• Non ci sono risultati.

Susanne
Loret
in
Seddok,
l’erede
di
Satana


 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Volti


Capitolo
III


Perturbante,
abiezione,
horror
 3.1
Il
perturbante
ne
Il
mulino
delle
donne
di
pietra


Succede
 spesso
 che
 individui
 nevrotici
 dichiarino
 che
 l’apparato
 genitale
 femminile
 rappresenta
per
loro
un
che
di
perturbante.
 Sigmund
Freud,
Perturbante
 Il
corpo
non
è
una
cosa,
è
una
situazione
:
è
la
nostra
 comprensione
del
mondo,
la
bozza
del
nostro
progetto
 Simone
de
Beauvoir


Nel
 suo
 saggio
 sul
 Perturbante,138Freud
 si
 interroga
 sull’indefinito
 sentimento
 della
 paura.
 L’unheimlich
 è
 un’angoscia
 generica
 provata
 quando
 una
 cosa
 o
 una
 persona
 o
 una
 situazione
 è
 avvertita
 come
 







138S.
Freud,
op.
cit.
La
scelta
di
parlare
del
saggio
di
Freud
è
da
attribuire
alle
importanti
 analogie
 tra
 gli
 esempi
 riportati
 nel
 saggio
 e
 molti
 nostri
 film,
 oltre
 a
 quella
 di
 tenere
 presente
che
i
territori
di
cui
parliamo
riguardano
l’
“unheimlich”.
Eviteremo
in
questa
 sede
di
discutere
sull’etimologia
della
parola
tedesca
unheimlich
tradotto
con
l’italiano


Perturbante,
 sebbene
 questa
 parola
 non
 convinca
 molti.
 Rimandiamo
 per
 un


approfondimento
 al
 testo
 di
 Freud
 menzionato,
 in
 particolare
 da
 p.82
 a
 p.
 87.
 Per
 un
 confronto
 sull’etimologia
 e
 sulle
 categorie
 estetiche
 di
 orrore,
 étrange,
 merveilleux
 e


occulto,
 si
 rimanda
 invece
 a
 S.
 Prawer,
 op.
 cit.,
 da
 p.135
 a
 p.138.
 Secondo
 Prawer,
 il


termine
tedesco
unheimlich,
ha
un’ambivalenza
semantica:
“a)
il
«non
familiare»,
quello


che
ci
fa
sentire
a
disagio
nel
mondo
dell’esperienza
normale,
non
propriamente
sicuri
 di
 poterci
 contare,
 ciò
 che
 è
 misterioso,
 sconosciuto,
 strano
 o
 insolito
 in
 modo
 inquietante.
In
questo
senso
unheimlich
è
stato
spesso
usato,
come
equivalente
di
una
 parola
 che
 sembrerebbe
 designare
 il
 suo
 opposto,
 la
 parola
 heimlich,
 che
 significa
 «segreto»
 o
 «nascosto».
 E
 da
 qui,
 da
 questa
 dialettica
 fra
 heimlich
 e
 unheimlich,
 arriviamo
a
un
secondo
significato
[…];

b)
il
«non
segreto»,
quello
che
sarebbe
dovuto
 rimanere
nascosto
ma
in
qualche
modo
non
vi
è
riuscito”.
S.
Prawer,
op.
cit.,
p.
138.



familiare
 ed
 estranea
 allo
 stesso
 tempo.
 Egli
 cita
 il
 lavoro
 di
 Jentsch,139e
 introduce
alcuni
esempi
che
possono
ritenersi
appartenere
alla
categoria
 del
perturbante,
come
“il
dubbio
che
un
essere
apparentemente
animato
 sia
vivo
davvero
e,
viceversa,
il
dubbio
che
un
oggetto
privo
di
vita
non
sia
 per
caso
animato”.140Jentsch,
dice
ancora
Freud,

 


si
 è
 richiamato
 all’impressione
 provocata
 da
 figure
 di
 cera,
 da
 pupazzi
e
da
automi.
Egli
annovera
in
questa
categoria
il
senso
perturbante
 destato
dagli
attacchi
epilettici
e
dalle
manifestazioni
di
pazzia,
in
quanto
 fenomeni
 che
 suscitano
 nello
 spettatore
 il
 sospetto
 che
 processi
 automatici,
 meccanici,
 possano
 celarsi
 dietro
 l’immagine
 consueta
 degli
 esseri
viventi.141

