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autobiografico all’interno di Stato Nazione Federalismo, di essere stato «vit- tima di una deformazione professionale assai diffusa fra i giuristi e trop- po penetrato ancora dai pregiudizi di un insegnamento eccessivamente rispettoso delle forme pure del diritto», confessando di aver creduto per un momento «all’esistenza e all’autorità di una siffatta legge regolativa dell’evoluzione degli istituti giuridico-politici» secondo la quale «il tipo di Stato semplice unitario attua il più perfetto equilibrio (assicurandone la più razionale coordinazione) fra le forze sociali coesistenti nel mede- simo territorio e costituisce perciò la meta finale verso cui è giocoforza debbano a poco a poco gravitare, nel loro graduale assestamento, le va- rie particolari forme di organizzazione adottate nella pratica dalle diver- se società politiche»3.

Cosa fosse accaduto nel frattempo, quale percorso abbia portato il Trentin ‘risorgimentale’, amendoliano e ancora centralista, alla concezio- ne dello Stato federale e delle autonomie, è noto ed è stato variamente ricostruito4: fattori decisivi per questa vera e propria revisione ideologi- ca nella prima metà degli anni Trenta furono, come appare ormai de- cisamente chiaro, gli approfonditi studi sul fascismo, ai quali Trentin si dedicò tra 1928 e 1932, la situazione storica oggettiva che aveva profon- damente modificato la società europea, il turbamento prodotto dall’af- fermazione del nazionalsocialismo, le conseguenze della crisi economica internazionale, l’esperienza della sua «proletarizzazione forzata» (l’espres- sione è dello stesso Trentin) degli anni passati ad Auch, che gli aveva consentito una conoscenza diretta della condizione operaia lavorando presso la locale tipografia.

Se in L’aventure italienne del 1928 egli sottolineò il tratto avventuri- stico del fascismo, inteso come drammatica ma temporanea fuoriuscita dai binari del sistema costituzionale liberale, con un interpretazione as- sai vicina alla crociana «invasione degli Hyksos», in Antidémocratie di due anni dopo il suo discorso si radicalizzò collegando l’analisi del regime fascista con la sua azione reazionaria nel contesto europeo. Ad una ana- lisi più approfondita, il fascismo non era più da vedersi come l’avventura di una nazione piccola e arretrata, ma come un vero e proprio regime totalitario, centralista e corporativo, risposta a una crisi dello Stato li- berale che non era solo italiana ma europea: proprio in quanto tale, es- so prospettava a suo modo anche una soluzione imperialista al problema dell’unità europea.

3 S. Trentin, Stato Nazione Federalismo, Marsilio, Venezia 2010, pp. 114-115. 4 Cfr. F. Rosengarten, Silvio Trentin dall’interventismo alla Resistenza, Feltrinelli,

Milano 1980; N. Bobbio, Introduzione, in S.Trentin, Federalismo e libertà scritti teorici, Marsilio, Venezia 1987; C. Malandrino, Silvio terentin pensatore politico antifascista, rivolu-

Il passaggio dal gradualismo riformistico della democrazia radicale al socialismo, a un classismo pieno e rigoroso, al principio del rinnovamento attraverso la rivoluzione e a una simpatia sempre maggiore per l’impo- stazione collettivista, passaggio la cui maggiore testimonianza è il lavoro Riflessioni sulla crisi e la rivoluzione del 1933, non implicò per Trentin né l’accettazione del determinismo economico marxista (perché collidente con il principio irrevocabile della libertà), né l’apprezzamento per il mo- dello sovietico, che veniva da lui denunciato per il suo carattere mono- litico, accentratore e autoritario, negatore di ogni autonomia.

