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Gli strumenti di reazione messi in campo dal legislatore, le loro ragioni ed il loro

1.   Ragioni economico-fiscali e strumenti giuridici della delocalizzazione delle attività

2.2. Gli strumenti di reazione messi in campo dal legislatore, le loro ragioni ed il loro

Gli strumenti di reazione adottati dal legislatore sono assai diversi tra di loro. Talvolta essi sono messi in campo laddove le strutture societarie sono organizzate sottoforma di gruppi di società (sempre, però, quando i rapporti di controllo superano una certa soglia). Si pensi, a tale riguardo, alle disposizioni sulle CFC, alle disposizioni sui prezzi di trasferimento ed alla presunzione di residenza prevista per le società. Talvolta, invece, le disposizioni intervengono altresì laddove non vi sia alcuna struttura di gruppo, ma le operazioni poste in essere denotano contatti con paesi a fiscalità privilegiata. In questa prospettiva si destreggiano le disposizioni in punto di (in)deducibilità dei costi sostenuti nell’ambito di rapporti intrattenuti con soggetti localizzati nei cosiddetti paradisi fiscali.

Possiamo però trovare altre tipologie di disposizioni, spinte da finalità diverse, le quali sono comunque idonee ad incidere sulle scelte di delocalizzazione. Il riferimento va, in quest’ultimo caso, alla previsione delle cosiddette exit taxes. Più

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che di finalità antielusive, in questo caso, ci troviamo di fronte ad uno Stato che, innanzi al trasferimento di residenza del soggetto e dunque innanzi alla perdita della sovranità impositiva, non vuole rinunciare alla tassazione dei plusvalori ancora latenti sui beni dell’impresa i quali si sono formati nell’esercizio dell’attività svolta nel proprio territorio.

Sono pertanto due le linee guida fondamentali che devono essere tenute in considerazione al fine di spiegare il funzionamento delle disposizioni messe in campo dal legislatore. In primo luogo, possiamo evidenziare come le disposizioni di contrasto dipendano dalla struttura giuridica impiegata e, dunque, dalle forme giuridiche impiegate per delocalizzare e per gestire la delocalizzazione. A seconda della forma giuridica adottata (per la delocalizzazione e per il governo dell’attività delocalizzata), il legislatore aggancia diverse reazioni le quali possono intervenire in modo più o meno penetrante sulle scelte di autonomia contrattuale dell’imprenditore.

In secondo luogo si possono distinguere tutte quelle disposizioni che, viceversa, scattano quando la delocalizzazione determina, sotto diversi aspetti, contatti con territori a fiscalità privilegiata. In quest’ottica operano tutte quelle disposizioni nelle quali il presupposto applicativo scatta allorquando l’impresa estera (controllata/collegata o controparte nelle transazioni commerciali) sia localizzata in un paese nel quale il livello impositivo sia sensibilmente inferiore rispetto a quello previsto nel nostro paese o in un paese poco propenso allo scambio di informazioni (si pensi, in questa prospettiva, alle disposizioni sui cosiddetti costi black list e alle disposizioni in punto di cfc).

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In ogni caso, le disposizioni fiscali che in qualche modo costituiscono un contrasto alla delocalizzazione possono essere suddivise tra disposizioni che agiscono nell’ambito di rapporti infragruppo e disposizioni che, viceversa, prescindono dai collegamenti esistenti tra i soggetti coinvolti nelle transazioni o nelle riorganizzazioni aziendali.

Con riguardo agli effetti provocati dalla strumentazione di contrasto, possiamo porre ulteriori distinzioni.

In questa prospettiva, possiamo infatti distinguere tra disposizioni che agiscono direttamente sui presupposti stabiliti per determinare la residenza della società, facilitando il compito riservato all’Amministrazione finanziaria (in questo modo opera, come vedremo, la presunzione di residenza in Italia introdotta dal dl. 223/2006). Tale disposizione, invero, non si limita ad attrarre il reddito in Italia, ma incide direttamente sulla residenza del soggetto estero, dimodoché il soggetto in questione diventa a tutti gli effetti un soggetto residente nel territorio dello Stato, con tutte le conseguenze che ne derivano.

Troviamo poi disposizioni che, al contrario, non incidono sulla residenza del soggetto e si “limitano” ad attrarre per trasparenza il reddito prodotto all’estero (in questo modo operano le disposizioni in tema di cfc(40)). Vi sono altresì disposizioni

mediante le quali il legislatore incide su operazioni che, per una serie di motivi, potrebbero celare il trasferimento di ricchezza verso paesi a fiscalità privilegiata (nel novero di queste possiamo inquadrare le disposizioni in punto di costi sostenuti nell’ambito di rapporti con soggetti residenti in paesi a fiscalità privilegiata) oppure il trasferimento di ricchezza infragruppo sempre nell’ottica di veicolare il reddito in

40 Sul rapporto tra presunzione di residenza e disciplina CFC si veda G. Melis Il trasferimento della

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modo tale da ottenere un risparmio nel carico fiscale complessivamente considerato (così operano le disposizioni in punto di prezzi di trasferimento). Infine, vi sono disposizioni volte a ripartire la sovranità impositiva e previste al fine di “chiudere il sistema” dei beni relativi all’impresa nel momento in cui l’operatore economico trasferisce la propria sede e perde la residenza nel nostro paese (così si atteggia, come vedremo, da disposizione prevista dall’art. 166 Tuir, in punto di exit tax). Come avremo modo di analizzare nel corso del presente lavoro, un altro tratto distintivo è dato dal fatto che l’armamentario di disposizioni orientato a combattere pratiche abusive ha richiesto un bilanciamento. In questa prospettiva, assieme alle disposizioni di contrasto il legislatore ha introdotto – sia pure in alcuni, limitati casi - un articolato sistema di interpelli, il quale permette al contribuente di intervenire

ex ante per fornire la prova posta a suo carico e per chiedere la disapplicazione delle

discipline “di protezione”(41). Ciò anche nella prospettiva del rispetto dei principi

comunitari che, in linea generale, non sono contrari alle disposizioni le quali intendano contrastare fenomeni elusivi o evasivi, ma richiedono pur sempre il rispetto del principio di proporzionalità. Procediamo dunque con ordine, partendo dalla disamina delle disposizioni che il legislatore ha messo in campo valorizzando le operazioni poste in essere all’interno dei gruppi sviluppati su scala transnazionale.

41 Cfr. G. Zizzo, Delocalizzazione delle attività produttive e fattore fiscale, in Il Fisco 14/2007, p. 1953 ss, il quale evidenzia, nelle proprie conclusioni, come <<buona parte di dette misure (di protezione) sono

disapplicabili, se l’impresa residente fornisce una giustificazione economica (variamente articolata nelle normative interessate) all’aspetto prescelto, recependo un’indicazione chiaramente desumibile dai richiamati interventi delle organizzazioni internazionali: la delocalizzazione, quando è effettiva, quando cioè implica l’effettivo esercizio di attività economiche mediante le strutture estere, permette di accedere alla fiscalità del Paese di insediamento e di goderne i vantaggi, senza interferenze da parte del Paese di origine>>.

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Ciò tenendo a mente che il filo conduttore dell’esame sarà incentrato sul costante dualismo tra esigenze sempre più sentite di superare i confini nazionali da parte degli operatori economici ed esigenze di preservare il gettito manifestate dal legislatore, a maggior ragione laddove la delocalizzazione si dimostri fittizia, rappresentando piuttosto, nella realtà, la delocalizzazione del reddito più che la delocalizzazione dell’attività economica.