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Il principale termine di confronto tecnologico per l’industria litica dell’US 13a alfa è rappresentato dal recente studio condotto da C. Montoya (2004, 2008, Montoya in Bertola et alii, 2007) sugli insiemi litici dell’Epigravettiano recente dell’Italia nord-orientale. In particolare, l’autore individua 2 fasi distinte nella serie epigravettiana di Riparo Tagliente, grosso modo coincidenti con quelle già precedentemente evidenziate a livello tipologico (Guerreschi in Bartolomei et alii, 1982; Guerreschi in Bartolomei et alii, 1984), ma in questa sede verrà presa in considerazione la sola I fase rappresentata dai livelli più antichi ( Dryas Antico, tagli 17-12).

Sovrapponendo gli schemi di produzione individuati da Montoya nella I fase con quelli dell’US 13a alfa si riscontrano diversi caratteri comuni, mentre altri sembrano andare in direzioni sensibilmente differenti. In particolare, lievi differenze sorgono già a livello di individuazione dei progetti. Nello studio di Montoya sono stati riconosciuti infatti tre progetti (lame, lamelle e schegge laminari), ma questi non sembrano trovare una corrispondenza assoluta con quelli individuati in questo lavoro. In particolare si rilevano due aspetti principali. Per quanto riguarda le lamelle, egli individua due gamme di prodotti (lamelle e grandi lamelle) che tuttavia non sembrano coincidere totalmente con le due gamme (lamelle e microlamelle) riconosciute in questo lavoro. Nel caso di Montoya la differenza sembra infatti essere maggiormente basata sulle larghezze e sulla diversa esilità dei prodotti, mentre nel presente lavoro le differenze individuate sono maggiormente legate a moduli di lunghezza e sono state considerate secondarie le differenze, pur osservate, relative alla diversa esilità. Pur avendo evidenziato che le gamme diverse sono in stretta relazione con i diversi metodi adottati, tale aspetto è stato ritenuto secondario in quanto non sembra effettivamente essere strettamente correlato ad un diverso impiego delle diverse categorie di prodotti, in quanto considerato maggiormente indice di una variabilità interna alla produzione. La diversa lunghezza dei prodotti e la loro relativa maggiore o minore robustezza complessiva sembrano invece ri sultare gli aspetti più significativi nel processo di selezione dei supporti per la trasformazione. Per quanto concerne la presenza di un progetto per schegge laminari questo è forse presente, ma scarsamente evidente e, ancora una volta, sembra essere parte della variabilità interna della produzione di ciascuna gamma dimensionale (in particolare lame e lamelle). Infine, esiste una corrispondenza nell’individuazione di una catena operativa laminare, anche se le misure adottate rispettivamente non sono corrispondenti; in particolare si osserva come il limite >100mm scelto da Montoya per l’individuazione delle lame sia rappresentato da

165 un numero assolutamente irrisorio di elementi in questo insieme, sia osservando i supporti grezzi e trasformati, sia i negativi sui nuclei. Di conseguenza, nel presente lavoro come limite per le lame è stata individuata una lunghezza > 60 mm.

Passando all’analisi delle catene operative Montoya parla di quattro schemi separati rispettivamente per le lame e le schegge laminari, a cui se ne aggiungono due per le lamelle. Se si può in buona parte concordare con questo schema (per quanto lo schema per la produzione di schegge laminari non sia sempre nettamente distinguibile) dal presente lavoro emerge, tuttavia, che le catene operative individuate non appaiono sempre nettamente distinte l’una dall’altra. A queste si associano, infatti, “schemi misti” (seppure non frequenti) che attestano il passaggio da modalità laminari a lamellari e da lamellari a microlamellari. Inoltre, si rileva come spesso sottoprodotti delle catene operative, finalizzate all’ottenimento dei moduli dimensionali maggiori, siano reimpiegati come nuclei-supporti per la realizzazione dei progetti lamellari e microlamellari, evidenziando un processo di integrazione tra i vari schemi adottati. Relativamente all’US 13a alfa, inoltre, grazie all’analisi integrale del materiale si sono potute fare maggiori precisazioni dal punto di vista dell’importanza che ciascuna delle catene operative individuate riveste nella produzione, evidenziando come la produzione lamellare sia dominante, rispetto a quelle laminari, microlamellari e a quella a schegge laminari, in relazione soprattutto all’importanza che sembra assumere il processo di confezione delle armature (lame e punte a dorso, in particolare) (cfr. supra).

