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Gli spettacoli di samāǧa

2.5 Gli spettacoli di samāǧa

Nello studio delle fonti di epoca abbaside sul nawrūz è inevitabile imbattersi in un ristretto corpus di notizie relative ad una pratica denominata samāǧā. L’inverso è ugualmente vero e, infatti, i pochi studiosi che hanno studiato il fenomeno, al fine di stabilirne le caratteristiche, nelle fonti arabe, inevitabilmente si sono basati in massima parte su resoconti di samāǧa in occasione di celebrazioni di nawrūz. Anche per via della rarità del termine, almeno nel senso qui considerato241di spettacolo in maschera,

sulla samāǧa gli studi sono di numero limitato.

M. M. Ahsanm, nella sua monografia sul vivere sociale in età abbaside, dedica a questa pratica una breve sezione nel capitolo sui giochi e come tale lo definisce, alquanto vagamente, come “un qualcosa di simile aduna mascherata”242. Alcune

indicazioni si ritrovano anche alla voce “Performing Artists”243 in Medieval Islamic

Civilization, di S. Moreh. Al quale dobbiamo lo studio più completo disponibile

sull’argomento, frutto di un approccio per parola chiave. Alla samāǧa, infatti, Moreh dedica un capitolo del suo lavoro Live Theatre and Dramatic Literature in the Medieval

Arab World riportando quanto rintracciabile nelle fonti letterarie arabe sul tema244.

I passi qui presi in esame sono tutti quelli contenenti sia menzioni della samāǧa che del nawrūz. Tale principio ci ha portato,in virtù della citata rarefazione delle fonti, a delineare una messe quasi coincidente con quella adoperata da Moreh come base per i suoi studi in proposito. Le fonti così ottenute coprono un periodo relativamente ristretto, che non va oltre il iii/ix secolo. In particolare, abbiamo notizia di performance di samāǧa in occasione di celebrazioni di nawrūz per il califfato di al-Muʿtaṣim (218-22/833-842), al-Mutawakkil(232-247/847-861) e al-Muʿtaḍid (279-289/892-902). A queste si aggiungono alcuni versi composta da Ibn al-Muʿtazz, vissuto tra il 247-296 e il 861-908.

Il passo che si riferisce al califfato di al-Muʿtasim è contenuto nel Kitāb maqātil

241Il termine ha anche un senso principale, più diffuso, traducibile con brutto, deforme o grottesco (Lane, Lexicon, vol. i, p. 1422).

242Eng. “something like a masquerade” (Ahsan, 1979, p. 270). 243Moreh, 2006.

al-Ṭālibiyyin245 di Abū al-Faraǧ al-Iṣfahānī (284-356/897-967). L’opera, composta

nel 313/923246, è una raccolta di biografie di discendenti di ʿAlī b. Abī Ṭālib

oppressi e uccisi nei primi secoli dell’Islam, sino al califfato di al-Muqtadir (r. 295-320/908-932)247.

La samāǧa di al-Mutawakkil è descritta invece nel Kitāb al-diyārāt di Abū al-Ḥasan ʿAlī al-Šābuštī (356-386/975-996), bibliotecario, letterato e cortigiano, di origine forse daylamita, vissuto nell’Egitto fatimide. Il Kitāb al-diyārāt248è l’unica sua opera giunta

sino a noi e si inserisce nella breve vita del filone letterario dedicato alla descrizione dei monasteri cristiani, intesi come luogo di svago privilegiato per musulmani di rango elevato, cortigiani e anche per gli stessi califfi249. Quanto tale genere fosse all’epoca

diffuso non è chiaro. Una fonte ben autorevole come Ibn Ḫallikān afferma che furono composte numerose opere sull’argomento, sebbene si limiti a riportare solo un paio di titoli, e C. E. Bosworth, autore della relativa voce contenuta nell’Encyclopaedia

of Islam2 sembra basarsi proprio sulle parole di questo autore per definire l’opera di

al-Šābuštī come esemplare di un genere ben più diffuso. In realtà, come argomentato da K. Zakharia in un suo articolo volto a indagare precisamente la storia di questo genere letterario250, queste affermazioni si giustificano solo tenendo in considerazione

anche le opere arabe riguardanti sì i monasteri, ma sotto il puro profilo toponomastico o religioso, vale a dire in tutt’altra luce rispetto ai conventi come taverne e luoghi di svago che costituiscono l’oggetto del Kitāb al-diyārāt.

