D I NUOVO IN I TALIA
L A SPERANZA DI UNA NUOVA I TALIA DEMOCRATICA 1 Una missione del C.T.L.N a Roma
Sin dall’agosto 1944 si riaprono le comunicazioni tra Firenze e l’Italia del Sud. Ci vuole un po’ di tempo per riorganizzare le poste civili, più o meno quanto necessario al ripristino del servizio di censura. Le lettere sono consegnate a mano da parenti e amici che possono già viaggiare. Non si sa bene dove si trovano i destinatari: nell’agosto 1944 Lelle Levi scrive tre recapiti sulla busta per il fratello, “con preghiera di inoltro”. Le notizie che manda rivelano le differenze nella vita quotidiana tra Firenze e Napoli.
Calamandrei su “La Nazione del Popolo” il 21 novembre: la guerra non è lontana dalla città, per accorgersene non c’è bisogno di passeggiare tra le rovine di Firenze, per le strade buie illuminate da pochi fari accecanti, quelli dei mezzi militari: “la guerra è presente in ogni stanza e in ogni cuore”, “nei corpi denutriti, e in questo senso di attonito accasciamento che il paesaggio delle grandi catastrofi lascia nei superstiti, anche in quelli fortunati (e sono pochi) che non hanno da piangere qualche morto caro”1.
Negli stessi giorni Lelle scrive a Carlo della visita di un amico “che si trova a Napoli da qualche mese, dopo averne passate di tutti i colori” e lavora al quotidiano cittadino “La Voce”. “Penso che si sia trovato strano nella nostra casa così borghese e tranquilla, tutta intera, con vetri e mobili antichi ben puliti e lucidi”. Si capisce che non è solo questione di luoghi, ma anche di casi individuali e di condizione sociale.
“La Voce” aveva riportato la notizia della morte di Leone Ginzburg durante l’estate 1944. Lelle aveva perso qualche numero, è l’amico che la informa.
Mi ha arrabbiato moltissimo; era un uomo di intelligenza e di carattere rari e per noi tutti è stata una perdita enorme. E Natalia con i bambini dov’è? Perché non mi scrivi dandomi notizie di tutti gli amici? Che ne è di Vittorio Foa, di Mario Levi e di Paola. Per noi che non abbiamo sofferto niente è difficile immaginare che cosa potete aver fatto; e di fronte al racconto della vostra vita ci sentiamo in condizione di inferiorità, perché mi pare
1 P. Calamandrei, Non è finita, “NdP”, 21 novembre 1944, ora anche in «La Nazione del popolo» cit.,
proprio che manchi quell’incentivo a una nuova vita piena di significati e scopi veramente consapevoli2.
A Firenze si trova poco o nulla, si soffrono fame e freddo, il gas e la corrente elettrica sono erogate solo per poche ore al giorno. Ci si arrangia con carbone e legna; le autorità devono intervenire per regolare il taglio degli alberi nei parchi cittadini e nei boschi dei dintorni3. Assieme alle lettere, Lelle manda pacchi:
Ti mando per mezzo di Fulvio un poco di roba da mangiare di prima necessità, perché qui si dice che a Firenze si muore di fame letteralmente. Spero che non sia poi così vero, e che tu debba trovare ridicolo l’invio di sale, zucchero, fagioli ecc.4
Nei primi giorni di novembre, davanti alla prefettura di Firenze, qualche centinaio di donne organizzano manifestazioni e tumulti per il pane: la razione giornaliera è di soli 200 grammi, il prefetto Paternò è considerato il responsabile di questa situazione.
Paternò – ricorda Levi ne L’Orologio – dava l’impressione di essere “capitato in quel mondo incandescente come un impiegato alle pompe funebri in un banchetto di nozze”. Era “un vecchio nobile siciliano dal naso a becco e dalle borse sotto gli occhi, rotto a tutti i possibili regimi”. Tutta Firenze lo detestava, e “tutti i muri si riempirono di scritte”:
«Via il prefetto! Gappisti, un nuovo nemico, il prefetto! Vattene mentre sei in tempo. Torna a Roma», si leggeva, in carbone, in gesso, in vernice, sulle case di San Frediano e delle Cure, sui muri dei palazzi del Quattrocento del centro, sulle rovine delle torri cadute, sulle spallette in riva d’Arno, dappertutto.
“Tutti i partiti erano d’accordo col crescente fermento popolare”, la città “si sentiva ringiovanita come ai tempi che i suoi palazzi erano nuovi e brillanti”, “nessuno ardiva difendere lo Stato centralizzato e i suoi anacronistici strumenti”.
