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LA NECROPOLI DI MONTEBELLUNA

2.1. Storia degli scavi.

I primi ritrovamenti archeologici di età pre-romana e romana di cui si ha notizia per Montebelluna risalgono alla seconda metà del 1800 e sono documentati dai registri d’archivio conservati nel nuovo Museo Civico di Santa Caterina a Treviso e nell’Archivio storico del Comune di Montebelluna . Nonostante la notevole quantità di reperti raccolti a partire da allora – subito acquisiti dal direttore del vecchio museo civico di Treviso, Luigi Bailo – e la loro importanza scientifica, pressoché nulli sono i dati riferibili alla loro esatta ubicazione, in gran parte proveniente da contesti sepolcrali. Lo stesso Bailo diede ben poco peso all’aspetto scientifico delle scoperte sia in relazione ai dati di scavo sia alla composizione dei contesti originari, che giunsero al museo ampiamente smembrati.

Come si evince dalla documentazione d’archivio, infatti, il recupero dei materiali si deve in gran parte a un gruppo di ricercatori, formati per lo scopo dal direttore del museo, e di un buon numero di antiquari e mercanti locali i quali spesso non rivelavano il nome dell’autore, il luogo e la data precisa delle scoperte; a ciò si aggiunga la contingenza che Bailo procedette, in più casi, con vistoso ritardo alla denuncia delle scoperte alla Soprintendenza, all’inventariazione dei manufatti, quando ormai non aveva più ricordo delle informazioni ricevute dai rinvenitori sull’individuazione delle aree archeologiche.

Un quadro interessante della storia degli scavi e delle scoperte emerge dalla consultazione dei fascicoli, del primo inventario delle collezioni museali, delle lettere e relazioni inviate a Bailo, da pubblicazioni di fine ‘800, dalla relazione pubblicata nel 1964 da Tessari sulla collezione di famiglia e soprattutto dalla consultazione e ricerca d’archivio condotta da De Min per una puntualizzazione topografica dei siti

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di provenienza dei materiali, funzionale alla redazione della carta archeologica e geomorfologica del Comune di Montebelluna. La zona che si è dimostrata subito più ricca di scoperte risultò la fascia estesa sul versante meridionale del rilievo del Montelletto, cioè Santa Maria in Colle, ai piedi della vecchia Parrocchiale omonima. Qui, a partire dal 1856, emersero testimonianze significative di sepolcreti preromani e – in minor numero – romani distribuiti in due fondi contigui, Tessari e Innocente. Alcuni documenti conservati nell’Archivio comunale di Montebelluna, in relazione a lavori di ampliamento del cimitero di Santa Maria in Colle nel 1888, fanno riferimento a resti consistenti di murature e mosaici romani individuati nel corso dei lavori.

L’area di Posmon, invece, fu indagata dai primi anni del 1900 come emerge dalla descrizione che fece Bailo del sopralluogo effettuato nell’aprile 1904 ; sebbene più preciso dal punto di vista topografico rispetto ad altri, il documento in parola fornisce solo indizi generici sulla presenza di tombe romane a Posmon. L’esame della documentazione nell’archivio di Santa Caterina, oltre a ribadire l’esistenza di aree a intensa frequentazione antropica, quali gli appena citati Santa Maria in Colle e Posmon, ha confermato la presenza di zone di interesse archeologico ai piedi della collina e vicino alla città che paiono indicare un’espansione degli insediamenti verso la pianura, soprattutto in età romana: si tratta di rinvenimenti di tombe isolate o raggruppate in piccoli nuclei, come quelle scoperte nel 1912 in località Bocca Cavalla .

Sin da questi primi rinvenimenti si è generato un gran fervore per l’importanza delle scoperte; nonostante ciò, la conoscenza del Veneto pre-romano e di epoca di romanizzazione è stata per lungo tempo dominata dalla centralità che la città di Este ricoprì in seguito ai precoci scavi archeologici e, soprattutto, ai consistenti e significativi rinvenimenti.

Il centro di Este, infatti, venne da subito considerato la città madre della civiltà venetica sia per l’antichità delle testimonianze sia per il fatto che fu proprio lì che iniziarono, verso la fine del 1800, scavi e ricerche che giunsero al riconoscimento e

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alla definizione di quella civiltà che venne definita “atestina” (dal nome latino di Este, Ateste).

