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THE END - IL CONCETTO DI FINE AL CINEMA E IL NESSO FINE/ PERMANENZA

ARGOMENTO PRINCIPALE: il concetto di fine al cinema. Come si organizzano le procedure di explicit al cinema? Una ricostruzione degli studi sul cinema classico e sulle più generali forme di chiusura e genere. La relazione tra fine/finale e universi persistenti e riprese cicliche. Introduzione del concetto di permanenza, di vast narratives.

OBIETTIVO: per lʼeziologia dellʼecosistema narrativo [Pescatore e Innocenti, 2013], ci soffermiamo ora sul finale al cinema. Obiettivo è quello di introdurre nella trattazione la dialettica fine/permanenza e articolarla nei suoi molteplici fattori. Qual è il senso della fine in un ambiente in cui ceppi di materiali preesistenti sono sempre ripresi, rimodulati, rifatti? Il percorso che vogliamo fare è questo: nel momento in cui la maggior parte della produzione avviene secondo modalità di derivazione e/o parallelo, il concetto di fine/finale per comprendere come essere fruttuoso al di là della teleologia, si deve rifare al concetto di adattamento. In esso, si passa da una modalità tipicamente riflessiva (cardine della fedeltà) ad una rifrazione (cardine della presenza). In questa dimensione di produzione creativa basata ancora sulla derivazione (e anche, ma in maniera minore sul parallelismo), le modalità di permanenza sono a carico della forma del multiplo (in cui la matrice generativa è creata ex-ante) e della serie in quanto durata (che è soggetta a dei meccanismi diversi, tra cui la remixabilità dei contenuti). In questo quadro, il concetto di canone si pone come forma dʼattenzione al testo (come classico) ma inizia ad essere una forma di compatibilità produttiva (come nei comics). Ma questo tipo di costruzione vacilla nel momento in cui, dalla modalità di costruzione per derivazione si passa sempre di più a quella in parallelo (il transmedia più strutturato) e verso lʼecosistema. Qui alla fedeltà, subentra la memoria e la dialettica fine/permanenza non si basa più sullʼanalisi dellʼadattamento ma su i tre fattori chiave: mito, mito a bassa intensità e ring composition.

KEYWORDS: chiusura (closure); finale (ending); fine (end); epilogo; explicit; chronos e kairos; télos; ergodica; vast narratives; permanenza tramite il multiplo; permanenza tramite la durata; canone e compatibilità; dalla riflessione alla rifrazione. mitologia a bassa intensità, ring composition.

I Parte - Storia

Struttura e riflessioni generali

Il secondo capitolo, diviso in tre, è dedicato, nella sua prima parte, al concetto di fine/finale al cinema, nella sua seconda parte alla crisi dei finali e nella sua terza allʼapprofondimento della dialettica tra fine e permanenza alla base della produzione creativa.

Nel primo capitolo, attraverso la ricompilazione e unione di diverse teorie abbiamo formato un primo impianto teorico necessario al topic. Ora dobbiamo spostarci verso il cinema e il cammino verso lʼopera seriale, iniziato con riferimenti molto distanti dallʼoggetto in esame, subirà unʼulteriore espansione e complicazione. Che tipo di percorso stiamo per intraprendere? Ritroviamo lo stesso nucleo di problemi che abbiamo evidenziato precedentemente: il panorama, in ambito cinematografico, abbastanza disgregato e poco uniforme, ricorda quello che affermavano Torgovnick e B.H. Smith riguardo la letteratura, ovvero “la mancanza di un framework coerente” [1981, 9] per analizzare questo tipo di sezioni del testo. Un framework che nel nostro primo capitolo abbiamo cercato di ricostruire, raccogliendo i diversi studi sul topic e che abbiamo iniziato ad orientare al nostro preciso scopo: ciò che è primario per lʼanalisi è la definizione di un segmento di alcune opere attraverso lʼindividuazione di peculiarità di struttura dellʼintera opera (digressione ecfrastica, attenzione alle periferie testuali, forma paratattica e bricolata) che depotenziano e connotano diversamente il momento finale. Nel primo capitolo abbiamo determinato lʼopera mondo [Moretti, 1994] come fondamentale supporto teorico, concetto fondamentale per la trattazione che ci permette di far poggiare la rifunzionalizzazione del concetto di fine/finale su una serie di problemi teorici ben individuati (non vedendolo come una semplice porzione di testo).

