Indice
Introduzione Error! Bookmark not defined. Capitolo I 6 Nascita di un genere: il gotico italiano degli anni ‘60 6 1.1 I terrori della modernizzazione sullo schermo 6 1.2 Una bottega di finzioni 10 1.3 Un sentimento non morto: Vampiri e vampire del passato. 14 1.4 Il cinema gotico nel contesto sociale 24 Capitolo II 34 Il mostruoso femminino 34 2.1 La sessualità nel gotico italiano 34 2.2 Analisi di una differenza 46 2.3 Natura 55 2.4 Volto Error! Bookmark not defined. Capitolo III 65 Perturbante, abiezione, horror 65 3.1 Il perturbante ne Il mulino delle donne di pietra 65 3.2 Abiezione ne La maschera del demonio 77 Conclusioni 86Introduzione
Il seguente lavoro si pone come obiettivo l’analisi e l’osservazione, seppur a grandi linee, della rappresentazione della donna nel filone dell’horror italiano dei tardi anni Cinquanta e degli anni Sessanta. Il cinema di genere, in particolare l’horror, ha sempre avuto grande consenso oltreoceano grazie soprattutto alla “stabile fortuna che l’horror iniziava ad acquisire nel settore dei gender studies anglosassoni”,1 anche in ambito accademico. Il consenso italiano resta invece ancora piuttosto tiepido, nonostante proprio in questi anni l’editoria abbia proposto la pubblicazione di alcuni importanti testi sul genere gotico.2 All’interno del nostro percorso di ricerca verranno prese in considerazione le opere riguardanti la prima fase dell’horror italiano: dall’uscita del capostipite I vampiri di Riccardo Freda (1957), fino al 1966, l’ultimo anno di una produzione che in totale conta meno di trenta titoli. Il gotico italiano che comprende le opere di Mario Bava, Riccardo Freda, Giorgio Ferroni e altri è un genere che offre diversi spunti interessanti: i rapporti con l’estero ed in particolare con la casa di produzione britannica Hammer, le relazioni con il fumetto nero, le riviste, i fotoromanzi, l’imitazione di prodotti di successo come i lavori di Alfred Hitchcock, saranno esaminati all’interno del primo capitolo. Il nostro maggiore interesse è però rivolto nei confronti della protagonista indiscussa del genere: la donna e la sua rappresentazione. A essa infatti sono spesso affidati personaggi dicotomici, strega o santa, seduttrice o casta, che svelano le fragili visioni della cultura patriarcale di quegli anni. Le figure mostruose protagoniste dei film hanno quindi un profondo legame con la cultura contemporanea, 1 F. Di Chiara, I tre volti della paura, Il cinema horror italiano (1957‐1965), UnifePress, 2 Possono essere considerati gli interessanti testi di F. Di Chiara, op. cit. e R. Curti, Fantasmi d’amore. Il gotico italiano tra cinema, letteratura e TV, Lindau, Torino, 2011.
verso la quale assumono una posizione particolare in relazione ai cambiamenti sociali e di costume. Per sviluppare questi aspetti si è resa necessaria una metodologia di indagine che tenesse conto di diversi approcci, dalla filosofia, alla semiotica, alla psicanalisi, al femminismo. Da Laura Mulvey che con Piacere visivo e cinema narrativo “applica a questo campo di studi la teoria della differenza e la psicanalisi”,3 a Julia Kristeva che col suo saggio Poteri dell’orrore 4 offre una potente ricerca sull’abiezione in relazione al mostruoso femminino e alla maternità.
Nel secondo capitolo e terzo capitolo ci dedicheremo all’approfondimento di alcuni importanti interventi della scena dei Gender Studies e della Feminist Film Theory in relazione ai personaggi femminili dei film gotici italiani. 3 G. Fanara, F. Giovannelli (a cura di), Eretiche ed erotiche. Le donne, le idee, il cinema, Liguori, Napoli 2004, 4 J. Kristeva, Poteri dell’orrore4. Saggio sull’abiezione, Spirali edizioni, Milano, 1981.
Locandina di Giuliano Nistri per La maschera del Demonio di Mario Bava (1960).
Capitolo I
Nascita di un genere: il gotico italiano degli anni ‘60 1.1 I terrori della modernizzazione sullo schermo Legata ad un palo con diversi giri di corda, le mani dietro la schiena, una donna tenta inutilmente di sottrarre al supplizio il proprio viso che esprime, gli occhi spalancati e le labbra chiuse, muto terrore e rassegnazione: non fosse per il seno sferico e prorompente che preme da sotto le vesti sembrerebbe di trovarsi davanti alla raffigurazione del martirio di una santa, oppure del sacrificio di una vergine. La figura che avanza verso di lei è evidentemente un boia: cappuccio nero, bracciali di cuoio ai polsi, torace nudo, una pelle eccessivamente rossastra che contrasta ancora con il bianco della tunica e l’incarnato rosa della donna. L’uomo brandisce con le mani alzate un terzo elemento, una maschera, anch’essa rossa e dalle fattezze grottescamente bestiali, che sul lato interno è provvista di punte acuminate. 5
La descrizione dell’effetto ottenuto da Giuliano Nistri per la locandina de La maschera del demonio (Mario Bava, 1960), sintetizza alcune isotopie del cinema gotico italiano: tortura, morte, sessualità, terrore, bestialità e soprattutto la centralità della figura femminile vittima o carnefice, vera protagonista del genere. Il film, diventato un cult, definisce le basi strutturali che costituiranno il cinema orrorifico italiano, già inaugurato con I vampiri di Riccardo Freda (1957) che col primo condivideva alcuni aspetti.
Non è difficile, per gli amanti del genere, riconoscere, in questa descrizione, il prologo del film in cui la strega Asa viene uccisa con una
maschera che è la riproduzione per solo viso della vergine di Norimberga.6 Eppure, come fa notare Francesco Di Chiara, è curiosa la forte contraddizione tra i valori investiti nel film e la cartellonistica pubblicitaria dell’epoca: dove nel film la strega Asa esprime una forte sessualità che nulla ha a che vedere con toni virginali, appare invece nella locandina innocente e sottomessa a un soggetto maschile.
L’utilizzo di tale immagine, che contrasta volutamente con la figura espressa nel film è ancora condizionata dalle illustrazioni dei manifesti anglosassoni, che propongono il medesimo genere cinematografico. Dal 1955 infatti, la britannica Hammer Film Productions7 ritorna sulle scene internazionali col filone horror. Ma sarà il 1958, anno in cui esce nelle sale il film di Terence Fisher Dracula il vampiro, a decretare il successo commerciale che porterà alla realizzazione di diversi sequel.
