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STORIA DELLA RELAZIONE TRA IDEALISMO E CULTURA SCIENTIFICA NEL PRIMO NOVECENTO

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CAPITOLO PRIMO

SCIENZA, POLITICA E CULTURA NELL’EPOCA DI GENTILE

Lo Stato, come ogni realtà concreta dello spirito, è divisione di lavoro e coordinazione dei vari elementi in cui esso si divide: organismo, la cui unità, cioè la vita, richiede specializzazione di organi e funzioni, che sono tutti organi e funzioni dell’unico organismo. Lo Stato ha la sua arte negli artisti della nazione di cui esso è la personalità: e così ha i suoi sacerdoti, i suoi scienziati, i suoi soldati, la cui molteplicità è varietà di forme dello stesso pensiero. Ha i suoi filosofi, sulle cattedre, nelle accademie dovunque lo spirito soffia. Attraverso le varie filosofie si svolge la filosofia quella che sola può essere filosofia, il pensiero, la potenza della nazione forte della sua civiltà e delle sue energie spirituali: la potenza dello Stato.

Giovanni Gentile, Introduzione alla filosofia.

§ 1. IL CONFLITTO TRA SCIENZA E NEOHEGELISMO

L’industrializzazione italiana comincia davvero ad incidere significativamente nel progresso della società, soltanto alla fine degli anni ottanta dell’Ottocento. Tuttavia, ciò non dipese e a ciò non corrispose un altrettanto sviluppo delle scienze e della ricerca scientifica. Bisognerà attendere la piena maturazione del complesso panorama scientifico del primo Novecento per poter registrare quella saldatura dialettica tra ricerca teorica e sua effettiva concretizzazione storica e sociale. Alla fine dell’Ottocento, infatti, gli studi erano spesso settoriali e confinati in contesti regionalistici tipici del territorio italiano ancora sostanzialmente diviso per tradizioni e cultura negli stati preunitari dai quali il neonato Stato Sabaudo aveva ereditato 21 atenei. Lo sviluppo industriale promosso anche dalla classe governativa piemontese, aveva dato un incisivo impulso al settore ingegneristico ma mancavano quelle condizioni, anche culturali, capaci di promuovere un processo di scolarizzazione e formazione di una classe di studenti e docenti allineata a quella degli altri paesi europei. Ma anche quando ciò sembrò finalmente prendere la direzione giusta con l’inizio del nuovo secolo e quando il movimento degli scienziati sembrò finalmente coordinato e solido, si palesò l’ostracismo soprattutto di Croce e, a seguire e in misura diversa, di Gentile. Quello che scienziati come Enriques tenacemente volevano, era di dare inizio ad un rinnovamento della cultura italiana in una direzione finalmente scientifica in ordine anche a quanto con forza propugnava l’allora assai influente movimento positivista. La ricerca scientifica, dunque, non doveva divenire soltanto un altro settore della variegata cultura accademica, ma doveva assurgere a funzione di guida del paese nella direzione di un suo ammodernamento e di un suo adeguamento ai canoni di modernizzazione del resto d’Europa.

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In questa direzione lavorava la S.I.P.S. ossia la «Società italiana per il progresso delle scienze» il cui presidente era l’importante e influente matematico Vito Volterra, e poi la «Società filosofica italiana» fondata proprio da Enriques, e tutto il gruppo di intellettuali legati all’assai significativa rivista «Scientia», vero crocevia dei più rilevanti contributi scientifici dell’epoca.

Lo scontro tra cultura neoidealista e ricerca scientifica fu complesso e dai tratti aspri: fu emblematico in questo senso quello tra Enriques e Croce.

Quello che i filosofi neoidealisti non concedevano ai filosofi della scienza era di poter considerare al pari una riflessione sulle forme spirituali ed una su di un «sapere pratico» scientifico o tecnologico che fosse. A inasprire i toni della diatriba contribuì il carattere anche sarcastico e ironico della rivista di Croce «La Critica» che bollava certe ambizioni filosofico– scientifiche come forme ingenue e dilettantesche di speculazione.