Questo capitolo è, allora, sì dedicato al cinema, sia nella sua forma classica che già nella sua forma incostante ed espansa che ci condurrà verso unʼorganizzazione diversa, ma il vero avanzamento avverrà nella terza parte. Nella prima parte cercheremo di indicare se ci sono stati degli studi originali o meno, e scopriremo che in realtà, le grandi teorie a cui si si appoggia, i grandi riferimenti teorici che aiutano a svolgere la trattazione, sono quelli letterari.

Ma in questo momento e dopo questa prima azione compilativa sorge il primo problema. Le coordinate teoriche sono sempre fornite dagli studi letterari che, in maniera costante, si sono attardati in un tentativo tassonomico e si ponevano, concettualmente, nellʼalveo degli studi del romanzo e della sua organizzazione finalistica. Gli studi usati [Torgovnick; B.H. Smith], vengono utilizzati alla ricerca spasmodica della tassonomia della chiusura narrativa. Nonostante non compaiano molte attenzioni alla chiusura non narrativa e allʼimpianto non finalistico (non sʼinserisce in questo discorso, il lavoro dʼanalisi sullo stato postmoderno, volutamente di rottura, ma proprio perché tale poco incisivo sul discorso), cercheremo comunque di portare avanti lo spoglio sugli studi che si sono occupati di explicit al cinema attraverso una divisione abbastanza classica che

riguarda un periodo ben determinato della storia del cinema in cui il discorso prende come coordinate metodologiche e teoriche le stesse analisi in ambito letterario. Questo tipo di lavoro ci servirà perché, nel fare ciò, riscontreremo una scollatura tra i diversi studi. I diversi studiosi che si sono occupati di fine/finale, hanno composto studi isolati e spesso privi di importanti riferimenti a studi letterari influenti e chiarificatori e si registra un approfondimento dedicato ai titoli di testa e di coda come gestione della transizione [Genette, 1981]. In questo secondo capitolo, un primo riferimento è dedicato all'analisi di Richard Neupert [1995], uno dei pochi studi che tentano una sistematizzazione per classi di testi. Dopo la descrizione dei maggiori studi monografici, la domanda “The End of What?” (che reggeva un intera conferenza24) sembra essere ancora senza risposta, o meglio, senza una risposta del tutto convincente. Questa domanda, che deve essere letta con la lezione di Anceschi sulla complessità dellʼapparentemente univoco, ha il potenziale di far rimettere mano a tutto ciò che credevamo importante e finalmente scompaginare lʼanalisi e orientarla verso alcuni concetti satelliti a quello di fine/finale che gravitando attorno risultano illuminanti. I concetti sono quello di permanenza/durata che compongono la seconda e la terza parte del capitolo.

La tappa successiva, dunque, è lʼindividuazione di triplice movimento della riconfigurazione del concetto di fine/finale da aggiungere ai fattori di riconfigurazione del primo:

Essa infatti riguarda

1. il concetto di testo filmico nel suo insieme in relazione alla fine (lo statuto del film) [Bordwell 1981; Elsaesser e Buckland 2002; King 2000, 2002; Tryon 2009].

2. la dialettica tra fine/permanenza che abbiamo individuato e posto come coordinata di fondo per lʼespansione e la durata dei testi.

3. nel caso in cui, la produzione sia per derivazione, superato il discorso sullʼadattamento, la permanenza avviene attraverso o il multiplo o la serie, con ricadute sul concetto di fine a seconda di come si declina lʼuniverso persistente.

4. il concetto di canone e la dialettica con la matrice, che complica la questione della fine/finale, strutturandosi prima come forma dʼattenzione e poi come forma (produttiva, fattitiva) di compatibilità.

5. nel momento in cui, dalla costruzione semplice per derivazione, si passa alla costruzione in parallelo e poi per ecosistema, lʼindividuazione di una dialettica particolare composta da alcuni precisi fattori: mito, mito a bassa intensità e ring composition.

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24 Diverse conferenze sono state dedicate allʼanalisi della fine e delle sue implicazioni nella costruzione industriale, narrativa e fruitiva. Le più importanti che vogliamo segnalare in questa sede sono: “Beginnings and Endings in Films, Film & Film Studies” (University of Warwick, 2008), “The End?” (Indiana University, 2010), “The End Of…?” (University of Kent, 2011).

Se la prima parte del capitolo rappresenta uno spoglio dei maggiori studi concentrati sulla discontinuità e i cambiamenti nellʼidea di testo filmico (punto 1), nella seconda parte dedicherà del tempo alla crisi dei finali (punto 1) e nella terza (approfondimento dei punti restanti) avviene lo spostamento del focus della ricerca, necessario per capire che non ci occupiamo più di singoli casi per la creazione di tassonomie e di ricorrenza di stratagemmi e tropi.

