Volti
Capitolo III
Perturbante, abiezione, horror 3.1 Il perturbante ne Il mulino delle donne di pietraSuccede spesso che individui nevrotici dichiarino che l’apparato genitale femminile rappresenta per loro un che di perturbante. Sigmund Freud, Perturbante Il corpo non è una cosa, è una situazione : è la nostra comprensione del mondo, la bozza del nostro progetto Simone de Beauvoir
Nel suo saggio sul Perturbante,138 Freud si interroga sull’indefinito sentimento della paura. L’unheimlich è un’angoscia generica provata quando una cosa o una persona o una situazione è avvertita come
138 S. Freud, op. cit. La scelta di parlare del saggio di Freud è da attribuire alle importanti analogie tra gli esempi riportati nel saggio e molti nostri film, oltre a quella di tenere presente che i territori di cui parliamo riguardano l’ “unheimlich”. Eviteremo in questa sede di discutere sull’etimologia della parola tedesca unheimlich tradotto con l’italiano
Perturbante, sebbene questa parola non convinca molti. Rimandiamo per un
approfondimento al testo di Freud menzionato, in particolare da p.82 a p. 87. Per un confronto sull’etimologia e sulle categorie estetiche di orrore, étrange, merveilleux e
occulto, si rimanda invece a S. Prawer, op. cit., da p.135 a p.138. Secondo Prawer, il
termine tedesco unheimlich, ha un’ambivalenza semantica: “a) il «non familiare», quello
che ci fa sentire a disagio nel mondo dell’esperienza normale, non propriamente sicuri di poterci contare, ciò che è misterioso, sconosciuto, strano o insolito in modo inquietante. In questo senso unheimlich è stato spesso usato, come equivalente di una parola che sembrerebbe designare il suo opposto, la parola heimlich, che significa «segreto» o «nascosto». E da qui, da questa dialettica fra heimlich e unheimlich, arriviamo a un secondo significato […]; b) il «non segreto», quello che sarebbe dovuto rimanere nascosto ma in qualche modo non vi è riuscito”. S. Prawer, op. cit., p. 138.
familiare ed estranea allo stesso tempo. Egli cita il lavoro di Jentsch,139 e introduce alcuni esempi che possono ritenersi appartenere alla categoria del perturbante, come “il dubbio che un essere apparentemente animato sia vivo davvero e, viceversa, il dubbio che un oggetto privo di vita non sia per caso animato”.140 Jentsch, dice ancora Freud,
si è richiamato all’impressione provocata da figure di cera, da pupazzi e da automi. Egli annovera in questa categoria il senso perturbante destato dagli attacchi epilettici e dalle manifestazioni di pazzia, in quanto fenomeni che suscitano nello spettatore il sospetto che processi automatici, meccanici, possano celarsi dietro l’immagine consueta degli esseri viventi.141
Freud si ricollega a quanto dice lo studioso, proponendo una riflessione sull’opera di E.T.A. Hoffmann, Il mago sabbiolino,142nella quale, la figura della bambola Olimpia, “misteriosamente laconica e immobile”143 fa innamorare ardentemente il giovane Nathaniel. Olimpia è un automa, un essere non vivente, animata dal grande scienziato Lazzaro Spallanzani, maestro di scienza, inventore e costruttore della bambola. A reclamarne l’opera però, arriva anche il venditore di occhiali Coppelius/Coppola, che il giovane ha sempre collegato alla favola del mago sabbiolino. Nella leggenda il mago cava gli occhi ai bambini che si rifiutano di dormire per darli in pasto ai suoi figli dotati di becchi ricurvi. Non è un caso che Coppola abbia anche fabbricato gli occhi di Olimpia e venduto il cannocchiale che consentirà a Nathaniel di spiare e innamorarsi della bambola, ma anche, di precipitare nel vuoto e morire in un secondo momento. Nonostante Olimpia ponga il dubbio sull’essere animato/non
139 Freud si riferisce al testo E. Jentsch, Zur Psychologie des Unheimlichen, Psychiat‐
neurol. Wschr., vol. 8, 1906, p.195.
