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La rappresentazione della donna nel cinema gotico italiano, Gender Studies a confronto

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Academic year: 2021

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(1)

Indice



 
 
 
 
 
 
 Introduzione
 Error!
Bookmark
not
defined.
 Capitolo
I
 6
 Nascita
di
un
genere:
il
gotico
italiano
degli
anni
‘60
 6
 1.1
I
terrori
della
modernizzazione
sullo
schermo
 6
 1.2
Una
bottega
di
finzioni
 10
 1.3
Un
sentimento
non
morto:
Vampiri
e
vampire
del
passato.
 14
 1.4
Il
cinema
gotico
nel
contesto
sociale
 24
 Capitolo
II
 34
 Il
mostruoso
femminino
 34
 2.1
La
sessualità
nel
gotico
italiano
 34
 2.2
Analisi
di
una
differenza
 46
 2.3
Natura
 55
 2.4
Volto
 Error!
Bookmark
not
defined.
 Capitolo
III
 65
 Perturbante,
abiezione,
horror
 65
 3.1
Il
perturbante
ne
Il
mulino
delle
donne
di
pietra
 65
 3.2
Abiezione
ne
La
maschera
del
demonio
 77
 Conclusioni
 86
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 


(2)
(3)

Introduzione



 


Il
 seguente
 lavoro
 si
 pone
 come
 obiettivo
 l’analisi
 e
 l’osservazione,
 seppur
 a
 grandi
 linee,
 della
 rappresentazione
 della
 donna
 nel
 filone
 dell’horror
 italiano
 dei
 tardi
 anni
 Cinquanta
 e
 degli
 anni
 Sessanta.
 Il
 cinema
 di
 genere,
 in
 particolare
 l’horror,
 ha
 sempre
 avuto
 grande
 consenso
oltreoceano
grazie
soprattutto
alla
“stabile
fortuna
che
l’horror
 iniziava
ad
acquisire
nel
settore
dei
gender
studies
anglosassoni”,1anche
in
 ambito
 accademico.
 Il
 consenso
 italiano
 resta
 invece
 ancora
 piuttosto
 tiepido,
 nonostante
 proprio
 in
 questi
 anni
 l’editoria
 abbia
 proposto
 la
 pubblicazione
di
alcuni
importanti
testi
sul
genere
gotico.2All’interno
del
 nostro
 percorso
 di
 ricerca
 verranno
 prese
 in
 considerazione
 le
 opere
 riguardanti
la
prima
fase
dell’horror
italiano:
 dall’uscita
del
capostipite
 I
 vampiri
 di
 Riccardo
 Freda
 (1957),
 fino
 al
 1966,
 l’ultimo
 anno
 di
 una
 produzione
che
in
totale
conta
meno
di
trenta
titoli.
Il
gotico
italiano
che
 comprende
le
opere
di
Mario
Bava,
Riccardo
Freda,
Giorgio
Ferroni
e
altri
 è
un
genere
che
offre
diversi
spunti
interessanti:
i
rapporti
con
l’estero
ed
 in
 particolare
 con
 la
 casa
 di
 produzione
 britannica
 Hammer,
 le
 relazioni
 con
 il
 fumetto
 nero,
 le
 riviste,
 i
 fotoromanzi,
 l’imitazione
 di
 prodotti
 di
 successo
come
i
lavori
di
Alfred
Hitchcock,
saranno
esaminati
all’interno
 del
 primo
 capitolo.
 Il
 nostro
 maggiore
 interesse
 è
 però
 rivolto
 nei
 confronti
 della
 protagonista
 indiscussa
 del
 genere:
 la
 donna
 e
 la
 sua
 rappresentazione.
 A
 essa
 infatti
 sono
 spesso
 affidati
 personaggi
 dicotomici,
strega
o
santa,
seduttrice
o
casta,
che
svelano
le
fragili
visioni
 della
cultura
patriarcale
di
quegli
anni.
Le
figure
mostruose
protagoniste
 dei
film
hanno
quindi
un
profondo
legame
con
la
cultura
contemporanea,
 





 1
F.
Di
Chiara,
I
tre
volti
della
paura,
Il
cinema

horror
italiano
(1957‐1965),
UnifePress,
 2Possono
essere
considerati
gli
interessanti
testi
di
F.
Di
Chiara,
op.
cit.
e
R.
Curti,
 Fantasmi
d’amore.
Il
gotico
italiano
tra
cinema,
letteratura
e
TV,
Lindau,
Torino,
2011.

(4)

verso
 la
 quale
 assumono
 una
 posizione
 particolare
 in
 relazione
 ai
 cambiamenti
 sociali
 e
 di
 costume.
 Per
 sviluppare
 questi
 aspetti
 si
 è
 resa
 necessaria
 una
 metodologia
 di
 indagine
 che
 tenesse
 conto
 di
 diversi
 approcci,
dalla
filosofia,
alla
semiotica,
alla
psicanalisi,
al
femminismo.
Da
 Laura
Mulvey
che
con
Piacere
visivo
e
cinema
narrativo
“applica
a
questo
 campo
di
studi
la
teoria
della
differenza
e
la
psicanalisi”,3
a
Julia
Kristeva
 che
 col
 suo
 saggio
 Poteri
 dell’orrore 4 
offre
 una
 potente
 ricerca
 sull’abiezione
in
relazione
al
mostruoso
femminino
e
alla
maternità.



Nel
 secondo
 capitolo
 e
 terzo
 capitolo
 ci
 dedicheremo
 all’approfondimento
di
alcuni
importanti
interventi
della
scena
dei
Gender
 Studies
e
della
Feminist
Film
Theory
in
relazione
ai
personaggi
femminili
 dei
film
gotici
italiani.

 
 





 3G.
Fanara,
F.
Giovannelli
(a
cura
di),
Eretiche
ed
erotiche.
Le
donne,
le
idee,
il
cinema,
 Liguori,
Napoli
2004,
 4J.
Kristeva,
Poteri
dell’orrore4.
Saggio
sull’abiezione,
Spirali
edizioni,
Milano,
1981.
 
