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LE CARATTERISTICHE DEL LINGUAGGIO UMANO

1.3.1 GLI STUDI AMERICAN

Una prima proposta sullo studio della comunicazione non verbale ci è stata fornita da Darwin che, per questo motivo, è stato considerato il primo studioso del comportamento non verbale. Lo studioso, guardando alcune foto, notò come le espressioni del volto si modificano a seconda delle situazioni e delle emozioni e formulò tre principi, ripresi da Lamedica nel suo libro “Gesto e comunicazione. Verbale, non verbale e gestuale”(1987, pag. 18). L’autore riporta il pensiero di Darwin, secondo il quale, i principi che possono sintetizzare questo pensiero sono:

- Associazione per abitudini utili – i gesti espressivi non sono innati ma sono creati dalle circostanze e solo in seguito vengono assimilati;

- Antitesi – Darwin classifica queste espressioni, limitandole a quelle che, secondo lui, risultano essere quelle principali;

- Azione diretta del sistema nervoso – l’espressività muta in base alla situazione in cui ci troviamo, ed è regolata dal nostro sistema nervoso e dalle nostre emozioni. Attraverso Darwin, abbiamo iniziato a percepire la comunicazione non verbale come elemento in grado di trasmettere significati; ma gli studi in questo campo, specialmente in ambito americano, sono molti.

“Lo studio della comunicazione non verbale si sviluppò soprattutto in ambito antropologico e linguistico ad opera di Ray Birdwhistell e Edward T. Hall.” (Contarello, 1980, pag. 11), che sono poi riconosciuti, rispettivamente, come i fondatori della cinesica e della prossemica. Ma anche molti altri studiosi americani hanno indagato in questa disciplina. Sempre Contarello, infatti scrive che questi due esponenti “sono spesso considerati il punto di partenza da cui ha preso l’avvio un’ampia (negli anni cinquanta e sessanta) e poi eccezionale (dagli anni settanta ad oggi) proliferazione di indagini” (1980, pag. 12).

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Argyle, a questo proposito (in Hinde, 1974, pag. 331-338) scrive che “la Cnv è usata per controllare la situazione sociale immediata, per sostenere la comunicazione verbale e per sostituirla.” (1974, pag. 330). Essa quindi si presenta attraverso queste tre funzioni: - Il controllo della situazione sociale immediata;

- Sostegno della comunicazione verbale;

- Sostituzione della comunicazione verbale

che rendono possibile descrivere la comunicazione non-verbale, poiché ognuna di esse presenta delle caratteristiche che l’individuo assume durante una conversazione e che possono essere classificati come aspetti della Comunicazione non-verbale.

Nella prima funzione, infatti, Argyle elenca alcuni atteggiamenti tipici che assumono le persone durante una conversazione19:

- Atteggiamenti interpersonali: “si tratta di atteggiamenti nei confronti di altre persone presenti: si è trovato che le dimensioni principali al proposito sono inferiore - superiore e approvazione – disapprovazione” (in Hinde, 1974, pag. 331). Quindi, quando due persone entrano in contatto mostrano alcuni atteggiamenti che descrivono la loro personalità o il proprio ruolo. I più comuni sono quelli che manifestano superiorità/inferiorità, oppure approvazione/disapprovazione percepiti attraverso atteggiamenti non-verbali quali postura, espressione del volto, aspetto e sguardo.

- Stati emotivi: “questi possono essere distinti dagli atteggiamenti interpersonali in quanto le emozioni non sono dirette verso altre persone presenti, ma sono semplicemente stati del singolo individuo.” (in Hinde, 1974, pag. 331). Infatti, pur senza volerlo, noi comunichiamo agli altri le nostre emozioni (gioia, ansia, ira, nervosismo,..) e queste sono visibili dai gesti, dalla postura, dallo sguardo. Non è possibile nascondere il nostro stato emotivo agli altri perché questi atteggiamenti non riescono ad essere controllati poiché, appunto, sono involontari e autonomi.