Enriques, caso più unico che raro del panorama italiano dell’epoca, aveva cercato di edificare una «filosofia scientifica» che rispondesse alle esigenze di comprensione imposte dalle nuove tematiche scientifiche. Il pensiero del matematico livornese va contestualizzato in quell’ambiente pragmatista che derivava direttamente dagli sviluppi logici degli studi di Giuseppe Peano a cui va riferita anche l’opera di altri matematici come Alessandro Padoa, Mario Pieri, Cesare Burali–Forti e altri importanti scienziati come Giovanni Vailati e Mario Calderoni180 .

L’intento di Enriques era di formulare un codice speculativo che potesse avvicinarsi per finalità a ciò che la tradizione epistemologica europea da tempo vantava (e dei cui contenuti quella italiana era drammaticamente quasi del tutto digiuna) e che aveva i suoi più fulgidi rappresentanti nella tradizione statunitense e in quella dei Circoli di Vienna e Berlino.

Lo scontro tra Enriques e l’idealismo è assai complesso e molto è stato scritto a riguardo181. Qui è sufficiente ricordare i punti salienti della battaglia assai significativa tra scienza e cultura umanistica che vide come momento precipuo il IV Congresso Internazionale di Filosofia che si svolse a Bologna dal 6 all’11 aprile 1911.

La designazione di una città italiana come sede dei lavori, fu salutata con grande gioia dagli intellettuali italiani che caricarono l’evento di molteplici significanze patriottiche vista anche la ricorrenza del cinquantenario dell’Unità d’Italia. Per molti l’evento rappresentò anche l’occasione per portare alla ribalta il problema dell’educazione, della formazione scolastica e universitaria, e della cultura sempre più al centro del dibattito politico. È noto quanto l’età giolittiana mise al centro della sua agenda politica tali problemi.

Inoltre, è questo un periodo in cui in Italia il movimento scientifico, soprattutto matematico, risulta essere al centro anche sotto il profilo organizzativo, di molte iniziative culturali. Ne è appunto esempio palmare proprio questo congresso che ebbe tra i suoi partecipanti eminentissimi nomi come Boutroux, Poincaré, Cassirer, Aliotta, Tocco, Papini, Croce e molti altri.

Come nota la Pompeo–Faracovi i primi quattro congressi del Novecento, ossia quello di Parigi del 1900, di Ginevra del 1904, di Heidelberg del 1908 e infine, appunto, quello di

180

Cfr. E. Agazzi, Fasi e forme della filosofia della scienza italiana del ’900, in E. Agazzi (a c. di), La filosofia della

scienza in Italia nel ’900, Franco Angeli, Milano 1986; F. Minazzi – L. Zanzi, La scienza tra filosofia e storia in Italia nel Novecento, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, Roma 1987; F. P. Firrao (a c. di), La filosofia italiana in discussione, Mondadori, Milano 2001.

181

Cfr. M. Castellana − O. Pompeo–Faracovi, Filosofie scientifiche vecchie e nuove. A cent’anni dal IV Congresso

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Bologna, segnarono tematicamente il successivo svolgersi di tutto il XX secolo.

Ci si riferisce qui anche e soprattutto agli sviluppi scientifici e tecnologici successivi e a quella fedeltà nel progresso, di chiara impronta illuminista e positivista che caratterizzerà fortemente il XX secolo182.

Proprio il positivismo, come si vedrà di seguito aveva, già sul finire dell’Ottocento, cominciato a marginalizzare la tradizione filosofica e umanistica ritenendola inutile al progresso delle scienze in ordine al progetto che era stato già di Comte.

