Come si è visto, il percorso analizzato precedentemente, che partiva da San Matteo e passava per Casarola, aveva il proprio luogo d’arrivo presso l’abbazia di Linari, punto di riferimento fondamentale per i viandanti medioevali: questo luogo era così importante da costituire tappa fondamentale anche per la via del sale stessa; era, infatti, luogo di sosta e ristoro prima di riprendere il cammino per addentrarsi maggiormente in territorio toscano. E’ interessante, quindi, analizzare più nel dettaglio questa struttura, partendo dall’analisi del nome stesso.
L’abbazia è oggi conosciuta come abbazia di San Bartolomeo di Linari; questo, però, non era il nome originario del complesso. L’abbazia era, infatti, anticamente dedicata a San Salvatore, e con tale denominazione viene ricordata dai documenti più antichi, fino almeno al XIII secolo1. E’ ancora oggi controverso il motivo di
questo cambio di nome, ma due sono le ipotesi più accreditate. La prima è che ini- zialmente fosse presente una doppia dedicazione, andata poi perduta in favore di una singola; la seconda, e forse più probabile, sostiene che l’iniziale dedicazione a San Salvatore sia stata sostituita con quella a San Bartolomeo quando i monaci co- minciarono ad occuparsi dei pellegrini. La dedicazione a San Bartolomeo, infatti, era spesso usata presso gli ospizi e gli xenodochi, poiché questo santo era ritenuto protettore dei viandanti.
L’abbazia di San Bartolomeo presso Linari non ha lasciato grandi testimonian- ze di sé: gli edifici di pertinenza dell’abbazia, infatti, sono andati distrutti molti se- coli fa, e le rovine che si possono osservare oggi non rappresentano propriamente i resti dell’abbazia, quanto piuttosto quelli di edifici ricostruiti dopo il crollo di altri edifici romanici che si trovavano in una località vicino2. Nonostante ciò, è
comunque possibile ricostruire in maniera precisa la storia dell’abbazia di Linari attraverso lo studio delle fonti antiche.
Non si hanno notizie precise sulla fondazione dell’abbazia; spesso viene er- roneamente indicato che il complesso è di fondazione estense, ma in realtà, pur essendo un’ipotesi molto probabile, non esistono documenti che confermino ciò. Ciò che viene confermato dalle fonti, è un iniziale patronato generico da parte dei marchesi obertenghi d’Este su un istituto funzionante.
Il primo documento in cui si trova traccia dell’abbazia di Linari risale al 18 luglio 981: si tratta di un diploma con cui l’imperatore Ottone concedeva a Go- tifredo, vescovo di Luni, una “corticellam que dicitur linariclum in comitatu par-
mense”. Sebbene l’identificazione sia ancora oggi controversa, è molto probabile
che la “corticellam que dicitur Linariclum” fosse il luogo in cui poi sarebbe sorto il monastero. Per quanto riguarda la dicitura “in comitatu parmense”, invece, è da annotare una stranezza: nelle fonti posteriori, infatti, il luogo è posto nel comitato lunense. Questa discrepanza può essere spiegata con la frequenza con cui beni diversi erano ascritti al comitato parmigiano, pur essendo fuori dai suoi confini; un’altra spiegazione può essere data dal fatto che spesso i confini di un comitatus erano diversi dai confini di una diocesi3. Si ritiene giusta questa interpretazione
del diploma anche poiché all’epoca si usava spesso il toponimo “Monte di Lina- recchio” per indicare le propaggini montuose dell’area poco distante da Linari4.
Anche nel caso, comunque, in cui si trattasse solo di un caso di omonimia, e il diploma si riferisse ad un’altra località denominata Linari realmente all’interno del comitato parmense, pur non essendoci collegamento tra il monte e il diploma, resterebbe comunque valido il collegamento tra il toponimo Linari e l’abbazia.
E’ del 20 gennaio 1045, invece, il primo documento che rappresenta una vera e propria certificazione di esistenza e funzionamento dell’abbazia. Si tratta del te- stamento scritto da tale prete Giovanni all’interno del chiostro di Linari; nel testo, infatti, si legge che il testamento è “actum infra claustra monasterii sito Linare
de Alpe”. Nel documento Giovanni dona un “manso” al potente convento di San
Prospero: questo testimonia la probabile attività del cenobio per mantenere il con- trollo su un’importante zona di transito appenninico.