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Tratto da Robert A. Hinde “La comunicazione non verbale”, Laterza, 1972 e ripreso anche in Luciana Diodato, “Il corpo parla. Gli altri linguaggi”, Roma, Armando editore, 1998.

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La seconda funzione, quella di sostegno della comunicazione verbale, avviene per mezzo di segnali non verbali che sembrano essere equivalenti a segnali verbali. “Si trovò che il parlato è accompagnato da movimenti fisici; questi sono connessi col parlato nel senso che una frase può essere accompagnata da posizioni corrispondenti delle mani o del capo” (Argyle, in Hinde, 1974, pag.335).

Questa considerazione viene ripresa anche da Diodato, la quale aggiunge l’importanza che studiosi come Crystal e Lyons attribuiscono ai segnali non verbali, confermando che gesti e discorso sono uniti all’interno della comunicazione. Attraverso questa concezione, anche la Diodato afferma che “in questo senso i segnali non verbali svolgono una funzione di completamento del significato delle espressioni.” (Diodato, 1998, pag. 74).

Ad esempio, nella tab.1 a pag. 334 di Hinde, Argyle mette a confronto segnali verbali e non verbali per dimostrare la loro equivalenza:

SEGNALI VERBALI SEGNALI NON VERBALI

1. Capoverso, unità lunga del discorso.

Posizione posturale

2. Frase Posizione del capo o delle braccia

3. Parole, sintagmi Movimenti delle mani, espressioni

facciali, spostamenti dello sguardo, ecc.

Quando noi parliamo muoviamo braccia e capo, oppure assumiamo una certa posizione in base al discorso che stiamo affrontando. Tutti questi segnali non verbali accompagnano la nostra conversazione.

Descrivendo la tabella proposta, Argyle sostiene che “questi movimenti sono dotati di una struttura gerarchica, nella quale i più piccoli segnali verbali e fisici sono organizzati in raggruppamenti, più estesi e coordinati, di entrambi.” (Argyle, in Hinde, 1974, pag. 335).

La terza funzione rappresenta la fase di sostituzione della comunicazione non-verbale, poiché come afferma anche Argyle “per una ragione o per l’altra, la comunicazione

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verbale può non aver luogo, o non riuscire a funzionare; in questi casi il sopravvento può essere assunto dalla Cnv.” (Argyle, in Hinde, 1974, pag.337).

Quindi, la comunicazione non verbale avviene per mezzo di :

- Linguaggi a segni: tra i più conosciuti il linguaggio dei sordomuti, il più conosciuto. Esso si differenzia in base alla provenienza dei parlanti. Argyle afferma che “Il linguaggio usato dai sordomuti inglesi si basa sulle lettere dell’alfabeto; quello dei sordomuti americani, imparato dagli scimpanzé Washoe, si basa invece sulle parole” (Argyle, in Hinde, 1974, pag. 337). Altri gesti sono elaborati all’interno di alcune tribù o durante trasmissioni radiotelevisive. Citando le parole di Argyle altri gesti corrispondono a “Dei linguaggi a segni di tipo più semplice sono stati elaborati in una quantità di altri ambienti in cui è impossibile parlare: ad esempio nel corso di trasmissioni radiotelevisive, nelle corse in officine rumorose, e tra nuotatori sub acquei.”(in Hinde, 1974, pag. 337);

- Sintomi nevrotici: riscontrati in alcuni malati di mente, in cui il linguaggio gestuale viene usato quando il linguaggio parlato viene a mancare. Secondo alcuni studiosi dell’argomento, quindi, questi sintomi nevrotici possono tradursi in segnali con un messaggio ben chiaro. “Così, sintomi psicosomatici possono essere segnali di richiesta di attenzione, di amore e di simpatia, oppure possono essere diretti e controllare il comportamento degli altri.” (Argyle, in Hinde, 1974, pag. 338).

Possiamo affermare, quindi, che la comunicazione non-verbale è una vera e propria interazione con l’altro, una comunicazione vera e propria ma priva di parole; essa può variare in base alle situazioni, è propria di ogni cultura, quindi si differenzia da paese a paese (ma questo aspetto sarà approfondito nel capitolo 2).

