'inettitudine politica che Spencer avrebbe alla fine proposto. Peter Tort, seguendo un ragionamento diverso, osserva invece il fatto che l'analogia organicistica funziona all'interno del sistema spenceriano solo nel momento in cui si interrompe, cessa. La domanda allora sembra essere, a cosa serve l'analogia tra organismo e società nella teoria spenceriana?
L'analogia organicista si muove intorno a tre assi e alla relazione tra essi: società, individuo, evoluzione. Sebbene fatta di individui, la società è per Spencer un’entità composta di parti discrete, dove «a certain concreteness in the aggregate of them is implied by the general persistence of the arrangements among them throughout the area occupied»62. Lo sviluppo della società «may be described as a tendency to
individuate – to became a thing»63.Solo osservando la relazione che intercorre tra
individuazione e aggregazione, e il configurarsi di due individualità, una sociale e una singolare, distinte ma connesse, è possibile comprendere il paradosso spenceriano e osservare l'eredità del filosofo dell'evoluzione sulla sua allieva apparentemente più infedele. In The Filiation of Ideas, appendice di Social Statics, Spencer riconosce l'influenza di Samuel T. Coleridge64 sulla Idea of Life che egli
sviluppa a partire dalla nozione di Schelling «that life is the tendency to
60 Cfr. P. Tort, Spencer et l'évolutionnisme philosophique, cit.
61 «Spencer pointed out that society, unlike an audience or congregation, was a permanent system of
relationships not just a temporary arrangement of units» (T.S. Gray, The Political Philosophy of
Herbert Spencer, cit., p. 20). Questa permanenza, scrive Gray, ne caratterizza l'identità.
62
H. Spencer, Principles of Sociology, Vol. I, cit., p. 435.
63 H. Spencer, Social Statics, London, W&N, 1851, p. 497. Corsivo nostro.
64 Samuel Taylor Coleridge, poeta, critico e fondatore, insieme a William Wordsworth, del
movimento romantico inglese, alla fine del settecento, si avvicina alla filosofia tedesca in particolare all'idealismo kantiano e alla critica di Gotthold Lessing.
35 individuation»65. L'influenza di Schelling emerge anche nel modo in cui Spencer
pensa, all'interno dell'analogia alla base del suo sistema, l'identità e la differenza, l'unità e l'opposizione come momenti essenziali dell'assoluto, che tuttavia non è l'universo statico di Schelling, ma il divenire dell'evoluzione. Nel saggio sulla
Theory of Population definisce la vita «the coordination of actions», idea che
svilupperà poi nel concetto di «interdipendenza», tra i concetti che più ritroveremo nella rilfessione di Potter. All'idea della Chain of Beings di T. H. Huxley, egli contrappone l'idea dell'albero della vita, dove ogni frutto è nello stesso tempo prodotto e produttore. Seguendo questa immagine egli definisce la «civilization» come «a continuous moulding of human beings to the social state, and of the social state to the human beings as they become moulded: the two acting and reacting»66.
Per Spencer, l'individuo è prima di tutto relazione, perciò esso non è centrale nella sua assoluta indipendenza, né la comunità lo è come tutto indistinto che precede l'individuo. Centrale è ciò che si trova «tra» gli individui. Egli osserva l'individuo oltre la sua autonomia, che non può spiegare niente della vita, tanto biologica quanto sociale, e oltre la sua autonomia c'è la sua collocazione nella società67.
L'individualità va allora intesa come singolare posizione dell'individuo nella società, non come soggetto astratto né come identità isolata, ma come individualità concreta e in relazione con le condizioni in cui agisce. Spencer avrebbe probabilmente accolto l'affermazione di Marx per cui «le circostanze fanno gli uomini non meno di quanto gli uomini facciano le circostanze»68.
Questa concezione di individualità e di socializzazione come due movimenti speculari permette di superare la dicotomia individualismo/organicismo che