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Diverso invece è il quadro culturale durante il principato di Ne- rone, sotto il quale la produzione letteraria assunse caratteri di

forte originalità. Fu unicamente Nerone a determinare questo cambia- mento di prospettiva? In parte forse è così, perché egli fu l’unico impera- tore della dinastia giulio-claudia ad attribuire grande valore alle lettere e a voler ricreare intorno a sé un gruppo di intellettuali e scrittori. È anche vero, tuttavia, che tale politica culturale mirava a scopi propagandistici: spesso pro- dusse una stucchevole poesia encomiastica e ben presto suscitò insoffe- renza e rifiuto. Le migliori opere letterarie dell’epoca, come si è

detto, nacquero in rapporto conflittuale o in opposizione alla politica neroniana. Non è un caso che, proprio sotto il princi- pato di Nerone, in campo filosofico dominò il pensiero stoico, che diventò, grazie alla riflessione e alle opere di Seneca, l’espressione della fronda senatoria nei riguardi del princeps, richiamandosi ai principi dottrinali della li- bertà interiore e della apátheia («impassibilità del-

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Gli eventi, la società, la cultura

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Come le Laudes Neronis di Lucano, andate perdute.

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Statua di efebo in bronzo, utilizzata come lussuoso portalampade,

Isecolo d.C., Napoli,

Museo Archeologico Nazionale.

La prima età imperiale

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l’anima») propria del saggio. Un caso letterario a sé e un’originale risposta al “neronismo” imperante – che interpre- tava la cultura come teatralità ed este- riorità – fu quello del già citato Petro- nio, uno scrittore colto che mantenne un atteggiamento di distacco e di iro- nica superiorità rispetto all’esistenza, incarnando nel romanzo la crisi di va- lori e di certezze della sua epoca in una rappresentazione realistica e originale di quel mondo. Il successo delle opere di Seneca e Petronio, delle satire di Per- sio o del poema di Lucano testimonia quanto doveva essere sentito il bisogno da parte del pubblico di voci dissonanti dal regime del principe e libere dalla dipendenza dai precedenti modelli au- gustei.

Gli eventi, la società, la cultura

Nella prima età imperiale si allargò il pub- blico, per una più diffusa scolarizzazione e per la formazione di un ceto burocratico ampio e ac- culturato. Testimoni di questo fenomeno sono l’espansione del mercato librario e il successo delle pubbliche recitationes.

Gli scrittori però si trovavano ancora nella ne- cessità di dover dipendere da un patrono che sovvenzionasse la loro attività: accanto alle tra- dizionali famiglie nobili, tale ruolo di patrono fu rivestito soprattutto dal principe, ma anche dalle figure dei “nuovi ricchi”, liberti e cavalieri.

La produzione letteraria visse un momento di stasi, almeno fino all’età neroniana. Il confronto con la letteratura dell’età precedente era piutto- sto pesante, inoltre i gusti letterari erano cam- biati: gli stessi imperatori mostrarono preferenze per alcuni generi minori, come la poesia astro- nomica o quella mitologica di tipo alessandrino.

L’oratoria si ridusse a pure esercitazioni di stile e di eloquenza, essendo venuto meno il di- battito politico: eppure fiorirono molte scuole di retorica ove gli allievi si esercitavano con le fittizie

declamationes.

Unico spunto di originalità fu quello offerto da Fedro e dalla sua favola in poesia: un insegna- mento morale di grande dignità, sia pure in forma dimessa e minore.

Sotto Nerone invece la produzione letteraria ha un nuovo impulso, con caratteri di forte origi- nalità. Matura la prosa filosofica di Seneca; ap- pare con Lucano un nuovo modello di poema epico-storico; Persio restituisce vigore al genere satirico; e soprattutto Petronio, con il Satyricon, fa saltare il tradizionale schema dei generi letterari. La politica culturale di Nerone, tuttavia, pre- sto suscitò insofferenza e rifiuto nei confronti di un’arte che doveva essere asservita all’esalta- zione di un principe. Non è un caso che, proprio sotto il principato di Nerone, in campo filosofico dominò il pensiero stoico, che diventò, grazie alla riflessione di Seneca, l’espressione della fronda senatoria nei riguardi del princeps, richia- mandosi al principio della libertà interiore.