Analizzando le situazioni in cui la comunicazione non verbale varia, troviamo l’interazione nel contesto del gruppo.

Partendo dal presupposto fornitoci da Hobbes, per cui “l’uomo è un animale sociale” e quindi è sempre in contatto con persone e gruppi di persone, possiamo presentare i contesti in cui la nostra comunicazione può subire delle modifiche rispetto a chi abbiamo di fronte.

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Ad esempio in famiglia il nostro comportamento e le nostre relazioni sono particolari, in quanto il nucleo familiare rappresenta la nostra sfera privata e personale; i membri si conoscono tra di loro in modo molto profondo, il modo di porci è informale e ci sono maggiori contatti fisici.

Nel gruppo di amici, le persone si trovano assieme per condividere gli stessi interessi e anche in questo caso l’atmosfera non include nessun tipo di formalità.

Diverso è il contesto del gruppo di lavoro in cui i metodi di comunicazione non verbale favoriscono o meno l’andamento del lavoro. All’interno di questa circostanza gli atteggiamenti non verbali che vengono considerati sono: il metodo di lavoro, scandito dal ritmo; la coordinazione; il linguaggio gestuale (in ambienti rumorosi o di difficile comunicazione); l’aiuto; le osservazioni non verbali (espressioni della faccia, movimenti del corpo) che cercano di essere d’aiuto nel dare un consiglio o un’approvazione.

Un individuo adotterà pertanto dei metodi di comunicazione non-verbale che saranno diversi in base all’età, alla circostanza in cui si trova, al rapporto che ha con i soggetti presenti e in base alla propria personalità e a quella degli altri.

Sempre nello scenario americano troviamo altri studiosi che, ispirandosi alle idee di ricerca portate avanti da Darwin, hanno continuato ad indagare su questo tema.

Tra questi troviamo Wundt, nella prima metà del 1900, il quale si interroga “sul rapporto tra gesto e linguaggio” (Lamedica, 1987, pag. 19).

Lo stesso Wundt, nella sua opera “The Language of Gestures” (“Il linguaggio dei gesti”), definisce la comunicazione gestuale come “an expression of thought trough visible but not audible movements” (Wundt, 1973, pag.55)20, e ancora definisce i gesti come “movimenti di espressione che hanno certe speciali qualità necessarie allo scopo di comunicare e di comprendere” (Lamedica, 1987, pag.20).

Rifacendosi dunque al pensiero espresso da Darwin, Wundt afferma che i movimenti gestuali sono “istintivi e secondari alle emozioni principali” (Lamedica, 1987, pag.23). Per questo motivo, essendo forme naturali, essi accompagnano la nostra conversazione, facendo trapelare anche le nostre emozioni e i nostri stati d’animo, in modo involontario e inconsapevole.

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Nello scenario moderno, sempre in ambiente statunitense, troviamo altri studiosi che si sono posti il problema di definire il comportamento comunicativo non-verbale, anche in base alle sue componenti sociali e culturali.

Tra questi troviamo due importanti figure che hanno ideato i termini delle componenti della dimensione non-verbale, come l’antropologo Ray Luis Birdwisthell, colui che ha coniato il termine “cinesica”, con cui si intende la produzione e la comprensione delle espressioni e dei gesti del corpo; un altro importante esponente è l’antropologo Edward T. Hall, che ha coniato il termine “prossemica”, con cui si descrive la distanza personale tra un interlocutore e l’altro.

Da questo momento in poi lo studio del comportamento non verbale connesso ai movimenti del corpo, agli stati emotivi, è stato condotto in modo interdisciplinare, accomunando anche diverse scienze quali la psicologia, la sociologia e la linguistica. I risultati hanno portato gli studiosi a poter affermare che il comportamento umano è in grado di lanciare una serie di segnali non-verbali quando comunichiamo tra noi, Birdwisthell (1970, pag. 95) ha infatti scritto che “communication can be regarded in the broadest sense as a structural system of significant symbols (from all the sensorily based modalities) which permit ordered human interaction”.21

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