Enriques matematico illustre ma altresì umanista e nel tempo intelligente pensatore, si era opposto a questa tendenza di molti scienziati e positivisti. Fu proprio lui a fondare, come si è detto, la «Società filosofica italiana» nel tentativo di recuperare quel dialogo che proprio molti suoi colleghi volevano definitivamente recidere. Così, infatti si espresse al convegno organizzato dalla sua società nel 1907:

[...] quel sottil riso di scherno è svanito dalle labbra degli sperimentatori. Si affaccia più imperioso alle menti un bisogno di rinnovare qualche cosa, non nella tecnica delle diverse discipline, ma nel modo di intendere i problemi di queste e i loro mutui rapporti. La Filosofia sembra rinascere dalle ceneri.183

La posizione di Enriques, come quella di altri filosofi e scienziati, voleva rispondere all’atteggiamento sin troppo fideistico di quel positivismo che osteggiava ogni possibile interpretazione del «fatto», di quel positivismo che Enriques considerava «sempre pronto a credere che Nostra Signora la Scienza conceda bell’e fatta la sua verità agli assidui adoratori della sua bibbia»184.

Ovviamente la posizione di Enriques, sebbene vicina a quella del neohegelismo nostrano nel respingere lo scientismo, non pensava la scienza sottoposta al pensiero filosofico, ma voleva salvaguardare il sapere scientifico, anche nella sua accezione epistemologica.

Ciò derivava anche dalla crisi, che sul finire dell’Ottocento, aveva subito la scienza per via delle sue promesse non mantenute185: situazione del tutto analoga la si rileverà nel contesto weimeriano alla fine del primo conflitto mondiale.

La situazione italiana si intrecciava altresì, col suo ritardo scientifico e con la sua tradizione culturale fortemente umanistica.

Il pensiero di Enriques rappresentò meglio di altri la tendenza assai diffusa della comunità scientifica dei primi anni del XX secolo, di considerare come elemento centrale nella nuova corrente del razionalismo novecentesco, le discipline matematiche «intese come un riferimento essenziale per la nuova filosofia scientifica».

Le matematiche non apparivano soltanto come uno strumento di traduzione quantitativa dei dati delle scienze empiriche, e nemmeno, alla maniera di un realismo presto destinato a rinascere a nuova vita, come descrizione di strutture ideali eterne, preesistenti agli sforzi della mente. In una libera reinterpretazione del trascendentalismo kantiano diventavano una forma specifica di attività intellettuale, stimolata dall’esperienza, e volta alla costruzione di modelli, capaci di suggerire forme di interpretazione continuamente correggibili della realtà. E fu

182

O. Pompeo Faracovi, Cent’anni dopo, in M. Castellana − O. Pompeo Faracovi (a c. di), Filosofie scientifiche vecchie

e nuove. A cent’anni dal IV Congresso Internazionale di Filosofia, op. cit., pag. 10.

183

F. Enriques, Il Rinascimento filosofico nella scienza contemporanea, e il valore della scienza, in Questioni

filosofiche. Relazioni al II Congresso della Società Filosofica Italiana, (Parma 1907), Formiggini, Modena 1908, pag.

2.

184

F. Enriques, La teoria della conoscenza scientifica da Kant ai nostri giorni, trad. it. di O. Pompeo–Faracovi, Bologna 1983, pag., 48.

185

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in particolare tra i matematici che, all’interno del campo scientifico, quel movimento filosofico trovò significativi interlocutori.186

L’organizzazione del Congresso bolognese vide la metafisica e la filosofia generale assegnatarie del posto d’onore per la visione universalistica e unitaria enriquesiana della cultura, contro ogni particolarismo tipicamente positivista e in linea, dunque, proprio con la visione crociana.

A ciò va riferito anche lo scritto di Enriques Problemi della scienza187, tra i suoi più significativi, che poneva al centro della nuova filosofia scientifica europea, la relazione tra esperienza scientifica e filosofia in linea con altri importanti scienziati come ad esempio Poincaré188.

Non di rado tale relazione, come si diceva, fu considerata nella specifica relazione tra matematica e filosofica.