Un’originale risposta al “neronismo” impe- rante fu quella di Petronio, uno scrittore colto che incarnò nel romanzo la crisi di valori e di certezze della sua epoca, in una rappresenta- zione realistica e originale di quel mondo.

IN SINTESI

Cameo con rappresentazione dell’apoteosi

dell’imperatore Claudio, Isecolo d.C., Parigi,

La lingua

Gli eventi, la società, la cultura

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Un nuovo stile

Osservando l’uso della lingua e le scelte stilistiche com- piute dagli autori di questo periodo, si vede che è ancora l’età neroniana quella che presenta le novità più significative. Si nota subito una volontà di contrapposizione con l’età precedente, cosicché l’equilibrio proprio delle opere d’età augustea viene abbandonato per seguire nuove prospettive, come mostrano la prosa di Seneca o le scelte della poesia di Lucano e di Persio. Le scelte stilistiche ripropongono un ri- torno dell’asianesimo, con le sue enfasi, i suoi colori, l’abbondanza delle figure re- toriche, il pathos che esso portava; spesso (soprattutto in Seneca) si esprime attra- verso fulminanti sententiae, brevi frasi a effetto che distruggono l’armonia del periodare ciceroniano. Come hanno evidenziato molti critici, questo nuovo stile “baroccheggiante” sembra esprimere le tensioni dell’epoca, il desiderio e la diffi- coltà di ricostruire un equilibrio interiore di fronte alla nuova, caotica realtà della Roma imperiale, e a quella neroniana in particolare.

La lingua di Petronio

Sul piano linguistico, invece, le acquisizioni più interessanti vennero operate da Petronio. Nel suo romanzo, infatti, in mezzo ai re- gistri linguistici più disparati, domina il sermo familiaris, linguaggio quotidiano di li- vello non alto, utilizzato da molti personaggi e soprattutto da Trimalchione, il pro- tagonista della famosa cena, cui già in precedenza si è fatto cenno; per motivi realistici, questo sermo è infarcito di

barbarismi e solecismi (veri e propri errori grammaticali, tipici del par- lato di persone non colte) e talvolta si alza in goffe imitazioni del lin- guaggio dotto e poetico. Nu merose sono anche le espressioni popolare- sche e i grecismi, in un pastiche origi- nale e personalissimo, che rivela una straordinaria capacità di imitare la realtà e di interpretarla.

In età neroniana le scelte stilistiche, riscontra- bili nelle opere di Seneca, Lucano e Persio, mo- strano una volontà di contrapposizione all’equilibrio dell’età augustea, cercando un ritorno dell’asiane- simo, con le sue enfasi, i suoi colori, l’abbondanza delle figure retoriche, il pathos che esso portava.

Sul piano linguistico le acquisizioni più interes- santi si riscontrano in Petronio, che unisce nel suo romanzo registri linguistici disparati per riprodurre realisticamente il mondo che rappresenta.