Freud
 si
 ricollega
 a
 quanto
 dice
 lo
 studioso,
 proponendo
 una
 riflessione
sull’opera
di
E.T.A.
Hoffmann,
Il
mago
sabbiolino,142nella
quale,
 la
figura
della
bambola
Olimpia,
“misteriosamente
laconica
e
immobile”143 fa
 innamorare
 ardentemente
 il
 giovane
 Nathaniel.
 Olimpia
 è
 un
 automa,
 un
essere
non
vivente,
animata
dal
grande
scienziato
Lazzaro
Spallanzani,
 maestro
 di
 scienza,
 inventore
 e
 costruttore
 della
 bambola.
 A
 reclamarne
 l’opera
però,
arriva
anche
il
venditore
di
occhiali
Coppelius/Coppola,
che
il
 giovane
 ha
 sempre
 collegato
 alla
 favola
 del
 mago
 sabbiolino.
 Nella
 leggenda
il
mago
cava
gli
occhi
ai
bambini
che
si
rifiutano
di
dormire
per
 darli
 in
 pasto
 ai
 suoi
 figli
 dotati
 di
 becchi
 ricurvi.
 Non
 è
 un
 caso
 che
 Coppola
 abbia
 anche
 fabbricato
 gli
 occhi
 di
 Olimpia
 e
 venduto
 il
 cannocchiale
 che
 consentirà
 a
 Nathaniel
 di
 spiare
 e
 innamorarsi
 della
 bambola,
 ma
 anche,
 di
 precipitare
 nel
 vuoto
 e
 morire
 in
 un
 secondo
 momento.
 Nonostante
 Olimpia
 ponga
 il
 dubbio
 sull’essere
 animato/non
 







139
Freud
 si
 riferisce
 al
 testo
 E.
 Jentsch,
 Zur
 Psychologie
 des
 Unheimlichen,
Psychiat‐

neurol.
Wschr.,
vol.
8,
1906,
p.195.


140E.
Jentsch,
citato
da
Freud,
op.
cit.,
p.
88.
 141
S.
Freud,
op.
cit.,
p.
88.

142Der
Sandmann
(1816).
 143
S.
Freud,
op.
cit.,
p.
90.

animato,
 l’attenzione
 di
 Freud
 è
 concentrata
 sul
 mago
 sabbiolino/Coppelius,
 che
 rappresenta
 la
 minaccia
 della
 mutilazione
 del
 bambino,
 mutilazione
 che
 si
 riflette
 sulla
 paura
 della
 castrazione.
 Coppelius
e
lo
scienziato
Spallanzani,
così
come
il
dottor
Bolem
e
Wahl
ne
 Il
mulino
delle
donne
di
pietra,
riassumono
l’elemento
semantico
del
mad‐
 scientist:
una
figura
che
si
avventura
“tra
i
segreti
della
vita
e
della
morte
 incurante
 dei
 limiti
 imposti
 all’uomo,
 perché
 vòlta,
 seppure
 trascurando
 ogni
possibile
deontologia
professionale,
al
benessere
dell’umanità
e
alla
 sua
 vittoria
 sulla
 morte”.144Bolem
 e
 Whal
 nascondono
 un
 segreto
 sulla
 malattia
di
Helfi:
la
ragazza
muore
in
preda
a
forti
emozioni
ed
è
rianimata
 dal
sangue
di
giovani
donne.
Sarà
ciò
a
generare
in
Hans
dubbi
sulla
di
lei
 morte
 o
 vita,
 proprio
 come
 Nathaniel
 