L’intervento al congresso bolognese di Enriques dal titolo Il concetto di noumeno, e in generale la sua visione filosofica, fu dedicato a Kant e inserito nella sezione «Logica e filosofia della scienza», dove si sosteneva che l’intelletto umano non può essere considerato isolato dalla realtà sensibile che lo circonda, e questa dal canto suo non può essere considerata al di fuori della rappresentazione che la pensa e la determina concettualmente189.

Il punto di vista enriquesiano non era alieno da influenze anche idealistiche, probabilmente da ricercare anche nel suo tentativo di aprire un dialogo con gli esponenti più illustri del neohegelismo nostrano, forse anche per trovare quel riconoscimento anche filosofico dalla comunità degli intellettuali italiani che cercava.

Ne è esempio il discorso di apertura dal titolo Il problema della realtà190, dove Enriques riprendeva un classico tema dell’attualismo gentiliano che accostava il pensiero religioso a quello scientifico poiché entrambi ricercano degli invarianti, ciò che non muta al mutare del flusso cangiante dell’infinito molteplice.

Ciò non era bastato per attuare una pacifica relazione coi due principali neoidealisti: infatti, Gentile aveva seccamente declinato l’invito di partecipare al Congresso, mentre Croce, guardingo, dopo alcune perplessità aveva deciso di farsi coinvolgere ma solo come spettatore. L’atteggiamento stizzito di Gentile va ricercato anche nel completo disinteresse e assoluta indifferenza con i quali Enriques aveva risposto ai suoi attacchi su «La Critica»191: agli occhi del matematico di Livorno, Croce doveva apparire il vero artefice dell’attacco alla sua opera e

a latere, ancora nel 1911, il filosofo abruzzese era all’apogeo della sua fama e della sua

influenza politica e culturale. Per queste ragioni doveva apparire logico ad Enriques ritenere come referente dell’idealismo italiano il solo Croce e non quelli che potevano sembrare come

186

O. Pompeo Faracovi, Cent’anni dopo, in M. Castellana − O. Pompeo Faracovi (a c. di), Filosofie scientifiche vecchie

e nuove. A cent’anni dal IV Congresso Internazionale di Filosofia, op. cit., pag. 15.

187

F. Enriques, Problemi della scienza, Zanichelli, Bologna 1906.

188

Cfr. H. Poincaré, L’évolutione des lois, Zanichelli, Bologna 1911.

189

Cfr., F. Enriques, I numeri e l’infinito, in Atti del IV congresso internazionale di filosofia, vol. II, Formaggini, Genova 1911, pp. 357–378.

190

F. Enriques, Il problema della realtà, «Scientia», V, IX, 1911, pag. 258.

191

Il giovane Gentile era stato, precedentemente, sguinzagliato contro Enriques per il suo Problemi della scienza, scrivendo su «La Critica» VI, 1908, pp. 433–434. Il matematico era stato poi nuovamente attaccato in G. Gentile,

Scherzi innocenti intorno alla metafisica hegeliana, «La Critica», VIII, 1910, pp. 142–145 scritto dal filosofo siciliano

in polemica contro l’articolo La metafisica di Hegel di Enriques apparso sulla «Rivista di Filosofia», II, 1910, I, pp. 56– 75, precedentemente apparso in lingua francese per il Congresso parigino nello stesso anno dove, invece, era stato positivamente recepito.

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i suoi faccendieri.

L’orientamento della Società e del Congresso enriquesiani non era certamente neoidealista, pur tuttavia, si apriva a tematiche assai suggestive anche per il sempre più ricco movimento culturale che si stava saldando attorno alla figura, soprattutto, di Croce.

Ma il filosofo abruzzese non svolse alcuna relazione, se ne rimase in disparte e durante il suo ritorno in treno a Napoli, concesse a De Ruggiero un’intervista per «Il Giornale d’Italia», assai aspra, dura e inaspettatamente fuori misura contro Enriques.