IN SINTESI

il ritorno all’asianesimo

Bottega di macellaio, Isecolo a.C., Roma,

LE P

AROLE DELL

’ARTE

La prima età imperiale

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Quando, nel 27 a.C., il Senato insignì Ottaviano del titolo di Augusto la sola onorificenza che gli fu riconosciuta fu di decorare gli stipiti della casa natale sul Palatino con piante di alloro e di porre sopra la porta d’ingresso una corona civica, fatta di fronde di quercia (Res Gestae, 34). La sempli- cità dell’omaggio, che richiamava antichi riti e i luoghi più sacri di Roma come la Regia e il tem- pio di Vesta, creava intorno alla casa del principe un alone sacrale e al tempo stesso era un segno tangibile di quello stile sobrio col quale Augusto volle caratterizzare la sua vita. Benché alla morte del principe la Domus Augusti, tra parti pubbliche e parti private, si estendesse su una superficie di circa 12 mila metri quadrati, gli scrittori antichi sottolineano il carattere non sontuoso dell’abita- zione che viene definita da Svetonio «una casa modesta, ..., né ampia né lussuosa: difatti vi era solo un piccolo porticato con colonne di pepe- rino, senza saloni adorni di marmo o pavimenti di pregio» (Vita di Augusto, 72, 2).

Un’abitazione “poco imperiale”, però dal forte valore simbolico tanto che i successori di Augu- sto -Tiberio, Caligola, Claudio – conservarono la loro dimora sul Palatino, pur affiancando all’an- tica casa nuovi ambienti e trasformando progres- sivamente l’area, fino ad allora caratterizzata da un intreccio di edifici pubblici ed aree private, nella sede delle residenze imperiali, che finirono per essere indicate proprio col nome dell’antico colle, il Palatium.

Negli anni che precedono il grande incendio del 64 d.C. le proprietà imperiali, frutto di eredità, donazioni o confische, si estendono ormai dal Palatino fino al colle Oppio, spingendosi con i giardini che un tempo erano stati di Mecenate fino al colle Esquilino. È un vasto complesso di case, portici, horti, giardini, ville suburbane che

l’imperatore Nerone riorganizza collegandole fra loro. Tuttavia la prima residenza neroniana, che gli storici antichi indicano col nome di Domus

Transitoria, non nasceva da un vero progetto e

anche se per la prima volta univa i diversi posse- dimenti imperiali doveva avere un aspetto piutto- sto disorganico essendo l’area ancora parzial- mente occupata da edifici pubblici e privati. L’incendio del 64 d.C. offre a Nerone la possibi- lità di intraprendere un’opera di riorganizza- zione degli spazi, avviando la costruzione di una nuova dimora, la Domus Aurea, che prende come modello le corti dei sovrani ellenistici e il cui pro- getto, come ci informa Tacito, viene affidato agli architetti Severo e Celere (Annales XV, 42). Se sobrietà e misura avevano indirizzato la vita privata di Augusto, Nerone punta invece a stupire i suoi sudditi. La residenza imperiale si trasforma dunque in una grandiosa quinta teatrale, dove l’obiettivo principale, come nelle opere letterarie coeve, è destare meraviglia. Nel descriverla Sveto- nio racconta che era tanto vasta da poter acco- gliere nel suo vestibolo un’enorme statua in bronzo dell’imperatore, nelle vesti del dio Sole, alta 120 piedi, il Colossuss Neronis, e da avere al suo interno tre portici lunghi mille passi, oltre a uno specchio d’acqua che sembrava un mare, circon- dato da edifici grandi come città (Vita di Nerone, 31, 3). Ma ancora più sorprendente era la pre- senza di aree verdi, «campi coltivati, vigneti, pa- scoli e foreste, abitate da ogni genere di animali domestici e selvaggi» che, portando la campagna nel cuore di Roma, ricreavano come nella pit- tura le atmosfere fantastiche e i paesaggi bucolici del mito e dell’idillio. Le parti costruite emerge- vano tra i giardini, creando scorci pittoreschi. Al- cuni degli edifici erano «ricoperti d’oro e ornati di gemme e madreperle, con i soffitti delle sale da pranzo rivestiti di lastre d’avorio mobili, e forate, per poter lanciare sui commensali fiori, oppure profumi». La principale di queste sale, la cele- bre “coenatio rotunda”, era di forma circolare e girava continuamente, giorno e notte, su se stes- sa, come la terra; un’altra particolarità della re- sidenza neroniana era la presenza di sale da ba-

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