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DIGESTIONE ANAEROBICA

2.2 STOCCAGGIO DELLE BIOMASSE

Le superfici e i costi di investimento destinati agli stoccaggi delle biomasse non sono trascurabili in impianti industriali di biogas.

Lo stoccaggio delle biomasse deve garantire un volume sufficiente alla continua alimentazione dell’impianto e la corretta conservazione delle biomasse stesse. Sostanze liquide ad elevato contenuto energetico sono conservate in serbatoi verticali in acciaio di volumi dell’ordine delle decine di m3. Sul mercato sono presenti soluzioni commerciali adatte a substrati come melassi e glicerine, che garantiscono la possibilità di ricircolare il materiale evitandone la sedimentazione, sono dotati di sistemi di serpentine per il riscaldamento e di pompe di dosaggio per l’alimentazione all’impianto.

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Liquidi a basso tenore energetico (es. liquami) sono raccolti in vasche di calcestruzzo armato o in dei lagoni che fungono da riserva temporanea (giorni) in attesa che il materiale venga alimentato in impianto. Le colture dedicate o i sottoprodotti adatti all’insilamento sono invece immagazzinate nelle trincee. Il dimensionamento di queste strutture dipende dal fabbisogno annuo di biomassa. Ad esempio, per un impianto da 999 kW alimentato unicamente ad insilato di mais si necessita di circa 18000 ton/anno.

Il volume di stoccaggio viene calcolato con la seguente formula:

𝑉𝑉𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠=365 ∗ ρ ∗ (1 − p)q𝑏𝑏𝑠𝑠𝑠𝑠𝑏𝑏𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠𝑠

con qbiomassa si indica la quantità annua in alimentazione all’impianto (ton/anno), ρ è la densità del

materiale insilato (ton/m3) e p la percentuale di perdita di potenziale metanigeno durante l’insilamento.

Per insilati di colture dedicate la densità del materiale varia da 0,75 a 0,90 ton/m3, mentre le perdite in trincea variano da valori minimi del 5-7% (considerate inevitabili) fino al 30- 40% se il procedimento di insilamento non è svolto in modo corretto (Tab.2.2).

Tab. 2.2 – Cause di perdita di solidi volatili durante l’insilamento[22]

Il volume di stoccaggio dovrà tenere conto inoltre di una variabilità nella qualità della biomassa del 10-15%. Calcolato il volume delle trincee, tenendo conto dell’altezza massima dei muri che per grandi quantitativi arriva fino a 5 metri, si decide il numero di baie necessarie: maggiore è il numero di baie più facile sarà il riempimento e la gestione, mentre aumenteranno i costi di investimento. Solitamente per un impianto da 999 kW alimentato ad insilati si costruiscono 3 o 4 baie con un fronte da 20 m, aperte su entrambi i lati per favorire le operazioni di insilamento e desilamento.

Causa Stima Perdita

Respirazione Inevitabile 1-2

Fermentazione Inevitabile 4-10

Percolamenti ( variabili con il tipo di substrato) 0-7

Fermentazione anomala Evitabile 0-10 Condizioni aerobie in silo Evitabile 0-10 Condizioni aerobie al desilamento Evitabile 0-40 Perdite totali 5-40

47 2.3 STOCCAGGIO DEL DIGESTATO

Le strutture di immagazzinamento del materiale digerito in uscita sono fondamentali nella gestione di impianto per la corretta gestione ambientale e quindi un accorto utilizzo agronomico di un sottoprodotto le cui caratteristiche, dimensioni e modalità di utilizzo sono regolate da precise normative nazionali (es. D.Lgs. 152/99; D.M. 7 aprile 2006). Lo stoccaggio si rivela indispensabile a causa dell’impossibilità in alcuni periodi dell’anno di spandere il digestato per diversi motivi:

• impraticabilità dei terreni o presenza di piogge che dilavano i nutrienti presenti nel digestato (N,P,K)

presenza di colture, che hanno precise esigenze di concimazione

assenza di colture che utilizzino i nutrienti

In funzione della sostanza secca del digestato si utilizzano sistemi di separazione per produrre una frazione solida palabile e una frazione liquida.

La frazione solida viene raccolta in concimaie, ovvero piazzali pavimentati con recupero dei percolati e delle acque di scolo. La frazione liquida viene accumulata in vasche interrate o fuori terra. Le vasche devono avere possedere determinati rapporti superficie/altezza in modo da reggere le pressioni idrostatiche, nonché essere ricoperte con teli impermeabili nel caso delle vasche interrate per evitare percolamenti.