Il vero evento, quello che renderà immortale la Hammer nella storia del cinema, è la decisione di riportare sugli schermi gli antichi mostri horror che negli anni ’30 e ’40 determinarono il successo della Universal: Dracula, Frankenstein, La mummia, L’uomo lupo…Con l’aggiunta, preziosa, del colore e d’un nuovo aspetto esteriore (considerato che la Universal si rifiutò di cedere i diritti e quindi la possibilità di utilizzare lo stesso tipo di
make‐up per i personaggi).8
In quegli stessi anni romanzetti, fumetti neri (tra i più famosi «Diabolik»), fotoromanzi, rotocalchi, collane horror, tascabili “mordi e
6 Strumento di tortura ritenuto da molti falso e altrimenti noto come il bacio della “Vergine Maria”. “È probabile che questo strumento di tortura sia stato inventato in Spagna nel XVI secolo e importato in Germania durante il periodo in cui Carlo V regnava su entrambi i territori.” Cfr. G. Riley Scott, Storia della tortura, Mondadori, Milano, 1999, p. 242. 7 La Hammer film Productions è una nota casa di produzione cinematografica britannica nata nel 1934 e famosa per il filone horror. Tra i suoi nomi più conosciuti ricordiamo il regista Terence Fisher e l’attore, sette volte dracula, Christopher Lee, scritturato anche in Italia per il film demenziale Tempi duri per i vampiri (1958) di Steno e per La frusta e il corpo (1963) di Mario Bava. 8 M. Moscati, Breve storia del cinema, Bompiani, Milano, 2000, p.184.
fuggi”9 invadono le edicole italiane e l’immaginario collettivo. Abili e agguerriti sono gli scrittori che si celano dietro una sfilza di pseudonimi inglesi; storie intriganti e poco pudiche, reincarnazioni, doppi, torture e vampiri in chiave pulp sono i temi ricorrenti, tanto narrativi quanto iconografici, di riviste e fanzine.10
In generale anche l’assetto storico del cinema è ricco di fermenti e sempre più impegnato ad affrontare nuove tendenze culturali e tecnologiche. Il periodo 1957‐1966 segnò in tutta Europa l’esordio di grandi registi, l’apertura di scuole di cinema e la nascita di importanti festival. L’Italia del boom economico vive quindi anch’essa il suo momento glorioso e l’esordio o l’affermazione di grandi nomi che rivestiranno un ruolo importante nella cinematografia mondiale. All’innovazione degli autori già affermati, si aggiunsero nuove figure di artigiani e operatori, giovani sceneggiatori aperti alle novità e stimati decani riuniti a Cinecittà all’insegna del cinema di genere. Come sottolinea anche Roberto Curti,
In Italia, […] il cinema popolare è in pieno ribollire, mentre la spinta neorealista volge al termine e paga la stanchezza di un pubblico che, dopo essersi cosparso il capo di cenere davanti alle miserie del paese, domanda di ricominciare a sognare, e a trasgredire.11
9 Tra i tanti vanno almeno citati: le edizioni KKK, «KKK. I classici dell’Orrore» (Nel giugno 1959 esce il primo numero al prezzo di 150 lire con Il vampiro di tale Clay O’Neil); «I Capolavori della serie KKK. I Classici dell’Orrore» (uscirà tre anni dopo con L’amante gelida di Lyonel Clayle); «I Racconti di Dracula», collana diretta di Aldo Crudo; «I Racconti del Terrore» della Sansoni; «Il giallo Mondadori» storica collana di classici noir e polizieschi nata nel 1929 sotto la guida da Alberto Tedeschi e dell’illustratore Carlo Jacono. È importante ricordare che vi sono alcuni esempi di corrispettivi in celluloide tratti da romanzi, primo tra tutti La Vergine di Norimberga, Margheriti, 1963, “tratto dall’omonimo romanzo di Frank Bogart alias Maddalena Gui (KKK n. 23)”. Non mancano esempi di film horror trasposti in fotoromanzo, “da I vampiri (ovvero Quella
che voleva amare, «I Vostri Film», n. 31, agosto 1958) a Il mulino delle donne di pietra
(«Super Star», n. 75, dicembre 1960); la stessa «Malia [I fotoromanzi del brivido]» ospiterà numerosi gotici italiani: i primi vampireschi di Polselli, Regnoli e Mauri, […].” R. Curti, op. cit., p.60.
10 Le fanzine erano “riviste amatoriali e autoprodotte, spesso distribuite in fotocopia dalla ridotta circolazione”. F. Di Chiara, op. cit., p. 253.
Eppure, nel caso dell’horror, né la presa sul fantastico come evasione, né il recupero di “alcune convenzioni ereditate dalla tradizione melodrammatica degli anni Quaranta e Cinquanta: le passioni proibite, l’enfatizzazione della colpa, il triangolo amoroso, la riabilitazione finale”,12 avranno un riscontro favorevole tra il pubblico autoctono, che interpreterà sempre il cinema gotico italiano come estraneo alla propria sensibilità. Le relazioni con i distributori esteri a questo punto diventano fondamentali, tanto che non si potrebbe scindere la storia del genere horror da quella legata alla morfologia della produzione e della distribuzione.13 Tali relazioni in particolare con America e Gran Bretagna, sono agevolate da fattori di diverso tipo: dalla promulgazione di nuove leggi sul cinema (già redatte nel dopoguerra) che restringevano il carattere conservatore tenuto dal fascismo aumentandone l’apertura verso l’esterno, ad ammortizzatori fiscali che consentivano la possibilità di produrre grandi quantità di film economici.14
I decenni ‘50 e ’60 italiani si rivolgono espressamente al mercato estero, fino a far diventare il nostro Paese il principale esportatore di cinema, dopo Hollywood. Questo fattore, determinava una competizione con la Hammer inglese e con le stesse produzioni americane, rispetto alle quali il nostro cinema si distingueva per un forte ricorso all’erotismo e alla violenza. Erotismo e violenza che sono anche tratti caratteristici del genere gotico, e che emergono nell’Italia del boom economico e della 12 D. Toschi, Vittima o carnefice? La rappresentazione della donna nel gotico italiano, in L. Cardone, M. Fanchi, Genere e generi, figure femminili nell’immaginario cinematografico italiano, «Comunicazioni Sociali», n. 2, maggio‐agosto 2007, p. 255. 13 Non ci occuperemo in questa sede dei complessi fenomeni economici che articolano la storia del cinema del nostro paese ma per un quadro più chiaro si rimanda alle seguenti letture: Guglielmo Pescatore (a cura di), L’arte del risparmio: stile e tecnologia. Il cinema
a basso costo in Italia negli anni Sessanta, Roma, Carocci 2005; S. Venturini, Galatea S.p.A. (1952‐1965). Storia di una casa di produzione cinematografica, AIRC, Roma, 2001;
B Corsi, Con qualche dollaro in meno. Storia economica del cinema italiano, Editori Riuniti, Roma, 2001; S. Della Casa, Una postilla sul cinema mitologico, in E. Magrelli (a cura di), Cinecittà 2. Sull’industria cinematografica italiana, Marsilio, Venezia, 1986. 14 Nei pochi anni che vanno dal ’57 al ’65 (date di inizio e fine del genere) si ha una produzione di circa trenta film ascrivibili al genere gotico.