 


(5)

Locandina
 di
 Giuliano
 Nistri
 per
 La
 maschera
 del
 Demonio
 di
 Mario
 Bava

 (1960).



 


(6)

Capitolo
I


Nascita
di
un
genere:
il
gotico
italiano
degli
anni
‘60

 1.1
I
terrori
della
modernizzazione
sullo
schermo

 
 Legata
ad
un
palo
con
diversi
giri
di
corda,
le
mani
dietro
la
schiena,
 una
 donna
 tenta
 inutilmente
 di
 sottrarre
 al
 supplizio
 il
 proprio
 viso
 che
 esprime,
 gli
 occhi
 spalancati
 e
 le
 labbra
 chiuse,
 muto
 terrore
 e
 rassegnazione:
non
fosse
per
il
seno
sferico
e
prorompente
che
preme
da
 sotto
 le
 vesti
 sembrerebbe
 di
 trovarsi
 davanti
 alla
 raffigurazione
 del
 martirio
 di
 una
 santa,
 oppure
 del
 sacrificio
 di
 una
 vergine.
 La
 figura
 che
 avanza
 verso
 di
 lei
 è
 evidentemente
 un
 boia:
 cappuccio
 nero,
 bracciali
 di
 cuoio
 ai
 polsi,
 torace
 nudo,
 una
 pelle
 eccessivamente
 rossastra
 che
 contrasta
ancora
con
il
bianco
della
tunica
e
l’incarnato
rosa
della
donna.
 L’uomo
 brandisce
 con
 le
 mani
 alzate
 un
 terzo
 elemento,
 una
 maschera,
 anch’essa
rossa
e
dalle
fattezze
grottescamente
bestiali,
che
sul
lato
interno
 è
provvista
di
punte
acuminate.
5

La
 descrizione
 dell’effetto
 ottenuto
 da
 Giuliano
 Nistri
 per
 la
 locandina
 de
 La
 maschera
 del
 demonio
 (Mario
 Bava,
 1960),
 sintetizza
 alcune
 isotopie
 del
 cinema
 gotico
 italiano:
 tortura,
 morte,
 sessualità,
 terrore,
bestialità
e
soprattutto
la
centralità
della
figura
femminile
vittima
 o
 carnefice,
 vera
 protagonista
 del
 genere.
 Il
 film,
 diventato
 un
 cult,
 definisce
le
basi
strutturali
che
costituiranno
il
cinema
orrorifico
italiano,
 già
 inaugurato
 con
 I
 vampiri
 di
 Riccardo
 Freda
 (1957)
 che
 col
 primo
 condivideva
alcuni
aspetti.



Non
 è
 difficile,
 per
 gli
 amanti
 del
 genere,
 riconoscere,
 in
 questa
 descrizione,
 il
 prologo
 del
 film
 in
 cui
 la
 strega
 Asa
 viene
 uccisa
 con
 una
 







(7)

maschera
che
è
la
riproduzione
per
solo
viso
della
vergine
di
Norimberga.6
 Eppure,
 come
 fa
 notare
 Francesco
 Di
 Chiara,
 è
 curiosa
 la
 forte
 contraddizione
 tra
 i
 valori
 investiti
 nel
 film
 e
 la
 cartellonistica
 pubblicitaria
 dell’epoca:
 dove
 nel
 film
 la
 strega
 Asa
 esprime
 una
 forte
 sessualità
che
nulla
ha
a
che
vedere
con
toni
virginali,
appare
invece
nella
 locandina
innocente
e
sottomessa
a
un
soggetto
maschile.



L’utilizzo
 di
 tale
 immagine,
 che
 contrasta
 volutamente
 con
 la
 figura
 espressa
 nel
 film
 è
 ancora
 condizionata
 dalle
 illustrazioni
 dei
 manifesti
 anglosassoni,
 che
 propongono
 il
 medesimo
 genere
 cinematografico.
 Dal
 1955
 infatti,
 la
 britannica
 Hammer
 Film
 Productions7ritorna
 sulle
 scene
 internazionali
col
filone
horror.
Ma
sarà
il
1958,
anno
in
cui
esce
nelle
sale
 il
 film
 di
 Terence
 Fisher
 Dracula
 il
 vampiro,
 a
 decretare
 il
 successo
 commerciale
che
porterà
alla
realizzazione
di
diversi
sequel.



Il
 vero
 evento,
 quello
 che
 renderà
 immortale
 la
 Hammer
 nella
 storia
 del
 cinema,
è
la
decisione
di
riportare
sugli
schermi
gli
antichi
mostri
horror
 che
negli
anni
’30
e
’40
determinarono
il
successo
della
Universal:
Dracula,
 Frankenstein,
 La
 mummia,
 L’uomo
 lupo…Con
 l’aggiunta,
 preziosa,
 del
 colore
 e
 d’un
 nuovo
 aspetto
 esteriore
 (considerato
 che
 la
 Universal
 si
 rifiutò
di
cedere
i
diritti
e
quindi
la
possibilità
di
utilizzare
lo
stesso
tipo
di


make‐up
per
i
personaggi).8



In
 quegli
 stessi
 anni
 romanzetti,
 fumetti
 neri
 (tra
 i
 più
 famosi
 «Diabolik»),
 fotoromanzi,
 rotocalchi,
 collane
 horror,
 tascabili
 “mordi
 e
 







6Strumento
 di
 tortura
 ritenuto
 da
 molti
 falso
 e
 altrimenti
 noto
 come
 il
 bacio
 della
 “Vergine
 Maria”.
 “È
 probabile
 che
 questo
 strumento
 di
 tortura
 sia
 stato
 inventato
 in
 Spagna
nel
XVI
secolo
e
importato
in
Germania
durante
il
periodo
in
cui
Carlo
V
regnava
 su
entrambi
i
territori.”
Cfr.
G.
Riley
Scott,
Storia
della
tortura,
Mondadori,
Milano,
1999,
 p.
242.
 7La
Hammer
film
Productions
è
una
nota
casa
di
produzione
cinematografica
britannica
 nata
nel
1934
e
famosa
per
il
filone
horror.
Tra
i
suoi
nomi
più
conosciuti
ricordiamo
il
 regista
Terence
Fisher
e
l’attore,
sette
volte
dracula,
Christopher
Lee,
scritturato
anche
 in
Italia
per
il
film
demenziale
Tempi
duri
per
i
vampiri
(1958)
di
Steno
e
per
La
frusta
e
 il
corpo
(1963)
di
Mario
Bava.
 8M.
Moscati,
Breve
storia
del
cinema,
Bompiani,
Milano,
2000,
p.184.