140 E. Jentsch, citato da Freud, op. cit., p. 88. 141 S. Freud, op. cit., p. 88.
142 Der Sandmann (1816). 143 S. Freud, op. cit., p. 90.
animato, l’attenzione di Freud è concentrata sul mago sabbiolino/Coppelius, che rappresenta la minaccia della mutilazione del bambino, mutilazione che si riflette sulla paura della castrazione. Coppelius e lo scienziato Spallanzani, così come il dottor Bolem e Wahl ne Il mulino delle donne di pietra, riassumono l’elemento semantico del mad‐ scientist: una figura che si avventura “tra i segreti della vita e della morte incurante dei limiti imposti all’uomo, perché vòlta, seppure trascurando ogni possibile deontologia professionale, al benessere dell’umanità e alla sua vittoria sulla morte”.144 Bolem e Whal nascondono un segreto sulla malattia di Helfi: la ragazza muore in preda a forti emozioni ed è rianimata dal sangue di giovani donne. Sarà ciò a generare in Hans dubbi sulla di lei morte o vita, proprio come Nathaniel finirà per impazzire vedendo Olimpia con le cavità orbitali vuote, prova della sua condizione di automa alla quale il giovane non aveva voluto credere prima. L’apparenza, il “sembrare ma non essere”, è una modalità perturbante per lo spettatore. Sin da I vampiri la vecchia Marguerite Du Grand finge di essere la bella e giovane Gisèle così come Asa prende il posto di Katia in modo da “sembrare” ma “non essere”, la propria discendente. Ma uno degli esempi più vicini a Olimpia della storia di Hoffmann resta Helfi de Il mulino delle donne di pietra. Nella prima apparizione di Helfi, il suo volto è preceduto dalle mani che aprono una fessura tra i drappi della tenda che la nasconde. Il volto bianco sembra comparire in un teatrino di burattini e il suo ritrarsi emettendo lamenti “simili all’agonia o all’orgasmo”,145 attivano il senso di confusione in chi la osserva, in questo caso in Hans. “In una sequenza onirica, […] si assiste a una replica di questo primo incontro, nella quale l’ogiva nera che viene lentamente aperta tra i tessuti dalle mani di Helfi raffigura mediante una palese metafora sessuale la minaccia erotica della ragazza.”146 L’apparizione seguente di Helfi avverrà in cima alle scale:
144 F. Di Chiara, op. cit., p. 99. 145 Ivi, p. 97.
Helfi, col volto sempre pallido e l’espressione fissa, i capelli artificiali (sarà utilizzata una parrucca), una rosa rossa in mano, trasmette una mortifera sensualità che ritorna quando, distesa sul letto immobile, apparentemente defunta, viene destata da Hans sedotto dalla sua procacità. Dopo la morte tra le braccia di Hans, Helfi con la pelle rovinata e la bocca aperta, rimanda all’estetica del cadavere, così simile ad una delle tante statue modellate dal padre, in particolare alla scultura raffigurata impiccata con la lingua di fuori che causerà lo svenimento della rivale Liselotte. L’associazione col cadavere che si risveglia, viene ripresa nelle divagazioni oniriche determinate dallo shock di Hans, dopo la condivisione con Helfi di una intimità che adesso gli provoca solo rimorsi se non addirittura rifiuto, forse proprio a causa degli accenni necrofili. Secondo Freud, ne Il mago sabbiolino, Hoffman dà ai suoi lettori la rappresentazione delle paure e delle fantasie di un uomo reso incapace di un amore normale da esperienze infantili traumatiche, tale è la condizione di Hans che non sa scegliere tra le due donne che lo amano: una esprime la propria sessualità solo attraverso il matrimonio e l’altra che è una morta vivente, pone le sue relazioni “sotto il segno della necrofilia”.147 Hans, drogato dal dr. Bolem, vivrà uno stato allucinatorio, poiché, come sostiene Lacan citato da Deleuze, “ciò che viene simbolicamente abolito risorge nel reale in forma allucinatoria”.148
In una scena di questo incubo vediamo:
la figura intera di Helfi in sovrimpressione sdraiata, che attraversa diagonalmente tutta l’inquadratura da destra a sinistra, e la cui immagine è sovrimpressa a quella di un’enorme ragnatela. La ragazza si alza a sedere con la lentezza propria di un automa, e gira il volto verso destra, scoprendo un rivolo di sangue a un lato della bocca.149 147 F. Di Chiara, op. cit., p. 101. 148 G. Deleuze, Cinema 1, Immagine‐ movimento, Ubulibri, Milano, 2010, p. 72. 149F. Di Chiara, op. cit., p. 113.
Questa immagine in cui Helfi ricorda una bambola che si anima, un automa, rievoca la frase di Jentsch: è perturbante “il dubbio che un essere apparentemente animato sia vivo davvero e, viceversa”.