crescente urbanizzazione che sfugge alla tradizionale funzione censoria dovuta alla presenza della Chiesa.15 Un’Italia più laica, che tenta di mettere in discussione le proprie tradizioni, “cerca nel cinema l’esplicazione dell’elemento erotico”16 e la spregiudicatezza con cui verrà trattato, sarà un dato importante per capire l’importanza che hanno avuto questi film nell’aprire la strada ai generi successivi, dal thriller all’italiana al filone della commedia sexy. 1.2 Una bottega di finzioni Film a basso costo, copioni scritti a ritmi frenetici, case di produzione nate e morte nel volgere di un solo film,17 nomi sfarzosi e di comodo “a millantare un’internazionalità che nei fatti non va oltre Frascati o Tor Caldara. Non essere, ma sembrare. Fare finta di.”18
A volte tale meccanismo riesce a nascondere i natali di registi e scrittori, altre volte invece ci concede uno sguardo diverso, aprendosi come una scatola per metterci d’innanzi alla realtà. Tutto ciò fa parte dello spirito del cinema gotico che gioca con tali elementi e, quando può, ironizza su se stesso. Ecco allora che Boris Karloff introduce le tre macabre storie dell’orrore di I tre volti della paura (Mario Bava, 1963),
15 Nonostante, per certi versi, la censura sia meno puntigliosa, registi e sceneggiatori preferiscono non scherzare con i temi cattolici. Il territorio italiano pone dei confini troppo fragili per quanto riguarda la censura. Basti ricordare alcuni casi: “Federico Fellini è sulla graticola per la supposta blasfemia della sequenza del «miracolo» di La
dolce vita, Pasolini viene accusato di vilipendio alla religione per La ricotta, Brunello
Rondi va incontro a un bel po’ di grane con Il demonio, e il Vaticano è in prima fila nella battaglia contro le pellicole considerate immorali.” R. Curti, Fantasmi d’amore, op. cit., p. 155. 16 Cfr. S. Della Casa, I generi di profondità, in G. De Vincenti (a cura di), Storia del Cinema Italiano, 1960‐1964, vol. X, Marsilio, Edizioni di Bianco e di Nero, Roma‐Venezia, 2002, p. 302.
17 Come ad esempio La vendetta di Lady Morgan (1965) di Massimo Pupillo, risulta essere l’unica pellicola licenziata dalla Morgan Film.
stupendoci con l’ironico finale che svela l'artigianalità dei trucchi utilizzati: la macchina da presa si allontana lentamente dal galoppo dell’attore sferzato dai rami della foresta e svela l’azione di alcuni componenti della troupe che, con delle frasche in mano, creano l’illusione del movimento correndo in girotondo, intorno a un Karloff a cavallo di un ingegnoso meccanismo.19
La finzione diventa comunque una costante del genere, un escamotage che maschera le esigue condizioni economiche e che nello stesso tempo tocca diversi ambiti semantici e sintattici, per dirla con Rick Altman.20 Un inesistente racconto di Edgar Allan Poe, per esempio, tratto in realtà da Roger Corman, diventa il copione di Danza Macabra (Anthony M. Dawson, alias Antonio Margheriti, 1964) al fine di poter riciclare il costosissimo set cinematografico di Il Monaco di Monza (1963) con Totò. Per quanto riguarda le fonti letterarie, spesso può accadere che la derivazione fittizia da un testo letterario del passato, costituisca un forte richiamo per il pubblico, allo stesso modo degli pseudonimi anglofoni dei membri della troupe. Gli esempi sono molteplici, tra i tanti menzioniamo Il mulino delle donne di pietra “tratto da uno pseudobiblium come i Racconti fiamminghi dell’inesistente Peter Van Weigen”21; I tre volti della paura che sfoggiano i grandi nomi di Maupassant, Tolstoj e Čechov ma che in realtà celano le identità di F. G. Snyder per l’episodio Il telefono, A. K. Tolstoj, cugino, per La famiglia del vurdalak e una serie di sceneggiatori anziché Čechov, tra i quali lo stesso Bava e Alberto Bevilacqua, per l’episodio La goccia d’acqua.22 Molti, come accennato, sono i riferimenti al cinema americano ed europeo: L’orribile segreto del dottor Hichcok, richiama
19 Questa immagine ricorderà a molti il cinema di Fellini con il quale Bava era molto amico. Interessante l’aneddoto in cui si racconta di quando Bava vide per la prima volta
Toby Dammit, episodio felliniano di Tre passi nel delirio (1968), riconoscendo nel
personaggio della bambina con la palla la sua “Melissa”: una delle figure più inquietanti da lui create per il film Operazione paura (1966), interpretata da Valerio Valeri.
20 R. Altman, Film/Genere, V&P, Milano, 2004. 21 R. Curti, op. cit., p.51.
espressamente Rebecca, la prima moglie di Alfred Hitchcock. È intuibile, dal nome del protagonista, l’operazione commerciale che, attraverso il titolo, avrebbe dovuto attrarre il pubblico mediante il suo più noto referente. Gli elementi hitchcokiani sono numerosi: la morte prematura della prima moglie, Margaretha (Maria Teresa Vianello), le seconde nozze di Hichcock con Cynthia (Barbara Steele) e le ossessioni del ricordo della prima moglie che in più di un’occasione si manifesta attraverso la presenza di un gatto nero. Il mondo di Edgar Allan Poe diventa anch’esso riferimento importante e in particolare Il gatto nero, Berenice, Il cuore rivelatore, Il crollo della casa degli Usher (che influenzerà in particolare I vampiri), saranno testi cari agli sceneggiatori del nostro genere. Echi de Il cuore rivelatore si hanno nel film Amanti d’oltretomba con l’espiantazione dei cuori di Muriel e del suo amante e nell’episodio La goccia d’acqua dove, il senso di colpa, che si manifesta col suono della goccia d’acqua, condurrà la protagonista alla morte. Tuttavia tra i testi di letteratura gotica23 che maggiormente hanno influenzato l’immaginario del vampiro nel cinema horror italiano, vi è sicuramente il romanzo di Sheridan LeFanu, Carmilla. 23 Citiamo comunque i primissimi testi in cui il vampiro, seppur in forma ancora embrionale, fa la sua comparsa nel periodo gotico: Il poemetto Il Giaurro (1813) di Byron, The Vampire (1819) di Polidori, Vampirismus (1828) di Hoffmann, Carmilla (1872) di LeFanu, Dracula ( 1897) di Stoker. Vampirismus di Hoffmann può essere considerato tra l’altro il primissimo romanzo sul vampiro femminile, nonostante la protagonista qui compia atti di necrofagia piuttosto che nutrirsi di sangue.