(8)

fuggi”9invadono
 le
 edicole
 italiane
 e
 l’immaginario
 collettivo.
 Abili
 e
 agguerriti
sono
gli
scrittori
che
si
celano
dietro
una
sfilza
di
pseudonimi
 inglesi;
 storie
 intriganti
 e
 poco
 pudiche,
 reincarnazioni,
 doppi,
 torture
 e
 vampiri
 in
 chiave
 pulp
 sono
 i
 temi
 ricorrenti,
 tanto
 narrativi
 quanto
 iconografici,
di
riviste
e
fanzine.10

In
 generale
 anche
 l’assetto
 storico
 del
 cinema
 è
 ricco
 di
 fermenti
 e
 sempre
 più
 impegnato
 ad
 affrontare
 nuove
 tendenze
 culturali
 e
 tecnologiche.
 Il
 periodo
 1957‐1966
 segnò
 in
 tutta
 Europa
 l’esordio
 di
 grandi
 registi,
 l’apertura
 di
 scuole
 di
 cinema
 e
 la
 nascita
 di
 importanti
 festival.
L’Italia
del
boom
economico
vive
quindi
anch’essa
il
suo
momento
 glorioso
 e
 l’esordio
 o
 l’affermazione
 di
 grandi
 nomi
 che
 rivestiranno
 un
 ruolo
 importante
 nella
 cinematografia
 mondiale.
 All’innovazione
 degli
 autori
 già
 affermati,
 si
 aggiunsero
 nuove
 figure
 di
 artigiani
 e
 operatori,
 giovani
sceneggiatori
aperti
alle
novità
e
stimati
decani
riuniti
a
Cinecittà
 all’insegna
del
cinema
di
genere.
Come
sottolinea
anche
Roberto
Curti,
 


In
 Italia,
 […]
 il
 cinema
 popolare
 è
 in
 pieno
 ribollire,
 mentre
 la
 spinta
 neorealista
volge
al
termine
e
paga
la
stanchezza
di
un
pubblico
che,
dopo
 essersi
cosparso
il
capo
di
cenere

davanti
alle
miserie
del
paese,
domanda
 di
ricominciare
a
sognare,
e
a
trasgredire.11











9
Tra
 i
 tanti
 vanno
 almeno
 citati:
 le
 edizioni
 KKK,
 «KKK.
 I
 classici
 dell’Orrore»
 (Nel
 giugno
 1959
 esce
 il
 primo
 numero
 al
 prezzo
 di
 150
 lire
 con
 Il
 vampiro
 di
 tale
 Clay
 O’Neil);
«I
Capolavori
della
serie
KKK.
I
Classici
dell’Orrore»
(uscirà
tre
anni
dopo
con
 L’amante
gelida
di
Lyonel
Clayle);
«I
Racconti
di
Dracula»,
collana
diretta
di
Aldo
Crudo;
 «I
Racconti
del
Terrore»
della
Sansoni;
«Il
giallo
Mondadori»
storica
collana
di
classici
 noir
 e
 polizieschi
 nata
 nel
 1929
 sotto
 la
 guida
 da
 Alberto
 Tedeschi
 e
 dell’illustratore
 Carlo
 Jacono.
 È
 importante
 ricordare
 che
 vi
 sono
 alcuni
 esempi
 di
 corrispettivi
 in
 celluloide
tratti
da
romanzi,
primo
tra
tutti
La
Vergine
di
Norimberga,
Margheriti,
1963,
 “tratto
dall’omonimo
romanzo
di
Frank
Bogart
alias
Maddalena
Gui
(KKK
n.
23)”.
Non
 mancano
esempi
di
film
horror
trasposti
in
fotoromanzo,
“da
I
vampiri
(ovvero
Quella


che
voleva
amare,
 «I
 Vostri
 Film»,
 n.
 31,
 agosto
 1958)
 a
 Il
mulino
delle
donne
di
pietra


(«Super
 Star»,
 n.
 75,
 dicembre
 1960);
 la
 stessa
 «Malia
 [I
 fotoromanzi
 del
 brivido]»
 ospiterà
numerosi
gotici
italiani:
i
primi
vampireschi
di
Polselli,
Regnoli
e
Mauri,
[…].”
R.
 Curti,
op.
cit.,
p.60.



10Le
 fanzine
 erano
 “riviste
 amatoriali
 e
 autoprodotte,
 spesso
 distribuite
 in
 fotocopia
 dalla
ridotta
circolazione”.
F.
Di
Chiara,
op.
cit.,
p.
253.