Un altro elemento unheimlich è sicuramente l’azione di Wahl che nasconde i corpi delle vittime dissanguate nelle sculture del carillon che viene animato. In questo macabro marchingegno, le donne trasformate in statue, “sono sospese tra la “morte” e la “non vita” della mummificazione”.150 I cadaveri nascosti, ci riportano alla definizione di Shelling utilizzata da Freud, secondo la quale “il perturbante è qualcosa che avrebbe dovuto rimanere nascosto e che invece è affiorato,”151 come il corpo senza vita di Asa all’interno del sarcofago riposto tra le macerie della cripta in La maschera del demonio. A molti uomini, sostiene Freud, appare perturbante il rapporto con la morte e coi cadaveri. “Probabilmente questo timore ha ancora il significato antico secondo cui il morto è diventato nemico dei sopravvissuti e mira a prenderli con sé come compagni della sua nuova esistenza”.152 È interessante osservare come il perturbante o l’occulto, come preferisce Prawer, assuma una forma particolare in relazione al periodo storico che l’attraversa.
La conoscenza dei processi storici e sociali può illuminare, di volta in volta, la forma in cui l’occulto ci si presenta in un dato periodo della letteratura o del cinema. […] Nel corso del diciannovesimo secolo, alla paura dei padroni dall’alto si aggiunge quella degli invasori dal basso: una vecchia opposizione in teologia, naturalmente, ma che ora assume un nuovo significato sociale. A lord Ruthven, il vampiro aristocratico, si aggiunge nella mitologia popolare il barbiere diabolico di Feet Street, Sweeney Todd, e la sua donna‐gazza, e la minaccia di forze oscure dal sottomondo sociale si estende dai Misteri di Parigi di Sue ai Morlock che
150 Ivi, p. 102.
151 S. Freud, op. cit., p. 102. 152 Ivi, p. 103.
minacciano e mal sopportano il mondo di grazia degli Eloi, nella Macchina
del tempo di H.G. Wells. Non è forse inutile ricordare, in questo contesto,
che il Manifesto del partito comunista comincia con una immagine chiaramente occulta: «Ein Gespenst geht um in Europa», «uno spettro si aggira per l’Europa»: lo spettro del comunismo.153
Rileggendo queste citazioni una di Freud e l’altra di Prawer, possiamo dire che, nel gotico italiano si può intravedere il timore nell’uomo, dell’improvviso erompere della sua natura animale o degli istinti “più bassi”, tale minaccia è “sentita in misura proporzionale al grado di repressione a cui tali istinti sono sottoposti in una data società”.154 Come abbiamo accennato, questi “pericoli” sono attribuiti in maniera maggiore al sesso femminile, rappresentante di una certa alterità sia in rapporto all’ordine sociale imposto dal patriarcato, sia rispetto all’uomo: poiché nel pensiero fallogocentrico la donna è sempre stato l’altro.
Non a caso sono tanti gli esempi nel cinema gotico italiano dove viene messa in dubbio la salute mentale dei personaggi femminili. «Hans per me è la vita» dirà Helfi in uno stato vicino all’isteria al dr. Bolem che le risponderà: «Hans per te è la morte, io sono la vita, sei legata a me per sempre!». In queste frasi viene attribuito il massimo del potere ad un uomo, Hans, che per Helfi è la vita stessa, e, nello stesso tempo il ricatto di Bolem ci collega all’amore come dipendenza. L’isteria è presente ancora in Un angelo per Satana, in Amanti d’oltretomba, rispettivamente in Harriet e in Jenny, come accennato, deviate dai loro doveri di brave ragazze dalle possessioni di parenti defunte.
153 S. Prawer, op. cit, pp. 158‐159. 154 Ivi, p. 76.
Helfi nella scena onirica di Hans in Il mulino delle donne di pietra. Automa
Le statue de Il mulino delle donne di pietra. Statua di donna impiccata ne Il mulino delle donne di pietra.