Locandina n.2 La maschera del demonio.
1.3 Un sentimento non morto: Vampiri e vampire del passato. È Mircalla, contessa Karnstein, sopra c’è una piccola corona e, sotto, A. D. 1698. Io discendo dai Karnstein; cioè discendeva la mamma.24 Sheridan LeFanu, Carmilla Una delle grandi innovazioni del cinema gotico italiano è quella di aver fatto della donna vampiro il motore immobile di tutto il filone. Dobbiamo al romanzo di LeFanu l’immagine moderna della vampira così come la conosciamo: una non morta dalla natura bestiale che si nutre di sangue, come il suo maschile, ma sessualmente ambigua e fortemente erotizzata. Per comprendere meglio l’importanza che assume il vampiro nel nostro cinema e in particolare poter territorializzare, come direbbe Deleuze, il romanzo Carmilla è necessario far riferimento, seppur in modo generico e senza pretese, al pensiero romantico e alla letteratura gotica. In questo contesto potremo concederci la libertà di creare collegamenti col tema della rappresentazione della donna trattato all’interno del nostro percorso di ricerca.
Il vampiro, potrebbe essere definito un vero e proprio archetipo: figura antica e multiforme, collegata indissolubilmente al mondo delle tenebre e della bestialità. La nascita del vampiro è difficile da datare, essendo una figura del folklore popolare appartenente a diverse culture e collocato in periodi storici abbastanza remoti. Certo è che il vampiro subirà molteplici evoluzioni e cambiamenti, fino a diventare espressione dell’esperienza estetica romantica, spirito della modernità. È il periodo romantico a riaprire “il circuito comunicativo col mondo degli spettri che era stato chiuso in quanto superstizioso dalla
critica riformista, prima, e illuminista, poi.”25 La sensibilità gotica tende a realizzare una cosmicità26illimitata, nera, infinita; il fantasticare prevale sull’idealizzare, sul finito e sul limite correlando il sentimento di vuoto e di piacere. Godimento e paura, piacere e terrore non sono quindi antitetici ma connessi tra loro. Il fantasma è la possibilità esperienziale di andare oltre il mondo finito e confrontarsi col vacuo ma anche il terrore di rapportarsi ad esso. L’immagine del revenant è quella di un morto, spesso oggetto d’amore perduto, che ritorna tramite un’invocazione a riunirsi ad un vivo. Come scrive Mario Barzaghi:
In un primo momento Il soggetto fantastica sulla possibilità della ripresa
di una comunicazione con un oggetto d’amore scomparso; questo però, quando, infine, viene percepito nella cruda veste di non vivo, innesca un sentimento di reverenziale disgusto, di sublime repulsione, a cui la poesia inizia a rispondere in termini di sensibilità moderna, ovvero elaborando una tonalità affettiva piacevole dello spiacevole.27
In una fase successiva, la relazione affettiva tra lo spettro e il vivo diventa più specifica allorché il revenant acquisisca personalità.
Per prima cosa il non vivo diviene non morto e, quindi, dotato di una capacità fisica d’azione. In secondo luogo l’ambiguo desiderio del vivo viene integralmente proiettato sul suo oggetto: è questi a farsi persecutore di una vittima involontaria. Il vivo diviene desiderato e la sua condizione di soggetto si capovolge fantasticamente in quella di oggetto.28 25 M. Barzaghi, Il Vampiro, o il sentimento della modernità, Monteleone, Vibo Valentia, 1996, p. 205. 26 Cfr. M. Barzaghi , op. cit, p. 198. 27 Ivi, p.207. Corsivo mio. 28 Ibid.
Entro tale contesto si assiste ad una rielaborazione dell’immagine del non morto/vampiro come espressione della vacuità moderna e la cui funzione è perseguitare coloro a cui si lega affettivamente.
Il fantasma,29 l’oggetto d’amore scomparso o lontano, l’amore‐ passione, sono tematiche care alla concezione occidentale dell’amore. Basti pensare al lucido saggio di Denis de Rougemont, L’amore e l’Occidente,30 in cui l’autore sostiene che l’inizio di tale concezione nasca nel XII secolo e in particolare con il mito, antecedente a questa data, di Tristano e Isotta. Una delle tesi sostenute è che l’amore non debba mai realizzarsi per essere tale. Scrive De Rougemont a proposito
L’amore felice non ha storia. Romanzi ne ha dati solo l’amore mortale, cioè l’amore minacciato e condannato dalla vita stessa. Ciò che esalta il lirismo occidentale non è il piacere dei sensi nella pace feconda della coppia. È meno l’amore soddisfatto che la passione d’amore. E passione vuol dire sofferenza. Ecco il fatto fondamentale. 31
La prima forma d’amore di Tristano e Isotta è mistificata dall’assunzione di un potente filtro ma, in seguito alla scadenza dell’incanto, Tristano si innamora davvero di Isotta quando ormai è lontana e la loro relazione finita. L’assenza dell’amata e il piacere delle pene d’amore sono fondamentali affinché egli provi il sentimento amoroso. L’ossessione del passato, il tema della mancanza, il fantasma della donna scomparsa, così come la donna del ritratto,32ideale
29 Amanti d’oltretomba, I lunghi capelli della morte, La maschera del demonio, Cinque
tombe per un medium, Il terribile segreto del dottor Hichcock, Danza macabra, La frusta e il corpo, Operazione paura, sono alcuni dei titoli in cui il sovrannaturale fa il
suo ingresso.
30 D. de Rougemont, L’amore e l’Occidente, RCS Bur Saggi, 1998 e 2001. 31 D. de Rougemont, op. cit., p.57.
32 Uno degli esempi più belli di “donne nel ritratto” è l’opera di Hitchcock, Vertigo, 1958, dove tra l’altro il tema di Tristano e Isotta viene ripreso dalla musica di Bernard Herrmann.
impossibile da raggiungere, sono anche le costanti di molto cinema muto e noir 33 ereditate dal cinema gotico italiano.