Nel 1077, invece, Enrico IV concede a Ugo e Folco, figli del marchese oberten- go Alberto Azzo d’Este, alcuni beni, tra cui l’abbazia di Linari. Si noti che l’atto che
testimonia questa donazione è in realtà privo di data; la datazione è stata fatta da uno studioso, Muratori, sulla base di due considerazioni: per prima cosa il nome di Gregorio, vescovo di Vercelli che aveva partecipato alla stesura dell’atto, e che era stato cancelliere dal 1070 al 1080. In secondo luogo la presenza di Enrico IV in Italia proprio nel 1077, in occasione della pace di Canossa.
Fino a questo momento i documenti descritti davano indicazioni esclusiva- mente sull’esistenza o la proprietà dell’abbazia. Una successiva fonte, datata 22 dicembre 1185, comincia, invece, a dare qualche notizia relativa alla fortuna del complesso monastico. In questa data, infatti, Rainaldo, abate di San Bartolomeo, nella chiesa del Beato Basilio di Sarzana, in presenza di autorità lunensi, giurò fedeltà alla chiesa lunense. Questa rappresentava una dichiarazione di soggezio- ne sacrale, ma anche un impegno di carattere politico. In un momento in cui la riforma canossiana favoriva la creazione di centri monastici riformati e legati alle autorità politiche, l’abbazia di Linari si affidava all’esclusiva giurisdizione del pre- lato-conte lunense, diventando così un avamposto della politica lunense nell’alta valle del Taverone, ai confini con le diocesi più soggette alla riforma. Questa presa di posizione da parte dell’abate Rainaldo fu, probabilmente, il motivo della cospi- cua ricchezza fondiaria del monastero.
Tale ricchezza fondiaria del monastero è ben testimoniata dalle successive fonti che si hanno a disposizione. Il 3 aprile 1207, per esempio, l’abate Rainaldo ricorda, a utilità dei suoi successori, tutti i beni fondiari e le istituzioni religiose di pertinenza dell’abbazia: sono presenti nell’elenco le aree circoscritte dalle val- late del Parma e dell’Enza, la valle del Taverone e la valle del Bagnone. Nel 1228, invece, l’abate Rainucino vende in perpetuo alcuni beni, riconferma l’affitto di un podere e, soprattutto, dà notizia di quante persone vivevano nel monastero: viene testimoniata una consistente organizzazione umana. Nel 1230 viene redatto un nuovo elenco dei possedimenti del monastero, ma non ritornano alcune dipen- denze elencate nel 1207; si erano verificate delle perdite, probabilmente per la pressione sempre più forte esercitata dal vescovo di Parma per diminuire il peso del vicino cenobio.
i possedimenti dell’abbazia di San Bartolomeo; quello che emerge dall’analisi di questi è che il monastero perseguiva una politica fondiaria basata sulla vendita e l’affitto di molte delle proprie dipendenze, al fine di avere maggiore disponibilità di denaro liquido. Questo tipo di politica fondiaria aveva senza dubbio effetti po- sitivi: nel 1309, per esempio, essendo nota la disponibilità immediata di denaro liquido, il cardinale Arnaldo, legato al pontificio, chiese all’abbazia di Linari degli interventi in favore di San Caprasio ad Aulla, poiché qui era rimasto un unico monaco che viveva di carità. C’erano, però, anche degli effetti negativi legati a que- sta politica fondiaria; nel 1342, infatti, l’attuale abate di Linari, Pietro, affittò una grande quantità di terre lavorate e prative ad un certo Nicolò da Correggio. Questi possedimenti, però, non furono più restituiti e l’abbazia li perse definitivamente.