2 Le citazioni da FL, Firenze, Lelle Levi a Carlo Levi, 27 novembre 1944. Su “La Voce”, cfr. P.
Murialdi, Dalla Liberazione al centro-sinistra, in La stampa italiana dalla Resistenza dagli anni Sessanta, a cura di V. Castronovo, N. Tranfaglia, Laterza, Bari 1980, p. 178 (il saggio alle pp. 169-308)
3 Su questo si vedano per esempio la nota Alberi, “NdP”, 31 ottobre 1944, e l’articolo di L. Benassi,
Utilizzare i parchi cittadini, “NdP”, 15 novembre 1944.
Il Comitato di Liberazione si riunì, discusse, approvò un progetto moderato e ragionevole, nel quale si chiedeva di abolire le prefetture, o almeno di consentire che i prefetti fossero nominati non da Roma, ma dalle organizzazioni locali; e decise di andare al completo, forte di tutti i suoi membri a presentarlo al Governo, perché fosse approvato.
I rappresentanti del CTLN partono in automobile, “per quelle strade interrotte e malsicure, dove ancora passavano i pesanti traini militari e i carri armati, e dove da poco aveva cessato di tuonare il cannone”. Levi non fa parte della delegazione ufficiale, ma l’accompagna all’appuntamento coi ministri del governo Bonomi:
ciascuno, portando quel cahier de doléances, si sentiva investito di una specie di missione storica, proprio come fosse il rappresentante di un nuovo Stato che andasse a trattare con gli ultimi resti di un antico regime, con gli ultimi ministri di un re, a cui il meno che potesse capitare era di dover essere ghigliottinato in piazza di Grève; il rappresentante di un potere reale, di un governo che, bene o male e malgrado tutto, governava davvero la propria città, che si recava a imporre i propri voleri a un potere puramente fittizio e formale, a un minuscolo governo che fingeva di governare per salvare le apparenze, ben sapendo di essere privo di forza vera, e di dipendere in tutto, anche nella propria contestabile legittimità, da estranei voleri.
I dieci, animati da “allegra confidenza e presunzione”, entrano al Viminale “a testa alta, avvolti di candida gloria”, ma la discussione prende una piega imprevedibile: “c’era qualcosa a cui non si era pensato, un mondo diverso, dei diversi interessi, un diverso linguaggio nel quale tutto si modificava”. Doveva essere un incontro tra uomini che si dicevano degli stessi partiti, invece – adesso appariva chiaro anche a Levi, come già a Mario Spinella pochi mesi prima – si confrontavano mondi estranei: “quel nome di partito aveva un senso completamente diverso a Firenze e a Roma”.
A Firenze esso non era che una specificazione di una realtà comune ad altri, simile in tutti: in verità i partiti non esistevano più, o non esistevano ancora. Ma a Roma essi
continuavano ad esistere, erano anzi la sola realtà, la sola cosa che importasse, di fronte alla quale ogni altra cosa non aveva interesse, e doveva essere sacrificata5.
La missione dei “dieci” non partiva in un clima favorevole. A fine ottobre, il presidente del consiglio Bonomi aveva già dichiarato la sua posizione: i Prefetti stavano al loro posto, come rappresentati locali del governo di Roma, e i CLN dovevano assumere il ruolo di organo consultivo6. Queste dichiarazioni era commentate in modo
molto favorevole dall’altro quotidiano di Firenze, il “Corriere del Mattino”7. Eppure,
per un certo periodo, la richiesta di abolire l’istituto dei prefetti fu condivisa in tutti gli ambienti politici. Nel primo numero de “Il Ponte” usciva la nota Via i prefetti siglata “v.b.”, ossia – con tutta probabilità – scritta dal democristiano Vittore Branca. Citando la rivista londinese Economist, nella nota si chiedeva di eliminare “l’attuale dipendenza delle amministrazioni locali, comuni, province, Università ecc. dal governo centrale”8.
Dieci anni dopo, il comunista Bianchi Bandinelli rievocò le discussioni fiorentine:
Nelle riunioni clandestine del ’42, ’43 e ’44 ricordo, e siamo in parecchi a ricordarlo, tutti eravamo concordi, non appena che l’Italia fosse stata liberata dal fascismo, sulla abolizione dei prefetti. I più decisi erano proprio i democristiani e i liberali […]9.
Nel 1944 il liberale Giacomo Devoto doveva aver contestato la legittimità del prefetto Paternò.