Le donne appartenenti a questi genieri sono dark lady, vamp, femme fatale, vampire. In Venturini leggiamo:
Al cinema, la dark lady degli anni quaranta arriva ovviamente dopo una tradizione che comprende vamp e femme fatale che procedono la Belle Epoche e mode déco, ma si afferma poi in piena autonomia combinandosi con la mescolanza di realismo e stilizzazione tipica dell’hard‐boiled.34
Dietro queste influenze lontane, possiamo trovare molte somiglianze tra le figure femminili del noir e del gotico, come la dark lady e le nostre vampire. Entrambe hanno una componente eversiva, di potenziale scardinamento sociale e familiare: sono “donne insofferenti, ribelli, assassine, a volte psicotiche”.35 Hanno spesso una omosessualità più o meno latente36 e si pongono sempre sotto il segno della menzogna.37 Si ricollegano sotto certi aspetti al suo opposto, “cioè alla donna vittima, protagonista della formula «woman in distress», presente già nel cinema degli anni trenta e destinata a protrarsi oltre l’età del noir”.38 Vittima‐carnefice, good/bad girl, santa/puttana, damsel in distress/ belle dame sans merci: il doppio femminile determina ciò che è consentito fare e il suo divieto, sono due poli antitetici.
In Carmilla di LeFanu, Laura/Carmilla rappresentano questo binomio. Laura è una ricca fanciulla di origini inglesi viziata dal padre.
33 Non a caso furono proprio migranti tedeschi, tra i quali Fritz Lang, a contribuire alla nascita di questo genere.
34 R. Venturini, L’età del noir. Ombre, incubi e delitti nel cinema americano, 1940‐60, Einaudi, Torino, 2007, p.36. 35 R. Venturini, op. cit., p.37. 36 Cosi’ veniva rappresentata la Brigid O’Shaughnessy di Il falcone maltese, romanzo di Dashiell Hammett che costituirà un modello fondamentale della dark lady. 37 Questi punti verranno approfonditi in seguito. 38 Ibid.
Carmilla è la sua splendida ospite, arrivata lì per caso su una carrozza. Carmilla e Laura stringono subito un forte legame, quasi un sottile patto perverso che lascia trasparire la sua radice sentimentale. In Carmilla giunge ormai chiaro che “il perverso sentimento della melanconia è il vero protagonista della rappresentazione poetica della modernità.”39
Il vampiro Carmilla e la sua giovane compagna sono unite dal vincolo dell’ospitalità; il loro rapporto è interno a tale vincolo in cui esse sono vicine, anzi, appunto, di già unite da un solo destino affettivo: vi è un oggetto ed è amato ed odiato, temuto e desiderato; esso è un ospite ed è un intruso. In questo modo LeFanu raggiunge un livello superiore di trattazione della forma moderna di oggettività rispetto a quello che incontriamo in Polidori. Laura, la giovane vittima, potrebbe ormai dire: «Io sono l’oggetto del mio piacevole terrore, io ne sono l’ospite».40
È difficile comprendere chi sia effettivamente Carmilla e quale rapporto intrattenga con la giovane compagna. Ci è chiaro solo quando dinnanzi al ritratto di una nobildonna, che assomiglia perfettamente a Carmilla, ella vi riconosce Mircalla, contessa Karnstein dalla quale discende. Nell’ambito del fantastico, Carmilla è Mircalla, vissuta alla fine del XVII secolo, che torna per reclamare il sangue della sua ultima discendente.41
Questi topoi sono ripresi in parte da I vampiri, Amanti d’oltretomba, Un angelo per Satana, I lunghi capelli della morte, La cripta e l’incubo e in maniera chiarissima in La maschera del demonio dove la strega/vampiro Asa torna a reclamare il sangue della discendente Katia. 39 M. Barzaghi, Il Vampiro, o il sentimento della modernità, Monteleone, Vibo Valentia, 1996, p. 221. 40 Ibid. 41 Tra Laura e Carmilla c’è anche un legame psichico molto forte, le due donne sono infatti la stessa persona, in quanto sono l’unica figlia di una stessa madre.
Ne I vampiri questa formula è ancora allo stato embrionale, poiché, il doppio femminile è qui rappresentato da una sola figura, quella della contessa Du Grand, che attraverso delle trasfusioni di sangue, riacquista la giovinezza e la beltà. Giselle e la contessa Du Grand sono quindi la stessa persona: una trasformazione voluta affinché possa operarsi la vendetta nei confronti del discendente di un passato amore. La duchessa tra l’altro mantiene vivo il ricordo del suo amato, attraverso un ritratto che saluta amorevolmente al ritiro nelle sue stanze, dopo la festa. In Amanti d’oltretomba invece il dottor Arrowsmith ha dei rapporti con la vecchia cameriera Solange, ringiovanita dopo la morte della moglie, sempre attraverso delle trasfusioni di sangue. Qui il ricordo della moglie Muriel è testimoniato da due cuori in altorilievo posizionati sopra la tomba. Un angelo per Satana rievoca il ricordo e la presenza dell’antenata dalla quale discende Harriet, attraverso la statua nuda e sensuale che la raffigura. Anche in L’orribile segreto del dottor Hichcock e ne Il mulino delle donne di pietra vengono effettuate trasfusioni, nel primo per ringiovanire ancora e nel secondo per mantenere Helfi in vita. Un ritratto, come accennato, di Margaretha evocherà la presenza della moglie scomparsa nel film di Freda, mentre in Danza macabra il ritratto di Julia che si muove, crea l’effetto vertiginoso e la perdita di equilibrio nel protagonista. Anche in Bava il ritratto è un “punto di congiunzione tra vivi e defunti, è il mezzo con cui il passato tenta di sopraffare e vampirizzare il presente, per annullarlo e ricondurlo a sé”.42 In La maschera del demonio, il regista raddoppia il ritratto di Asa: uno, socialmente accettato, la raffigura assieme a Javutic nella sala grande del castello e un altro, nascosto nell’intimità dei sotterranei, la rappresenta nuda, sensuale come una Eva tentatrice. Altro ritratto significativo è quello che in Operazione paura ritrae l’immagine della piccola Melissa accanto al teschio, “come
Locandina de Il mulino delle donne di pietra di G. Ferroni (1960).
una versione demente di una delle Meninas di Velàzquez”.43 Ne Il mulino delle donne di pietra “il ritratto” sarà invece un elemento di raccordo narrativo che unirà la sorte della modella di accademia Annelore e il lavoro pseudo artistico del prof. Gregorius Wahl. Quest’ultimo insegna pittura nella stessa accademia e utilizza il suo sapere per mummificare giovani vittime, assassinate al fine di mantenere in vita la figlia. Un macabro marchingegno con carillon nel mulino, permette inoltre la sfilata dei cadaveri trasformati in statue dal professore. Un mad artist che, come il personaggio del mad doctor, lavora sui corpi delle donne mutandone la natura.