(9)

Eppure,
nel
caso
dell’horror,
né
la
presa
sul
fantastico
come
evasione,
 né
 il
 recupero
 di
 “alcune
 convenzioni
 ereditate
 dalla
 tradizione
 melodrammatica
 degli
 anni
 Quaranta
 e
 Cinquanta:
 le
 passioni
 proibite,
 l’enfatizzazione
della
colpa,
il
triangolo
amoroso,
la
riabilitazione
finale”,12 avranno
 un
 riscontro
 favorevole
 tra
 il
 pubblico
 autoctono,
 che
 interpreterà
 sempre
 il
 cinema
 gotico
 italiano
 come
 estraneo
 alla
 propria
 sensibilità.
Le
relazioni
con
i
distributori
esteri
a
questo
punto
diventano
 fondamentali,
 tanto
 che
 non
 si
 potrebbe
 scindere
 la
 storia
 del
 genere
 horror
 da
 quella
 legata
 alla
 morfologia
 della
 produzione
 e
 della
 distribuzione.13Tali
relazioni
in
particolare
con
America
e
Gran
Bretagna,
 sono
 agevolate
 da
 fattori
 di
 diverso
 tipo:
 dalla
 promulgazione
 di
 nuove
 leggi
 sul
 cinema
 (già
 redatte
 nel
 dopoguerra)
 che
 restringevano
 il
 carattere
 conservatore
 tenuto
 dal
 fascismo
 aumentandone
 l’apertura
 verso
l’esterno,
ad
ammortizzatori
fiscali
che
consentivano
la
possibilità
di
 produrre
grandi
quantità
di
film
economici.14

I
 decenni
 ‘50
 e
 ’60
 italiani
 si
 rivolgono
 espressamente
 al
 mercato
 estero,
 fino
 a
 far
 diventare
 il
 nostro
 Paese
 il
 principale
 esportatore
 di
 cinema,
dopo
Hollywood.

Questo
fattore,
determinava
una
competizione
 con
la
Hammer
inglese
e
con
le
stesse
produzioni
americane,
rispetto
alle
 quali
il
nostro
cinema
si
distingueva
per
un
forte
ricorso
all’erotismo
e
alla
 violenza.
 Erotismo
 e
 violenza
 che
 sono
 anche
 tratti
 caratteristici
 del
 genere
 gotico,
 e
 che
 emergono
 nell’Italia
 del
 boom
 economico
 e
 della
 





 12D.
Toschi,
Vittima
o
carnefice?
La
rappresentazione
della
donna
nel
gotico
italiano,
in
L.
 Cardone,
M.
Fanchi,
Genere
e
generi,

figure
femminili
nell’immaginario
cinematografico
 italiano,
«Comunicazioni
Sociali»,
n.
2,
maggio‐agosto
2007,
p.
255.
 13Non
ci
occuperemo
in
questa
sede
dei
complessi
fenomeni
economici
che
articolano
la
 storia
del
cinema
del
nostro
paese
ma
per
un
quadro
più
chiaro
si
rimanda
alle
seguenti
 letture:
Guglielmo
Pescatore
(a
cura
di),
L’arte
del
risparmio:
stile
e
tecnologia.
Il
cinema


a
 basso
 costo
 in
 Italia
 negli
 anni
 Sessanta,
 Roma,
 Carocci
 2005;
 S.
 Venturini,
 Galatea
 S.p.A.
(1952‐1965).
Storia
di
una
casa
di
produzione
cinematografica,
AIRC,
Roma,
2001;


B
 Corsi,
 Con
 qualche
 dollaro
 in
 meno.
 Storia
 economica
 del
 cinema
 italiano,
 Editori
 Riuniti,
 Roma,
 2001;
 S.
 Della
 Casa,
 Una
postilla
sul
cinema
mitologico,
 in
 E.
 Magrelli
 (a
 cura
di),
Cinecittà
2.
Sull’industria
cinematografica
italiana,
Marsilio,
Venezia,
1986.
 14
Nei
 pochi
 anni
 che
 vanno
 dal
 ’57
 al
 ’65
 (date
 di
 inizio
 e
 fine
 del
 genere)
 si
 ha
 una
 produzione
di
circa
trenta
film
ascrivibili
al
genere
gotico.


(10)

crescente
 urbanizzazione
 che
 sfugge
 alla
 tradizionale
 funzione
 censoria
 dovuta
alla
presenza
della
Chiesa.15
Un’Italia
più
laica,
che
tenta
di
mettere
 in
 discussione
 le
 proprie
 tradizioni,
 “cerca
 nel
 cinema
 l’esplicazione
 dell’elemento
 erotico”16e
 la
 spregiudicatezza
 con
 cui
 verrà
 trattato,
 sarà
 un
 dato
 importante
 per
 capire
 l’importanza
 che
 hanno
 avuto
 questi
 film
 nell’aprire
 la
 strada
 ai
 generi
 successivi,
 dal
 thriller
 all’italiana
 al
 filone
 della
commedia
sexy.
 1.2
Una
bottega
di
finzioni
 
 
 Film
a
basso
costo,
copioni
scritti
a
ritmi
frenetici,
case
di
produzione
 nate
 e
 morte
 nel
 volgere
 di
 un
 solo
 film,17
nomi
 sfarzosi
 e
 di
 comodo
 “a
 millantare
 un’internazionalità
 che
 nei
 fatti
 non
 va
 oltre
 Frascati
 o
 Tor
 Caldara.
Non
essere,
ma
sembrare.
Fare
finta
di.”18



A
 volte
 tale
 meccanismo
 riesce
 a
 nascondere
 i
 natali
 di
 registi
 e
 scrittori,
 altre
 volte
 invece
 ci
 concede
 uno
 sguardo
 diverso,
 aprendosi
 come
una
scatola
per
metterci
d’innanzi
alla
realtà.
Tutto
ciò
fa
parte
dello
 spirito
 del
 cinema
 gotico
 che
 gioca
 con
 tali
 elementi
 e,
 quando
 può,
 ironizza
 su
 se
 stesso.
 Ecco
 allora
 che
 Boris
 Karloff
 introduce
 le
 tre
 macabre
 storie
 dell’orrore
 di
 I
 tre
 volti
 della
 paura
 (Mario
 Bava,
 1963),
 







