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Lo stretto rapporto tra medicina e colpa grave: casi di particolare difficoltà eex art 2236 c.c.

3. Prospettive dde iure condendo in materia di graduazione della colpa.

4.1. Lo stretto rapporto tra medicina e colpa grave: casi di particolare difficoltà eex art 2236 c.c.

In materia di responsabilità medica si è discusso nel corso del tempo relativamente ai gradi della colpa e alla possibilità di identificare delle limitazioni fondate sulla colpa grave.

Nell' evoluzione della prassi giudiziaria si registrano diverse epoche segnate da contrastanti orientamenti giurisprudenziali relativi alla possibilità e ai limiti di un' eventuale importazione nel diritto penale della disposizione codicistica dell' art. 2236 c.c.: ad un iniziale atteggiamento più indulgente verso la classe medica, si è via via sostituito, con varie fasi intermedie, un successivo approccio più rigorista nei confronti dei sanitari306.

303 Progetto preliminare di riforma del c.p., 2001.

304 Il progetto di codice penale della commissione Nordio, 2005.

305 Schema di disegno di legge recante delega legislativa al Governo della Repubblica per l’

emanazione della parte generale di un nuovo codice penale, 2008.

306 CASTRONUOVO, RAMPONI, Dolo e colpa nel trattamento medico – sanitario, in La responsabilità in

medicina a cura di BELVEDERE, RIONDATO, Milano, 2011; BLAIOTTA, La responsabilità medica: nuove prospettive per la colpa in www.penalecontemporaneo.it, 2012;

Cass, Sez. IV, 29.01.2013 n. 268 Cantore; DI LANDRO, Dalle Linee guida e dai protocolli all’

individualizzazione della colpa penale nel settore sanitario,Torino,2012; MANNA, I nuovi profili della colpa medica in ambito penale, in Riv. Trim. dir. pen. ecomomia, 2013; MARTINI, GENOVESE, La valutazione della colpa medica e la sua tutela assicurativa, Rimini, 2013; VALLINI, L’ art. 3 del decreto Balduzzi tra

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La giurisprudenza più risalente, nell’ individuare le regole che avrebbero dovuto presiedere all’ accertamento della responsabilità medica, ha preso le mosse dalle norme civilistiche in tema di professioni intellettuali, rapportabili anche all’ attività medica: l’ art. 1176 comma 2 c.c. secondo il quale “nell’ adempimento delle

obbligazioni inerenti l’ esercizio di una attività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’ attività esercitata”, e l’ art. 2236 c.c. alla stregua del quale “se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’ opera non risponde se non in caso di dolo o colpa grave”.

Sulla base di tali disposizioni, alcune sentenze, assumendo una posizione di eccessiva indulgenza nei riguardi del medico, sostenevano che la colpa dello stesso dovesse essere valutata dal giudice con larghezza di vedute e comprensione: la responsabilità penale era riconosciuta solo in caso di grossolana violazione delle più elementari regole cautelari dell’ arte medica, ovvero, in presenza di un errore inescusabile avente origine o nella mancata applicazione delle cognizioni generali e fondamentali attinenti alla professione o nel difetto di quel minimo di abilità e perizia tecnica nell’ uso dei mezzi manuali o strumentali adoperati nell’ atto operatorio o, infine, nella mancanza di prudenza e diligenza. La giurisprudenza rilevava anche che essendo l’ obbligazione del sanitario obbligazione di mezzi, cioè di un’attività indirizzata ad un risultato, il suo mancato raggiungimento non determinava inadempimento a meno che il medico non avesse tenuto un comportamento non conforme alla diligenza richiesta.

L’ orientamento indulgente della giurisprudenza ha finito col coprire anche casi di grave leggerezza e ha determinato una situazione di privilegio per la categoria. Si è pure ritenuto che tanta comprensione verso comportamenti spesso gravemente censurabili fosse espressione della deteriore visione paternalistica della medicina307. Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale chiamata a valutare la

questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento agli artt. 42 e 589 c.p., nella parte in cui permettevano che nella valutazione della colpa il giudice attribuisse rilevanza solo ai gradi di colpa di tipo particolare, così determinando una ingiustificata condizione di diseguaglianza dei cittadini di fronte alla legge a seconda del possesso o meno di un titolo accademico.