Il testo di LeFanu è comunque il romanzo specchio del nostro cinema: in Danza macabra (Antonio Margheriti, 1964), La cripta e l’incubo (Thomas Miller, alias Camillo Mastrocinque, 1964), Un angelo per Satana (Camillo Mastrocinque, 1966), Cinque tombe per un medium (Massimo Pupillo, 1965), le relazioni saffiche riflettono i caratteri del romanzo e ne estendono i confini. In particolare sarà il film di Mastrocinque del ’64 ad essere il più fedele a Carmilla. Ne La cripta e l’incubo Laura accoglie Ljuba/Carmilla che si rivela essere il vampiro e la piega alla propria volontà seduttiva. La storia di Mastrocinque, gioca bene con le atmosfere oniriche e l’aspetto dei personaggi invertendo i colori e le sembianze somatiche delle due donne rispetto alle descrizioni del romanzo44 e ai cliché della sensualità sedimentati nella società: all’immagine sensuale, corvina e mediterranea di Adriana Ambesi sarà affidato il personaggio melanconico e languido di Laura, qui dipinta come una damsell in distress, mentre bionda, pallida e dall’aspetto virginale sarà Ljuba (Ursula Davis alias Pier Anna Quaglia), vampira menzognera, celata dietro a modi
43 Ivi p.65.
44 Nel romanzo è invece Carmilla ad essere descritta come una fanciulla dalla pelle splendida e dai lunghi capelli castani e lucenti, mentre Laura appare bionda ed emaciata.
gentili.45 C’è dietro questo mascheramento il doppio intento di stupire lo spettatore e di creare più ambiguità nella figura di Ljuba, i quali intenti sono percepiti falsi e bugiardi.
Eppure, le atmosfere che Mastrocinque introduce nel suo film, sono diverse da quelle che respiriamo nel romanzo di Le Fanu:
Se le pagine di Le Fanu si situano nel pieno del dibattito ottocentesco sulla condizione della donna, un altro è lo sguardo sul corpo e sulla sessualità femminile nell’Italia affamata di novità e di pelle nuda dei primi anni ’60. Nel gotico italiano il lesbismo è visto non come forza squassante (quale invece era nei confronti dell’ortodossia vittoriana per Le Fanu), bensi’ come lasciapassare per il voyerismo, e in quanto tale rappresentato con compiaciuta indulgenza tutta maschile.46
Ancora secondo Curti, Ljuba e come lei Julia (Danza macabra) e Harriet (Un angelo per Satana), non sono “particelle virali”47 volte a sgretolare le sicurezze della società patriarcale, come in Le Fanu, ma un pretesto per “accondiscendere alla curiosità di un pubblico in cerca di emozioni proibite, e che associa l’horror alla messa in scena di perversioni più o meno bizzarre.”48 Tuttavia, al di là delle motivazioni più o meno volte al raggiungimento di incassi alti, le donne del gotico introducono la possibilità di un ribaltamento dei ruoli.
Nel gotico italiano si sviluppa un fenomeno divistico al femminile che “esalta la dimensione immaginifica legata all’inconscio”49 e ne libera desideri rimossi e tabù. Come in letteratura il termine «gotico» dava l’idea di caos, eccesso e esagerazione, contrapponendosi a «classico», cosi’ il cinema gotico ne riprende i parametri e opta per ambientazioni del 45 Sulla relazione tra il testo di LeFanu e il film di Mastrocinque si rimanda alla lettura di R. Curti, op. cit., p. 143. 46 R. Curti, op. cit., p.145‐146 47 Definizione di Roberto Curti, p. 146. 48 Ibid. 49 Ivi, p. 118.
passato romantico o vittoriano, come nei film della Hammer.50 Con le sue atmosfere oniriche, ambientazioni arcaiche, castelli, passaggi segreti, luoghi spettrali che predispongono a esperienze soprannaturali, il gotico gioca con le paure e i fantasmi della società mettendo in scena vizio, perversione, violenza. L’attenzione è però tutta posta su “un’estetica del corpo femminile e della violenza applicativi del mostruoso”,51 sui corpi trasgressivi delle donne che abitano il genere e evocano “lo spettro della disgregazione sociale”, 52mettendo in discussione i valori fondanti della società italiana, la famiglia, la sessualità, il potere maschile. Il femminino del gotico attrae e respinge, domina e schiavizza, guarda l’uomo dall’alto in basso minandone il modello patriarcale.
A differenza dei tanti Maciste che rispondevano all’avvento della visione virile fascista, nel gotico, l’uomo è l’elemento passivo, destinato a soccombere all’irresistibile potere della seduzione, lasciandosi vampirizzare, come il dottor Kruvajan da Asa, nel mirabile lavoro di Bava. Il sentimento associato all’immagine femminile è quindi ambivalente nella cultura e tradizione italiana: “seduzione e terrore, desiderio e ribrezzo”53 per le “ammirabili belve del genere”.54 1.4 Il cinema gotico nel contesto sociale L’horror italiano, con il suo immaginario “alieno” rispetto alla cultura nazionale (atmosfere oniriche ambientate in un imprecisato Nord Europa di epoca vittoriana) ha comportamenti intertestuali complessi che vanno 50 Cfr. Ivi, p. 87. 51 F. Pitassio, L’orribile segreto dell’horror italiano, in G. Manzoli, G. Pescatore (a cura di),
L’arte del risparmio: stile e tecnologia. Il cinema a basso costo in Italia negli anni Sessanta, Carocci, Roma, 2005, p. 34.