Analizzando i metodi di débitage adottati per ciascuna catena operativa si riconoscono ulteriori lievi differenze. In particolare, per quanto riguarda la produzione dei grandi supporti (lame) vi è coerenza con quanto già riconosciuto dall’Autore: alla produzione di lame, piuttosto lunghe a bordi e nervature regolari e profilo lievemente concavo, generalmente ottenute sfruttando le superfici strette dei blocchi, si associa, a partire dal livello 13, una produzione di supporti più larghi e robusti, meno regolari, estratti da nuclei a superficie più larga e poco “centrata”, pur con la presenza di modalità di produzione che passano al

semitorunant, per quanto scarsamente attestati. Anche la produzione di lamelle e

microlamelle appare ottenuta, per entrambe le categorie dimensionali, con modalità diverse, sia frontale larga (lamelle di dimensioni variabili da slanciate a larghe), sia frontale stretta o semitournant su spigolo (lamelle più strette e slanciate), con un possibile passaggio, per entrambi questi schemi, verso modalità semitournant. Nell’ambito della produzione lamellare, Montoya, tuttavia, sottolinea la divergenza tra le due modalità produttive, l’una finalizzata alla produzione di piccole lamelle fini e strette a profilo rettilineo con nervature e bordi paralleli (sfruttamento di superfici molto strette derivate da spessori di schegge o blocchetti stretti) l’altra di schegge laminari o lame corte sfruttando le superfici larghe dei blocchi. Come si è già detto precedentemente, nel presente lavoro tale aspetto è stato considerato secondario e indice di una produzione legata all’estrazione, per ciascuna gamma dimensionale, di moduli altamente

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variabili. Vi è dunque, una lieve differenza nell’interpretazione dell a produzione lamellare nei due lavori, ma non una sostanziale divergenza.

Infine, per quanto riguarda le modalità di selezione dei supporti non è stata individuata, contrariamente a quanto evidenziato da Montoya, una correlazione esclusiva tra produzione di piccole lamelle fini e strette e confezione di punte a dorso rettilineo (microgravette) e tra grandi lamelle e confezione di lamelle a dorso. Entrambe queste classi di strumenti a ritocco erto appaiono, invece, ottenute da moduli appartenenti a tutte e tre le gamme dimensionali (lame, lamelle, microlamelle) e risultare in una produzione di elementi con tre moduli dimensionali ben distinti, che sembrano corrispondere a possibili ruoli funzionali differenti. Sembra esserci invece una maggiore correlazione tra lamelle fini e produzione di lamelle a dorso e troncatura. Si conferma, inoltre, il ruolo importante delle lame per la confezione dei grattatoi (ma anche di prodotti di dimensioni inferiori rientranti nel range delle lamelle), che appaiono però in buona parte ottenuti anche da sottoprodotti, presumibilmente in relazione alla ricerca di spessori più consistenti. Questo ultimo aspetto appare in particolare evidente se si osservano i dati tipometrici di questo gruppo di strumenti. Si aggiunge che i prodotti laminari, accanto a quelli lamellari, così come i relativi sottoprodotti, assumono un ruolo piuttosto significativo anche per la realizzazione delle lame-raschiatoio e punte, mentre i bulini risultano essenzialmente ricavati da sottoprodotti derivati soprattutto dalla catena operativa laminare (vedi paragrafo 4, fig.1).

Un ulteriore aspetto che lo studio tecnologico ha potuto confermare e precisare riguarda il carattere “scarsamente curato” del débitage epigravettiano (Fontana

et alii in Bertola et alii, 2007; Fontana et alii, 2009, in stampa). Ciò è attestato,

in particolare, dall’elevata frequenza delle operazioni di gestione, presumibilmente dipendenti da modalità di inizializzazione dei blocchi piuttosto sommarie, che fanno ricorso alla preparazione di creste, di tipo esclusivamente frontale, solo in un ridotto numero di casi, mentre nella maggior parte degli altri, ricorrono ad aperture dirette che approfittano di convessità e spigoli naturali. Totalmente assenti sono le operazioni di vera e propria messa in forma dei fianchi e della volumetria globale dei supporti selezionati per la scheggiatura. Allo stesso modo, tale débitage procede prevalentemente con modalità unidirezionale per essere riorientato sulla stessa superficie solo in un numero ridotto di casi, prevalentemente in modo bidirezionale, attraverso l’alternar si nell’utilizzo dei rispettivi piani (esclusivamente nei casi dei moduli lamellari e microlamellari), mentre in ulteriori casi (anche questi non frequenti) si ricorre all’apertura di nuove superfici. In particolare nella produzione di lame e lamelle si segnalano casi di superfici adiacenti che spesso facilitano lo sviluppo di modalità di sfruttamento semitournant e casi, più sporadici, di riorientamenti totali dei nuclei (con apertura di nuove superfici, raramente ortogonali). Questi ultimi anticipano modalità di sfruttamento via via più “pragmatiche” dei nuclei che tenderanno a prevalere nei momenti successivi dell’Epigravettiano recente. Tutti questi aspetti sembrano racchiudere i tratti distintivi da un punto di vista

167 culturale del débitage epigravettiano, in un momento iniziale della sua fase recente nell’Italia nord-orientale.