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Spirito di preghiera

Nel documento Don Paolo Albera maestro di vita spirituale (pagine 136-139)

ALLA SPIRITUALITÀ SALESIANA

2. Spirito di preghiera

È significativo notare che il primo tema affrontato da don Albera per stimolare i confratelli ad appropriarsi dello “spirito del venerabile Fonda-tore e Padre don Bosco” è stato lo spirito di pietà, che egli considerava ele-mento connotativo fondante dell’identità salesiana. Nella lettera circolare del 15 maggio 191111, affermò che la stima universale di cui godevano i sa-lesiani per la loro intraprendenza e l’attività in campo educativo era dovuta ai frutti abbondanti scaturiti dall’instancabile operosità di don Bosco, di

9 ASC B0330109, Per le memorie di D. Paolo Albera [1923], ms G. Barberis.

10 L. Cartier in L’Adoption, 20 (1921) n. 214.

11 LC 24-40.

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don Rua e di tanti altri confratelli, come anche alla “rapida diffusione delle opere salesiane in Europa e America”. Indubbiamente tanto ardore e tanto lavoro erano motivo di onore, prove evidenti della vitalità della Società salesiana e della speciale protezione dell’Ausiliatrice. Tuttavia si sentiva in dovere di ricordare ai confratelli “che questa tanto vantata attività dei salesiani”, questo “zelo”, questo “caldo entusiasmo” avrebbero potuto un giorno venire meno se “non fossero stati fecondati, purificati e santificati da una vera e soda pietà”12.

A partire da tale preoccupazione sviluppò un discorso sulla necessità pratica dello “spirito di pietà”, collocandolo in un solido quadro dottrinale ispirato agli insegnamenti di san Francesco di Sales: “È la pietà che regola saggiamente tutte le nostre relazioni con Dio e i nostri rapporti col prossi-mo… Le anime veramente pie hanno ali per innalzarsi a Dio nell’orazione, e hanno piedi per camminare fra gli uomini per mezzo di una vita ama-bile e santa”. Questa metafora usata dal santo patrono aiuta i salesiani a distinguere le pratiche religiose giornaliere dallo “spirito di pietà che deve accompagnarci in ogni istante, e che ha per scopo di santificare ogni nostro pensiero, ogni parola e azione, sebbene direttamente non faccia parte del culto che prestiamo a Dio”. L’acquisto di tale spirito preserva il fervore operativo dei salesiani dalla superficialità sterile, dalla dispersione e dalla frammentazione.

Gli esercizi di pietà sono mezzi indispensabili per conseguire il fine precipuo che è lo spirito di preghiera. È in essi che si alimenta “quell’in-tima relazione, quell’ineffabile parentela che Gesù Cristo volle stabilire fra lui e le anime con il santo battesimo”. Senza lo spirito di preghiera

“verrebbe meno quello spirito di fede, per cui siamo talmente convinti delle verità di nostra santa religione da serbarne sempre viva la memoria, da sentirne la salutare influenza in ogni circostanza della vita”. Senza di esso diventeremmo insensibili alle ispirazioni dello Spirito Santo, alle sue consolazioni e ai suoi doni. “Al contrario, se è ben coltivato, questo spirito fa sì che mai sia interrotta la nostra unione con Dio, anzi esso comunica a ogni atto, anche profano, un carattere intimamente religioso, lo solleva a merito soprannaturale” e lo trasforma in un culto gradito a Dio. Soltanto così è possibile trasformare il lavoro in preghiera. È questa una legge della vita spirituale valida per ogni cristiano, ma soprattutto per coloro che con la professione dei voti si sono donati senza riserve a Gesù Cristo, a lui hanno consacrato le loro facoltà, i loro sensi, l’intera loro vita. Il religioso

12 LC 26.

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dovrebbe possedere lo spirito di pietà a tal grado “da comunicarlo anche a quanti lo circondano”13.