Anche la “ripetizione di avvenimenti consimili”155 sono percepiti come perturbanti, paurosi, estranei: la ripetizione di una situazione o di un comportamento può evocare idee rimosse dall'adulto e presenti in età infantile e negli uomini primitivi, come il pensiero magico. Freud presenta l’esempio di quando una volta, perdendosi in un quartiere si ritrovò nella medesima strada, dopo aver vagato per molto tempo. Ciò si sarebbe ripetuto per almeno tre volte causando nel protagonista dell’accaduto, “un sentimento che non posso definire altro che perturbante.”156 In questo esempio riconosciamo una delle scene più suggestive e creative di un importante film che può essere ascritto nel genere da noi trattato, sebbene l’evoluzione dei personaggi e gli elementi semantici che lo compongono ci appaiano diversi: Operazione paura di Mario Bava (1966). Nella scena più celebre del film, il dottor Eswai, attraversa correndo otto stanze identiche per poi accorgersi di stare inseguendo se stesso. In queste sequenze, la ripetizione della stessa situazione e l’inseguimento di se stesso, aprono la riflessione sul sosia, sul doppio o come vuole Otto Rank sul Doppelgänger (doppio fantasma), anticipato nel primo capitolo. Il saggio Der Doppelgänger157 di Otto Rank, ipotizza la possibilità che le paure tipiche delle società primitive abbiano un qualche fondamento. La figura del doppio fantasma deve il suo perenne fascino a dubbi di questo genere, dubbi le cui cause Freud e Rank attribuiscono a «un ritorno del represso» […]. Un Doppelgänger ripresenta, in prima istanza, la parte segreta del nostro sé, tanto il super‐ego (come in William Wilson di Poe) che l’es (come nell’Elisir del diavolo di Hoffmann e nel Dottor Jekyll e mister
Hyde di Stevenson); ma fa anche rivivere le credenze primitive
nell’esistenza indipendente, quasi corporea, della nostra anima nella magia dello specchio o del fantoccio, in demoni e dei che si divertono ad
155 S. Freud, op. cit., pp. 97‐98. 156 Ivi, p. 98.
assumere le nostre forme… e tutto questo si combina in un brivido di lontane memorie.158
Il sosia in origine rappresentava “un baluardo contro la scomparsa dell’Io, una “energica smentita del potere della morte.”159 L’esempio di Asa e Katia che condividono lo stesso sembiante (Barbara Steele) ma che hanno due inclinazioni morali opposte è già presente ne Lo studente di Praga di Stellan Rye (1913) di cui parla anche Rank. Nel finale de La maschera del demonio vediamo Asa prendere il posto della sosia Katia, che nel frattempo è distesa svenuta sulla tomba della strega: la sensualità di Asa svela l’illusione che nasconde la putredine del suo corpo ridotto a scheletro, ed è la visione del petto nudo della donna a far ravvedere Andrej. 160 la scena mette in evidenza il carattere perturbante della
somiglianza tra le due donne, la contrapposizione è acuita: se il corpo della strega è però “attraversato da tremolii di desiderio che ne raggiungono le mani e la bocca, quello di Katia è tutt’al più soggetto a svenimenti che ne scoprono il collo bianco e inerme”.161
Il motivo del “sosia” in tutte le sue gradazioni e configurazioni, ossia la comparsa di personaggi che, presentandosi con il medesimo aspetto, debbono venire considerati identici; l’accentuazione di questo rapporto mediante la trasmissione immediata di processi psichici dall’una all’altra di queste persone— fenomeno che noi chiameremo telepatia — così che l’una è compartecipe della conoscenza, dei sentimenti e delle esperienze dell’altra; l’identificazione del soggetto con un’altra persona sì che egli dubita del proprio Io o lo sostituisce con quello della persona estranea; un raddoppiamento dell’Io, quindi, una suddivisione dell’Io, una permuta dell’Io; un motivo del genere è infine il perpetuo ritorno dell’uguale, la 158 S. Prawer, op. cit., p. 145. 159 Questa affermazione è sostenuta da Otto Rank in Der Doppelgänger, Imago, vol. 3, p. 97 e citata da Freud, op. cit., p. 96. 160 Cfr. R. Curti, op. cit., p.124. 161 F. Di Chiara, op. cit., p. 78.
ripetizione degli stessi tratti del volto, degli stessi caratteri, degli stessi destini, delle stesse imprese delittuose e perfino degli stessi nomi attraverso più generazioni che si susseguono.162
La vendetta dall’oltretomba attraverso la reincarnazione in un sosia o la sua possessione è destinata ad avere grande fortuna nelle produzioni italiane. I casi in cui il sosia fa la sua “apparizione” sono numerosi, i più importanti e attinenti alla descrizione che ne fa Freud, sono riconducibili, oltre ai già citati La maschera del demonio ed Operazione paura, ad Amanti d’oltretomba, Un angelo per Satana, La cripta e l’incubo. Nel primo film, Jenny che differisce dalla sua sosia soltanto per il colore dei capelli, è preda della possessione della sorellastra: “l’identificazione del soggetto con un’altra persona” fa sì che ella dubiti del proprio Io, dando origine ad una sorta di nevrosi che le fa credere di stare impazzendo. In un Angelo per Satana, il tema del sosia riappare grazie ad una statua ritrovata in mare che raffigura la discendente di Harriet, quest’ultima viene posseduta della cugina Melinda che vuol vendicarsi di lei.