Il cardine del successivo trattato La crisi dello diritto e dello stato risiede nella critica e nel rifiuto del diritto positivo ottocentesco in favore di un ritorno all’impostazione giusnaturalista, al diritto naturale, alla legge mo- rale teorizzata da Kant e al valore originario dell’autonomia morale della persona umana come fonte permanente del diritto5. Proprio su queste basi si fonda la critica allo Stato nazionale unitario, monocentrico e centra- lizzato, che è visto come il massimo ostacolo alla realizzazione piena del valore universale della persona ed è posto all’origine di una perversione che era culminata nel fascismo, nel nazismo e nello stalinismo. Il dirit- to vero è il diritto naturale di ciascuno quanto ai diritti civili, politici e sociali, da opporre agli idolatri e ai dogmatici della norma positiva, ma anche a ogni statolatria e mitologia nazionalistica.

Fermamente convinto della estrema necessità di un collettivismo che tutelasse e difendesse dal dispotismo economico tipico delle democrazie capitalistiche, a Trentin occorreva concepire un modello in cui tale col- lettivismo non potesse generare un dispotismo politico, uno Stato accen- trato e una dittatura totalitaria come nel modello sovietico.

Rifacendosi al pensiero proudhoniano mediato attraverso il diritto sociale di Georges Gurvitch6 (ma anche alla scuola federalista risorgi- mentale italiana di Cattaneo e Ferrari, conosciuti e ammirati da Tren- tin attraverso le opere di Antonio Monti e di Gaetano Salvemini), con il suo disegno federalistico Trentin fece un passo in avanti decisivo per superare l’apparente contraddizione tra il rifiuto dell’accentramento sta- tale e la preferenza accordata ad un modello di economia collettivista e coordinata dallo Stato. Come Bobbio ha fatto notare: «l’un concetto rappresentava l’antidoto dell’altro. Quel che vi era di minaccioso per la libertà individuale nel collettivismo doveva essere attenuato dal sistema

5 A. Matonti, La persona intesa come valore in Silvio Trentin, in M. Guerrato (a cura

di), L’antifascismo italiano tra le due guerre: alla ricerca di una nuova unità, Comune di Jesolo, Jesolo 2005, pp. 247-269.

6 Cfr. G. Gurvitch, Le temps present et l’idée du droit social, Vrin, Paris 1932; G.

Gurvitch, Éléments de sociologie juridique, Aubier, Paris 1940; G. Gurvitch, Proudon, sa vie,

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delle autonomie; quel che vi era di iniquo nel sistema dell’economia li- berale doveva essere superato dal sistema collettivistico»7.

Trentin si dedicò nel 1940 a Stato Nazione Federalismo, un lavoro pre- valentemente storico, nel quale viene ripercorsa la formazione degli Stati nazionali europei come storia dello Stato accentrato moderno, con mag- giore e specifica attenzione per Francia, Germania e Italia. In realtà a questa storia dello sviluppo e dell’affermazione dello Stato centralizzato, nella ricostruzione di Trentin, se ne affianca un’altra, quella della persi- stente tensione pluralista e autonomista alla quale diedero nell’Ottocento il loro contributo di pensiero, tra gli altri, Prouhdon, Cattaneo, e Ferrari. Tra le due tendenze il successo aveva arriso all’impostazione unitaria e centralista, da principio con la forza dell’assolutismo dei sovrani, in un secondo momento sotto le insegne della nazione e della democrazia, da ultimo grazie alla violenza delle dittature comuniste e fasciste. La rivo- luzione borghese del 1789 e quella socialista del 1917 avevano consolida- to la struttura accentrata; il fascismo era stata la dottrina che permetteva allo Stato di «esprimersi nella pienezza della sua incoercibile realtà; lo Stato nazista per Trentin risultava semplicemente essere solo l’«estrema espressione del monocentrismo integrale»8. Il problema per l’Europa non era allora solo di eliminare alcuni regimi dittatoriali, ma di sradicare lo Stato nazionale unitario dal continente con la realizzazione dell’unità europea federale.