 finirà
 per
 impazzire
 vedendo
 Olimpia
con
le
cavità
orbitali
vuote,
prova
della
sua
condizione
di
automa
 alla
 quale
 il
 giovane
 non
 aveva
 voluto
 credere
 prima.
 L’apparenza,
 il
 “sembrare
ma
non
essere”,
è
una
modalità
perturbante
per
lo
spettatore.
 Sin
da
I
vampiri
la
vecchia
Marguerite
Du
Grand
finge
di
essere
la
bella
e
 giovane
 Gisèle
 così
 come
 Asa
 prende
 il
 posto
 di
 Katia
 in
 modo
 da
 “sembrare”
ma
“non
essere”,
la
propria
discendente.
Ma
uno
degli
esempi
 più
vicini
a
Olimpia
della
storia
di
Hoffmann
resta
Helfi
de
Il
mulino
delle
 donne
di
pietra.
Nella
prima
apparizione
di
Helfi,
il
suo
volto
è
preceduto
 dalle
mani
che
aprono
una
fessura
tra
i
drappi
della
tenda
che
la
nasconde.
 Il
volto
bianco
sembra
comparire
in
un
teatrino
di
burattini
e
il
suo
ritrarsi
 emettendo
lamenti
“simili
all’agonia
o
all’orgasmo”,145attivano
il
senso
di
 confusione
 in
 chi
 la
 osserva,
 in
 questo
 caso
 in
 Hans.
 “In
 una
 sequenza
 onirica,
[…]
si
assiste
a
una
replica
di
questo
primo
incontro,
nella
quale
 l’ogiva
 nera
 che
 viene
 lentamente
 aperta
 tra
 i
 tessuti
 dalle
 mani
 di
 Helfi
 raffigura
mediante
una
palese
metafora
sessuale
la
minaccia
erotica
della
 ragazza.”146
L’apparizione
 seguente
 di
 Helfi
 avverrà
 in
 cima
 alle
 scale:
 







144
F.
Di
Chiara,
op.
cit.,
p.
99.
 145Ivi,
p.
97.

Helfi,
col
volto
sempre
pallido
e
l’espressione
fissa,
i
capelli
artificiali
(sarà
 utilizzata
una
parrucca),
una
rosa
rossa
in
mano,
trasmette
una
mortifera
 sensualità
che
ritorna
quando,
distesa
sul
letto
immobile,
apparentemente
 defunta,
viene
destata
da
Hans
sedotto
dalla
sua
procacità.
Dopo
la
morte
 tra
le
braccia
di
Hans,
Helfi
con
la
pelle
rovinata
e
la
bocca
aperta,
rimanda
 all’estetica
del
cadavere,
così
simile
ad
una
delle
tante
statue
modellate
dal
 padre,
 in
 particolare
 alla
 scultura
 raffigurata
 impiccata
 con
 la
 lingua
 di
 fuori
 che
 causerà
 lo
 svenimento
 della
 rivale
 Liselotte.
 L’associazione
 col
 cadavere
 che
 si
 risveglia,
 viene
 ripresa
 nelle
 divagazioni
 oniriche
 determinate
 dallo
 shock
 di
 Hans,
 dopo
 la
 condivisione
 con
 Helfi
 di
 una
 intimità
 che
 adesso
 gli
 provoca
 solo
 rimorsi
 se
 non
 addirittura
 rifiuto,
 forse
 proprio
 a
 causa
 degli
 accenni
 necrofili.
 Secondo
 Freud,
 ne
 Il
mago
 sabbiolino,
 Hoffman
 dà
 ai
 suoi
 lettori
 la
 rappresentazione
 delle
 paure
 e
 delle
 fantasie
 di
 un
 uomo
 reso
 incapace
 di
 un
 amore
 normale
 da
 esperienze
 infantili
 traumatiche,
 tale
 è
 la
 condizione
 di
 Hans
 che
 non
 sa
 scegliere
tra
le
due
donne
che
lo
amano:
una
esprime
la
propria
sessualità
 solo
attraverso
il
matrimonio
e
l’altra
che
è
una
morta
vivente,
pone
le
sue
 relazioni
 “sotto
 il
 segno
 della
 necrofilia”.147Hans,
 drogato
 dal
 dr.
 Bolem,
 vivrà
 uno
 stato
 allucinatorio,
 poiché,
 come
 sostiene
 Lacan
 citato
 da
 Deleuze,
“ciò
che
viene
simbolicamente
abolito
risorge
nel
reale
in
forma
 allucinatoria”.148


In
una
scena
di
questo
incubo
vediamo:

 


la
 figura
 intera
 di
 Helfi
 in
 sovrimpressione
 sdraiata,
 che
 attraversa
 diagonalmente
tutta
l’inquadratura
da
destra
a
sinistra,
e
la
cui
immagine
è
 sovrimpressa
a
quella
di
un’enorme
ragnatela.
La
ragazza
si
alza
a
sedere
 con
la
lentezza
propria
di
un
automa,
e
gira
il
volto
verso
destra,
scoprendo
 un
rivolo
di
sangue
a
un
lato
della
bocca.149

 





 147F.
Di
Chiara,
op.
cit.,
p.
101.
 148G.
Deleuze,
Cinema
1,
Immagine‐
movimento,
Ubulibri,
Milano,
2010,
p.
72.
 149F.
Di
Chiara,
op.
cit.,
p.
113.