52 Ivi, p. 117.
53 R. Curti, op. cit., p.118.
dall’imitazione dei successi contemporanei, alle influenze del cinema americano (primo fra tutti Hitchcock) e del cinema classico europeo (ad esempio il cinema di Dreyer).55 Eppure esso sembra avere un legame profondo con la contemporaneità ed essere inevitabilmente legato ai cambiamenti sociali e culturali del periodo. In generale, ciò è valido per tutto il cinema di genere di quegli anni: peplum, melodramma, gotico e il successivo western.56 Scrive Stefano della Casa: I generi di profondità […] presentano una loro componente politica, capace di mostrare in controluce alcune delle tensioni e delle contrapposizioni che stanno maturando nel tessuto sociale e che si tradurranno in aperta conflittualità con il movimento studentesco alla fine degli anni ’60 e con le rivendicazioni sindacali dell’inizio del decennio successivo.57
Come, per esempio, “Il cinema di Ercole e Maciste è il genere popolare più diffuso nel periodo di transizione dall’Italia agricola all’Italia
55 Cfr. F. Di Chiara, I tre volti della paura, Il cinema horror italiano (1957‐1965), op. cit., p. 14. Ne I Vampiri, si fa omaggio a Vampyr (1932) di Dreyer attraverso la scelta di dare lo stesso nome dell’insofferente e vampirizzata Giselle al personaggio creato da Freda, Giselle Du Grand.
56 Un approccio interessante sulle influenze tra generi e il contesto culturale in cui si sviluppano è quello di “paragonare il genere al mito e di trattare i generi come le attuali personificazioni del mito” (R. Altman, Film/Genere, V&P, Milano, 2004, p. 34.) Gli studi degli antropologi strutturalisti come Lévi Strauss e Vladimir Propp hanno influenzato l’approccio sincronico di Matthew Arnold, T.S. Eliot e Northrop Frye che presupponeva che i testi fossero “estrapolati dal tempo e posti in un deposito atemporale, come se fossero tutti contemporanei” (Ivi, pp. 33‐34), proponendo un modello dove le somiglianze tra i testi possono essere riconosciute. In Film/Genere di Rick Altman leggiamo: “Per Bazin «il western nacque dall’incontro tra mitologia e un (nuovo) mezzo espressivo». Altman afferma che il musical modella un mito a partire dal rituale americano del corteggiamento». Schatz confessa che, «in ultima analisi, la relazione tra la produzione di film di genere e la creazione di miti a livello culturale appare significativa e diretta». Will Wright precisa: «il western, pur essendo collocato nella moderna società industriale, rappresenta un mito tanto quanto i miti tribali degli antropologi».” (Ibid.) Tuttavia tale approccio non è pienamente condiviso da Altman che anzi ritiene che i generi esistano nella storia e che “i film di un certo genere non devono solo rassomigliarsi, bensì differenziarsi.” (Ivi, p. 36.). Nonostante ciò, tali approcci restano affascinanti e stimolano la ricerca di un percorso in tal senso, anche per il gotico italiano.
industriale che si sta definitivamente affermando negli anni ’60”,58 allo stesso modo, i temi legati alla sessualità e l’accentramento della figura femminile demonizzata e torturata nel cinema gotico, possono svelare le inquietudini e le ansie di un’epoca di passaggio rivolta verso il cambiamento dei ruoli della donna e all’ottenimento dei suoi diritti.59 Il cinema gotico, figlio dei primi anni sessanta, si sviluppa quindi su un humus sociale florido di trasformazioni, vitalità e paure.
Nel ’65 con l’uscita del film‐documentario Comizi d’amore60 di Pier Paolo Pasolini, ci si ritrova davanti al ritratto di un paese contraddittorio e arretrato, uno spaccato di Italia divisa e poco evoluta, non ancora in grado di affrontare senza vergogna un confronto sul tema della sessualità e ancora molto legato a pregiudizi patriarcali. Ecco perché l’isotopia della sessualità, nel cinema di quegli anni, riveste un’importanza fondamentale: il genere gotico e le sue componenti, ci consentono di individuare alcune operazioni culturali di rimozione e di riconoscimento della figura femminile nel contesto dei cambiamenti sociali, e di fare emergere contraddizioni e tabù di un paese fortemente legato alla cultura cattolica. Necrofilia, incesto, lesbismo sono alcuni dei temi fondanti ai quali si accompagnano le tematiche sovrannaturali del vampirismo, del fantasma/doppio, della strega. Per comprendere l’intertestualità di questi elementi semantici, e le loro relazioni, legate inestricabilmente al soggetto femminile, i gender studies diventano il linguaggio preferenziale, al fine di capire i meccanismi di stigmatizzazione della “donna=mostro”. 61 58 Ivi, p. 317. 59 Basti pensare che in Italia alcuni fondamentali diritti si ottengono relativamente tardi rispetto al resto d’Europa: il primo febbraio 1945 viene concesso il diritto di voto alle donne, il primo dicembre 1970 si ha la legge sul divorzio e il 22 maggio 1978 l’attivazione della legge 194.
60 Comizi d’amore (1965) è un film documentario diretto da Pier Paolo Pasolini e prodotto da Alfredo Bini. Il film esamina da vicino, attraverso varie domande poste dall’autore, il parere degli italiani e delle italiane circa sessualità, amore e buon costume.
61 Rimandiamo al capitolo successivo un approfondimento su alcuni studi femministi e di genere applicati al cinema gotico italiano.
Locandina de L’orribile segreto del dr. Hichcock di R. Freda (1962).
Negli anni di La dolce vita e del Boom, della commedia all’italiana finalmente libera dalle pastoie democristiane e capace di graffiare a fondo nell’immaginario di un paese che si sente ricco e «arrivato», il gotico sembra rappresentare una bolla atemporale, un rinchiudersi a riccio fuori dal mondo e dal tempo, già dalla scelta del bianco e nero come elemento suggestivo e passatista. In realtà non può evitare di farsi portatore, a suo modo, dei mutamenti nel costume e nella cultura, e delle ansie che a questi sottendono.62 In un paese dove ancora verginità e onore sono due valori resistenti, la svedese e bionda Anita Ekberg, coi suoi bagni nella fontana, e la britannica e corvina Barbara Steele, coi suoi grandi occhi, sono le due straniere che, portando scompiglio, si prestano a diventare il nuovo sogno erotico italiano. Per “un immaginario maschile limitato e credulone che procede per stereotipi ed elementari associazioni”,63 le due dive non possono che incarnare un’idea di forte eccesso e di trasgressione. All’immagine delle dive nostrane, alle quali sono affidati i ruoli delle popolane: Lollobrigida, Sofia Loren e i primi film della Cardinale, Barbara Steele regina dell’horror, restituisce un’idea di irraggiungibilità perturbante, determinata anche dalla sua natura ultraterrena che ne rende quasi impossibile il rinserimento nel sociale e ne prevede quindi la morte. La strega, pur intrigante che sia, non può sopravvivere nell’ordine sociale italiano.