Nel saggio teorico Liberare e federare, scritto in francese intorno al 1942, la liberazione auspicata deve essere, insieme, dal potere economico e dal potere politico, seguita da una unificazione degli individui così liberati in uno Stato democratico integrale, lo Stato cooperativo e federalistico, basato sulla pluralità dei bisogni: il concetto trentiniano di autonomia non era solamente di tipo politico, riguardava anche la rappresentanza delle realtà economiche, professionali, culturali e morali.

Il federalismo di Silvio Trentin intendeva anche superare il federa- lismo puramente politico-territoriale delle esperienze esistenti di fede- ralismo istituzionale (Svizzera e Stati Uniti). L’instaurazione del nuovo ordine rendeva necessaria la rifondazione dello Stato attraverso l’abban- dono della sua forma monocentrica-accentratrice in nome del «valore permanente e preesistente» dell’autonomia, «intesa come autorealizza- zione della persona e come autogoverno, organizzazione autosufficiente dei singoli gruppi, territoriali e non», costituenti la società civile, sulle cui esigenze si deve modellare la struttura istituzionale: i nuclei di vita collettiva preesistenti allo Stato, «i centri vitali quali si sono spontanea- mente creati attraverso il libero e variabile coagularsi delle forze sociali»,

7 N. Bobbio, Silvio Trentin, in Id., Italia civile, Passigli, Firenze 1986, p. 283. 8 Trentin, Stato Nazione Federalismo, cit., pp. 147, 153.

devono essere riconosciuti in una organizzazione statuale multipolare, pluralista, federalista, che deve configurarsi come «ordine degli ordini»9. Ogni istanza della «base» doveva arrivare al vertice attraverso un filtro costituito da corpi di rappresentanza delle formazioni «naturali» del vi- vere sociale (famiglia, comune, consigli di fabbrica, cooperative agricole, categorie produttive e professionali), che Trentin indica come le «auto- nomie primarie» che derivano in modo diretto dalle singole autonomie individuali. Essi formano nel loro intrecciarsi le istituzioni di base del- l’«immensa piramide» dello Stato federalista, venendo poi raggruppate all’interno di ogni circoscrizione territoriale (Trentin parla di comuni, mandamenti, province, regioni).

Trentin fornisce una proposta concreta di questo modello nei due ab- bozzi di carta costituzionale per una repubblica federale, pensati per la futura forma istituzionale della Francia e dell’Italia: per l’Italia (ma iden- tico discorso potrebbe valere per la Francia) costruisce così una pirami- de di strutture e momenti federativi e consiliari, sociali ed economici, che, partendo dalle collettività di base dei comuni, considerati «l’assise fondamentale della Repubblica»10, attraverso i mandamenti e le provin- ce (amministrati da rispettivi consigli sempre dotati della rappresentanza delle autonomie primarie), giunge alle Camere federative regionali (una per ciascuna branca di attività sociale), che designano i membri del Con- siglio regionale (l’organo legislativo) insieme all’assemblea dei delegati dei Consigli provinciali. Il vertice delle istituzioni è costituito dal Con- siglio federativo professionale della Repubblica italiana, cui sono affidati compiti effettivi di governo e di legislazione in associazione con l’altro organo politico supremo, il Consiglio delle Regioni.

Lo storico tedesco Walter Lipgens, riferimento d’obbligo per il suo cor- poso lavoro sull’insieme delle analisi, proposte, prese di posizione relative al federalismo e all’unità europea durante la Seconda guerra mondiale, ha segnalato tra i primi il programma federalistico ed europeo di Libérer et fédérer, valorizzandone le interconnessioni tra rivoluzione antifascista, unità europea, nuovi ordinamenti autonomistici e garanzia della pace at- traverso l’unione degli Stati europei in uno Stato federale, e specificando come, in Italia, la dottrina del federalismo integrale sia stata originaria- mente sviluppata sì da Silvio Trentin, ma anche da Adriano Olivetti11.