Questa
immagine
in
cui
Helfi
ricorda
una
bambola
che
si
anima,
un
 automa,
rievoca
la
frase
di
Jentsch:
è
perturbante
“il
dubbio
che
un
essere
 apparentemente
animato
sia
vivo
davvero
e,
viceversa”.



Un
altro
elemento
unheimlich
è
sicuramente
l’azione
di
Wahl
che
nasconde
 i
 corpi
 delle
 vittime
 dissanguate
 nelle
 sculture
 del
 carillon
 che
 viene
 animato.
In
questo
macabro
marchingegno,
le
donne
trasformate
in
statue,
 “sono
 sospese
 tra
 la
 “morte”
 e
 la
 “non
 vita”
 della
 mummificazione”.150I
 cadaveri
 nascosti,
 ci
 riportano
 alla
 definizione
 di
 Shelling
 utilizzata
 da
 Freud,
 secondo
 la
 quale
 “il
 perturbante
 è
 qualcosa
 che
 avrebbe
 dovuto
 rimanere
nascosto
e
che
invece
è
affiorato,”151come
il
corpo
senza
vita
di
 Asa
 all’interno
 del
 sarcofago
 riposto
 tra
 le
 macerie
 della
 cripta
 in
 La
 maschera
del
demonio.
A
molti
uomini,
sostiene
Freud,
appare
perturbante
 il
rapporto
con
la
morte
e
coi
cadaveri.
“Probabilmente
questo
timore
ha
 ancora
 il
 significato
 antico
 secondo
 cui
 il
 morto
 è
 diventato
 nemico
 dei
 sopravvissuti
 e
 mira
 a
 prenderli
 con
 sé
 come
 compagni
 della
 sua
 nuova
 esistenza”.152
È
 interessante
 osservare
 come
 il
 perturbante
 o
 l’occulto,
 come
 preferisce
 Prawer,
 assuma
 una
 forma
 particolare
 in
 relazione
 al
 periodo
storico
che
l’attraversa.


La
conoscenza
dei
processi
storici
e
sociali
può
illuminare,
di
volta
in
 volta,
 la
 forma
 in
 cui
 l’occulto
 ci
 si
 presenta
 in
 un
 dato
 periodo
 della
 letteratura
 o
 del
 cinema.
 […]
 Nel
 corso
 del
 diciannovesimo
 secolo,
 alla
 paura
dei
padroni
dall’alto
si
aggiunge
quella
degli
invasori
dal
basso:
una
 vecchia
 opposizione
 in
 teologia,
 naturalmente,
 ma
 che
 ora
 assume
 un
 nuovo
 significato
 sociale.
 A
 lord
 Ruthven,
 il
 vampiro
 aristocratico,
 si
 aggiunge
 nella
 mitologia
 popolare
 il
 barbiere
 diabolico
 di
 Feet
 Street,
 Sweeney
 Todd,
 e
 la
 sua
 donna‐gazza,
 e
 la
 minaccia
 di
 forze
 oscure
 dal
 sottomondo
 sociale
 si
 estende
 dai
 Misteri
di
Parigi
 di
 Sue
 ai
 Morlock
 che
 







150
Ivi,
p.
102.

151
S.
Freud,
op.
cit.,
p.
102.

 152Ivi,
p.
103.


minacciano
e
mal
sopportano
il
mondo
di
grazia
degli
Eloi,
nella
Macchina


del
tempo
 di
 H.G.
 Wells.
 Non
 è
 forse
 inutile
 ricordare,
 in
 questo
 contesto,


che
 il
 Manifesto
 del
 partito
 comunista
 comincia
 con
 una
 immagine
 chiaramente
 occulta:
 «Ein
 Gespenst
 geht
 um
 in
 Europa»,
 «uno
 spettro
 si
 aggira
per
l’Europa»:
lo
spettro
del
comunismo.153