Nel 1347 viene riportato che i monaci presenti nell’abbazia erano più nume- rosi rispetto agli anni precedenti. A partire da questo anno, inoltre, si avvia una vertenza fondiaria la cui revisione avrebbe animato l’ultima parte della storia del monastero: questa riguardava il contenzioso tra l’abbazia e la comunità del Grop- po San Pietro relativamente ai confini delle rispettive proprietà. Vennero emesse diverse sentenze negli anni successivi, sempre a favore dell’abbazia; in più occa- sioni l’abate dell’abbazia stessa si arroccò il diritto di decidere, così da reprimere tendenze autonomistiche all’interno dei propri possedimenti. Se, quindi, la vicen- da non provocò perdita di terreni da parte del monastero, richiese comunque uno sforzo economico e, soprattutto, minò l’autorità che questo cenobio aveva sempre detenuto, causando malumore e avversione nelle comunità rurali: il declino di San Bartolomeo di Linari era cominciato.
Il 9 settembre 1466 viene redatto un atto di locazione di alcuni livelli dell’ab- bazia; questo documento dà, quindi, notizie sullo stato delle architetture. Si sco- pre, così, che il complesso era scoperchiato in più punti, ed il tetto era in totale sfacelo; le strutture erano deserte, l’ospitale era ormai diventato dimora solo per animali selvatici. Questo documento segna, quindi, la fine sostanziale del mona- stero. Da questo momento non avrebbe più rappresentato un ente di potere anche politico, ma sarebbe stato semplicemente un oggetto secondario di concessioni in commenda. A partire da quest’anno e fino alla seconda metà del 1500, infat-
ti, l’abbazia venne affidata ad abati commendatari che ne curarono, chi più chi meno, gli interessi. Il monastero, comunque, continuava a perdere possedimenti e a versare in condizioni di decadenza sempre maggiori. Così, il 1 ottobre 1583, il papa Gregorio XIII, con una bolla, dichiara la soppressione dell’abbazia, e ne cede i beni mobili, immobili e le pertinenze al convento di San Giovanni Battista di Fivizzano. Il 21 aprile 1591, così, i frati di Fivizzano posano i piedi sui loro nuovi possedimenti a Linari.
Tre sono stati i motivi principali della soppressione di questo monastero. In primo luogo le vicende giudiziarie, che avevano contribuito a creare un ambiente di avversione e malumore verso l’autorità del cenobio nelle piccole comunità ru- rali. In secondo luogo il legame di alcuni degli abati commendatari con i monaci agostiniani di San Giovanni Battista di Fivizzano; forse l’obiettivo finale di questi abati, poco interessati alle sorti di San Bartolomeo, era proprio che gli agostiniani potessero appropriarsi dei beni dell’abbazia. L’ultima causa del declino dell’abba- zia, infine, fu senza dubbio lo stato perennemente dissestato degli edifici; la po- litica fondiaria attuata per secoli dal monastero aveva provocato ingenti perdite di possedimenti ed entrate pecuniarie, che si erano ripercosse su una cattiva, o addirittura assente, manutenzione degli edifici.
Dopo la soppressione del convento, i ruderi sono stati più volte rimaneggiati e ricostruiti, essendo stati vittime di violenti fenomeni franosi. Fino al 1950 – 1960 l’insediamento abitativo, ricavato dai resti dell’abbazia, era ancora utilizzato. Non sono presenti, quindi, apprezzabili tracce per ricostruire la planimetria originale del complesso monastico; ancora una volta, sono le fonti a dare un contributo per la parziale comprensione della struttura del complesso.
Nelle “Piante antiche del confini 72”5, presso l’Archivio di Stato di Firenze, è
riportata una cospicua raccolta di rappresentazioni inerenti questioni di confine tra Comano e Rigoso, soprattutto relativamente alla contesa dei pascoli appen- ninici: in questi disegni si vede che il monastero di Linari presentava modeste dimensioni, ed era formato dal nucleo tipico, molto diffuso nelle rappresentazioni cartografiche del XVI – XVII secolo, di cappella più ospedale.
un’accurata descrizione del piccolo agglomerato, che non aveva subito un incre- mento edilizio rispetto a prima. Questo era situato in prossimità del torrente, all’incrocio tra due strade, ed era composto da una corte aperta sulla strada, un fabbricato che delimitava il fronte sud, ed un’ala nord comprendente una cappella di dimensioni ridottissime e due costruzioni annesse.