Dato che lo scopo è indagare a tutti i livelli le implicazioni nel concetto di fine negli universi espansi, è forse necessario comprendere cosa pulsi sotto questa domanda, una dialettica che struttura e regola sia la produzione e il consumo: è giunto il momento di presentare la dialettica fine/permanenza. Che cosa cʼè in gioco in questa polarità? Quali sono gli elementi che compongono e complicano questa dialettica motore?

Il lancio per comprendere i meccanismi di permanenza è un approfondimento del concetto di adattamento. Un discorso sullʼopera mondo e sulle sue caratteristiche potenziali che si riverberano nellʼoggetto seriale vanificandone il senso di fine, ha la necessità di considerare gli oggetti narrativi che si espandono e permangono attraverso diverse modalità; per fare ciò dunque, il capitolo ha proceduto con la seguente distinzione:

Nel momento in cui la produzione avviene per derivazione:

1. la permanenza rintracciata nel multiplo (con una costruzione del canone di riferimento ex-ante) basata sul cardine della fedeltà [Aragay 2006] (più o meno debole) nellʼottica della reiterazione (tutti i casi di attraversamento di ceppi narrativi in diversi media, per lunghi periodi. e.g.,. James Bond) e della riflessione.

2. la permanenza rintracciata nella durata (con una costruzione del canone di riferimento ex-post) nellʼottica dellʼespansione (non più testi, ma propriamente universi. Es., universi Marvel, D.C. Comics) e della rifrazione.

Ciò che si pone come nodo analitico da sciogliere è la comprensione delle differenze tra il motivo di permanenza delle opere classiche e le modalità di permanenza del testo seriale o dellʼuniverso narrativo. Ovvero, dalle modalità di permanenza nel momento in cui la produzione è per derivazione alla modalità di permanenza nel momento in cui queste dinamiche si spostano vero modalità di costruzione per parallelo e poi ecosistema.

Per fare ciò, la dialettica tra fine/permanenza, in precedenza accennata, ha permesso di comprendere alcune delle modalità di relazione tra testo e fruitore. Essa ha come motore operativo lʼanalisi di Eco [1964] sulla differenza tra mito e romanzo in relazione alle storie di Superman, il concetto di mitologia a bassa intensità [Ortoleva 2012], lʼapporto

dellʼergodica che riconfigura lʼingaggio coi testi [Murray 1997], lʼattrazione e la comprensione delle ring composition [Douglas 2007] che regolano e gestiscono la circolazione dei testi, e la stessa produzione seriale. Questʼultima, più che un fattore che regola e gestisce la circolazione dei testi è la forma che permette una circolazione più complessa e inaugura modalità di gestione contrassegnate da attitudini rinnovate.

Per comprendere al meglio la questione su diversi livelli di permanenza, organizzati o sulla riflessione o sulla rifrazione, è stata necessaria una digressione focalizzata sullʼazzeramento attuato dallʼuniverso Marvel con New 52 e le operazioni simili di DC Comics. Attraverso questa digressione abbiamo delineato due questioni a cui ci siamo riferiti anche nel seguito della trattazione (in particolare, nel capitolo 3):

1. il concetto di canone25 come collante dellʼuniverso e come sistema complessivo di saperi e garanzia di orientamento e plausibilità nella narrazione.

2. Dalla fedeltà alla matrice ex-ante alla compatibilità nei confronti del canone. Questo movimento che rifunzionalizza il concetto di fine, ha anche la funzione di rimodellare le aspettative del fruitore che si organizzano non più intorno al perseguimento del télos, ma intorno allʼallestimento del kairos (inteso come altro sistema di temporalità e come momento dellʼoccasione).

Il guardare alle fondamenta degli universi persistenti e di ripresa ciclica per comprendere la rifunzionalizzazione del concetto di fine in con queste due modalità di durata (per multiplo e per serie), avverrà sotto lʼegida della riconfigurazione, così come la intende George P.Landow26 [1997] in

Hypertext 3.0. Nel momento in cui si inizia a parlare di migrazioni di testi (intermedialità), con il concetto di intertestualità e lʼidea di lavorare su due piani contemporaneamente, lʼidea di riflessione si sfalda.