Croce era probabilmente allarmato per il successo di pubblico e per l’altisonante autorevolezza dei partecipanti, e soprattutto per la fama di filosofo acquisita da un outsider ch’era riuscito d’un balzo a scavalcare i ben più noti pensatori di mestiere. Col senno del poi, la presenza tra il pubblico di Croce, va inquadrata nell’astuta e lungimirante prospettiva del filosofo, di poter giudicare l’iniziativa enriquesiana con tutta l’autorevolezza e la pertinenza del caso.

L’intervista è a ragione ritenuta dai maggiori storiografi che si sono occupati del tema, il significativo elemento alla scaturigine dello scontro tra idealismo e scienza che caratterizzerà gli anni a venire e fors’anche tutto il Novecento italiano.

Tuttavia, il dissidio con Enriques era nato qualche anno prima per via delle differenti visioni epistemologiche da doversi riferire al sapere scientifico. Enriques era persuaso che la scienza dovesse influenzare ogni settore della cultura; ma per Croce le scienze non sono strumento di conoscenza ma avevano solo funzione descrittiva: con ciò nulla vietava di considerarle promotrici di progresso strettamente scientifico o più ampiamente sociale.

In particolare, nell’intervista Croce diceva d’essere a conoscenza «che l’Enriques voleva organizzare un Congresso destinato ad attuare la particolare concezione che egli si era formato della filosofia: cioè una sintesi delle scienze [...] ma la forza delle circostanze [lo] ha condotto al di là, o meglio fuori dei suoi propositi: gli scienziati non son venuti, son venuti i filosofi».

Croce aggiungeva poi che per Enriques «la filosofia non è un possesso [ma] un bisogno, solo che non potendo appagare questo bisogno con la cosa, lo appaga con la parola», ma soprattutto Croce sosteneva l’inutilità d’ogni argomentazione e, quindi, di non voler «discutere e combattere i conati dottrinali di Enriques»192.

Per molti anni il divorzio doloroso che caratterizzerà la relazione tra scienza e filosofia (frettolosamente, spesso fatta coincidere con il solo l’idealismo), verrà addebitato all’incauta e assai pretenziosa strategia di Enriques e alle deficienze del suo metodo filosofico.

La lettura che Croce offrì di quei fatti, verrà considerata dalla maggioranza degli intellettuali dell’epoca, senz’altro corretta e condivisibile, da cui ne usciva una figura malridotta e ridicolizzata dell’«austero matematico, filosofo infantile, Federigo Enriques»193.

Ma già negli anni sessanta la posizione di Enriques è stata significativamente ripensata194, soprattutto nella direzione di un ridimensionamento della posizione crociana valorialmente contestualizzata alla dialettica tra due forme speculative, piuttosto che a quella tra un filosofo improvvisato e uno di professione.

192

L’intervista è in M. Castellana − O. Pompeo–Faracovi (a c. di), Filosofie scientifiche vecchie e nuove. A cent’anni

dal IV Congresso Internazionale di Filosofia, op. cit., pp. 191–197.

193

Ib., pp. 22–23.

194

Cfr. P. Casini, Scienza e filosofia in Italia nel primo Novecento, «Terzo Programma», VI, 1996, pp. 191–237; G. Micheli, Un tentativo di rinnovamento: Federigo Enriques, in «Annali della Storia d’Italia», vol. III, Scienza e tecnica, pp. 619–641; E. Garin, Angelo Fortunato Formaggini, in L. Balsamo – R. Cremante (a c. di), A. F. Formaggini un

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Il problema, secondo quanto Vailati scrive in una lettera indirizzata a Papini il 1 giugno 1908, non era da ricercare solo nella malevola e tenace critica di Croce e dei suoi fidi contro scienziati e positivisti, ma nella drammatica assenza di quanti avrebbero potuto e dovuto supportare il coraggioso Enriques, lasciato solo: così, non ci rimetteva solo il grande matematico ma era la stessa «cultura italiana a capitolare»195.