Rileggendo
 queste
 citazioni
 una
 di
 Freud
 e
 l’altra
 di
 Prawer,
 possiamo
 dire
 che,
 nel
 gotico
 italiano
 si
 può
 intravedere
 il
 timore
 nell’uomo,
 dell’improvviso
 erompere
 della
 sua
 natura
 animale
 o
 degli
 istinti
“più
bassi”,
tale
minaccia
è
“sentita
in
misura
proporzionale
al
grado
 di
 repressione
 a
 cui
 tali
 istinti
 sono
 sottoposti
 in
 una
 data
 società”.154 Come
 abbiamo
 accennato,
 questi
 “pericoli”
 sono
 attribuiti
 in
 maniera
 maggiore
 al
 sesso
 femminile,
 rappresentante
 di
 una
 certa
 alterità
 sia
 in
 rapporto
all’ordine
sociale
imposto
dal
patriarcato,
sia
rispetto
all’uomo:
 poiché
nel
pensiero
fallogocentrico
la
donna
è
sempre
stato
l’altro.



Non
 a
 caso
 sono
 tanti
 gli
 esempi
 nel
 cinema
 gotico
 italiano
 dove
 viene
 messa
in
dubbio
la
salute
mentale
dei
personaggi
femminili.
«Hans
per
me
 è
 la
 vita»
 dirà
 Helfi
 in
 uno
 stato
 vicino
 all’isteria
 al
 dr.
 Bolem
 che
 le
 risponderà:
 «Hans
 per
 te
 è
 la
 morte,
 io
 sono
 la
 vita,
 sei
 legata
 a
 me
 per
 sempre!».
 In
 queste
 frasi
 viene
 attribuito
 il
 massimo
 del
 potere
 ad
 un
 uomo,
Hans,
che
per
Helfi
è
la
vita
stessa,
e,
nello
stesso
tempo
il
ricatto
di
 Bolem
ci
collega
all’amore
come
dipendenza.
L’isteria
è
presente
ancora
in
 Un
angelo
per
Satana,
in
Amanti
d’oltretomba,
rispettivamente
in
Harriet
e
 in
 Jenny,
 come
 accennato,
 deviate
 dai
 loro
 doveri
 di
 brave
 ragazze
 dalle
 possessioni
di
parenti
defunte.










153S.
Prawer,
op.
cit,
pp.
158‐159.
 154Ivi,
p.
76.



 
 
 
 
 
 Helfi
nella
scena
onirica
di
Hans
in
Il
mulino
delle
donne
di
pietra.







 
 
 
 
 
 
 
 
 
 Automa


Le
statue
de
Il
mulino
delle
donne
di
pietra.
 
 
 
 Statua
di
donna
impiccata
ne
Il
mulino
delle
donne
di
pietra.
 
 
 
 
 
 
 
 
 


Anche
 la
 “ripetizione
 di
 avvenimenti
 consimili”155sono
 percepiti
 come
 perturbanti,
 paurosi,
 estranei:
 la
 ripetizione
 di
 una
 situazione
 o
 di
 un
comportamento
può
evocare
idee
rimosse
dall'adulto
e
presenti
in
età
 infantile
e
negli
uomini
primitivi,
come
il
pensiero
magico.
Freud
presenta
 l’esempio
di
quando
una
volta,
perdendosi
in
un
quartiere
si
ritrovò
nella
 medesima
 strada,
 dopo
 aver
 vagato
 per
 molto
 tempo.
 Ciò
 si
 sarebbe
 ripetuto
per
almeno
tre
volte
causando
nel
protagonista
dell’accaduto,
“un
 sentimento
 che
 non
 posso
 definire
 altro
 che
 perturbante.”156In
 questo
 esempio
 riconosciamo
 una
 delle
 scene
 più
 suggestive
 e
 creative
 di
 un
 importante
film
che
può
essere
ascritto
nel
genere
da
noi
trattato,
sebbene
 l’evoluzione
dei
personaggi
e
gli
elementi
semantici
che
lo
compongono
ci
 appaiano
diversi:
Operazione
paura
di
Mario
Bava
(1966).
Nella
scena
più
 celebre
del
film,
il
dottor
Eswai,
attraversa
correndo
otto
stanze
identiche
 per
 poi
 accorgersi
 di
 stare
 inseguendo
 se
 stesso.
 In
 queste
 sequenze,
 la
 ripetizione
della
stessa
situazione
e
l’inseguimento
di
se
stesso,
aprono
la
 riflessione
sul
sosia,
sul
doppio
o
come
vuole
Otto
Rank
sul
Doppelgänger
 (doppio
fantasma),
anticipato
nel
primo
capitolo.

