1. BACKGROUND TEORICO
1.4 ACT E DOLORE CRONICO: REVISIONE DELLA LETTERATURA EMPIRICA
1.4.1 Studi cross-sectional
Gli studi cross-sectional sull’argomento sono numerosi e tentano di indagare la relazione tra i fattori del CPAQ, l’Activity Engagement e il Pain Willingness, e diverse misure di outcome psicosociale, in particolare, disabilità, ansia colelgata al dolore, depressione, consumo di farmaci e, in generale, interferenza del dolore nella vita quotidiana.
Il primo studio pubblicato sull’accettazione del dolore ha incluso 160 pazienti in cura per dolore cronico (McCracken, 1998). I risultati hanno mostrato che una maggiore accettazione del dolore era associata con minori livelli di dolore riportato, ansia collegata al dolore, minori livelli di depressione e disabilità, e un miglior stato lavorativo. Inoltre gli autori hanno riportato che
le relazioni significative tra accettazione e misure di funzionamento erano indipendenti dall’intensità del dolore.
Successivamente, McCracken e colleghi (1999) hanno condotto uno studio su 190 pazienti con dolore cronico nel quale mostravano che l’accettazione del dolore discriminava i pazienti con un buon funzionamento relativo al dolore da quelli disfunzionali, anche quando veniva controllato l’effetto dell’intensità del dolore, la depressione e l’ansia dovuta al dolore. Questi risultati suggeriscono che la capacità di accettare influisce maggiormente sul funzionamento del paziente rispetto ad altre variabili, come l’intensità del dolore e il benessere psicologico.
Viane e colleghi (2003) hanno condotto due studi con pazienti affetti da dolore cronico (N=120) e da fibromialgia (N=66) dimostrando che l’accettazione del dolore, intesa come modalità soggettiva di affrontare il dolore e misurata con il CPAQ (Geiser, 1992; versione danese Crombez et al., 1999), correla con il benessere mentale indipendentemente dalla sua gravità e dai pensieri catastrofici inerenti esso. Inoltre, anche se l’accettazione non correlava con il benessere fisico, lo era fortemente con il buon funzionamento nelle normali attività quotidiane.
McCracken ed Eccleston (2006), in uno studio condotto su 230 pazienti affetti da dolore cronico, hanno dimostrato che pazienti con buoni livelli di accettazione del dolore, misurati attraverso il CPAQ (Geiser et al., 1992), dimostrano livelli significativamente minori di dolore, disabilità, depressione, ansia dovuta al dolore e una migliore condizione lavorativa, dei pazienti con bassi livelli di accettazione. Le correlazioni fra accettazione e outcome psicosociali, inoltre, erano più elevate rispetto alle correlazioni che queste variabili avevano con le misure di coping, misurate con il Coping Strategies
Questionnaire Revised (CSQ-R, Riley & Robinson, 1997). Questo studio ha replicato e confermato i risultati di un precedente studio degli stessi autori nel quale erano state confrontate le strategie di coping e le strategie di accettazione misurate, però, con le versioni non riviste del CSQ e del CPAQ (McCracken & Eccleston, 2003).
Un ulteriore studio di McCracken (2007) ha confutato un’idea ampiamente diffusa alla base della teoria e della pratica cognitivo- comportamentale sul dolore. Secondo tale approccio, infatti, attenzione e vigilanza sarebbero i meccanismi responsabili degli effetti negativi e dei comportamenti disadattivi nella gestione del dolore. Nello studio in oggetto, che ha coinvolto 227 pazienti in cura per dolore cronico, è stato, invece, dimostrato che l’accettazione, o il suo opposto l’evitamento, ha correlazioni molto maggiori dell’attenzione con il funzionamento cognitivo, emotivo, sociale e fisico. Questi risultati suggeriscono che nel trattamento del dolore cronico, gli interventi focalizzati sull’accettazione potrebbero essere più efficaci rispetto agli interventi focalizzati sul controllo, sull’attenzione e sulla vigilanza dei sintomi.
In uno studio di Vowles e colleghi (2008b), condotto su 105 pazienti con dolore cronico, è stato dimostrato che l’accettazione è un mediatore degli effetti che i pensieri catastrofici hanno sulla depressione, l’ansia e sul funzionamento fisico e psicosociale. Gli autori riferiscono che le correlazioni tra il funzionamento quotidiano e il catastrofismo si abbassano notevolmente quando viene controllata la variabile accettazione del dolore, suggerendo che gli effetti negativi che i pensieri catastrofici hanno sul funzionamento fisico e psicosociale sono, in realtà, determinati dalla tendenza ad evitare il dolore.
Mason e colleghi (2008) hanno indagato gli effetti dell’accettazione sulla Qualità di Vita. In uno studio condotto su 86 pazienti con dolore cronico alla
schiena, hanno dimostrato che l’accettazione e l’impegno, misurate attraverso il CPAQ, sono associate con la qualità di vita, che aumenta all’aumentare dell’accettazione.
In un recente studio di McCracken e Keogh (2009) gli autori hanno indagato il ruolo che la sensitivà all’ansia, o “paura dell’ansia” (Peterson & Reiss, 1987), ha nella gestione del dolore cronico da parte dei pazienti. I risultati dello studio, condotto su 125 pazienti in cura per dolore cronico, hanno mostrato che alti livelli di sensitività all’ansia si associano a maggiore dolore, disabilità e distress. Gli autori hanno anche misurato i livelli di accettazione, mindfulness e di azioni basate sui valori dei pazienti individuando correlazioni negative tra queste misure e i livelli di sensitività all’ansia. Inoltre, attraverso analisi di regressione, hanno individuato che, anche se la sensitività all’ansia amplifica gli effetti del distress emotivo sul funzionamento dei pazienti, i processi di accettazione, mindfulness e dei valori, sui quali è basata la ACT, possono ridurre questo effetto.
Gli studi cross-sectional rappresentano, per loro natura, un interessante punto di partenza per studiare argomenti ed individuare correlazioni tra diverse variabili. Gli studi sopra descritti, infatti, hanno permesso di individuare che l’accettazione o l’evitamento del dolore sono variabili che devono essere inevitabilmente prese in considerazione nei trattamenti per il dolore cronico perché i loro livelli sono correlati con i livelli di funzionamento fisico e psicosociale, la qualità di vita e, in generale, la capacità di gestire la propria vita in una condizione di dolore cronico. Purtroppo, però, gli studi cross-sectional hanno evidenti limiti in quanto, pur essendo utiliti nell’individuare associazioni fra variabili diverse, non sono in grado di dimostrare se le variabili studiate (in
questo caso l’Activity Engagement e il Pain Willingness) siano causa oppure conseguenza delle variabili di outcome in oggetto.