9 S. Trentin, Liberare e federare, in S. Trentin, Scritti inediti. Testimonianze e studi,

Guanda, Parma 1972, pp. 237-239.

10 S. Trentin, Abbozzo di un piano tendente a delineare la figura costituzionale dell’Italia

al termine della rivoluzione federalista in corso di sviluppo, in S. Trentin, Scritti inediti. Testimonianze e studi, Guanda, Parma 1972, p. 302.

11 W. Lipgens, W. Loth (a cura di), Documents on the History of European Integration,

vol.III: The Struggle for European Union by political parties and pressure groups in Western Europe countries 1945-1950, de Gruyter, Berlin-New York 1988, p. 236. In realtà

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Lipgens ci suggerisce indubbiamente il confronto tra i due, e non si tratta di una posizione solitaria e isolata tra gli studiosi: Carlo Verri, oc- cupandosi di Trentin, ha ricordato come nel corso degli anni Quaranta «un comune sentire federalistico abbia agito anche in una figura quale Adriano Olivetti, il quale (come Trentin) lesse Gurvitch e in quel perio- do elaborò una sua versione di federalismo integrale»12; Massimo Ganci ha parlato – per Trentin – di un «federalismo di estrazione economica», che, anticipando le posizioni di Adriano Olivetti, si estende dai rapporti di produzione all’ordinamento dello Stato e alle relazioni internaziona- li13; Corrado Malandrino, mettendo in evidenza come la proposta politica di Trentin e l’«inattualità» degli approcci finali del suo pensiero politico gli abbiano attribuito una posizione eccentrica nel contesto ideologico del dopoguerra, aggiunge che un tale destino gli appare assai simile «per quanto possano essere diverse o estranee le rispettive ispirazioni ideali, a quello di Adriano Olivetti». «Non è stato ancora tentato, ma sarebbe utile farlo – prosegue Malandrino in nota – un confronto tra le proposte dei due pensatori politici, a mio avviso tra i più originali e interessanti della tendenza federalsocialista durante la resistenza»14.

Non che manchino in Olivetti riferimenti alla dimensione sovrana- zionale, ma tutto continuamente rinvia alla Comunità «concreta», l’idea fondamentale della sua costruzione teorico-pratica, da lui posta al cen- tro dell’organizzazione dello Stato come unità territoriale dai contorni geografici imprecisati, ma culturalmente omogenea e economicamente autosufficiente, uno spazio territoriale, sociale, istituzionale che rappre- senta il quantum di territorio in cui una persona può vivere effettivamen- te la propria vita relazionale15.

Trentin si rifeririva spesso a un «socialismo integrale» cioè «federalista», sia per quan- to riguardava l’ordinamento statale interno che per il livello sovranazionale. Occorre quindi distinguere tra il «socialismo federalista» di Trentin e il «federalismo integrale» della corrente che si rifà all’insegnamento di Proudhon. Cfr. L. Levi, Il federalismo, in G.M. Bravo, S. Rota Gribaudi (a cura di), Il pensiero politico contemporanea, vol. III, FrancoAngeli, Milano 1987, p. 694.

12 C. Verri, Il federalismo antifascista di Silvio Trentin, «Storia e Politica», IV (2), 2012,

p. 262.

13 M. Ganci, Istanze federalistiche in Italia nella fase dell’Assemblea Costituente, in E.A.

Albertoni, Massimo Ganci (a cura di), Federalismo, regionalismo, autonomismo. Esperienze e

proposte a confronto, Atti del seminario internazionale. Enna 24-27 giugno 1987, Ediprint,

Enna 1987.

14 C. Malandrino, Introduzione, in S. Trentin, Le determinanti dialettiche e gli sbocchi

ideologici ed istituzionali della rivoluzione antifascista europea, Lacaita, Manduria 2007, p. 21.