Tutto ciò, come si è già detto, non è riscontrabile negli odierni ruderi; questi non presentano paramenti murari di fattura medioevale, ma tecniche costruttive post medievali, quali per esempio l’utilizzo di pietre scarsamente lavorate e l’im- piego di abbondante malta. Si può notare, tuttavia, il reimpiego anche di materiali prelevati dall’antico edificio medievale e ricollocati nelle nuove costruzioni; sono stati riutilizzati, per esempio, conci in pietra arenaria perfettamente squadrati ed elementi decorativi. Questi ultimi, in particolare, vengono descritti dallo studioso Formentini in una relazione di inizio ‘900 , e sono costituiti da: un bassorilievo con l’immagine di un dragone, un capitello usato come acquasantiera e un fram- mento d’iscrizione alludente all’abate Rainuccio.
Queste che sono appena state descritte rappresentano, però, le uniche testimo- nianze dell’abbazia: non restano testimonianze strutturali del portico, del chiostro, della chiesa e dell’ospitale. Visitando i ruderi, e il luogo in cui sono collocati, si riesce però a comprendere l’importanza che doveva avere questo complesso, data soprattutto la posizione cruciale in cui era collocato. Va tenuto presente, infatti, che tutto l’Appennino tosco – emiliano, dalla Cisa fino alle Alpi, è caratterizzato da un insieme di altitudini comprese tra i 1850 e i 1904 metri sul livello del mare, i cui contrafforti ripidi assumono l’aspetto di un potente e continuo bastione; questo è interrotto solo dall’ampia depressione del Lagastrello che, quindi, rappresentava probabilmente un preciso punto di riferimento per i viandanti medievali7. Nel
Medioevo, inoltre, proprio a fronte di tutti questi spostamenti di persone, fiori- rono numerosissimi ospizi e xenodochi, e in questo clima nacque anche l’abbazia di Linari, in posizione decisamente strategica: esattamente al di sotto del crinale spartiacque appenninico, in territorio toscano ma al confine con il territorio emi- liano, in una valle esposta a sud ben protetta dalle catene montuose e vicino a quelle che erano le strade percorse da viandanti e pellegrini.
E’ proprio l’aspetto assistenzialistico e di ospitalità dell’abbazia ad interessa- re in questo studio: prima di procedere con ulteriori considerazioni sul sito in esame, quindi, è utile fare una breve digressione per comprendere davvero cosa fossero e rappresentassero nel Medioevo gli xenodochi.
1 Lia Giambutti, L’abbazia di San Bartolomeo Linari dalle origini alla soppressione,
in Atti del convegno di Aulla, 5 - 7 ottobre 1984
2 Nicola Gallo, Dall’abbazia al villaggio di Linari. Note ed appunti sulle strutture
edilizie, in Atti del Convegno di Studi (Ramiseto-Comano 19–20 agosto 2000), Reggio nell’Emilia
3 Lia Giambutti, L’abbazia di San Bartolomeo Linari dalle origini alla soppressione,
in Atti del convegno di Aulla, 5 - 7 ottobre 1984. Si faccia riferimento a questo testo an- che per le successive interpretazioni dei documenti antichi
4 Roberto Ricci, L’abbazia di Linari: tra problemi storiografici del medioevo transap-
penninico e segni di un illustre passato, in Atti del Convegno di Studi (Ramiseto-Coma- no 19–20 agosto 2000), Reggio nell’Emilia
5 cfr. fig. 22: L’abbazia di Linari in una mappa di confine cinquecentesca, pag. 70 6 cfr. fig. 23 e fig. 24: Nucleo abitato di Linari e toponimo “Bazzia di Linari”, Catasto
leopoldino, Sezione A, comunità di Fivizzano, quarto foglio, 1825, pagg. 70 - 71
7 Filippo Fontana, Viabilità storica nelle Valli dei Cavalieri - parte terza, in Valli dei
FIG. 22 - L’abbazia di Linari in una mappa di confine cinquecentesca
FIG. 25 - Estratto di mappa catastale Sezione A di Comano, foglio 10, 1957
FIG. 26 - Ruderi di Linari, foto, 2017
FIG. 28 - Ruderi di Linari, foto, 2017
FIG. 29 - Ruderi di Linari, foto, 2017
FIG. 30 - Ruderi di Linari, foto, 2017