 Il
saggio
Der
Doppelgänger157di
Otto
Rank,
ipotizza
la
possibilità
che
 le
paure
tipiche
delle
società
primitive
abbiano
un
qualche
fondamento.

 
 La
figura
del
doppio
fantasma
deve
il
suo
perenne
fascino
a
dubbi
di
 questo
genere,
dubbi
le
cui
cause
Freud
e
Rank
attribuiscono
a
«un
ritorno
 del
 represso»
 […].
 Un
 Doppelgänger
ripresenta,
 in
 prima
 istanza,
 la
 parte
 segreta
 del
 nostro
 sé,
 tanto
 il
 super‐ego
 (come
 in
 William
Wilson
 di
 Poe)
 che
l’es
(come
nell’Elisir
del
diavolo
di
Hoffmann
e
nel
Dottor
Jekyll
e
mister


Hyde
 di
 Stevenson);
 ma
 fa
 anche
 rivivere
 le
 credenze
 primitive


nell’esistenza
indipendente,
quasi
corporea,
della
nostra
anima
nella
magia
 dello
 specchio
 o
 del
 fantoccio,
 in
 demoni
 e
 dei
 che
 si
 divertono
 ad










155S.
Freud,
op.
cit.,
pp.
97‐98.
 156Ivi,
p.
98.


assumere
 le
 nostre
 forme…
 e
 tutto
 questo
 si
 combina
 in
 un
 brivido
 di
 lontane
memorie.158



Il
 sosia
 in
 origine
 rappresentava
 “un
 baluardo
 contro
 la
 scomparsa
 dell’Io,
 una
 “energica
 smentita
 del
 potere
 della
 morte.”159

 L’esempio
 di
 Asa
e
Katia
che
condividono
lo
stesso
sembiante
(Barbara
Steele)
ma
che
 hanno
 due
 inclinazioni
 morali
 opposte
 è
 già
 presente
 ne
 Lo
 studente
 di
 Praga
 di
 Stellan
 Rye
 (1913)
 di
 cui
 parla
 anche
 Rank.
 Nel
 finale
 de
 La
 maschera
del
demonio
vediamo
Asa
prendere
il
posto
della
sosia
Katia,
che
 nel
frattempo
è
distesa
svenuta
sulla
tomba
della
strega:
la
sensualità
di
 Asa
 svela
 l’illusione
 che
 nasconde
 la
 putredine
 del
 suo
 corpo
 ridotto
 a
 scheletro,
 ed
 è
 la
 visione
 del
 petto
 nudo
 della
 donna
 a
 far
 ravvedere
 Andrej.
160
la
 scena
 mette
 in
 evidenza
 il
 carattere
 perturbante
 della


somiglianza
 tra
 le
 due
 donne,
 la
 contrapposizione
 è
 acuita:
 se
 il
 corpo
 della
 strega
 è
 però
 “attraversato
 da
 tremolii
 di
 desiderio
 che
 ne
 raggiungono
 le
 mani
 e
 la
 bocca,
 quello
 di
 Katia
 è
 tutt’al
 più
 soggetto
 a
 svenimenti
che
ne
scoprono
il
collo
bianco
e
inerme”.161


Il
motivo
del
“sosia”
in
tutte
le
sue
gradazioni
e
configurazioni,
ossia
 la
 comparsa
 di
 personaggi
 che,
 presentandosi
 con
 il
 medesimo
 aspetto,
 debbono
 venire
 considerati
 identici;
 l’accentuazione
 di
 questo
 rapporto
 mediante
la
trasmissione
immediata
di
processi
psichici
dall’una
all’altra
di
 queste
persone—
fenomeno
che
noi
chiameremo
telepatia
—
così
che
l’una
 è
 compartecipe
 della
 conoscenza,
 dei
 sentimenti
 e
 delle
 esperienze
 dell’altra;
 l’identificazione
 del
 soggetto
 con
 un’altra
 persona
 sì
 che
 egli
 dubita
del
proprio
Io
o
lo
sostituisce
con
quello
della
persona
estranea;
un
 raddoppiamento
 dell’Io,
 quindi,
 una
 suddivisione
 dell’Io,
 una
 permuta
 dell’Io;
 un
 motivo
 del
 genere
 è
 infine
 il
 perpetuo
 ritorno
 dell’uguale,
 la
 





