• Non ci sono risultati.

72 centri storici europei tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, portano la riflessione – soprattutto in ambito internazio-

nale – a spostarsi progressivamente dalle modalità di intervento (dibattito interno ad aree disciplinari quali composizione archi- tettonica e restauro) alle possibilità di sviluppo (dibattito inter- no ad aree disciplinari quali sociologia, economia, urbanistica e pianificazione territoriale), dall’ambito della tutela del costruito storico al momento della sua valorizzazione. Gli organismi urbani di interesse storico attraggono, via via, una sempre più puntua- le e specifica attenzione che, per essere compresa, deve essere letta anche e soprattutto in chiave economica. La valorizzazione sociale, economica e culturale dei tessuti urbani storici di edilizia di base consente, infatti, lo sfruttamento di rendite di posizione che, nel tempo, porteranno alla stigmatizzazione di fenomeni ur- bani molto diffusi (gentrification, ecc.).

La Carta Europea del Patrimonio Architettonico, promulgata dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa nel 1975 – altrimen- ti detta Dichiarazione di Amsterdam – sancisce l’inserimento di “città storiche”, “quartieri urbani antichi” e “villaggi tradizionali”, nell’ambito del patrimonio architettonico che interessa proteg- gere, “tenendo conto di tutti gli edifici che hanno valore di cultura, dai più prestigiosi ai più modesti, senza dimenticare quelli d’epo- ca moderna, così come dell’ambiente nel quale si inseriscono”. Tra le righe è possibile leggere la volontà dell’estensore di sottoline- are la sostenibilità nelle azioni di conservazione degli edifici esi-

stenti che contribuiscono “all’economia delle risorse ed alla lotta contro lo spreco”. La Carta si muove anticipando, nella sostanza, il tema della sostenibilità nella salvaguardia del patrimonio cul- turale. L’intervento, anche alla scala urbana, deve entrare in rela- zione con l’eredità testimoniale del costruito storico e non in con- flitto con essa. Non deve, pertanto, compromettere la ricchezza reale e potenziale nell’ambito in cui si è chiamati ad intervenire. Oggi il concetto di sostenibilità si è infatti evoluto ampliando gli orizzonti della triple bottom line (risorse-emissioni-biodiversità) in un insieme più ampio di temi che introducono vincoli economi- ci, qualità ambientale ed istanze culturali. Quest’ultima declina- zione – la cultura – diventa dunque nuovo – o, meglio, ritrovato – paradigma di sostenibilità, orientando il processo edilizio verso la salvaguardia e la valorizzazione di tutte le sue manifestazioni passate. Le attività connesse con il restauro di manufatti storici diventano dunque azioni di per sé sostenibili e, pertanto, valu- tabili anche con strumenti e metodi pertinenti a tale contesto. È proprio la Dichiarazione di Amsterdam a rendere evidente come anche gli edifici antichi possano ospitare nuovi usi, ovviamente compatibili e certamente funzionali alla propria conservazione. Soltanto l’uso di un edificio garantisce, infatti, la sua manuten- zione, la sua vita e, quindi, la sua trasmissibilità alle generazioni future. “I centri storici italiani hanno, su quelli di molti altri paesi, un grosso vantaggio: il vantaggio d’una architettura e di una tec- nologia che riescono ancora oggi a non mostrarsi troppo estranee

73

Marco Zuppiroli Contesti storicizzati e progressiva marginalizzazione del ruolo dell’architetto restauratore nell’evoluzione delle carte internazionali sul patrimonio culturale

alle esigenze della popolazione interessata”3. È con queste parole

che Ludovico Quaroni intende sottolineare come, nei centri sto- rici italiani, si possa vivere bene anche nella modernità, come, ad esempio, si possa godere di un moderno studio professionale in un palazzetto del Trecento o del Quattrocento, senza dover ne- cessariamente operare grosse alterazioni.

Il concetto di “conservazione integrata”, che scaturisce in seno alla Dichiarazione, porta in primo piano la responsabilità degli at- tori locali (amministratori e cittadini) e, in ultima analisi, dei tec- nici della pianificazione urbana e territoriale. Sempre Quaroni, in

un numero di Rassegna dei primissimi anni ‘804, individua, con

lucidità premonitrice, come la volontà politica espressa attraver- so la L. 457/78, nel togliere – in scia alla Dichiarazione – alle “com- petenze” del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali, ogni ope- razione di controllo e garanzia sulle operazioni di trasformazione dei centri storici, investendo, di tale necessità, le amministrazioni locali, sia solamente “forse” un’opportuna necessità. A distanza di qualche anno avremmo avuto i primi, amari risultati.

Con la Dichiarazione di Amsterdam le discipline della pianifica- zione sono chiamate ad integrare le esigenze della conservazione del patrimonio architettonico nelle linee di sviluppo previste per gli organismi urbani di interesse storico. È introdotta, in ambito europeo, l’esigenza di un dialogo permanente tra esperti di con- servazione e di pianificazione. Si evidenzia come non ci si debba limitare a sovrapporre, senza coordinamento, le “regole ordi-

narie” della pianificazione e le “regole speciali” della protezione degli edifici storici. In questa primitiva esigenza risiede tutta la drammaticità del nodo disciplinare, rimasto irrisolto, del restauro urbano – tra pianificazione, urbanistica e restauro – in particolare per quel che concerne i cosiddetti “insiemi architettonici”. Per non sovrapporre discipline tanto differenti, quanto complementari, è infatti necessaria una puntuale integrazione, possibile solo lad- dove non vi siano insuperabili sovrapposizioni, sia sul piano teori- co, sia su quello operativo.

I confini entro i quali devono potersi muovere le differenti disci- pline – pianificazione strategica e progettazione dell’intervento all’interno del contesto storicizzato – risentono però di un antico problema di linguaggio. L’“insieme architettonico” impone infatti la consapevolezza di essere di fronte ad una complessità che pre- suppone, per essere affrontata, una positiva convergenza di più operatori a diversi livelli. La complessità del tema, qualificata dal- la locuzione “insieme”, è stata finora governata mediante il ras- sicurante punto di vista dello sguardo specialistico. Un’intensa attività di ricerca ha contribuito all’approfondimento progressivo dei numerosi aspetti del problema limitandosi ai singoli ambiti disciplinari. Appare chiaro come sia necessario un salto di qualità in chiave interdisciplinare, una profonda presa di coscienza della sterilità di una ricerca analitica e parcellizzante, multidisciplinare, capace di addentrarsi sempre più a fondo nell’indagine dell’infini- tamente piccolo, perdendo però di vista l’infinitamente grande,

Documenti correlati