I timori nei confronti del cadavere, dell’inanimato, del ripetersi di situazioni, possono essere ricondotti alle paure antiche, primitive, rimosse dall’umanità “più evoluta” ma tuttora attive nell’inconscio collettivo di cui parlava Jung. Sostiene Prawer che il film del terrore fantastico, “si è sempre rivelato un comodo rifugio per quella che T.E. Hulme chiamava «la religione fuoriuscita».”163 E se “nei film di vampiri è rimessa in auge la resurrezione, immagini del giudizio universale […] sono espressamente riproposte nella Maschera del demonio (1960)”,164 forse perché i mostri dei moderni film dell’“orrore”, come sosteneva ancora Jung, non sono altro che versioni distorte di archetipi che non verranno più rimossi.165
162 S. Freud, op. cit., p. 95. 163 Ivi, p. 73.
164 Ibidem.
Julia Kristeva nel saggio Poteri dell’orrore166, parlando del rito della “sozzura”, che verrà introdotto più avanti, afferma che “attraverso il linguaggio e nelle religioni che sono istituzioni altamente gerarchizzate l’uomo allucina “oggetti” parziali — testimoni di una differenziazione arcaica del corpo sulla via dell’identità propria che è anche l’identità sessuale”. 3.2 Abiezione ne La maschera del demonio L’emersione di ciò che doveva rimanere nascosto e che è venuto alla luce, si manifesta nel cinema del corpo: “disgregato, frustrato, amato e mostrato anche dall’interno e quindi «oscenizzato»”.167 L’antropologa Mary Douglas indaga sulla relazione di un individuo con la società e sostiene che queste due immagini corporee, il corpo fisico e il corpo sociale, sono riflesse l’una nell’altra e hanno continui scambi osmotici.
Il corpo sociale determina il modo in cui viene percepito il corpo fisico. […] tutte le categorie culturali attraverso cui il corpo viene percepito, devono essere strettamente correlate con le categorie attraverso cui è vista la società, in quanto anche queste attingono alla stessa idea del corpo, prodotta da un processo culturale.168 E ancora: 166 J. Kristeva, op. cit.
167 D. Manti, Ca(u)se pertubanti, Architetture horror dentro e fuori lo schermo, fonti,
figure, temi, Lindu ed., Torino, 2003, p. 156.
Helfi dopo una trasfusione di sangue ne Il mulino delle donne di pietra. Scilla Gabel ne Il mulino delle donne di pietra.
Esiste una tendenza naturale a esprimere situazioni di un certo tipo mediante un appropriato linguaggio del corpo. […] Ci si interessa ai suoi orifizi quando si è preoccupati delle entrate e delle uscite sociali, delle vie di fuga e delle invasioni […]. Le relazioni fra testa e piedi, fra cervello e organi sessuali, fra bocca e ano, vengono generalmente trattate in modo da rispecchiare gli schemi gerarchici che hanno rilevanza. Di conseguenza, avanzo l’ipotesi che il controllo del corpo sia un’espressione del controllo sociale.169
All’emergere di simboli, convenzioni, categorie, che non appartengono solo ad attitudini intellettuali ma anche all’essenza meramente biologica, si evidenzia anche il tentativo di rimozione degli stessi. Douglas osserva come il “controllo corporeo” si attuerebbe sui due livelli individuo/società. “La convivenza sociale richiede che le funzioni organiche non intenzionali o non importanti vengano tenute nascoste; perciò essa si costruisce una serie di criteri di rilevanza, il cui insieme sostituisce la regola universale di purità.”170 Douglas chiama “regola della purezza” il tentativo da parte della società di tenere nascoste le funzioni organiche nella pretesa di essere costituita da “spiriti disincarnati”. Il corpo ha grandissime potenzialità espressive, limitate dal controllo