Con la sentenza n. 166 del 1973 i giudici della Corte hanno chiarito che “la

disciplina in tema di responsabilità penale non prescinde dal criterio stabilito dall’ art. 2236 c.c. per l’ esercente una professione intellettuale quando la prestazione implichi problemi tecnici di speciale difficoltà, giacchè ciò è il riflesso di un principio dettato da due opposte esigenze: da un lato quella di non mortificare l’ iniziativa del professionista col timore di ingiuste rappresaglie del cliente nell’ ipotesi di insuccesso e dall’ altro quella inversa di non indulgere verso non

retaggi dottrinali, esigenze concrete, approssimazioni testuali, dubbi di costituzionalità, in Riv. It. medicina legale,

2013.

307 BLAIOTTA, La responsabilità medica: nuove prospettive per la colpa, in www.penalecontemporaneo.it,

100 ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista stesso”308. L’ apprezzamento della

colpa in termini di gravità risulta ragionevole tutte le volte che vi sia un errore tipicamente professionale, cioè scaturito da un difetto di perizia (derivante dalla violazione delle leges artis), non quando vi sia la mancanza di diligenza o di prudenza; in questi ultimi due casi la valutazione dell’ attività del medico deve essere improntata a criteri di normale severità.

Considerato, pertanto, che la deroga alla disciplina generale della responsabilità per colpa ha un’adeguata ragione d’ essere ed è contenuta entro il circoscritto tema della perizia, la Corte ha ritenuto che non vi sia lesione del principio di uguaglianza così confermando quanto già previsto dalla giurisprudenza.

La giurisprudenza nei casi di prestazioni di speciale difficoltà, ha ammesso la limitazione della responsabilità del professionista alle ipotesi di imperizia grave quando quest' ultimo ha svolto la propria attività in una situazione di emergenza e di urgenza: “In materia di reati colposi per danni alla persona seguenti l’ esercizio della

professione sanitaria, l’ errore medico, conducente a morte o lesione personale del paziente, può essere valutato sulla base del parametro di cui all’ art. 2236 c.c., vale a dire della colpa grave, solo se il caso imponga la soluzione di particolari problemi diagnostici e terapeutici in presenza di un quadro patologico complesso e passibile di diversificati esiti terapeutici e quanto tanto l’ agire urga escludere alternative d’ attesa (convocazione a consulto di esperti specialisti; trasferimento presso luogo di cura più attrezzato; e similmente). Diversamente, quando non sia presente una situazione emergenziale, o quando il caso non implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, così come quando venga in rilievo negligenza e/o imprudenza, i canoni valutativi della condotta (colposa) non possono essere che quelli ordinariamente adottati nel campo della responsabilità penale per danni cagionati alla vita e alla integrità dell’ uomo (art. 43 c.p.)”309.

Ad un radicale mutamento di tendenza, ormai consolidato, si è assistito a partire dagli anni 80 del secolo scorso, allontanandosi del tutto dalla nozione civilistica di inadempimento nell’ esecuzione del rapporto contrattuale discendente dall’ applicazione degli artt. 1176 e 2236 c.c. e pretendendosi che ogni disamina sia abbinata a criteri propri del diritto penale, anche nel campo della colpa generica, sia se riferita alla perizia, sia se rapportata alla prudenza o alla diligenza.

Sul piano tecnico si rimarca che, stante la completezza dell’ apparato normativo penale, non è possibile l’ applicazione estensiva della norma civile nell’ indagine del giudice penale, con la precisazione secondo cui, data la natura eccezionale dello stesso disposto dell’ art. 2236 cc. rispetto ai principi regolanti la materia delle obbligazioni, non è ammissibile neanche una dilatazione per via analogica della sua operatività al punto da riconoscerne l’ efficacia nel settore penale.

308 Corte Cost. Sent. n. 166 del 1973. 309 Cass, Sez. IV, 23.03.1995, Salvati.

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Per queste considerazioni non si è ritenuto di fare riferimento al principio dell’ unità dell’ ordinamento giuridico che farebbe ipotizzare che uno stesso comportamento non dovrebbe essere civilmente lecito e penalmente illecito.

Del resto, precisa la giurisprudenza che nel diritto penale il grado della colpa è previsto solo come criterio per la determinazione della pena o come circostanza aggravante, giammai per determinare l’ an della sussistenza dell’ elemento psicologico del reato: “nella valutazione in ambito penale della colpa medica non trova

applicazione il principio civilistico della rilevanza soltanto della colpa grave, la quale assume eventuale rilievo solo ai fini della graduazione della pena”310; nello stesso senso si è

espressa la sentenza Calò del 2008, nella cui motivazione la Corte ha sottolineato che ormai la giurisprudenza è “consolidata nel senso che la colpa debba essere valutata,

nell’ ambito penale, alla stregua dei principi enunciati dall’ articolo 43 del codice penale; e che, invece non trovi applicazione il principio civilistico, espresso dall’ art. 2236 del codice civile, secondo cui nell’ ambito considerato rileva la sola colpa grave”311.