Le successive scoperte archeologiche avvenute in tutto il Veneto hanno rivelato come la realtà “atestina” non fosse limitata solamente ad Ateste ma fosse diffusa in un territorio che copriva e, talvolta, oltrepassava i confini regionali attuali. Tuttavia, l’interesse specifico maturato e manifestato nei corso degli anni nei confronti della realtà atestina ha costituito per lungo tempo un limite negli studi e nelle indagini che hanno concentrato il loro focus sulle situazioni necropolari di questo determinato territorio trascurando, invece, molte altre aree che da qualche decennio a questa parte hanno suscitato un notevole interesse sfociato in attività di scavi estensivi, indagini, ricerche che hanno ampliato in modo rilevante la conoscenza della civiltà dei Veneti antichi.

La conseguenza immediata e più tangibile dell’interesse pressoché esclusivo riservato a Este è stata, com’è logico, l’estensione e l’omologazione alla situazione delineata per tale area a tutti gli altri centri del Veneto che fossero stati interessati da un passato pre-romano e poi romano: ciò che si scopriva veniva, infatti, interpretato secondo il cosiddetto “modello atestino” senza che vi fosse un riguardo specifico per le particolarità e peculiarità delle singole aree scavate. Si era, cioè, inclini a considerare che la storia dei centri veneti in età pre-romana e il loro inserimento nell’orbita romana avessero seguito le medesime tempistiche e modalità di Este. Tale atteggiamento ha chiaramente generato un appiattimento del quadro interpretativo sulla situazione delineata per Ateste e, al contempo, ritardato gli studi sulle altre realtà della Venetia.

Le scoperte di siti che hanno restituito contesti necropolari ascrivibili a un arco temporale relativamente esteso che giunge – almeno – sino al periodo di romanizzazione come Arquà Petrarca, Baone, Valle San Giorgio, Montagnana, Gomoria, Adria, Valeggio sul Mincio, Povegliano Veronese, Vigasio, Santa Maria di Zevio, Isola Rizza, Sorgà, Gazzo Veronese, Montebello Vicentino, Padova, Altino, Montebelluna, Caverzano, hanno sicuramente gettato nuova luce sulla realtà funeraria – e nono solo – della Venetia in periodo pre-romano e di romanizzazione,

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aprendo nuovi orizzonti, facendo capire come il panorama sia molto più vario e complesso rispetto a quello che si era delineato in precedenza e rendendo evidente come fosse necessario adottare nuovi modelli teorici e metodologici che permettessero di approfondire vari aspetti della ritualità funeraria e, di conseguenza, anche la società che la praticava.

Come anticipato, infatti, molti dei materiali di provenienza necropolare di Montebelluna sono venuti alla luce occasionalmente, durante lavori agricoli o edilizi. Risulta chiaro che questi contesti di recupero non hanno fatto che aumentare i limiti e le criticità di un’interpretazione corretta ed esaustiva del materiale archeologico. Innanzitutto in tali occasioni, non essendovi alcun fine di natura archeologica, non venne posta cura e attenzione alle modalità di scavo, condotto con strumenti non idonei e spesso causa di danni ai materiali riportati alla luce. Scarsa – se non nulla – attenzione anche nei confronti dei dati stratigrafici, da cui l’impossibilità di costruire un quadro completo ed esaustivo e di inserire i reperti in un panorama storico- archeologico preciso e ben definito.

Da ciò è derivata anche la mancanza di testimonianze topografiche sufficienti per localizzare gran parte dei numerosi ritrovamenti avvenuti dalla metà del 1800 alla metà del 1900, quando furono avviati i primi scavi regolari dalla Soprintendenza archeologica.

Gli scavi più recenti, condotti a partire dagli anni ‘80 del secolo scorso con metodi multidisciplinari, hanno rivoluzionato l’archeologia funeraria veneta, riconoscendo l’esistenza di complesse azioni rituali connesse alla sepoltura. I dati stratigrafici hanno consentito di definire cronologie relative tra le differenti tombe e la distinzione tra corredi all’interno di ossuari ha permesso la conservazione di numerosi contesti chiusi. I dati recenti hanno permesso di illuminare la situazione sui corredi di scavo ottocentesco e tali acquisizioni, insieme al lavoro di revisione ed edizione di nuclei di necropoli di scavo ottocentesco e a una ricerca su contesti inediti, hanno dotato la documentazione funeraria veneta di una notevole potenziale informativo.

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