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Struttura di un catalizzatore reale

Capitolo 3 Meccanismi di reazione dettagliati

4.2. Struttura di un catalizzatore reale

Un catalizzatore è quindi usualmente un solido poroso, che abbia area superficiale più alta possibile, affinché possieda grande attività per unità di volume e che resista senza decomporsi. Per impieghi in letto fisso, esso è solito in forma di sferette, cilindretti, anelli, di dimensioni comprese tra 1-2 e 10 mm, per non causare eccessive perdite di carico del flusso di reagenti che ne attraversano il letto.

Per impiego in letto fluidizzato, la forma delle particelle è di tipo microsferoidale (20-300 m), perché il solido sia facilmente sospendibile nel flusso di reagenti. In alcuni casi la forma del catalizzatore deve essere adattata a particolari esigenze, come per esempio gli estrusi con nido d‟ape per le marmitte catalitiche.

Supporto del catalizzatore

Il supporto del catalizzatore è una sostanza in parte inerte, avente numerosi scopi, i principali dei quali sono di fornire un mezzo per disperdere finemente una fase attiva e di contribuire al processo catalitico.

La sua scelta è condotta in base ad alcune caratteristiche, le più importanti delle quali sono:

 inerzia termica;

 proprietà meccaniche, come la resistenza all‟attrito, la durezza e la resistenza alla compressione;

 stabilità nelle condizioni di impiego;

 buona resistenza agli shock termici (buon compromesso tra alta resistenza meccanica, alta conducibilità termica, e basso coefficiente di dilatazione termica);

 compatibilità chimico-fisica con il catalizzatore (non deve reagire con il supporto ad alta superficie specifica) e con l‟ambiente di lavoro (compatibilità con Zn, P, V, S, ...);

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 porosità;

 costo.

I materiali in grado di soddisfare a tutte le esigenze del preparatore di catalizzatori sono in pratica solo due o tre e precisamente l‟allumina, la silice e in minor misura, il carbone attivo. Di essi il più usato industrialmente è il primo. Occasionalmente si possono usare altre sostanze, come la magnesia, che tuttavia è piuttosto fragile e tenera, l‟ossido di zinco, che tende a ridursi a metallo, l‟ossido di cromo, che tende a favorire le reazioni di disidratazione, l‟ossido di zirconio, che resiste bene alle alte temperature ma è costoso, e l‟ossido di titanio usato piuttosto raramente.

Una delle proprietà fondamentali di qualsiasi supporto è la sua resistenza alla sinterizzazione nelle condizioni di lavoro. Questa qualità è spesso misurata mediante due valori termici, la temperatura di Tamman, alla quale il reticolo cristallino del materiale comincia a essere sensibilmente mobile e la temperatura di Huttig, alla quale gli atomi superficiali del reticolo divengono sensibilmente mobili.

Promotori del catalizzatore

In senso lato un promotore è qualsiasi sostanza che aggiunta al catalizzatore, gli impartisca una particolare caratteristica, migliorandone l‟attività, la selettività, e la stabilità.

I promotori sono talvolta classificati in stabilizzatori (textural promoters) quando agiscono con un effetto fisico, e strutturali (stuctural promoters) se la loro azione è di tipo chimico. I primi sono sostanze generalmente inerti, che inibiscono o ritardano il fenomeno della sinterizzazione; sono aggiunti sotto forma di particelle finissime, che aiutano a mantenere separate le particelle di catalizzatore, impedendone la coalescenza. Un efficace stabilizzatore non deve reagire per formare nuove fasi solide con il catalizzatore. La sua efficacia è massima se le dimensioni delle sue particelle sono notevolmente più piccole di quelle del catalizzatore e se è ben disperso tra queste ultime.

Tra i più usati sono l‟allumina, la silice, l‟ossido di zirconio, il Cr2O3, MgO, TiO2. I promotori strutturali modificano la composizione chimica del catalizzatore e possono anche alterare la struttura elettronica del catalizzatore, per esempio favorendo l‟aggiunta

o la rimozione di elettroni in un metallo. In altri casi l‟azione può essere semplicemente un avvelenamento di particolari siti, che catalizzino reazioni non desiderate. Per esempio, i sali di potassio aggiunti al catalizzatore di Cr2O3/Al2O3, usato per la deidrociclizzazione di paraffine e olefine, riducono la concentrazione dei siti fortemente acidi, che favorirebbero la formazione di coke per cracking.

L‟azione stabilizzante si riconosce, rispetto a quella di un promotore strutturale, perché l‟energia di attivazione del processo catalitico rimane invariata in seguito all‟aggiunta del primo promotore, mentre cambia notevolmente aggiungendo il secondo. Inoltre le isoterme di adsorbimento di un gas sul solido sono alterate solo dal promotore strutturale.

Veleni del catalizzatore

Il rapido declino dell‟attività è detto avvelenamento e gli agenti che lo provocano sono detti veleni. L‟avvelenamento comporta un rapido decadimento o modifica dell‟attività del catalizzatore e dell‟esistenza dei centri attivi. Si possono avere avvelenamenti temporanei o permanenti, in base alla durata del fenomeno e della possibilità o meno di rigenerazione del catalizzatore.

I veleni temporanei sono classificati in:

 sostanze carboniose: si depositano sul catalizzatore saturandone i centri attivi, rendendo necessaria la rigenerazione, effettuata per combustione. Questi depositi hanno origine da composti insaturi, specie olefine che polimerizzano, ciclizzano e aromatizzano raggiungendo un elevato peso molecolare e un basso contenuto di idrogeno;

 sostanze che contengono azoto basico: ad esempio la piridina, chinulina, ammine hanno la capacita di neutralizzare i centri attivi acidi, e di conseguenza sul catalizzatore, invece di avere le normali reazioni di cracking, avvengono reazioni parassite che portano alla formazione di cooke.

Per quanto riguarda i veleni permanenti, importante è l‟azione dei metalli pesanti (Ni, Fe) presenti nell‟alimentazione, che agiscono come catalizzatori di deidrogenazione, formando composti insaturi con diminuzione di selettività.

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I metalli alcalini e le loro caratteristiche basiche, neutralizzano in modo permanente i centri attivi, provocando un declino dell‟attività. I composti solforati hanno la capacità di avvelenare i catalizzatori naturali, perché si trasformano in solfuri deprimendo l‟attività catalitica nei processi di cracking. Inoltre è da considerare il fenomeno della sinterizzazione: oltre una certa temperatura si può avere una fusione superficiale dei cristalli, con conseguente perdita permanente dell‟attività catalitica.