Nonostante tale orientamento ormai consolidato la giurisprudenza nel tempo ha seguito itinerari singolari. Eliminato l’ art. 2236 c.c. dal novero delle norme applicabili nell’ ordinamento penale, esso vi è rientrato per il criterio di razionalità del giudizio che esprime. La Corte di Cassazione ha, infatti, affermato che la norma civilistica può trovare considerazione anche in tema di colpa professionale del medico, quando il caso specifico sottoposto al suo esame imponga la soluzione di problemi tecnici di specifica difficoltà, non per effetto di diretta applicazione nel campo penale, ma come “regola di esperienza” cui il giudice possa attenersi nel valutare l’ addebito di imperizia sia quando versi in situazione emergenziale, sia quando il caso implichi la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà. Questo principio ha trovato conferma nella sentenza

Montalto, già esaminata, nella quale si è posta rilevanza alla connessione tra colpa

grave e urgenza terapeutica; e si è sottolineato che una attenta e prudente analisi della realtà di ciascun caso può consentire di cogliere i casi nei quali vi è una particolare difficoltà nella diagnosi; e di distinguere tali situazioni da quelle in cui il medico è malaccorto, non si adopera per affrontare correttamente l’ urgenza o tiene comportamenti omissivi nonostante la sua specializzazione gli imponga di agire tempestivamente312.

In un’ altra recente sentenza313 si è affermato che il fatto che il fondamento della

colpa risiede in una responsabilità personale, richiede di ponderare le difficoltà con cui il professionista ha dovuto confrontarsi. La colpa del terapeuta va parametrata alla difficoltà tecnico-scientifica dell’ intervento richiestogli ed al

310 Cass., 25.02.2000 n. 469, Altieri con nota di Vallini; Cass; 25.09.2002 n. 110 Amato; Cass;

29.01.2013 n. 268, Cantore.

311 Cass., Sez. IV, 28.10.2008 n. 46412, Calò.

312 Cass., Sez. IV, 5.04.2011, n. 16328 Montalto (rel. Blaiotta). 313 Cass., Sez. IV, 22.11.2011, n. 4391 Di Lella.

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contesto in cui si è svolto. Questo principio è stato sostenuto in un caso in cui si discuteva della responsabilità dello psichiatra di una casa di cura in cui era ricoverato un paziente affetto da una grave patologia psichiatrica che era precipitato al suolo perdendo la vita, a causa della sua condizione, verosimilmente per la realizzazione del suo proposito suicidiario. In questa sentenza si è affermato che il rimprovero personale richiede di tener conto delle difficoltà con cui il professionista ha dovuto confrontarsi e quindi del contesto, con particolare riferimento alla complessità e all’ urgenza. E’ particolarmente questo il caso della psichiatria che tratta patologie difficilmente controllabili; esiste, quindi, per tale branca della medicina, una ineliminabile misura di rischio consentito; di ciò bisognerà pertanto tenerne conto in sede di valutazione della colpa314.

In questi casi non è possibile stabilire con certezza assoluta che laddove il medico avesse posto in essere una diversa condotta non si sarebbe certamente verificato il fatto lesivo o l’ esito infausto.

Almeno in un determinato periodo storico e sia pure per interpretazione giurisprudenziale, il concetto di culpa levis contrapposto a quello di culpa lata aveva trovato, come abbiamo visto, considerazione ed accoglimento anche nel diritto penale; ora con la legge Balduzzi dell’ 8 novembre 2012 si può dire che si è tornati a questo risalente orientamento. Questo orientamento ha trovato particolare supporto nel progetto proposto dal Centro Studi Federico Stella e nella sentenza Cantore che meritano di essere esaminati.

4.2. (segue): La proposta del Centro Studi Federico Stella e la nozione di colpa grave nella sentenza “Cantore”.