A parlarci della samāǧa alla corte di al-Muʿtaḍid è invece il Kitāb al-ḏaḫāʾir wa

al-tuḥaf251. L’opera, recentemente tradotta in inglese da G. H. Qaddumi252 sulla

base dell’edizione dell’unico manoscritto esistente approntata da M. Ḥamidullāh, è di carattere compilativo ed è costituita da un’elencazione di omaggi meritevoli di essere ricordati in virtù del loro particolare pregio. Il Kitāb al-ḏaḫāʾir wa al-tuḥaf fu copre un

245Abū al-Faraǧ al-Iṣfahānī, Maqātil, pp. 389-390. 246Günther, 2014.

247Günther, 1991, pp. 13-16. 248Al-Šābuštī, Diyārāt, pp. 39-40. 249Zakharia, 2002.

250Zakharia, 2002.

251Pseudo-Ibn al-Zubayr, Ḏaḫāʾir, pp. 38-39. 252Qaddumi, 1996.

2.5 Gli spettacoli di samāǧa ampio periodo storico, che va dal tempo dei sovrani sasanidi sino alla seconda metà del iv/x secolo. Ḥamīdullāh, curando l’edizione dell’opera, ne identificò in un certo qāḍī chiamato al-Rašīd b. al-Zubayr l’autore, ma, sulla base delle considerazioni avanzate da Qaddumi, l’autore del Kitāb al-ḏaḫāʾir wa al-tuḥaf253sarebbe da considerarsi ancora

ignoto. In ogni caso, entrambi gli studiosi sono concordi sull’appartenenza dell’autore nell’alta società egiziana del iv/xi secolo254.

A queste fonti si aggiungono quattro versi255 dal dīwān di Ibn al-Muʿtazz che

alludono ad una samāǧa svoltasi in occasione di un nawrūz e altri due, sempre a lui attribuiti nel Dīwān al-maʿānī Abū Hilāl al-ʿAskarī256. Entrambi i passi si ritrovano

nel Kitāb ašʿār awlād al-ḫulafāʾ di Abū Bakr al-Ṣūlī257.

Come già segnalato, i passi individuati da S. Moreh nel corso della sua ricerca sulla

samāǧā in ambito abbaside sono, con piccole eccezioni258, gli stessi da noi ritrovati

duranti la collezione di fonti sul nawrūz259.

Il fatto che le fonti riferiscano di spettacoli di samāǧa solo in relazione al secolo iii/ix suggerisce che in quell’epoca si fosse venuta a creare una relazione di affinità tra le mascherate di samāǧa e la celebrazione del nawrūz, occasione privilegiata per tali spettacoli.

Sotto il profilo metodologico occorre considerare tre punti che giustificano l’utilizzo di fonti successive per produrre considerazioni circa fenomeni del iii/ix secolo. Il primo è il fatto che, nelle opere considerate, il termine samāǧā è utilizzato in riferimento

253Qaddūmī mette in discussione anche il titolo dell’edizione di Ḥamīdullāh e anche la sua suddivisione per paragrafi. In questa sede, poiché intendiamo rifarci primariamente al testo arabo edito, faremo riferimento al titolo e alla strutturazione del testo arabo edito da Ḥamīdullāh, ma, allo stesso tempo, accettiamo le osservazioni di Qaddūmī circa l’identità dell’autore.

254Grabar, 2006, p. 51.

255Ibn al-Muʿtazz, Dīwān, p. 120. 256Al-ʿAskarī, Maʿānī, vol. i p. 308. 257Al-Ṣūlī, Awlād, pp. 136-137, 249.

258Nello studio di Moreh, l’unica eccezione è nelle parole di un commentatore del iv/ix secolo ad un verso di Ǧarīr. Il commentatore «glosses the small bells of kurraǧ with the explanation that the (Ǧarīr) is mocking him (al-Farazdaq). He (Ǧarīr) means that he is a samāǧa» . Inoltre Moreh riporta l’impiego, da parte di Ibn Sīnā, del termine samāǧa in una traduzione di Aristotele per indicare le maschere comiche (Moreh, 1996, p. 44,51).