“Per grazia di Dio – annota don Albera – noi possiamo contare molti confratelli, sacerdoti, chierici e coadiutori che in quanto a spirito di pietà sono veri modelli e formano l’ammirazione di tutti”. Purtroppo non è così per tutti. Ci sono alcuni che considerano le pratiche di pietà come un peso e cercano ogni modo per esentarsene. Così diventano a poco a poco rilassati e freddi, “vegetano sventuratamente in una deplorevolissima mediocrità e non daranno mai frutti”. È una contraddizione: sono consacrati, vivono e lavorano in una comunità religiosa, ma senza spirito interiore, senza fare alcun progresso nella perfezione, esposti a mille tentazioni e in costante pericolo di “soccombere alle seduzioni delle creature e agli assalti delle passioni”. L’unica difesa, la forza essenziale dei religiosi è la pietà vera, che aiuta a “ritemprare il nostro spirito, a corrispondere alla grazia di Dio e raggiungere il grado di perfezione che Iddio si aspetta da noi”14.

Don Albera è pragmatico. Poiché ai salesiani “è affidata la porzione più eletta del gregge di Gesù Cristo”, la gioventù, e il loro impegno educativo ottiene buoni frutti, non mancheranno gli attacchi dei nemici: “Dobbiamo tenerci pronti alla lotta… Persuadiamoci bene, solamente dallo spirito di pietà potremo attingere forza e conforto”. Inoltre sappiamo che “tutto il sistema d’educazione insegnato da don Bosco si poggia sulla pietà”; se dunque non fossimo “abbondantemente provvisti” di questo spirito offri-remmo ai nostri allievi un’educazione incompleta. Se “il salesiano non è sodamente pio, non sarà mai atto all’ufficio d’educatore”, come ha dimo-strato don Bosco, eccellente modello di pietà e impareggiabile educatore cristiano: nota caratteristica di tutta la sua vita e segreto della sua efficacia educativa fu “una fervente pietà” unita a una sincera devozione mariana:

“Si sarebbe detto che la vita del servo di Dio era una preghiera continua, una non mai interrotta unione con Dio… In qualunque momento ricorres-simo a lui per consiglio, sembrava interrompesse i suoi colloqui con Dio per darci udienza, e che da Dio gli fossero ispirati i pensieri e gli incorag-giamenti che ci regalava. Che edificazione per noi udirlo recitare ilPater, l’Angelus Domini!”15.

Da queste premesse spirituali, don Albera cava tre suggerimenti ope-rativi:

13 LC 29-30.

14 LC 30-31.

15 LC 31-34.

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1. “Facciamo il proposito di essere fedeli ed esatti nelle nostre pratiche di pietà”: sono poche e facili quelle che la regola ci impone, “ragione di più per compierle con maggior diligenza”.

2. “Promettiamo di santificare le nostre azioni giornaliere” con frequen-ti “atfrequen-ti di amore, di lode e di ringraziamento”, con purezza di intenzione, con “una santa indifferenza per tutto ciò che Iddio, per mezzo dei supe-riori, dispone”, con la generosa accettazione delle sofferenze della vita.

Questa è la pietà attiva, suggerita da san Francesco di Sales, che ci per-mette di attuare “il precetto della preghiera continua” e ci aiuta ad evitare

“la grande malattia di molti addetti al servizio di Dio, che è l’agitazione e il troppo ardore con cui si occupano delle cose esteriori”. Dunque: “Con-tinuino i salesiani a dar l’esempio di spirito d’iniziativa, di grande attività, ma sia essa sempre e in ogni cosa l’espansione di uno zelo vero, prudente, costante e sostenuto da soda pietà”.

3. “Adoperiamoci perché la nostra pietà sia fervente”, cioè caratterizzata da “un desiderio ardente, una generosa volontà di piacere a Dio in ogni cosa… Vegliamo perché non siamo vittime di quella pigrizia spirituale, che ha orrore per tutto quello che impone sacrificio”. Alla scuola di san Francesco di Sales “studiamoci di condire il nostro lavoro con elevazione della mente a Dio, con slanci d’affetto, per non lasciarci scoraggiare”16.

Nel documento Don Paolo Albera maestro di vita spirituale (pagine 136-139)