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Spesso si è portati a paragonare le indagini di polizia alla ricerca archeologica: entrambe le di-scipline infatti fanno della logica induttiva il principale metodo di lavoro, basano le loro azioni sul-la raccolta di elementi particosul-lari ‒ gli indizi ‒ per giungere, da lì, alsul-la ricostruzione di un fenome-no più generale, sia esso un crimine o un evento storico.

Nel caso delle ricerche sulle catacombe ebraiche di Venosa, il gabinetto Interregionale di Poli-zia Scientifica per la Puglia e la Basilicata, allora da me diretto, rispose ad una richiesta di collabo-razione pervenuta dalla Soprintendenza Archeologica della Basilicata.1 Ci venne chiesto di prestare supporto in due campi differenti: da un lato, tentare di esplorare parti di catacombe non accessibili con l’ausilio di microcamere ad infrarossi ad alta risoluzione; dall’altro, di analizzare alcuni calchi ricavati dalle impronte lasciate dagli antichi strumenti di scavo sulle pareti delle catacombe.

Per l’esplorazione con videocamere, da inserire all’interno di carotaggi per opere geotecniche praticati sulla sommità della collina, mettemmo a disposizione le microcamere a infrarossi che a-vevamo in dotazione. Si trattava per l’epoca (primavera del 2003) di apparecchiature all’avanguar-dia, sia per la potenza delle ottiche e la capacità di riprendere in assenza di luce, sia per il livello di micronizzazione che consentiva l’inserimento della strumentazione anche in spazi molto piccoli.

Il carotaggio attraverso il quale immettemmo la camera era stato segnalato poiché la sonda aveva inaspettatamente trovato il vuoto ad una profondità di circa 12 metri dalla sommità della collina della Maddalena. La camera venne montata su un supporto tubolare metallico, costituito da sezioni lunghe un metro e munite di giunti; questo consentiva l’agevole costruzione di un’asta di lunghezza adeguata da inserire progressivamente all’interno del carotaggio (fig. 1).

L’esplorazione ha rivelato la presenza di ipogei analoghi a quelli già scoperti, il cui accesso non è ancora stato individuato (figg. 2-3). Si trovano più in alto delle catacombe ebraiche ed evidente-mente sono planimetricaevidente-mente sovrapposti ad esse. La possibilità di documentare gli ambienti rag-giunti dal carotaggio è ovviamente ridotta ad un solo punto di osservazione, dal quale la camera può per altro ruotare di 360°. Come detto, gli ambienti rinvenuti si caratterizzano per la presenza di tegole frammentate, loculi e spazi di sepoltura. Evidente pare anche lo stato di dissesto statico.

Interessante è inoltre la presenza di tracce di iscrizioni, forse dipinte, sulla malta (fig. 4).

Per quanto riguarda l’esame dei calchi tratti dalle impronte lasciate nella roccia dagli strumen-ti di scavo anstrumen-tichi, ci era stato chiesto di trovare, ove possibile, segni caratterisstrumen-tici che consenstrumen-tisse- consentisse-ro di individuare non solo il tipo di strumenti utilizzati, ma anche le tracce di singoli strumenti di-versi, nell’ambito dello stesso tipo.

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1 Un ringraziamento particolare va all’allora Soprintendente dott.ssa Nava, che ci offrì l’occasione per la collaborazione a ricerche di così grande interesse, specie dopo l’esperienza proficua del 1996, quando avevamo partecipato, insieme ai tecnici della Direzione generale Polizia Criminale ‒ Servizio di Polizia Scientifica e all’Università del Salento, alle ricer-che sulle impronte digitali di vasai a figure rosse condotte da V. Cracolici a Metaponto, i cui risultati sono confluiti nella sua monografia sul quartiere dei vasai di quella colonia greca. Le ricerche Venosine sono state condotte con la collaborazione degli ispettori A. Di Pinto, A. Tavarilli, M. Iacovelli e D. Antonacci, che ringrazio per l’impegno profuso in questa indagine per noi così inusuale.

54 Giuseppe Di Pace I calchi fornitici dalla Soprintendenza, eseguiti dal restauratore M. Savarese, sono in totale 41, prelevati in diversi punti della catacomba ebraica (fig. 5). Essi sono stati tutti fotografati con i rife-rimenti metrici, così da consentire la visualizzazione di eventuali elementi caratteristici (fig. 6).

Non tutti i calchi, come spesso avviene in questo tipo di ricerche, hanno portato alla individu-azione di elementi utili ad identificare singoli strumenti. Tuttavia, possiamo affermare che gli at-trezzi utilizzati nelle catacombe, per quanto desumibile dai calchi esaminati, erano essenzialmente di due tipi: l’ascia da cavatore o zappetta, munita di una lama larga cm 8-10 ca., e una sorta di mar-tellina o malepeggio, con la lama ampia cm 3-4 ca.

Le caratteristiche particolari della roccia in cui sono ricavate le catacombe, che presenta spes-so una certa plasticità, hanno permesspes-so d’individuare, con un buon margine di accuratezza, le ca-ratteristiche dei singoli strumenti che hanno impresso nella parete rocciosa nel portare il colpo. È stata presa sempre in considerazione, per ovvi motivi, solo la parte corrispondente all’impronta del filo della lama di ciascuno strumento, come conservata nella roccia e restituita dal calco.

Possiamo quindi proporre la presenza, all’interno del nostro “cantiere delle catacombe” ipote-ticamente ricostruito, di un numero minimo di strumenti così composto:

‒ 2 asce da cavatore (calchi nn. 3/13 e nn. 25/27);

‒ 4 martelline (calchi nn. 1/4/29, nn. 6/12, nn. 7/26 e nn. 10/30).

La loro distribuzione è sinteticamente riportata alla fig. 7.

L’interpretazione dei dati qui presentati esula chiaramente dal nostro ruolo e passiamo volen-tieri la parola agli archeologi, felici di aver preso parte a questa esperienza di ricerca.

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Fig. 1. Operatori della Polizia e della Soprintendenza calano la telecamera a infrarossi dalla sommità della collina.

Fig. 2. Immagine a infrarossi di un cunicolo catacombale con vistosi segni di crollo.

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Fig. 3. Immagine a infrarossi di tomba su parete verticale con copertura crollata.

Fig. 4. Immagine a infrarossi di copertura con traccia di iscrizione (parte di una “M”).

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Fig. 5. Posizione dei calchi da tracce di strumenti da scavo nelle catacombe ebraiche.

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Fig. 6. Identificazione di segni caratteristici in un calco che mostra una sequenza di tracce dello stesso strumento.

Fig. 7. Mappa distributiva delle tracce lasciate da medesimi strumenti in luoghi diversi.