259A queste fonti Moreh (1996, pp. 48-49) aggiunge anche un passo da al-Maqrīzī, che è comunque una citazione di Ibn al-Zūlāq sulle celebrazioni popolari di nawrūz nell’anno 364/975, che ebbero luogo regolarmente in nonostante alle proibizioni del califfo fatimide al-Muʿīzz li-Dīn Allāh (341-365/953-975).

a spettacoli in maschera solo in relazione a questo secolo. Quelle stesse opere non ne estendono l’impiego ai periodi successivi o precedenti, pur occupandosi di archi temporali più ampi del iii/ix secolo. In secondo luogo, le uniche testimonianze dirette di performance di samāǧa, cioè i versi di Ibn al-Muʿtazz, risalgono proprio a questo secolo. Infine è indicativo che i dizionari arabi, successivi al iii/ix secolo e contemporanei degli autori qui considerati, eccetto Ibn al-Muʿtazz, non registrino tra i significati del termine samāǧa, e della sua radice, concetti affini a spettacoli in maschera, ma solo il suo significato di “essere brutto o grottesco”260. Per questi

tre motivi riteniamo legittimo considerare come più significativo, per la questione qui discussa, il periodo a cui le nostre fonti si riferiscono, piuttosto che quello in cui furono composte.

Nelle messe in scena della samāǧa erano sempre presenti (apparentemente numerosi)

aṣḥāb al-samāǧa, i quali si esibivano intorno ad una figura centrale, con un parziale

coinvolgimento di quest’ultimo. Moreh considera gli aṣḥāb al-samāǧa come “attori” o “recitatori”261, riflettendo la descrizione piuttosto sfocata che nelle fonti si ritrova

circa la loro attività. Ibn al-Muʿtazz li paragona a ǧinn, alcuni disposti in file e altri danzanti, mano nella mano, con movimenti simili a cipressi scossi dal vento e allude alla bruttezza delle maschere che è stata apposta sulla bellezza dei loro visi262. Gli

aṣḥāb al-samāǧa di al-Muʿtaṣim non danzano ma giocano o recitano, mentre la danza

è affare di un’altra classe di intrattenitori, i farāġina263, che si impegnano inoltre a

lanciare sul popolino sporcizia e carne morta. È certo da tenere presente il tono avverso ad al-Muʿtaṣim dell’intero passo e, in conseguenza, risulta necessario un certo scetticismo riguardo ai particolari più estremi del passo. Allo stesso tempo sarebbe

260Ibn al-Maẓūr, Lisān, vol. iii p. 300; Lane, Lexicon, vol. i p. 1422. 261Eng. “actors”, “players”.

262Ibn al-Muʿtazz, Dīwān, p. 120.

263Ar. “wa ʾaṣḥāb al-samāǧā bayn yadayhi yalʿabūna wa al-farāġina yarqaṣūna”. Moreh emenda il testo arabo sostituendo ṣafāʾina al termine farāġina, senza spiegare il motivo di questa operazione. Qui ci interessa solo segnalare la definizione dei movimenti degli aṣḥāb al-samāǧa come laʿb piuttosto che come raqṣ. Inoltre, anche per la samāǧa di al-Muʿtaḍid si parla di farāʿina danzanti, che Ḥamīdullāh emenda in farāġina (pseudo-Ibn al-Zubayr, Ḏaḫāʾir, p. 39 n. 5). La questione verrà ripresa più avanti in questa stessa sezione.

2.5 Gli spettacoli di samāǧa uno sbaglio non considerare, riguardo la macabra aspersione sulla folla della samāǧa di al-Muʿtaṣim, che, all’opposto, durante la samāǧa di al-Mutawakkil, il califfo avrebbe lanciato sui numerosissimi aṣḥāb al-samāǧa monete, attirandoli così sempre più vicino a sé, al punto da incorrere nelle ire di Isḥāq b. Ibrāhīm al-Ṭāhirī264:

«Principe dei Credenti, credi forse che questo regno non abbia tanti avversari quanti amici? E te ne stai in compagnia di simili cani, che addirittura ti tirano le vesti e son tutti travestiti in maniera rivoltante! E se tra loro ci fosse un tuo nemico che ha rinnegato la religione, malintenzionato e d’animo cattivo, che così si trova al tuo fianco? Quando cesserà tutto questo? Quando libererai la terra di questa gente?». Al che al-Mutawakkil rispose: «Abū al-Ḥusayn, non arrabbiarti così! Giuro che non mi vedrai più in una situazione simile». Detto questo, fece costruire una struttura più alta da dove assistere al sicuro allo spettacolo della

samāǧa.265

Non è da escludere che l’aneddoto qui riportato costituisca una rappresentazione in piccolo di una preoccupazione più grande da parte di certi ambienti dell’establishment califfale, di fronte sia ad un possibile lassismo delle misure volte a garantire la sicurezza di al-Mutawakkil, sia alle cattive scelte del califfo stesso circa le persone da ammettere alla propria presenza.