Il Paternò venne con istruzioni molto chiare, per far rispettare la normale legalità. Come assessore agli affari generali ebbi da fare con lui. Il motivo del nostro contendere
5 Tutte le citazioni da Levi, L’Orologio cit., pp. 188-191. Le proteste contro il prefetto continuarono
almeno fino al gennaio 1945: cfr. i rapporti in ACS, Ministero dell’Interno, PS, 1944-1946, b. 100, fasc. “Firenze. Agitazione contro il Prefetto”.
6 Un’intervista del presidente del consiglio. Serie parole di Bonomi sulla situazione italiana. “Oggi
bisogna vivere, nessun altro problema deve avere la precedenza”, “Corriere del Mattino”, 28 ottobre 1944.
7 Le dichiarazioni di Bonomi, “Corriere del Mattino”, 31 ottobre 1944. Nel corsivo, non firmato, si
commentava l’intervista di Bonomi citata qui sopra alla nota 6.
8 v.b. [V. Branca?], Via i prefetti, “Il Ponte” a. I, n. 1, aprile 1945, p. 75.
era futile. In tutti i mutamenti storici si hanno degli illegalismi. Ma certi illegalismi, legati a un ordine nuovo, sono una garanzia di più vitale e durevole legalità10.
Del resto, riflessioni simili non si svolgevano solo a Firenze. Luigi Einaudi, nel suo diario tenuto durante l’esilio in Svizzera, segnalava che “il nemico capitale non è il governo centrale, ma il prefetto. In Inghilterra, non ci sono parlamenti regionali; ma non c’è nemmeno il prefetto”11.
Non ho trovato nessuna cronaca dettagliata della manifestazione delle donne fiorentine per il pane e contro Paternò del novembre 194412. “NdP” e “Corriere del
Mattino” non la menzionano nemmeno. Non era la prima volta che i due giornali davano poco o addirittura nessun risalto alle proteste di donne per le scarse distribuzioni di viveri. Era già successo ai primi di ottobre, una mattina in cui fu sospesa la distribuzione del pane; molte donne erano andate a protestare direttamente in Prefettura, mettendo sotto accusa l’inefficienza dell’amministrazione. La “NdP” non aveva riportato la notizia, il “Corriere” si era limitato a una nota che ridimensionava i fatti sotto il titolo Inconvenienti, e invitava i fiorentini alla “pazienza”13. Solo il periodico anarchico “Umanità nova” aveva rilanciato la notizia parlando di “protesta contro l’indifferenza” delle autorità, riversando le accuse più dure contro gli occupanti: “cosa credono anche i nostri cari amici alleati, si viva di spirito santo?”14.
“Umanità nova” sembra essere l’unica fonte anche per la manifestazione di novembre. Da un articolo non firmato pubblicato sul numero del 19 di quel mese si ricava che la protesta si svolse in due tempi: prima davanti alla prefettura, poi davanti a Palazzo Vecchio, sede del “Governatore” alleato. La breve cronaca ha un registro umoristico e paradossale, ma al di là delle battute lascia immaginare una dimostrazione esclusivamente di donne, con gli uomini che stanno a guardare.
10 G. Devoto, La parentesi. Quasi un diario, La Nuova Italia, Firenze 1974, pp. 83-84.
11 L. Einaudi, Diario dell’esilio 1943-1944, con una prefazione di A. Galante Garrone, a cura di P.
Soddu, Einaudi, Torino 1997, p. 87.
12 Per alcune notizie di carattere generale, si veda V. Spini, Il Comitato Toscano di Liberazione
Nazionale di fronte al problema della ricostruzione, in La ricostruzione in Toscana dal CLN ai partiti, I, Il Comitato Toscano di Liberazione Nazionale, a cura di E. Rotelli, il Mulino, Bologna 1980, pp. 61-232, in part. pp. 77-97.
13 Inconvenienti, “Il Corriere di Firenze”, 7 ottobre 1944.
Le nostre popolane hanno dato dei punti agli uomini. Diciamo questo perché è bene che al posto di loro da oggi in avanti, i «pronunciamenti li facciano i maschi». Perché altrimenti gli uomini si smascolizzano e le donne si sfemminizzano. Fra la tante confusione non aggiungiamo – almeno – anche questa.
Anche alcune battute raccolte nel corso della manifestazione indugiano sui ruoli degli uomini e delle donne nella Firenze liberata. Difficile dire quanto ci sia di scherzo e quanto di serio, comunque non mancano nemmeno accenti moralisti.