In Hypertext, inizia a comparire il senso di testo disperso e il concetto di decentralizzazione (cambia il senso di chiusura e di apertura, e il senso di erosione dei confini). Se ora il discorso di Landow può sembrare superato, per la storia della rifunzionalizzazione risulta centrale.

Per fare questo, teniamo in considerazione il libro di Janet Murray [1997] che problematizza le dinamiche di ingaggio con i testi e i possibili concetti

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25 Qui canone è inteso non solo come costruzione del corpus indispensabile per comprendere un universo narrativo, ma anche come guida per la credibilità e la compatibilità delle narrazioni future. In ambito di scrittura televisiva è anche spesso chiamata “The Bible”. Il canone è il depositario della plausibilità delle azioni dei personaggi. Nel mondo comics è anche indispensabile riferirsi al concetto di fanon: ovvero, il canone che si costruisce man mano che la storia si dispiega e che è una sorta di garanzia per eventuali errori di continuity Il lavoro sulle “bibbie transmediali” verrà affrontato nel 3. 26 Anche se riprendere il concetto di ipertesto (qui ipertesto. Ma nel terzo capitolo ci si occuperà di transmedia - crossmedia -ecosistema) può suonare superato, il suo apporto alla nozione di testo (dal punto di vista storico) è un considerevole passo avanti. Il concetto di ipertesto è infatti una delle più importanti riconfigurazioni accadute al concetto di testo negli ultimi anni e dalla sue innovazioni possiamo continuare a tratteggiare la storia della forma finale e della sua riconfigurazione.

che si possono trattenere dallʼergodica27 (questa è una delle chiavi per arrivare a comprendere lʼopera seriale nel suo insieme, uno dei motori della dialettica fine/permanenza). La letteratura ergodica infatti, come vedremo successivamente, si pone come “not medium-specific” [1997] e soprattutto, essa [letteratura ergodica] “is not defined by medium, but by the way in which the text functions”.

Poiché quello che interessa di più è comprendere come quelle teorie che noi abbiamo già visto operanti nella letteratura possono essere utili se riconfigurate, oppure possono essere decisive per disegnare al meglio lo stato dellʼarte.

Il capitolo diventa idealmente diviso così:

1. ricostruzione e descrizione delle teorie e degli studi

2. ricostruzione dellʼinizio del movimento di riconfigurazione del testo che impatta sulla sua organizzazione

3. individuazione della dialettica fine/permanenza e delle sue articolazioni che tentano di spiegare le molteplici questioni “entagled” implicate nellʼidea di fine.

Classi di testi e tentativi di tassonomie: la monografia The End

Uno dei pochi testi pubblicati28 sullʼargomento in ambito cinematografico,

The End. Narration and Closure in the Cinema di Richard Neupert, adotta la duplice prospettiva di storia/discorso. Neupert si appoggia in particolare alle idee di B.H. Smith [1968] e sulla tesi di David Richter in Fableʼs End [1974], che distingue tra thematic completeness e stylistic closure. Combinando le categorie di apertura/chiusura e di storia/discorso, Neupert ottiene così quattro classi di testi:

1. Closed Text: sia storia che discorso di chiudono

2. Open Story: il discorso narrativo si chiude, mentre la storia rimane aperta

3. Open Discourse: è il discorso che rimane aperto, mentre la storia è risolta

4. Open Text: la storia rimane irrisolta e il discorso narrativo aperto.

Se volessimo usare questo tipo di classificazione per le narrazioni seriali, lʼultima potrebbe sembrare la classe più adatta, eppure, secondo lʼopinione di chi scrive la narrazione seriale si può anche porre nellʼopen discourse.

27 Il lavoro più citato è Afternoon. A Story di Micheal Joyce del 1987, una dimostrazione di ipertesto elettronico che introduce il concetto di Ergotic literature. (<http://en.wikipedia.org/wiki/ Afternoon,_a_story> <http://www.accessmylibrary.com/coms2/summary_0286-9202545_ITM>). Da

ergo, lavoro e odos path, una storia da camminare, da fare, cfr. Espen J. Aarseth, Cybertext— Perspectives on Ergodic Literature “contains the most commonly cited definition:In ergodic literature,

nontrivial effort is required to allow the reader to traverse the text”

28 I lavori, di taglio monografico, rimangono quelli di Richard Neupert e in ambito italiano, quello di Micaela Veronesi [2005] e Bruno di Marino. Da segnalare, gli atti del convegno “Limina. Le soglie del film”, tenutosi a Udine nel 2003 di cui parleremo in seguito.