 158S.
Prawer,
op.
cit.,
p.
145.
 159Questa
affermazione
è
sostenuta
da
Otto
Rank
in
Der
Doppelgänger,
Imago,
vol.
3,
p.
 97
e
citata
da
Freud,
op.
cit.,
p.
96.
 160Cfr.
R.
Curti,
op.
cit.,
p.124.
 161
F.
Di
Chiara,
op.
cit.,
p.
78.

ripetizione
 degli
 stessi
 tratti
 del
 volto,
 degli
 stessi
 caratteri,
 degli
 stessi
 destini,
 delle
 stesse
 imprese
 delittuose
 e
 perfino
 degli
 stessi
 nomi
 attraverso
più
generazioni
che
si
susseguono.162




La
vendetta
dall’oltretomba
attraverso
la
reincarnazione
in
un
sosia
 o
la
sua
possessione
è
destinata
ad
avere
grande
fortuna
nelle
produzioni
 italiane.
 I
 casi
 in
 cui
 il
 sosia
 fa
 la
 sua
 “apparizione”
 sono
 numerosi,
 i
 più
 importanti
e
attinenti
alla
descrizione
che
ne
fa
Freud,
sono
riconducibili,
 oltre
ai
già
citati
La
maschera
del
demonio
ed
Operazione
paura,
ad
Amanti
 d’oltretomba,
 Un
 angelo
 per
 Satana,
 La
 cripta
 e
 l’incubo.
 Nel
 primo
 film,
 Jenny
 che
 differisce
 dalla
 sua
 sosia
 soltanto
 per
 il
 colore
 dei
 capelli,
 è
 preda
 della
 possessione
 della
 sorellastra:
 “l’identificazione
 del
 soggetto
 con
un’altra
persona”
fa
sì
che
ella
dubiti
del
proprio
Io,
dando
origine
ad
 una
sorta
di
nevrosi
che
 le
fa
credere
di
stare
impazzendo.
In
un
Angelo
 per
 Satana,
 il
 tema
 del
 sosia
 riappare
 grazie
 ad
 una
 statua
 ritrovata
 in
 mare
che
raffigura
la
discendente
di
Harriet,
quest’ultima
viene
posseduta
 della
cugina
Melinda
che
vuol
vendicarsi
di
lei.



I
 timori
 nei
 confronti
 del
 cadavere,
 dell’inanimato,
 del
 ripetersi
 di
 situazioni,
possono
essere
ricondotti
alle
paure
antiche,
primitive,
rimosse
 dall’umanità
“più
evoluta”
ma
tuttora
attive
nell’inconscio
collettivo
di
cui
 parlava
 Jung.
 Sostiene
 Prawer
 che
 il
 film
 del
 terrore
 fantastico,
 “si
 è
 sempre
rivelato
un
comodo
rifugio
per
quella
che
T.E.
Hulme
chiamava
«la
 religione
 fuoriuscita».”163E
 se
 “nei
 film
 di
 vampiri
 è
 rimessa
 in
 auge
 la
 resurrezione,
 immagini
 del
 giudizio
 universale
 […]
 sono
 espressamente
 riproposte
 nella
 Maschera
 del
 demonio
 (1960)”,164
forse
 perchéi
 mostri
 dei
 moderni
 film
 dell’“orrore”,
 come
 sosteneva
 ancora
 Jung,
 
 non
 sono
 altro
 che
 versioni
 distorte
 di
 archetipi
 che
 non
 verranno
 più
 rimossi.165
 







162S.
Freud,
op.
cit.,
p.
95.
 163Ivi,
p.
73.


164Ibidem.


Julia
 Kristeva
 nel
 saggio
 Poteri
 dell’orrore166,
 parlando
 del
 rito
 della
 “sozzura”,
 che
 verrà
 introdotto
 più
 avanti,
 afferma
 che
 “attraverso
 il
 linguaggio
 e
 nelle
 religioni
 che
 sono
 istituzioni
 altamente
 gerarchizzate
 l’uomo
 allucina
 “oggetti”
 parziali
 —
 testimoni
 di
 una
 differenziazione
 arcaica
 del
 corpo
 sulla
 via
 dell’identità
 propria
 che
 è
 anche
 l’identità
 sessuale”.
 