Un imbecille guardando le nostre massaie uscì in questa frase mentre parlottava con un amico: «Guarda quella là com’è brutta». Udendo simile melensaggine una popolana investì il vagheggino con queste parole: «O muso di s… per venire a domandare i’ ppane un c’è bisogno d’esser belline. Le belline e’ le un vengon qui, le vanno a aprir le… coscienze agl’inglesi e agli americani e le rimedian i’ llesso e qualche cos’altro».
Si intuisce l’intreccio dei temi: le “autentiche” donne fiorentine protestano; le altre sono pronte a vendersi; la situazione è tale per cui gli italiani e le italiane “autentici” cominciano a manifestare tutto il loro fastidio nei confronti dell’occupante e del suo disinteresse verso quanto accade in città:
ora che Roosevelt è stato eletto aspettiamo, con calma, i promessi 100 gr. di pane… Ma se deve arrivar dall’America c’è da allungare il collo ancora per parecchio. Ma gli anglo- americani «andare piano piano, essere molto calmi»15.
Il 10 novembre 1944, la “NdP” pubblica il memoriale del CTLN senza dargli troppo rilievo16. Con il passare dei mesi, la contestazione al prefetto Paternò si attenua
ma non cessa mai del tutto. Alla fine del 1945, un anonimo dirigente fiorentino del PdA spiega – in una lettera indirizzata a Emilio Lussu – che a un certo punto i toni furono
15 La fame bussa… tre volte, “Umanità nova”, a. IV, n. 352, 19 novembre 1944.
16 La mozione presentata dal C.T.L.N. al Governo, “NdP”, 10 novembre 1944. “I dieci” sono
Ragghianti, Medici Tornaquinci, all’epoca uno presidente e l’altro vicepresidente del CTLN, poi Codignola, Rossi, Montelatici, Piccioni, Berti, Mariotti, Lombardi e Artom; prendo questo elenco dal “Il Corriere di Roma”, 10 novembre 1944; una piccola rassegna stampa sull’evento in Archivio ISRT, Foscolo Lombardi, b. 17, fasc. 20, “appendice”. Ne L’Orologio Levi rivendica la sua presenza: “c’ero anch’io” (p. 188). Il suo viaggio a Roma è confermato da un verbale della riunione di redazione della NdP
smorzati perché Paternò sembrò comunque “il minor male di fronte alla possibilità di una candidatura liberale che si prospettava nella persona di Medici Tornaquinci”. Nei mesi in cui Parri fu presidente del consiglio, i dirigenti fiorentini del PdA cercarono più volte di far rimuovere Paternò, avanzando la candidatura di un altro prefetto di carriera che dava ben maggiori garanzie d’antifascismo. “Non ho mai capito le influenze che si esercitassero su Parri contro questa nomina”, ma ora – prosegue il dirigente fiorentino – si può cercare di riaprire il caso presso il ministro dell’interno del nuovo Gabinetto.
Paternò da molto tempo sembra sul punto di essere trasferito. Il passaggio nell’Italia delle province del Nord ed i recenti incidenti di Firenze, potrebbero essere occasione propizia per operare il trasferimento.
Mi raccomando di interessarti della cosa quanto ti sarà possibile e di farmi sapere l’esito dei tuoi passi in via strettamente confidenziale17.
dell’11 novembre 1944 e dall’invito all’inaugurazione di una mostra alla “Galleria dello Zodiaco” di Roma, per il 9 novembre 1944; questi documenti si trovano ora in FC, CL.
17 Anche Maria Pia Dradi ha sottolineato come le spaccature in seno al CTLN favorirono, sin
dall’autunno del 1944, il consolidamento del potere del prefetto (cfr. Lotti, Dradi, Il Partito d’Azione cit., p. 305).
Archivio ISRT, PdA, b. 17, fasc. 155, sottofascicolo “Causa Santoro, Prefetto Paternò e Nicolodi”, lettera dattiloscritta, 2 cc., non firmata, indirizzata al “compagno EMILIO LUSSU”, Roma, da Firenze, il 29 dicembre 1945
“Strettamente riservata Caro Emilio,
durante la presidenza Parri, ebbi occasione di parlare ripetutamente con Ferruccio ed anche di scrivergli, in merito alla situazione prefettizia di qui. Come sai, è Prefetto di Firenze da sedici mesi il Marchese Paternò, funzionario di carriera, che anche nel ’40 dimostrava sentimenti antifrancesi ed apertamente fascisti in pubblici discorsi.