All’eroe, che pure è attratto dall’aspetto seducente della perdizione, toccherà scegliere tra le due incarnazioni del femminino: angelo e diavolo, santa e puttana, secondo uno schema ereditato dal melodramma. E al momento della scelta non potrà che ripiegare sulla purezza, sull’illibatezza – i valori della tradizione e del focolare domestico‐ in un’implicita, e autopunitiva, rinuncia ai piaceri della sensualità: a conferma di come la
62 R. Curti, op. cit., p.119. 63 Ivi, p.120.
cultura popolare tragga linfa dalle incongruenze che punteggiano i costumi del paese.
Come ha catalizzato gli impulsi dello spettatore, agevolandone le fantasie, così la componente orrorifica si incarica di riportarlo con i piedi per terra: la catarsi vale anche come richiamo all’ordine, lo shock visivo fa da bromuro.64
Gli uomini del genere preferiscono le streghe ma sposano le sante: le passive Katia (La maschera del demonio), Liselotte (Il mulino delle donne di pietra), Laurette (I vampiri), Jenny (Amanti d’oltretomba), Cynthia (L’orribile segreto del dottor Hichcock), sono alcuni esempi. Anche per questo molti studiosi conferiscono una “resistenza conservatrice” al genere gotico italiano, dovuta pure al tentativo di proporre i propri modelli femminili come alternativa a quelli di altri paesi, e alla spettacolarizzazione delle torture inflitte alle protagoniste, proprio quando la donna nella società italiana riesce ad ampliare i propri diritti. Come sottolinea Di Chiara,
Nella rappresentazione delle figure mostruose protagoniste dei film, le donne vampire che offrono al protagonista maschile una torbida alternativa a fidanzate bionde ed eteree, si può leggere in filigrana il tentativo di negoziazione operato dall’intera società italiana nei confronti di diversi modelli femminili percepiti come concorrenti. Si tratta di un processo iniziato subito dopo la Liberazione, e proseguito nel corso degli anni ’50 specialmente all’interno di generi come il melodramma e la commedia: in questo contesto l’horror italiano, nato all’alba del boom, assume una posizione particolare, in quanto sembra operare una sorta di “resistenza conservatrice” nei confronti delle evoluzioni sociali e di costume.65
64 Ivi, p. 124.
E ancora:
In pratica, man mano che la donna nella società italiana riesce ad ampliare i propri diritti e la propria possibilità di azione, l’horror passa da un meccanismo narrativo nel quale si assiste al confronto tra una femminilità positiva e una negativa, a un altro incentrato sulla spettacolarizzazione di torture inflitte a personaggi femminili presentati come sessualmente perversi: in questo consiste la “resistenza conservatrice” cui si è fatto riferimento precedentemente, e che fa dell’horror italiano un genere sostanzialmente retrivo sul piano morale.66
La spettacolarizzazione delle torture inizia abbastanza presto col già citato La maschera del demonio, ma si intensifica notevolmente in un secondo periodo, dopo il film spartiacque di Robert Hampton (alias Riccardo Freda), L’orribile segreto del dottor Hichcock (1962). Solo dopo essersi arresi all’insuccesso dei film e agli incassi sempre troppo bassi, inizia una corsa verso produzioni meno costose (a eccezione de I tre volti della paura di Mario Bava, 1963) e con effetti spettacolari intensi. In Amanti d’oltretomba (Mario Caiano, 1965) il “mad doctor” Stephen Arrowsmith (Paul Murrel), scoprendo il tradimento della moglie Muriel (Barbara Steele) con uno stalliere, infliggerà ai due amanti terribili patimenti, servendosi dei suoi strumenti da laboratorio, ambiente che ritorna spesso nei film horror. La frusta e il corpo67 (di John M. Old alias Mario Bava, 1963), si misura con le passioni proibite tra la bella Nevenka (Daliah Lavi) e il cognato Kurt (Christopher Lee), all’interno di un quadro paesaggistico (il castello, la spiaggia, la tempesta) “che si rifà alla concezione romantica e gotica del Sublime come sentimento, emozione
66 Ivi, p. 17.
67 Il film è vietato ai minori di 14 anni, sequestrato il 12 ottobre 1963 e dissequestrato l’anno successivo con la confisca di alcune scene ritenute contrarie al buon costume. Cfr. R. Curti, op. cit., p. 133.
connessa al terrore e al dolore”68 e che si proietta nella relazione sadomasochistica che rispecchia perfettamente questi motivi. Ne La vergine di Norimberga (Antonio Margheriti, 1963) e ne Il boia scarlatto (Massimo Pupillo, 1965) ritroviamo ancora la stanza delle torture e i loro sadici proprietari. Quest’ultimo film in particolare, offre uno sguardo ravvicinato col mondo dei fotoromanzi di allora: una sgangherata comitiva guidata da un venale editore, finisce per caso in un tetro castello con tanto di camera delle torture annessa. Horror pulp e demenziale che ha per protagonista l’ex culturista Mickey Hargitay nel ruolo di Travis: un misogino asociale che gode nell’arrostire, strangolare e frustare le belle modelle del film.
Anche i gotici italiani della prima fase ricorrono a torture, seppur in forma meno spettacolare e condividono, nei metodi di lavorazione, il taylorismo che contraddistingueva l’Italia attraversata dal boom economico. I vampiri fu girato in soli dodici giorni e per scommessa69 (o almeno così dichiara Freda) con la grande collaborazione di Mario Bava, già direttore della fotografia, ma che negli ultimi giorni di lavorazione amplierà il proprio ruolo impostando il film col suo stile visivo e decidendo il taglio finale. Inoltre la cinematografia di Bava suggerisce visivamente la relazione tra il gotico e il mondo moderno: gli effetti speciali utilizzati creano un’associazione tra il vampiro e la tecnologia, segnando I vampiri come un film horror moderno. Per questo motivo, per molti amanti del genere, I vampiri può essere considerato un film co‐ diretto da Freda e Bava.70
68 R. Curti, op. cit., p. 93.
69 «Dissi loro che ero in grado di fare anche un film dell’orrore, impresa nella quale nessun regista italiano aveva mai a avuto il coraggio di cimentarsi. Non solo: l’avrei girato a basso costo e in pochissimo tempo[...] avevo riunito collaboratori di prim’ordine. Uno era il fotografo Mario Bava». Stefano Della Casa, Storia e storie del
cinema popolare italiano, La Stampa Editrice, Torino 2001, pp. 79‐80.
70 Il primo a sostenerlo è Tim Lucas in Black Sunday, DVD liner notes (Image Entertainment, 1999) e Stacey Abbott nel suo saggio The Vampire Transformed, in Kino eye, Vol 2, issue 18, 18 nov. 2002, disponibile anche online sul sito della rivista http://www.kinoeye.org/02/18/abbott18.php. Altro sito cinefilo sostenitore della co‐