Proseguendo nella presentazione delle nostre fonti, giungiamo al Kitāb al-ḏaḫāʾir wa

al-tuḥaf266, il quale riporta il costo dei numerosi doni di nawrūz da parte di Qaṭr

al-Nadā (m. 287/900), per il marito, il califfo al-Muʿtaḍid. Il testo menziona anche lo svolgimento di una samāǧa, per le cui maschere267 sarebbero stati spesi tredicimila

264Isḥāq b. Ibrāhīm al-Ṭāhirī, importante generale dell’esercito, nel Kitāb al-diyārāt è spesso rappresentato come un uomo estremamente severo con principi e califfi, saldamente convinto della necessità di mantenere alta la dignità della famiglia califfale, se necessario anche con metodi estremi. Il caso esemplare è la fustigazione somministrata al principe Abū ʿAlī b. al-Rašīd, ancora ubriaco, appena fuori da un monastero di Baghdad, un atto per il quale Isḥāq ricevette i ringraziamenti del califfo al-Muʿtaṣim e il suo invito a sorvegliare con altrettanta severità i membri della famiglia califfale. (Capezzone, 1993, pp. 35-37).

265Al-Šābuštī, Diyārāt, p. 40. {Rif. 19a}. 266Pseudo-Ibn al-Zubayr, Ḏaḫāʾir, pp. 38-39.

dīnār. Per lo spettacolo, specifica l’autore, “uscirono dal palazzo trenta ragazze per

danzare insieme ai farāʿina”.

La definizione dei farāʿīna è incerta e i tre studiosi che hanno affrontato la questione avanzano proposte divergenti, pur convergendo su un’interpretazione del termine come collettivo. Ḥamīdullah suggerisce di emendare il termine in farāġina e di intendere l’espressione come “gente della Farġāna”. Lo studioso non sembra consapevole del passo succitato dal Kitāb maqātil al-Ṭālibiyyīn che, parlando della collaborazione di

farāġina alla samāǧa, darebbe appoggio alla sua tesi. Moreh procede nella stessa

maniera vista precedentemente, vale a dire sostituisce farāʿina con ṣafāʾina, traducibile con ‘mimi comici’, senza motivare ulteriormente l’emendazione operata. Qaddumi mantiene la grafia farāʿina anche in traduzione, proponendo con scarsa convinzione l’ipotesi che questa categoria di attori danzanti vestisse alla maniera degli antichi egizi, dato che il plurale arabo di “Faraone” è appunto farāʿina e che Qaṭr al-Nadā era originaria proprio dell’Egitto. Qaddumi ritiene, comunque, che l’ipotesi di Ḥamīdullāh possa essere corretta.

L’ipotesi di Moreh ci appare debole per la distanza tra le grafie farāʿina e ṣafāʿina. Inoltre appare implausibile che due testi, parlando di due diversi eventi, presentino due errori tanto simili nella grafia della stessa parola. Al contrario è più semplice supporre che stia nell’alternativa tra farāʿina e farāġina la versione corretta, anche in virtù del fatto che la distanza grafica tra le due forme, si riduce alla presenza o meno di un solo punto diacritico.

Al momento ci è impossibile dire una parola definitiva sulle altre due ipotesi. Da un lato la pista egiziana è rafforzata dal fatto che, come Qaṭr al-Nadā, anche al-Muʿtaṣim ebbe legami con l’Egitto, essendone stato governatore per conto del fratello al-Maʾmūn durante il califfato di quest’ultimo. Di contro, va notato che nella menzione di samāǧa durante il nayrūz egiziano del 364/974-5268 non si parla di travestimenti in stile

faraonico, ma solo di maschere, e possiamo ipotizzare che non ve ne fosse traccia

questo caso il termine samāǧa pare indicare le maschere piuttosto che non la performance per la quale sono utlizzate, come peraltro notato anche da Moreh e da Qaddumi nei testi citati. 268Moreh, 1996, p. 54.