La proposta di più risalente tradizione relativa alla possibilità di ancorare la responsabilità medica ai soli casi di colpa grave ha trovato un approdo più strutturato nel “Progetto di riforma in materia di responsabilità penale nell’ambito dell’attività sanitaria e gestione del contenzioso legato al rischio clinico” curato dal Centro Studi “Federico Stella” sulla Giustizia penale e la Politica Criminale dell’ Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Ai sensi dell’ art. 2 del progetto andrebbe introdotto nel codice penale un art. 590

ter di questo tenore: “l’ esercente una professione sanitaria che in presenza di esigenze terapeutiche avendo eseguito od omesso un trattamento cagioni la morte o una lesione personale del paziente è punibile ai sensi dell’ art. 589 e 590 c.p. solo in caso di colpa grave”315.

Il progetto valorizza il principio di extrema ratio, ritenendo opportuno riservare l’ intervento dell’ autorità giudiziaria penale solo relativamente ai comportamenti

314 BLAIOTTA, La responsabilità medica: nuove prospettive per la colpa, in www.penalecontemporaneo.it,

2012.

315 VALLINI, L’ art. 3 del decreto Balduzzi tra retaggi dottrinali, esigenze concrete, approssimazioni testuali,

dubbi di costituzionalità, in Riv. It. medicina legale, 2013 e CENTRO STUDI “FEDERICO STELLA”, Il problema della medicina difensiva, Pisa, 2010.

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del sanitario che siano caratterizzati da un elevato coefficiente di rimproverabilità tale da fare ritenere irrimediabilmente compromessa quell’ alleanza medico paziente che costituisce il fondamento di ogni corretto intervento terapeutico. Attraverso la disposizione citata viene dunque fissato un limite espresso di rilevanza penale della colpa del sanitario che secondo il progetto consentirebbe di ottenere una significativa riduzione dei comportamenti di medicina difensiva. La “medicina difensiva”, secondo quanto affermato nel Progetto, è identificabile in una serie di decisioni del medico, attive o omissive, consapevoli o inconsapevoli, e non specificatamente meditate, che non obbediscono al criterio essenziale del bene del paziente, bensì sono determinate dall’ intento di evitare accuse per non avere effettuato tutte le indagini e tutte le cure conosciute o, al contrario, per avere effettuato trattamenti gravati da alto rischio di insuccesso e complicanze.

Per ovviare almeno in parte all’ intrinseca indeterminatezza di una colpa qualificata nella misura, si propone, a differenza della legge Balduzzi, nel secondo comma dell’ art. 2 del Progetto, una definizione: “la colpa è grave quando l’ azione o

l’omissione dell’ esercente una professione sanitaria grandemente inosservante delle regole dell’ arte ha creato un rischio irragionevole per la salute del paziente concretizzatosi nell’ evento”. Per

arrivare ad una migliore qualificazione del grado di colpa ci si basa quindi su un duplice requisito, da un lato che vi sia una grossolana violazione dei fondamenti della lex artis, quale coefficiente di rimproverabilità soggettiva del sanitario; dall’ altro che si riscontri l’ avvenuta concretizzazione del rischio in tal modo creato che deve essere caratterizzato da un evidente comportamento irragionevole rispetto al fine di tutelare la salute del paziente.

Una definizione che si basa soltanto su alcuni profili graduabili della colpa (in particolare di carattere oggettivo), quindi riduttiva, se confrontata con altre suggerite in dottrina che taluno ha tentato di raccogliere nella seguente sintesi concettuale: è colpa grave sul piano oggettivo “la violazione di un obbligo di diligenza

particolarmente importante o di un gran numero di obblighi di cura poco significativi”; vale a

dire una mancanza di diligenza o una imprudenza di proporzioni inusitate di fronte ad un evento tipico che si sarebbe presentato come altamente prevedibile e quindi evitabile per chiunque si fosse trovato nelle condizioni dell’ agente e avesse adoperato un minimo di cautela ed avvedutezza; sul piano soggettivo la colpa è caratterizzata dalla possibilità in capo all’ agente di riconoscere il rilievo o il numero degli obblighi stessi (e, correlativamente l’ alto rischio connesso al mancato rispetto degli stessi) e dalla sua capacità di comportarsi in modo conforme.