Storiograficamente è proprio questa, oggi, la prospettiva emersa da quel lontano dissidio: la sconfitta del sapere scientifico ad opera degli alacri neoidealisti, per lo più crociani (difficile ancora poter parlare di una scuola gentiliana politicamente e culturalmente influente), sarebbe da imputare non a Enriques ma alla debolezza della tradizione epistemologica e filosofico–scientifica italiana, di cui il matematico di Livorno era probabilmente, tristemente, l’unico rappresentante.

A rileggere oggi i documenti di quella battaglia si resta perplessi di come sia potuta apparire così gravemente distorta l’immagine di Enriques. Le pagine di difesa e di accusa di Croce, oltre a essere significativamente brevi, constano di pochi e scarni concetti. Tutt’altro che insignificante, invece, è l’impressione generale che destano, assiomaticamente riconducibile a quell’aristocratico distacco e disappunto nei confronti di chi vuole approcciarsi alla filosofia e ai filosofi, pur non avendone né la stoffa né le conoscenze più elementari.

Invece, lo scritto di Enriques del 1911 dal titolo Esiste un sistema filosofico di Benedetto

Croce?196 lungo ben 15 pagine, brilla per puntualità, intelligenza, e non di rado di buon senso. Va qui rilevato che molte delle critiche sollevate da Enriques risultavano del tutto affini a quelle che, in fieri, e secondo un procedere assai cauto e mediativo erano già palesi negli scritti gentiliani: com’è stato detto, solo dopo il 1925 Gentile mostrerà nettamente l’incongruenza e la contraddittorietà della logica e della filosofia di Croce.

Croce veniva attaccato, da Enriques, a partire dalla sua più nota opera ossia l’Estetica del 1902 la cui precipua specificità «consiste in ciò che essa potrebbe essere stata scritta da un uomo che non abbia mai conosciuto un’opera d’arte197 [poiché] tutti i problemi che la critica artistica pone naturalmente al pensiero vi sono considerati come empirici, o pseudoestetici, per esempio, la questione del diverso valore espressivo della pittura, della musica etc»198.

Ma la critica enriquesiana dava il meglio di sé nell’attacco alla Logica crociana mostrando il carattere affatto non sistematico ma classificatorio e la sua confusione soprattutto per ciò che concerne il rapporto del suo codice speculativo col kantismo (di cui Enriques, come s’è visto, altrove aveva dato esempio di sicura competenza).

Più specificatamente, il concetto di spirito crociano, a detta di Enriques, è un misto assai confuso di facoltà rappresentativa che talvolta coincide con la stessa attività del pensiero tanto che questa «non può essere pensata senza sostituire all’io la rappresentazione dell’io [...]: è l’indeterminatezza del soggetto che ha trovato la sua formola nel soggetto–oggetto di Hegel a

195

In C. Bartocci, Scienza e filosofia: un divorzio italiano, in S. Luzzatto – G. Pedullà (a c. di), Atlante di letteratura

italiana, vol. III, 2012, pag. 5.

196

F. Enriques, Esiste un sistema filosofico di Benedetto Croce?, in «Rassegna contemporanea», IV, 1911, 6, pp. 405– 418; ora in M. Castellana − O. Pompeo–Faracovi (a c. di), Filosofie scientifiche vecchie e nuove. A cent’anni dal IV

Congresso Internazionale di Filosofia, op. cit., pp. 201–214.

197

Lo stesso Livio Sichirollo, in una vecchia chiacchierata che feci nel suo studio, disse che proprio Enriques su questo punto aveva toccato il segno meglio di tanti altri critici infatti, proseguiva, se c’è una cosa che si può senz’altro affermare dell’Estetica è che questa mostra chiaramente che di «arte Croce non ci capiva proprio nulla».

198

M. Castellana − O. Pompeo–Faracovi (a c. di), Filosofie scientifiche vecchie e nuove. A cent’anni dal IV Congresso

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cui possono riattaccarsi molte classiche antinomie»199. È sulla concezione che Croce ha della

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