15Nonostante,
 per
 certi
 versi,
 la
 censura
 sia
 meno
 puntigliosa,
 registi
 e
 sceneggiatori
 preferiscono
 non
 scherzare
 con
 i
 temi
 cattolici.
 Il
 territorio
 italiano
 pone
 dei
 confini
 troppo
 fragili
 per
 quanto
 riguarda
 la
 censura.
 Basti
 ricordare
 alcuni
 casi:
 “Federico
 Fellini
 è
 sulla
 graticola
 per
 la
 supposta
 blasfemia
 della
 sequenza
 del
 «miracolo»
 di
 La


dolce
 vita,
 Pasolini
 viene
 accusato
 di
 vilipendio
 alla
 religione
 per
 La
 ricotta,
 Brunello


Rondi
va
incontro
a
un
bel
po’
di
grane
con
Il
demonio,
e
il
Vaticano
è
in
prima
fila
nella
 battaglia
contro
le
pellicole
considerate
immorali.”
R.
Curti,
Fantasmi
d’amore,
op.
cit.,
p.
 155.
 16
Cfr.
S.
Della
Casa,
I
generi
di
profondità,
in
G.
De
Vincenti
(a
cura
di),
Storia
del
Cinema
 Italiano,
1960‐1964,
vol.
X,
Marsilio,
Edizioni
di
Bianco
e
di
Nero,
Roma‐Venezia,
2002,
 p.
302.


17
Come
 ad
 esempio
 La
 vendetta
 di
 Lady
 Morgan
 (1965)
 di
 Massimo
 Pupillo,
 risulta
 essere
l’unica
pellicola
licenziata
dalla
Morgan
Film.


(11)

stupendoci
 con
 l’ironico
 finale
 che
 svela
 l'artigianalità
 dei
 trucchi
 utilizzati:
 la
 macchina
 da
 presa
 si
 allontana
 lentamente
 dal
 galoppo
 dell’attore
 sferzato
 dai
 rami
 della
 foresta
 e
 svela
 l’azione
 di
 alcuni
 componenti
della
troupe
che,
con
delle
frasche
in
mano,
creano
l’illusione
 del
movimento
correndo
in
girotondo,
intorno
a
un
Karloff
a
cavallo
di
un
 ingegnoso
meccanismo.19

La
 finzione
 diventa
 comunque
 una
 costante
 del
 genere,
 un
 escamotage
 che
 maschera
 le
 esigue
 condizioni
 economiche
 e
 che
 nello
 stesso
tempo
tocca
diversi
ambiti
semantici
e
sintattici,
per
dirla
con
Rick
 Altman.20Un
inesistente
racconto
di
Edgar
Allan
Poe,
per
esempio,
tratto
 in
realtà
da
Roger
Corman,
diventa
il
copione
di
Danza
Macabra
(Anthony
 M.
 Dawson,
 alias
 Antonio
 Margheriti,
 1964)
 al
 fine
 di
 poter
 riciclare
 il
 costosissimo
set
cinematografico
di
Il
Monaco
di
Monza
(1963)
con
Totò.
 Per
 quanto
 riguarda
 le
 fonti
 letterarie,
 spesso
 può
 accadere
 che
 la
 derivazione
fittizia
da
un
testo
letterario
del
passato,
costituisca
un
forte
 richiamo
per
il
pubblico,
allo
stesso
modo
degli
pseudonimi
anglofoni
dei
 membri
della
troupe.
Gli
esempi
sono
molteplici,
tra
i
tanti
menzioniamo
Il
 mulino
delle
donne
di
pietra
“tratto
da
uno
pseudobiblium
come
i
Racconti
 fiamminghi
dell’inesistente
Peter
Van
Weigen”21;
I
tre
volti
della
paura
che
 sfoggiano
i
grandi
nomi
di
Maupassant,
Tolstoj
e
Čechov
ma
che
in
realtà
 celano
 le
 identità
 di
 F.
 G.
 Snyder
 per
 l’episodio
 Il
 telefono,
 A.
 K.
 Tolstoj,
 cugino,
 per
 La
famiglia
del
vurdalak
e
 una
 serie
 di
 sceneggiatori
 anziché
 Čechov,
 tra
 i
 quali
 lo
 stesso
 Bava
 e
 Alberto
 Bevilacqua,
 per
 l’episodio
 La
 goccia
 d’acqua.22
Molti,
 come
 accennato,
 sono
 i
 riferimenti
 al
 cinema
 americano
 ed
 europeo:
 L’orribile
 segreto
 del
 dottor
 Hichcok,
 richiama
 







19Questa
 immagine
 ricorderà
 a
 molti
 il
 cinema
 di
 Fellini
 con
 il
 quale
 Bava
 era
 molto
 amico.
Interessante
l’aneddoto
in
cui
si
racconta
di
quando
Bava
vide
per
la
prima
volta


Toby
 Dammit,
 episodio
 felliniano
 di
 Tre
 passi
 nel
 delirio
 (1968),
 riconoscendo
 nel


personaggio
della
bambina
con
la
palla
la
sua
“Melissa”:
una
delle
figure
più
inquietanti
 da
lui
create
per
il
film
Operazione
paura
(1966),
interpretata
da
Valerio
Valeri.


20R.
Altman,

Film/Genere,
V&P,
Milano,
2004.

 21R.
Curti,
op.
cit.,
p.51.


(12)