15 Adriano Olivetti ha pubblicato diverse opere dedicate interamente al tema del-

la Comunità: L’ordine politico delle Comunità. Le garanzie di libertà in uno Stato socialista, Nuove Edizioni Ivrea, Ivrea 1945; L’ordine politico delle Comunità dello Stato secondo le leggi

dello spirito, Edizioni di Comunità, Roma 1946; Società, Stato, Comunità. Per un’economia e politica comunitaria, Edizioni di Comunità, Milano 1952.

Al centro della Comunità, e dei rapporti tra le tante Comunità nella costruzione dell’edificio pubblico statuale, essenziale è il concetto di per- sona, distinto e contrapposto al concetto di individuo. «Il pensiero politi- co contemporaneo – scrive Olivetti – è grandemente debitore a scrittori come Jacques Maritain, Emmanuel Mounier, Denis de Rougemont per il loro sforzo di portare al centro dell’attenzione politica i rapporti tra la Persona e le comunità differenziate in cui si esprime l’umana società»16. La persona nasce da una vocazione, dalla consapevolezza di un compito nella società terrena secondo valori morali e fini spirituali; viceversa l’in- dividuo è fatto di elementi materiali, di egoismo, è determinato quindi da un urto di forze, necessariamente limitante.

La Comunità non rappresenta altro che il «diaframma umano fra in- dividuo e Stato» , è intermedia, appunto, tra lo Stato leviatanico e l’in- dividuo, un microcosmo di piccole, primarie relazioni personali che rapportano l’uomo al variegato mondo dei valori economici, morali, politici e religiosi. Alla Comunità sono attribuite specifiche funzioni nel governo del territorio e nell’economia locale, nell’integrazione fra città e campagna, nelle politiche sociali di istruzione e assistenza, da assolversi in maniera diretta, attiva, trasformatrice.

La Comunità è immaginata con un territorio di riferimento sicura- mente più vasto di quello di un singolo Comune, ma meno esteso di quello della provincia: essa è assai simile al Cantone svizzero, la cui vi- talità ed efficienza sono accertabili, anzi rappresenta «una razionalizza- zione del Cantone svizzero, il suo adattamento alla tradizione italiana, un suo perfezionamento atto ad affrontare i complessi compiti di una società moderna», e deve, nello stesso tempo, coincidere con una unità geografica tradizionale come la diocesi, il collegio elettorale, le circo- scrizioni distrettuali e i circondari17.

Olivetti fissò la popolazione della Comunità tra i 75 e i 150 mila abi- tanti: come il Cantone, la Comunità non abolisce affatto i Comuni che la compongono, con essi vive in stretta collaborazione e li considera co- me un proprio decentramento, prendendo il nome della località stori- camente più importante o dell’unità produttiva maggiore del territorio. «Assai poco – scrive Olivetti – hanno in comune Biella con Vercelli e la Valle d’Aosta col Canavese», mentre la Val Sesia, Domodossola e In- tra «sarebbero molto più viventi e libere quando le loro istituzioni locali non dipendessero da Novara»18. È una considerazione che ci rivela quanto artificiale Olivetti considerasse la suddivisione del nostro territorio na-

16 A. Olivetti, L’ordine politico delle Comunità, Edizioni di Comunità, Roma-Ivrea

2014, p. 41.

17 Ivi, p. 124. 18 Ivi, p. 54.

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zionale in province: nella propria autonomia, la Comunità è destinata a sostituire il governo dei prefetti, che proprio sul sistema delle province è fondato, in sintonia con ciò che sostenevano, ad esempio, anche gli auto- nomisti alpini, che naturalmente partivano dalla rivendicazione dei di- ritti delle minoranze etnico-linguistiche e che il risultato dell’abolizione del prefetto ottennero, almeno quanto alla Valle d’Aosta, nello Statuto speciale tuttora vigente19.