La quantità prodotta di digestato viene considerata pari al totale della biomassa immessa sottratta della massa di biogas prodotta stimata. Le indicazioni date dai fornitori dei sistemi di separazione o in letteratura [67] ci indicano le quantità e le caratteristiche dei due separati.

I tempi minimi di stoccaggio per i letami e liquami bovini sono riportati nella Tabella 1 del D.Lgs. 7 aprile 2006 (Tab. 2.2).

Tab. 2.2– Quadro riassuntivo degli obblighi di stoccaggio (S.O. G.U. n. 109)

Effluente Assimilazione Ordinarie Zone (ZO) Zone Vulnerabili (ZVN) Zone Ordinarie (ZO) Zone Vulnerabili (ZVN)

autonomia di stoccaggio spandimento diretto

Letami letame 90 90 SI < 90

Frazioni Palabili risultanti da

trattamenti letame 90 90 NO NO

Letami, liquami ed altri materiali ad essi assimilati sottoposti a trattamento di disidratazione o compostaggio

letame 90 90 NO NO

Liquami bovini da latte liquame 90 -120 120-180 NO NO

Liquame bovini da carne liquame 120 180 NO NO

Liquidi di sgrondo da stoccaggio di

letami e materiali separati liquame

come

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Nella tabella sono distinte inoltre le zone ordinarie, con limiti di spandimento di 340 kg N/ha/anno, e zone vulnerabili all’azoto, con limiti di 170 kg N/ha/anno. Si considerano zone vulnerabili le zone di territorio che scaricano direttamente o indirettamente composti azotati in acque già inquinate o che potrebbero esserlo in conseguenza di tali di scarichi. Tali acque sono individuate per la presenza di nitrati o la loro possibile presenza ad una concentrazione superiore a 50 mg/L (espressi come NO-3) nelle acque dolci superficiali o sotterranee o per la presenza di eutrofizzazione (D. Lgs. 152 11/5/99).

Considerando la possibilità di incontrare periodi piovosi che non permettono lo spandimento dei digestati, oltre i vincoli normativi, vengono solitamente garantiti 4-5 mesi di stoccaggio in via precauzionale.

2.4 FERMENTATORI

La produzione di metano ottenibile da un impianto di DA è funzione della degradabilità delle biomasse alimentate e del dimensionamento dell’impianto. L’efficienza di trasformazione del processo è il rapporto tra la produzione ottenuta e la massima producibile in condizioni ottimali stimata in test di BMP (Par. 1.3.1.4). Il dimensionamento dei fermentatori deve quindi tendere a massimizzare tale efficienza in funzione dei costi sostenuti. A monte dei procedimenti di dimensionamento vanno effettuate scelte preliminari sulla temperatura di esercizio e il numero di stadi.

Per quanto riguarda la temperatura di esercizio, in termofilia sono da considerare le seguenti indicazioni:

i processi biologici sono più veloci, in particolare l’idrolisi è accelerata e i carichi alimentati nell’unità di tempo possono essere maggiori, con conseguenti riduzione del tempo di ritenzione idraulica necessario alla digestione; per contro instabilità biologiche possono portare più velocemente a perdite di produzione

si misurano sperimentalmente cinetiche di raggiungimento del potenziale massimo di produzione di metano più veloci, sebbene il BMP non vari sensibilmente tra mesofilia e termofilia [47]

si ha un maggior effetto inibente da parte dell’ammoniaca;

si ha una minore solubilità di CO2 e H2S, con variazioni nel potere tampone del digestato e nella composizione del biogas;

il digestato è meno viscoso, facilitandone la miscelazione e la separazione solido/liquido;

si verifica un maggior abbattimento della carica patogena;

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maggiori costi di coibentazione e riscaldamento;

Nel caso del numero di stadi, è opportuno valutare la separazione della fase di acidogenica e acetogenica dalla fase metanogenica in caso di substrati complessi (scarti di macellazione) la cui idrolisi è favorita a pH acidi ottenibili solamente in reattori dedicati o in presenza di substrati caratterizzati da una elevata variabilità in cui la fase idrolitica funge anche da buffer per lo stadio successivo.

I principali metodi di dimensionamento dei fermentatori per massimizzare l’efficienza di trasformazione sono il metodo parametrico e i metodi cinetici.

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CAP 3 MODELLO DI DIGESTIONE ANAEROBICA ADM1 ED ELABORAZIONE DI UN MODELLO