espressamente
 Rebecca,
 la
 prima
 moglie
 di
 Alfred
 Hitchcock.
 È
 intuibile,
 dal
 nome
 del
 protagonista,
 l’operazione
 commerciale
 che,
 attraverso
 il
 titolo,
 avrebbe
 dovuto
 attrarre
 il
 pubblico
 mediante
 il
 suo
 più
 noto
 referente.
 Gli
 elementi
 hitchcokiani
 sono
 numerosi:
 la
 morte
 prematura
 della
prima
moglie,
Margaretha
(Maria
Teresa
Vianello),
le
seconde
nozze
 di
Hichcock
con
Cynthia
(Barbara
Steele)
e
le
ossessioni
del
ricordo
della
 prima
 moglie
 che
 in
 più
 di
 un’occasione
 si
 manifesta
 attraverso
 la
 presenza
di
un
gatto
nero.
Il
mondo
di
Edgar
Allan
Poe
diventa
anch’esso
 riferimento
 importante
 e
 in
 particolare
 Il
 gatto
 nero,
 Berenice,
 Il
 cuore
 rivelatore,
Il
crollo
della
casa
degli
Usher
(che
 influenzerà
 in
 particolare
 I
 vampiri),
saranno
testi
cari
agli
sceneggiatori
del
nostro
genere.
Echi
de
Il
 cuore
rivelatore
si
hanno
nel
film
Amanti
d’oltretomba
con
l’espiantazione
 dei
 cuori
 di
 Muriel
 e
 del
 suo
 amante
 e
 nell’episodio
 La
 goccia
 d’acqua
 dove,
 il
 senso
 di
 colpa,
 che
 si
 manifesta
 col
 suono
 della
 goccia
 d’acqua,
 condurrà
 la
 protagonista
 alla
 morte.
 Tuttavia
 tra
 i
 testi
 di
 letteratura
 gotica23
che
 maggiormente
 hanno
 influenzato
 l’immaginario
 del
 vampiro
 nel
 cinema
 horror
 italiano,
 vi
 è
 sicuramente
 il
 romanzo
 di
 Sheridan
 LeFanu,
Carmilla.
 





 23Citiamo
comunque
i
primissimi
testi
in
cui
il
vampiro,
seppur
in
forma
ancora
 embrionale,
fa
la
sua
comparsa
nel
periodo
gotico:
Il
poemetto
Il
Giaurro
(1813)
di
 Byron,
The
Vampire
(1819)
di
Polidori,
Vampirismus
(1828)
di
Hoffmann,
Carmilla
 (1872)
di
LeFanu,
Dracula
(
1897)
di
Stoker.
Vampirismus
di
Hoffmann
può
essere
 considerato
tra
l’altro
il
primissimo
romanzo
sul
vampiro
femminile,
nonostante
la
 protagonista
qui
compia
atti
di
necrofagia
piuttosto
che
nutrirsi
di
sangue.


(13)

Locandina
n.2
La
maschera
del
demonio.


(14)

1.3
Un
sentimento
non
morto:
Vampiri
e
vampire
del
passato.
 
 
 
 È
Mircalla,
contessa
Karnstein,
sopra
c’è
una
piccola
corona
e,
sotto,
A.
D.
 1698.
Io
discendo
dai
Karnstein;
cioè
discendeva
la
mamma.24 Sheridan
LeFanu,
Carmilla
 
 
 Una
delle
grandi
innovazioni
del
cinema
gotico
italiano
è
quella
di
 aver
fatto
della
donna
vampiro
il
motore
immobile
di
tutto
il
filone.

 Dobbiamo
 al
 romanzo
 di
 LeFanu
 l’immagine
 moderna
 della
 vampira
 così
 come
 la
 conosciamo:
 una
 non
 morta
 dalla
 natura
 bestiale
 che
 si
 nutre
 di
 sangue,
 come
 il
 suo
 maschile,
 ma
 sessualmente
 ambigua
 e
 fortemente
 erotizzata.
 Per
 comprendere
 meglio
 l’importanza
 che
 assume
 il
 vampiro
 nel
 nostro
 cinema
 e
 in
 particolare
 poter
 territorializzare,
 come
 direbbe
 Deleuze,
 il
 romanzo
 Carmilla
 è
 necessario
far
riferimento,
seppur
in
modo
generico
e
senza
pretese,
al
 pensiero
romantico
e
alla
letteratura
gotica.
In
questo
contesto
potremo
 concederci
 la
 libertà
 di
 creare
 collegamenti
 col
 tema
 della
 rappresentazione
della
donna
trattato
all’interno
del
nostro
percorso
di
 ricerca.



Il
vampiro,
potrebbe
essere
definito
un
vero
e
proprio
archetipo:
 figura
antica
e
multiforme,
collegata
indissolubilmente
al
mondo
delle
 tenebre
 e
 della
 bestialità.
 La
 nascita
 del
 vampiro
 è
 difficile
 da
 datare,
 essendo
una
figura
del
folklore
popolare
appartenente
a
diverse
culture

 e
collocato
in
periodi
storici
abbastanza
remoti.
Certo
è
che
il
vampiro
 subirà
 molteplici
 evoluzioni
 e
 cambiamenti,
 fino
 a
 diventare
 espressione
dell’esperienza
estetica
romantica,
spirito
della
modernità.

 È
 il
 periodo
 romantico
 a
 riaprire
 “il
 circuito
 comunicativo
 col
 mondo
degli
spettri
che
era
stato
chiuso
in
quanto
superstizioso
dalla
 







(15)

critica
riformista,
prima,
e
illuminista,
poi.”25La
sensibilità
gotica
tende
 a
 realizzare
 una
 cosmicità26illimitata,
 nera,
 infinita;
 il
 fantasticare
 prevale
sull’idealizzare,
sul
finito
e
sul
limite
correlando
il
sentimento
 di
 vuoto
 e
 di
 piacere.
 Godimento
 e
 paura,
 piacere
 e
 terrore
 non
 sono
 quindi
 antitetici
 ma
 connessi
 tra
 loro.
 Il
 fantasma
 è
 la
 possibilità
 esperienziale
di
andare
oltre
il
mondo
finito
e
confrontarsi
col
vacuo
ma
 anche
il
terrore
di
rapportarsi
ad
esso.
L’immagine
del
revenant
è
quella
 di
 un
 morto,
 spesso
 oggetto
 d’amore
 perduto,
 che
 ritorna
 tramite
 un’invocazione
a
riunirsi
ad
un
vivo.
Come
scrive
Mario
Barzaghi:



In
un
primo
momentoIl
soggetto
fantastica
sulla
possibilità
della
ripresa


di
una
comunicazione
con
un
oggetto
d’amore
scomparso;
questo
però,
 quando,
infine,
viene
percepito
nella
cruda
veste
di
non
vivo,
innesca
un
 sentimento
 di
 reverenziale
 disgusto,
 di
 sublime
 repulsione,
 a
 cui
 la
 poesia
 inizia
 a
 rispondere
 in
 termini
 di
 sensibilità
 moderna,
 ovvero
 elaborando
una
tonalità
affettiva
piacevole
dello
spiacevole.27




In
una
fase
successiva,
la
relazione
affettiva
tra
lo
spettro
e
il
vivo
 diventa
più
specifica
allorché
il
revenant
acquisisca

personalità.