Per Trentin, invece, la provincia rimaneva comunque presente nella struttura istituzionale che emerge dai suoi Abbozzi di carta costituzionale per l’Italia e la Francia: per il caso italiano, inoltre, immaginava una ri- partizione del territorio della Repubblica federale in diciassette regioni, tre in meno rispetto alle attuali per l’assenza di Valle d’Aosta, Trentino Alto Adige e Friuli Venezia Giulia, curiosamente proprio le regioni al- pine di confine con la presenza di minoranze etnico-linguistiche e con i maggiori presupposti per essere dotate di larghe autonomie.

Se per Olivetti la Comunità è dunque la cellula base dello Stato, che «prenderà il nome di Stato federale delle Comunità», federale, perché «a esso corrisponderà un sistema di decentramento e autonomia», per Tren- tin, come già si è accennato, il Comune rimaneva «l’assise fondamentale della Repubblica».

Per quanto riguarda il sistema elettorale ipotizzato, si può invece sot- tolineare che in Trentin come nel comunitarismo olivettiano, quanto alle istituzioni che formavano a poco a poco salendo nella piramide isti- tuzionale tutti gli organismi rappresentativi e di governo fino a quelli massimi della Repubblica, era prevista l’elezione diretta solo per il livel- lo più basso (il Comune o la Comunità), mentre per i livelli superiori e successivi venivano sempre previste elezioni di secondo grado20.

A differenza di Trentin, Olivetti non condivideva l’idea della possibi- lità concreta di una rappresentanza economica diretta, che non avrebbe avuto per lui senso nemmeno in uno Stato largamente collettivizzato o socialista, e neppure reputava che la rappresentanza professionale come elemento politico avrebbe potuto portare «a risultati socialmente utili»:

19 Nella sua versione definitiva lo Statuto speciale per la Valle d’Aosta venne appro-

vato dall’Assemblea Costituente nella seduta del 31 gennaio 1948 e venne promulgato come legge costituzionale n. 4 il 26 febbraio successivo dal presidente della Repubblica Enrico De Nicola. In base all’art. 44, il Presidente della Regione Valle d’Aosta svolge anche le funzioni di Prefetto.

20 Si ha una elezione di secondo grado quando chi sia stato eletto direttamente dai

cittadini è chiamato ad eleggere alcuni o tutti i componenti di un’altra assemblea o di un altro consiglio autonomo ed esterno rispetto a quello di cui l’eletto fa parte, gener- almente di un livello politico-amministrativo superiore. Le elezioni di secondo grado per eleggere Consigli provinciali e Consigli metropolitani sono state introdotte in Italia dalla cd. Legge Delrio (Legge n. 56 del 7 aprile 2014 Disposizioni sulle città metropolitane,

nell’organizzazione dello Stato delle Comunità ogni funzione politica è affidata, nel settore economico, a tecnici dell’economia scelti dai politici in base al loro orientamento spirituale e non su designazione di gruppi economici o professionali21.

Troviamo elementi presenti ora nell’uno ora nell’altro autore anche nei federalisti integrali francesi che, ispirandosi alle posizioni del perso- nalismo (la corrente di pensiero in cui possiamo annoverare i già cita- ti Mounier e de Rougemont, apprezzati da Olivetti), elaborarono una concezione appunto «integrale», cioè non soltanto istituzionale, ma an- che economica, sociale e filosofica del federalismo22.

C’è piena consonanza, naturalmente, su tutta una serie di aspetti: an- che per i federalisti integrali francesi era la struttura centralizzata dello Stato ad essere sotto accusa come uno dei maggiori ostacoli all’esercizio della vera democrazia. Per gli intellettuali personalisti e federalisti Ro- bert Aron e Arnaud Dandieu (fondatori agli inizi degli anni Trenta del gruppo di lavoro Ordre nouveau, che espresse le sue idee su una rivista con il medesimo nome) la centralizzazione e il successivo Stato borghe-

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