La sua nomina trovò qui una grande ostilità specialmente dei partiti di sinistra, che svolsero contro di lui una violenta campagna. tuttavia egli ha sicure capacità amministrative e notevole abilità politica, così che è riuscito a superare assai brillantemente la tempesta e a conquistare una posizione assai più solida. L’ammorzamento della campagna contro di lui fu dovuta anche al fatto che si ritenne ad un certo momento che egli rappresentasse il minor male di fronte alla possibilità di una candidatura liberale che si prospettava nella persona di Medici Tornaquinci.
Ripetutamente feci presente a Parri che la soluzione migliore sarebbe stata quella di sostituire Paternò con altro Prefetto di carriera, il che avrebbe reso possibile evitare qualsiasi pericolo da parte liberale: la migliore scelta sarebbe stata quella del Prefetto Ugo Mazzolani, già destinato unanimemente dai partiti nella fase finale della lotta clandestina, che non poté però prendere possesso del suo ufficio, perché si trovava allora in Liguria.
Il Mazzolani è noto a tutta la cittadinanza per la sua onestà e per il suo atteggiamento costantemente antifascista, che gli impedì la promozione a Prefetto fino al 25 luglio 1943. A tale data egli era già da qualche anno Vice Prefetto di Firenze, dove si era conquistato le unanimi simpatie. Nominato Prefetto nell’infornata Badoglio, fu destinato a Udine, dove mantenne un atteggiamento fermissimo nei riguardi dei fascisti, tanto da dovere nascondersi subito dopo l’otto settembre, per timore di gravi rappresaglie. Dopo d’allora visse alla macchia e il fratello di lui, Renato, fu fra i capi partigiani della Spezia, dove trovò la morte.
Probabilmente, nel corso dei mesi l’unità in questa battaglia venne meno anche nel PdA. Il Giacomo Devoto, che era membro della Giunta comunale fiorentina, ricorda che, dopo aver i contrasti iniziali, i rapporti con il prefetto migliorarono sensibilmente, Paternò “seppe comportarsi”.
Si legò d’amicizia con rappresentanti del Comitato di liberazione nazionale e, grazie all’avvocato Luigi Boniforti, stabilì con quello rapporti cordialissimi. Quando, mesi e mesi dopo, lasciò Firenze fu assai rimpianto non solo dalla classe politica, ma anche dall’ambiente operaio18.
Il mandato di Paternò sopravvisse al CTLN, che fu sciolto nel luglio 1946. Malgrado tutto, la “NdP” continuò a essere per oltre un anno il luogo dove discutere i temi dell’autonomia e dell’autogoverno, in tutte le sfere della vita politica e sociale, alla ricerca di nuove pratiche, diverse sia da quelle fasciste che da quelle prefasciste. Non si pretendevano autogoverno e autonomia solo per ottenere un banale decentramento dei poteri, o per disporre di un governo a portata di mano. Si trattava invece di realizzare una democrazia libertaria e partecipativa, costruita dal basso. Questo era il significato rivoluzionario dei CLN, e questo era il senso degli interventi di Levi che, sulle pagine de “La Nazione del Popolo”, riprendeva le riflessioni elaborate sin dagli anni Venti.
Il Mazzolani rappresenterebbe una sicura garanzia democratica. Egli è un funzionario integerrimo, non legato a nessun partito, ma simpatizzante per il nostro; la sua nomina sarebbe salutata da tutti con profonda simpatia.
Non ho mai capito le influenze che si esercitassero su Parri contro questa nomina: sebbene abbia al riguardo dei sospetti che non posso esprimerti qui. /
[2] Il Partito Comunista, col quale ho parlato recentemente di questo, sarebbe del tutto favorevole alla soluzione; non so il Partito Socialista, poiché è ben difficile fare prendere ai suoi esponenti di qui una qualsiasi posizione politica: ma è certo che non potrebbero che preferire Mazzolani a Paternò. Dal punto di vista del nostro Partito, poi, noi potremmo agire su di lui molto di più che su Paternò, nonostante che i rapporti con quest’ultimo siano buoni.
Ti pregherei dunque di parlare a Romita della faccenda e vedere se si riesce finalmente a definire la cosa. Paternò da molto tempo sembra sul punto di essere trasferito. Il passaggio nell’Italia delle province del Nord ed i recenti incidenti di Firenze, potrebbero essere occasione propizia per operare il trasferimento.
Mi raccomando di interessarti della cosa quanto ti sarà possibile e di farmi sapere l’esito dei tuoi passi in via strettamente confidenziale.
Auguri e saluti dal tuo”
Manca la firma, c’è solo il timbro della “Segreteria politica provinciale e regionale”.
18 Devoto, La parentesi cit., pp. 83-84. Si ricorderà che Luigi Boniforti era un membro del PdA, e che