Per
 prima
 cosa
 il
 non
 vivo
 diviene
 non
morto
 e,
 quindi,
 dotato
 di
 una
 capacità
 fisica
 d’azione.
 In
 secondo
 luogo
 l’ambiguo
 desiderio
 del
 vivo
 viene
 integralmente
 proiettato
 sul
 suo
 oggetto:
 è
 questi
 a
 farsi
 persecutore
 di
 una
 vittima
 involontaria.
 Il
 vivo
 diviene
 desiderato
 e
 la
 sua
 condizione
 di
 soggetto
 si
 capovolge
 fantasticamente
 in
 quella
 di
 oggetto.28

 
 





 25
M.
Barzaghi,
Il
Vampiro,
o
il
sentimento
della
modernità,
Monteleone,
Vibo
Valentia,
 1996,
p.
205.
 26
Cfr.
M.
Barzaghi
,
op.
cit,
p.
198.
 27Ivi,
p.207.
Corsivo
mio.
 28Ibid.


(16)

Entro
 tale
 contesto
 si
 assiste
 ad
 una
 rielaborazione
 dell’immagine
 del
 non
 morto/vampiro
 come
 espressione
 della
 vacuità
 moderna
 e
 la
 cui
 funzione
è
perseguitare
coloro
a
cui
si
lega
affettivamente.



Il
 fantasma,29
l’oggetto
 d’amore
 scomparso
 o
 lontano,
 l’amore‐ passione,
 sono
 tematiche
 care
 alla
 concezione
 occidentale
 dell’amore.
 Basti
 pensare
 al
 lucido
 saggio
 di
 Denis
 de
 Rougemont,
 L’amore
 e
 l’Occidente,30
in
 cui
 l’autore
 sostiene
 che
 l’inizio
 di
 tale
 concezione
 nasca
 nel
 XII
 secolo
 e
 in
 particolare
 con
 il
 mito,
 antecedente
 a
 questa
 data,
 di
 Tristano
 e
 Isotta.
 Una
 delle
 tesi
 sostenute
 è
 che
 l’amore
 non
 debba
 mai
 realizzarsi
per
essere
tale.
Scrive
De
Rougemont
a
proposito


L’amore
felice
non
ha
storia.
Romanzi
ne
ha
dati
solo
l’amore
mortale,
cioè
 l’amore
minacciato
e
condannato

dalla
vita
stessa.
Ciò
che
esalta
il
lirismo
 occidentale
 non
 è
 il
 piacere
 dei
 sensi
 nella
 pace
 feconda
 della
 coppia.
 È
 meno
 l’amore
 soddisfatto
 che
 la
 passione
 d’amore.
 E
 passione
 vuol
 dire
 sofferenza.
Ecco
il
fatto
fondamentale.
31

La
 prima
 forma
 d’amore
 di
 Tristano
 e
 Isotta
 è
 mistificata
 dall’assunzione
 di
 un
 potente
 filtro
 ma,
 in
 seguito
 alla
 scadenza

 dell’incanto,
 Tristano
 si
 innamora
 davvero
 di
 Isotta
 quando
 ormai
 è
 lontana
e
la
loro
relazione
finita.
L’assenza
dell’amata
e
il
piacere
delle
 pene
 d’amore
 sono
 fondamentali
 affinché
 egli
 provi
 il
 sentimento
 amoroso.
L’ossessione
del
passato,
il
tema
della
mancanza,
il
fantasma
 della
 donna
 scomparsa,
 così
 come
 la
 donna
 del
 ritratto,32ideale










29Amanti
d’oltretomba,
I
lunghi
capelli
della
morte,
La
maschera
del
demonio,
Cinque


tombe
 per
 un
 medium,
 Il
 terribile
 segreto
 del
 dottor
 Hichcock,
 Danza
 macabra,
 La
 frusta
e
il
corpo,
Operazione
paura,
sono
alcuni
dei
titoli

in
cui
il
sovrannaturale
fa
il


suo
ingresso.



30D.
de
Rougemont,
L’amore
e
l’Occidente,
RCS
Bur
Saggi,
1998
e
2001.
 31D.
de
Rougemont,
op.
cit.,
p.57.


32Uno
degli
esempi
più
belli
di
“donne
nel
ritratto”
è
l’opera
di
Hitchcock,
Vertigo,
1958,
 dove
 tra
 l’altro
 il
 tema
 di
 Tristano
 e
 Isotta
 viene
 ripreso
 dalla
 musica
 di
 Bernard
 Herrmann.


(17)

impossibile
 da
 raggiungere,
 sono
 anche
 le
 costanti
 di
 molto
 cinema
 muto
e
noir
33ereditate
dal
cinema
gotico
italiano.