2.5 Gli spettacoli di samāǧa secoli più tardi, visto che il faqīh malikita Ibn al-Ḥaǧǧ (m. 737/1336), condannando la partecipazione dei musulmani egiziani al Nayrīz copto269, in quanto festa di origine

faraonica al pari del Giorno del Nilo, non menziona alcun travestimento in stile tra i segni di questa derivazione.

A favore dell’ipotesi avanzata da Ḥamīdullāh gioca il fatto che, proprio per opera di al-Muʿtaṣim270, le truppe provenienti dall’area transoxiana assumono importanza

vieppiù maggiore nella struttura militare del califfato. È importante tenere a mente, inoltre, che le fonti arabe presentano significative discrepanze circa il significato preciso di termini quali maġāriba, farāġina e ḫūrāsānī e turk271. Al problema del

variabile significato che le fonti attribuiscono al termine farāġina quando impiegato per riferirsi a truppe militari, va ad aggiungersi la possibilità che il termine non indichi in alcun modo la provenienza geografica o etnica di questa categoria di attori, ma piuttosto un particolare tipo di costumi e di movenze, quindi il loro ruolo all’interno di una messinscena strutturata, in maniera simile a quanto avviene nelle mascherate carnevalesche in alcuni paesi europei, dove tra le varie maschere, compaiono anche ‘arabi’ o ‘zingari’, indipendentemente dal retaggio dell’attore che li impersona272.

Un’ultima ipotesi può essere però avanzata immaginando un possibile parallelo della relazione tra aṣḥāb al-samāǧa e farāġina con la ricorrente presenza, nelle mascherate carnevalesche europee, della compresenza e della lotta tra maschere belle e brutte, tra mascherati e ballerini273. L’analogia si rafforza alla luce del legame che la samāǧa ebbe

con il nawrūz, similmente a quello tra mascherata e carnevale, che, inoltre, è anch’esso un capodanno274. È fatto noto dagli studi di Pūr Inkārī275 che nelle celebrazione turche

del saya è presente una rappresentazione dello scontro tra opposti, connotati di volta in volta come bianco/nero, bello/brutto, vecchio/giovane. Da un lato tale festa turca è

269Ettinghausen, 1965, p. 219.

270Sembra ormai superata l’idea che la stessa madre di al-Muʿtaṣim, Mādira, fosse etnicamente turca. Rimane plausibile che fosse di origine soghdiana almeno il nonno materno, se non la Mādira stessa (Ismail 2001, pp. 29-30). 271Ismail, 1966, pp. 14-15. 272Baroja, 1989, pp. 275-278. 273Sordi, 1989. 274Sanga, 1989, p. 7. 275Citato in Cristoforetti, 2002, pp. 249-254.

certamente imparentata più strettamente con il saḏaq, piuttosto che con il nawrūz276.

Allo stesso tempo — come rilevato da S. Cristoforetti — il saya presenta anche “un altro elemento che, alla luce di un influsso iranico che pare indiscutibile, si può definire

nawrūzī. Si tratta del rapporto che questa festa ha con la discesa delle anime dei

morti”277 e, inoltre, il saḏaq stesso subì, nella seconda metà del iii/ix secolo e in

concomitanza con l’accrescersi della presenza dell’elemento turcico nella compagine militare abbaside, un afflusso di elementi nawrūzī, per via del momento di coincidenza delle due feste iraniche278.

In conclusione, possiamo riconoscere che le fonti arabe sino ad oggi edite non permettono ancora di definire appieno la struttura della samāǧa e dobbiamo limitarci ad una definizione di spettacolo in maschere grottesche, con inevitabili analogie carnevalesche, svolto da gruppi di attori che, con varie e tra loro diverse movenze danzano e/o si esibiscono per il divertimento degli spettatori intorno ad una figura centrale. Anche la storia della samāǧa resta in gran parte di difficile ricostruzione, benché sia possibile affermare che, per lo meno la mascherata conosciuta come samāǧa, sia limitata al periodo intorno al iii/ix secolo e abbia individuato nel nawrūz il momento più adatto per il proprio svolgimento.

276Cristoforetti, 2002, pp. 244-245. 277Cristoforetti, 2002, p. 249. 278Cristoforetti, 2002, pp. 253-254.