Sulle linee di questi orientamenti giurisprudenziali e di questi progetti normativi la legge Balduzzi esclude la rilevanza penale delle condotte dei medici connotate da colpa lieve, che si collochino all'interno dell'area segnata da linee guida o da virtuose pratiche mediche, purché esse siano accreditate dalla comunità

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scientifica; quindi, in buona sostanza, reintroduce nel diritto penale, sia pure con esclusivo riferimento agli esercenti la professione sanitaria, il concetto di colpa lieve che, secondo la ormai consolidata giurisprudenza della Corte di Cassazione, non avrebbe potuto trovare applicazione nelle ipotesi di colpa professionale, neppure limitatamente ai casi in cui “la prestazione implica la soluzione di problemi

tecnici di speciale difficoltà”, previsti dall’articolo 2236 del codice civile. Questa

impostazione costituisce quindi un fatto di grande rilevanza giuridica perché ripropone la necessità di elaborare in maniera moderna i concetti di culpa levis e di

culpa lata, i quali pur facendo parte della nostra più antica tradizione giuridica,

sono stati trascurati dalla dottrina penalistica.

La nuova normativa infatti, introducendo i concetti di colpa lieve e colpa grave, non ha definito le due figure, né ha tratteggiato la linea di confine tra di esse, lasciando all’ interprete il compito di individuare e delineare i criteri di distinzione tra le due qualificazioni. Tale compito è stato accolto, evidenziandone la difficoltà “l’ assenza di una definizione legale complica senza dubbio le cose”, dalla giurisprudenza, nella ormai nota sentenza Cantore del 2013316, esaminata nel

precedente contributo.

La Corte innanzitutto fa presente che il giudizio sulla gravità della colpa non è per nulla sconosciuto alla dottrina penalistica ma è menzionato nell’ art. 133 c.p. che prevede che la misura della pena debba essere commisurata anche al grado della colpa; tale articolo tuttavia non dà alcuna informazione sui criteri che devono orientare questa valutazione. La graduabilità della colpa si può desumere, inoltre, dagli artt. 43 e 61 n. 3 c.p. che prevedono la c.d. colpa cosciente o con previsione dell’ evento.

La Corte dopo aver esposto tali considerazioni sottolinea il fatto che sia in dottrina che in giurisprudenza la materia è stata scarsamente approfondita. Propone, pertanto, quattro criteri generali cui attenersi per stabilire il grado della responsabilità per colpa.

Il primo, riguardante il profilo oggettivo della diligenza, viene individuato nella “misura della divergenza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi

sulla base della norma cautelare cui ci si doveva attenere”; un secondo parametro attinente

invece al profilo soggettivo della colpa, consiste nel “determinare la misura del

rimprovero personale sulla base delle specifiche condizioni dell’ agente”, indagando sul

“quantum di esigibilità dell’ osservanza delle regole cautelari”. Un terzo elemento, sempre relativo al profilo soggettivo della colpa, è individuato dalla Corte di Cassazione nella “motivazione della condotta”, dal momento che, “un trattamento terapeutico

sbrigativo e non appropriato è meno grave se commesso per una ragione d’ urgenza”. Per

316 Cass, Sez. IV, 29.01.2013 n. 268 Cantore; CALETTI, La colpa professionale del medico a due anni

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ultimo, nella graduazione della colpa rileva anche la “consapevolezza o meno di tenere

una condotta pericolosa” e quindi la previsione dell’ evento di cui all’ art. 61 n. 3 c.p.

Questi indicatori generali della gravità della colpa elencati dalla Corte di Cassazione vanno poi calati nell’ ambito specifico della colpa professionale del sanitario in relazione con l’ osservanza o meno delle linee guida: “quanto maggiore

sarà il distacco dai modelli di comportamento, tanto maggiore sarà la colpa; e si potrà ragionevolmente parlare di colpa grave solo quando si sia in presenza di una deviazione ragguardevole rispetto all’ agire appropriato definito dalle standardizzate regole d’azione”.

La Corte individua due possibili ipotesi di “ragguardevole deviazione” dal modello di comportamento delle linee guida. Può in primis accadere che il medico, “nel corso

del trattamento, abbia in qualche guisa errato nell’ adeguare le prescrizioni alle specificità del caso trattato. Qui, verosimilmente, per misurare il grado della colpa sarà scarsamente concludente il raffronto con le regole standardizzate, con le linee guida, che si assumono rispettate nella loro complessiva, generica configurazione. Si può ragionevolmente affermare che, in tale situazione, la colpa assumerà connotati di grave entità solo quando l’ erronea conformazione dell’ approccio terapeutico risulti marcatamente distante dalla necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia, al suo sviluppo, alle condizioni del paziente”.

Vi è anche un altro caso in cui il medico secondo la Corte può essere ritenuto responsabile per colpa grave pur avendo osservato le linee guida: nel caso in cui