 
 3.2
Abiezione
ne
La
maschera
del
demonio
 
 
 L’emersione
di
ciò
che
doveva
rimanere
nascosto
e
che
è
venuto
alla
 luce,
 si
 manifesta
 nel
 cinema
 del
 corpo:
 “disgregato,
 frustrato,
 amato
 e
 mostrato
 anche
 dall’interno
 e
 quindi
 «oscenizzato»”.167
L’antropologa
 Mary
 Douglas
 indaga
 sulla
 relazione
 di
 un
 individuo
 con
 la
 società
 e
 sostiene
 che
 queste
 due
 immagini
 corporee,
 il
 corpo
 fisico
 e
 il
 corpo
 sociale,
sono
riflesse
l’una
nell’altra
e
hanno
continui
scambi
osmotici.



Il
 corpo
 sociale
 determina
 il
 modo
 in
 cui
 viene
 percepito
 il
 corpo
 fisico.
 […]
 
 tutte
 le
 categorie
 culturali
 attraverso
 cui
 il
 corpo
 viene
 percepito,
 devono
 essere
 strettamente
 correlate
 con
 le
 categorie
 attraverso
 cui
 è
 vista
 la
 società,
 in
 quanto
 anche
 queste
 attingono
 alla
 stessa
idea

del
corpo,
prodotta
da
un
processo
culturale.168 
 E
ancora:
 
 





 166J.
Kristeva,
op.
cit.

167
D.
Manti,
 Ca(u)se
 pertubanti,
 Architetture
 horror
 dentro
 e
 fuori
 lo
 schermo,
 fonti,


figure,
temi,
Lindu
ed.,
Torino,
2003,
p.
156.



 
 Helfi
dopo
una
trasfusione
di
sangue
ne
Il
mulino
delle
donne
di
pietra.
 Scilla
Gabel
ne
Il
mulino
delle
donne
di
pietra.


Esiste
una
tendenza
naturale
a
esprimere
situazioni
di
un
certo
tipo
 mediante
un
appropriato
linguaggio
del
corpo.
[…]
Ci
si
interessa
ai
suoi

 orifizi
quando
si
è
preoccupati
delle
entrate
e
delle
uscite
sociali,
delle
vie
 di
 fuga
 e
 delle
 invasioni
 […].
 Le
 relazioni
 fra
 testa
 e
 piedi,
 fra
 cervello
 e
 organi
sessuali,
fra
bocca
e
ano,
vengono
generalmente
trattate
in
modo
da
 rispecchiare
 gli
 schemi
 gerarchici
 che
 hanno
 rilevanza.
 Di
 conseguenza,
 avanzo
l’ipotesi
che
il
controllo
del
corpo
sia
un’espressione
del
controllo
 sociale.169

All’emergere
 di
 simboli,
 convenzioni,
 categorie,
 che
 non
 appartengono
 solo
 ad
 attitudini
 intellettuali
 ma
 anche
 all’essenza
 meramente
 biologica,
 si
 evidenzia
 anche
 il
 tentativo
 di
 rimozione
 degli
 stessi.
Douglas
osserva
come
il
“controllo
corporeo”
si
attuerebbe
sui
due
 livelli
 individuo/società.
 “La
 convivenza
 sociale
 richiede
 che
 le
 funzioni
 organiche
 non
 intenzionali
 o
 non
 importanti
 vengano
 tenute
 nascoste;
 perciò
 essa
 si
 costruisce
 una
 serie
 di
 criteri
 di
 rilevanza,
 il
 cui
 insieme
 sostituisce
 la
 regola
universale
di
purità.”170
Douglas
 chiama
 “regola
 della
 purezza”
il
tentativo
da
parte
della
società
di
tenere
nascoste
le
funzioni
 organiche
 nella
 pretesa
 di
 essere
 costituita
 da
 “spiriti
 disincarnati”.
 Il
 corpo
 ha
 grandissime
 potenzialità
 espressive,
 limitate
 dal
 controllo


Documenti correlati