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5. STANDARD NEUROLOGICO E PROBLEMATICHE

5.3 La coscienza ed i suoi stati di alterazione: difficoltà

5.3.2 Stato vegetativo

Lo stato di coma, per definizione, ha una durata che non va

oltre le 4 settimane: rarissimi sono infatti i casi di coma “cronico”.

Se il paziente non va incontro alla morte encefalica, subentra lo

stato vegetativo, termine che indica una situazione clinica

indipendentemente dalla causa. Altri termini usati in passato per

descrivere questa sindrome in cui le funzioni vegetative e

coma vigile, sindrome apallica e morte neocorticale; tuttavia tali

dizioni sono stati abbandonati al fine di evitare ambiguità.

Lo stato vegetativo viene definito persistente se protratto nel

tempo e permanente quando si presume che sia irreversibile.

La distinzione tra “persistente” e “permanente” non è

univocamente accettata all’interno della comunità scientifica.

Secondo alcuni Autori mentre l’aggettivo persistente si riferisce

solo ad una condizione di passata e perdurante disabilità con un

incerto futuro, l’aggettivo permanente implica l’irreversibilità. Può

dirsi quindi che quella di Stato Vegetativo persistente sia una

diagnosi, mentre quella di Stato Vegetativo permanente sia una

prognosi (distinzione elaborata dalla MultiSociety Task force on

PVS) (54). Prima di dichiarare permanente, cioè irreversibile, lo

stato vegetativo di origine traumatica di un soggetto adulto è

necessario attendere almeno dodici mesi. Trascorso tale lasso di

tempo, la probabilità di una ripresa di funzioni superiori è

insignificante.

Lo Stato Vegetativo permanente indica una situazione sia

clinica sia giuridica del tutto diversa da quella che, secondo la

alla certificazione di morte encefalica. In questi casi è presente la

completa e irreversibile perdita di attività dell'encefalo, confermata

dalle registrazioni elettrofisiologiche, e delle funzioni vitali

correlate, fra cui l’attività respiratoria. È fuori discussione, dunque,

che gli individui in SVP non rispondano ai criteri per

l’accertamento della morte cerebrale.

Nel 1972 Jennett e Plum definirono lo Stato Vegetativo

Persistente (SVP) quale: “stato cronico di veglia con nessun segno

comportamentale di interazione con l’ambiente significativo, e quindi senza un’ apparente coscienza in cui il respiro, la pressione sanguigna e generalmente tutte le funzioni per mantenere la vita sono conservate” (55).

Dopo la fase di coma, il paziente inizia ad aprire gli occhi,

prima in risposta agli stimoli dolorosi, in seguito spontaneamente e

per periodi di tempo sempre più lunghi; il paziente può ammiccare

in risposta a stimoli esterni. Gli occhi possono muoversi

intermittentemente da un lato all’altro e sembrano seguire gli

oggetti o le persone. La frequenza respiratoria può aumentare in

risposta ad una stimolazione e si possono osservare alcuni

realtà, il paziente non è cosciente nel senso completo del termine:

non parla e non mostra segni di consapevolezza dell'ambiente o

delle sue necessità e la reattività è limitata a movimenti posturali

primitivi o a movimenti riflessi degli arti.

Rilievi anatomici suggeriscono il concetto che lo Stato

Vegetativo persistente sia una condizione nella quale la corteccia è

diffusamente e bilateralmente danneggiata o effettivamente

disconnessa o isolata dal talamo, in assenza di lesioni al tronco

encefalico. Gli studi di attivazione cerebrale hanno dimostrato che,

nei pazienti in stato vegetativo, viene persa la connettività tra aree

cerebrali normalmente interconnesse, in particolare tra le aree

corticali primarie e quelle associative multimodali (area

prefrontale, premotoria e parieto-temporale, corteccia del giro

cingolato posteriore e precuneo) oppure tra queste e il talamo: lo

stato vegetativo può, in un certo senso, essere descritto come una

“disconnection syndrome”, ovvero come cluster di attività

neuronale isolata senza coscienza. Tale perdita di connettività si

associa inoltre ad una sostanziale diminuzione del metabolismo

cerebrale.

1. assente consapevolezza di sé e dell'ambiente

circostante;

2. incapacità di interazione con gli altri e di eseguire

ordini semplici;

3. assenza di risposte intenzionali e volontarie

riproducibili a seguito di stimoli visivi, uditivi, tattili o

nocicettivi;

4. assenza di comprensione ed espressione verbale

riconoscibile;

5. apertura spontanea degli occhi e presenza di cicli di

occhi aperti/occhi chiusi che simulano il ritmo sonno-veglia;

6. benché i movimenti oculari spontanei siano comunque

possibili, vi è incapacità di seguire con lo sguardo uno stimolo con

una deviazione di almeno 45°;

7. funzioni ipotalamico-autonomica e tronco-encefalica

sufficientemente conservate da mantenere respiro e circolo;

8. incontinenza sfinteriale;

9. possibile persistenza dei riflessi del tronco, di quelli

Altri possibili comportamenti che possono essere riscontrati

nei pazienti in SV ma che non rientrano tra i criteri

comportamentali utili ai fini diagnostici sono: emissione di suoni

ma non di parole, smorfie in risposta a stimoli dolorosi e altre

espressioni di mimica facciale (indipendenti comunque da qualsiasi

stimolazione esogena), ritiro in flessione degli arti da stimoli

dolorosi, movimento involontario degli arti, inarcamento della

schiena, rigidità decorticata. È opportuno ricordare che la diagnosi

deve essere formulata in assenza di concomitanti complicazioni

sistemiche (febbre alta, infezioni, sedazioni, ecc)

La Multi-Society Task Force (1994) riconosce che la

potenzialità di guarigione da uno stato vegetativo è maggiore in

seguito ad un insulto traumatico che ad uno non traumatico (54).

Date tali differenze, sono diversi anche gli intervalli di tempo a

seguito dei quali la condizione viene definita permanente: più di 3-

6 mesi dopo un evento anossico oppure più di un anno a seguito di

un trauma cranico, anche se a riguardo i dati non sono univoci.

Ai fini prognostici dunque, sono da considerare importanti

tre fattori: l'eziologia, la durata dello SV e l’età del paziente.

anche da altri Autori (56): giovani pazienti in SV da cause

traumatiche risultano avere una prognosi migliore rispetto a

pazienti anziani, soprattutto se in questi ultimi lo SV è dovuto a

malattie metaboliche o degenerative.

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