Le storie si risolvono continuamente nelle narrazioni seriali, il discorso invece rimane aperto per interventi sia da parte dei fan che da parte della stessa produzione (grazie alle cosiddette “bibbie transmediali”). Come analizza John Ellis in TV FAQ Uncommon Answers to Common Questions About TV [2007, 87]

[A] general tendency in TV storytelling [...] provides its viewers with frequent resolution of narrative incidents rather than the definitive closure of a narrative with all the loose ends tied up and the characters dispatched to death or a serene future.

Inoltre, riguardo alla classe Closed Text (ma anche in tutte le altri classi), è possibile che, come afferma Valentina Re [2003; 110] la chiusura o apertura sul piano discorsivo possa andare in una direzione radicalmente diversa da quella che si afferma sul piano della storia. Ed è proprio questa stridente dissonanza, ad esempio, rintracciata dalla studiosa che contraddistingue i melodrammi di Douglas Sirk. Thereʼs Always Tomorrow (1955) inizia con la presentazione del robot, “Rex, lʼautoma che parla e cammina”. Clifford Groves, il protagonista, proprietario dellʼimpresa è un docile padre di famiglia, pressoché ignorato dai suoi figli, che un giorno ritrova Norma, la donna che aveva amato in passato. Clifford sta per compiere la propria scelta quando la famiglia gli si stringe intorno. Il finale, con un primo piano dellʼautoma, “che apre e chiude la sequenza dellʼaddio di Norma segna drammaticamente e per sempre la sorte di Clifford, svuotando completamente di senso il finale posticcio e conciliante della riunificazione familiare”. [Re, 2003; 110]

Sempre a proposito di happy end stridente, anche Bordwell nel suo saggio Happily Even After [1982] (di cui parleremo largamente nel corso delle prossime pagine) evidenzia il fatto che il pregiudizio sulla convenzione dellʼ happy end non ha permesso di intravedere la corrosione dei valori che lo stesso happy end doveva, allʼinizio, affermare.

Come dicevamo, Neupert ottiene queste quattro classi di testi guardando ai lavori di B.H. Smith [1968] e Richter [1974] i quali, si avvicinano ai loro rispettivi oggetti mettendo in contrapposizione forti metodi di chiusura e deboli.

They assert the strong, secure closure involves the achievement first, of a definite sense of completeness, and second, a structurally determined stylistic closure.

Lʼobiettivo della Smith è quello di determinare il motivo per cui un punto risulta più appropriato per chiudere una poesia rispetto ad un altro. La studiosa, come abbiamo visto in precedenza, distingue “endings” da “conlusions”, scrivendo che qualsiasi evento, narrativo o no, si può fermare o finire; solo un testo si può concludere, con la conclusione che arriva ad un preciso “termination point” [Neupert, 13].

Infatti nel caso della Smith, “[c]losure may be regarded as a modification of structure that makes stasis, or the absence of further continuation, the most

probable succeding event” [H.Smith in Neupert, 13] che sigillano un testo e lo ipostatizzano.

In Fableʼs End, Richter distingue la “completezza tematica” (il fine del protagonista si è attuato), dalla “chiusura stilistica”.

Secondo Richter, una narrazione può completare la sua storia ma avere “devices” inappropriati o deboli per concludere il lavoro. Egli inoltre asserisce che nelle favole meno convenzionali il plot centrale è lasciato “more or less up in the air”; in questo modo i temi possono essere incompleti, e non rispondere sul fatto che il protagonista abbia raggiunto i suoi scopi, ma la chiusura stilistica totale è garantita e rimane intatta [Neupert, 13]. Si delinea così, attraverso lʼanalisi di Neupert e i suoi riferimenti agli studiosi come Smith e Richter un modello duale di struttura narrativa: uno coinvolge la storia e il tema, lʼaltro lo stile e la narrazione. Lʼapproccio di Neupert, inoltre, continua la tradizione di Kristeva [1970] (“separate and evaluate the story resolution and the degree of closure provided by narration”). Il nostro approccio sarà diverso: nel terzo capitolo la divisione ci sarà ma non sarà tra storia e discorso sempre interni alla narrazione, ma tra storia interna e discorsi (al plurale) esterni, che gravitano intorno al testo. Introdurremo il concetto di ecosistema e solo nel 4 ci occuperemo delle chiusure fornite dalla narrazione (valutazione del grado di chiusura fornita dalla chiusura narrativa).

Neupert, adatta la dualità della complessità narrativa ai testi cinematografici, inserendo la varietà, le funzioni, gli effetti delle diverse

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