Le
 donne
 appartenenti
 a
 questi
 genieri
 sono
 dark
 lady,
 vamp,
 femme
fatale,
vampire.
In
Venturini
leggiamo:


Al
cinema,
la
dark
lady
degli
anni
quaranta
arriva
ovviamente
dopo
una
 tradizione
che
comprende
vamp
e
femme
fatale
che
procedono
la
Belle
 Epoche
 e
 mode
 déco,
 ma
 si
 afferma
 poi
 in
 piena
 autonomia
 combinandosi
 con
 la
 mescolanza
 di
 realismo
 e
 stilizzazione
 tipica
 dell’hard‐boiled.34

Dietro
 queste
 influenze
 lontane,
 possiamo
 trovare
 molte
 somiglianze
 tra
 le
 figure
 femminili
 del
 noir
 e
 del
 gotico,
 come
 la
 dark
 lady
e
le
nostre
vampire.
Entrambe
hanno
una
componente
eversiva,
di
 potenziale
scardinamento
sociale
e
familiare:
sono
“donne
insofferenti,
 ribelli,
assassine,
a
volte
psicotiche”.35
Hanno
spesso
una
omosessualità
 più
 o
 meno
 latente36
e
 si
 pongono
 sempre
 sotto
 il
 segno
 della
 menzogna.37Si
ricollegano
sotto
certi
aspetti
al
suo
opposto,
“cioè
alla
 donna
 vittima,
 protagonista
 della
 formula
 «woman
 in
 distress»,
 presente
 già
 nel
 cinema
 degli
 anni
 trenta
 e
 destinata
 a
 protrarsi
 oltre
 l’età
del
noir”.38Vittima‐carnefice,
good/bad
girl,
santa/puttana,
damsel
 in
distress/
belle
dame
sans
merci:
il
doppio
femminile
determina
ciò
 che
è
consentito
fare
e
il
suo
divieto,
sono
due
poli
antitetici.



In
 Carmilla
 di
 LeFanu,
 Laura/Carmilla
 rappresentano
 questo
 binomio.
Laura
è
una
ricca
fanciulla
di
origini
inglesi
viziata
dal
padre.
 







33Non
a
caso
furono
proprio
migranti
tedeschi,
tra
i
quali
Fritz
Lang,
a
contribuire
alla
 nascita
di
questo
genere.


34
R.
 Venturini,
 L’età
 del
 noir.
 Ombre,
 incubi
 e
 delitti
 nel
 cinema
 americano,
 1940‐60,
 Einaudi,
Torino,
2007,
p.36.
 35R.
Venturini,
op.
cit.,
p.37.
 36Cosi’
veniva
rappresentata
la
Brigid
O’Shaughnessy
di
Il
falcone
maltese,
romanzo
di
 Dashiell
Hammett
che
costituirà
un
modello
fondamentale
della
dark
lady.

 37
Questi
punti
verranno
approfonditi
in
seguito.

 38
Ibid.


(18)

Carmilla
è
la
sua
splendida
ospite,
arrivata
lì
per
caso
su
una
carrozza.
 Carmilla
e
Laura
stringono
subito
un
forte
legame,
quasi
un
sottile
patto
 perverso
 che
 lascia
 trasparire
 la
 sua
 radice
 sentimentale.
 In
 Carmilla
 giunge
 ormai
 chiaro
 che
 “il
 perverso
 sentimento
 della
 melanconia
 è
 il
 vero
protagonista
della
rappresentazione
poetica
della
modernità.”39

Il
 vampiro
 Carmilla
 e
 la
 sua
 giovane
 compagna
 sono
 unite
 dal
 vincolo
 dell’ospitalità;
il
loro
rapporto
è
interno
a
tale
vincolo
in
cui
esse
sono
 vicine,
 anzi,
 appunto,
 di
 già
 unite
 da
 un
 solo
 destino
 affettivo:
 vi
 è
 un
 oggetto
ed
è
amato
ed
odiato,
temuto
e
desiderato;
esso
è
un
ospite
ed
è
 un
 intruso.
 In
 questo
 modo
 LeFanu
 raggiunge
 un
 livello
 superiore
 di
 trattazione
 della
 forma
 moderna
 di
 oggettività
 rispetto
 a
 quello
 che
 incontriamo
in
Polidori.
Laura,
la
giovane
vittima,
potrebbe
ormai
dire:
 «Io
sono
l’oggetto
del
mio
piacevole
terrore,
io
ne
sono
l’ospite».40

È
 difficile
 comprendere
 chi
 sia
 effettivamente
 Carmilla
 e
 quale
 rapporto
intrattenga
con
la
giovane
compagna.
Ci
è
chiaro
solo
quando
 dinnanzi
al
ritratto
di
una
nobildonna,
che
assomiglia
perfettamente
a
 Carmilla,
 ella
 vi
 riconosce
 Mircalla,
 contessa
 Karnstein
 dalla
 quale
 discende.
Nell’ambito
del
fantastico,
Carmilla
è
Mircalla,
vissuta
alla
fine
 del
 XVII
 secolo,
 che
 torna
 per
 reclamare
 il
 sangue
 della
 sua
 ultima
 discendente.41

Questi
 topoi
 sono
 ripresi
 in
 parte
 da
 I
 vampiri,
 Amanti
 d’oltretomba,
Un
angelo
per
Satana,
I
lunghi
capelli
della
morte,
La
cripta
 e
l’incubo
e
in
maniera
chiarissima
in
La
maschera
del
demonio
dove
la
 strega/vampiro
Asa
torna
a
reclamare
il
sangue
della
discendente
Katia.
 
 





 39M.
Barzaghi,
Il
Vampiro,
o
il
sentimento
della
modernità,
Monteleone,
Vibo
Valentia,
 1996,
p.
221.
 40Ibid.
 41Tra
Laura
e
Carmilla
c’è
anche
un
legame
psichico
molto
forte,
le
due
donne
sono
 infatti
la
stessa
persona,
in
quanto
sono
l’unica
figlia
di
una
stessa
madre.
 


(19)
(20)


Ne
I
vampiri
questa
formula
è
ancora
allo
stato
embrionale,
poiché,
il
 doppio
 femminile
 è
 qui
 rappresentato
 da
 una
 sola
 figura,
 quella
 della
 contessa

Du
Grand,
che
attraverso
delle
trasfusioni
di
sangue,
riacquista
 la
 giovinezza
 e
 la
 beltà.
 Giselle
 e
 la
 contessa
 Du
 Grand
 sono
 quindi
 la
 stessa
 persona:
 una
 trasformazione
 voluta
 affinché
 possa
 operarsi
 la
 vendetta
nei
confronti
del
discendente
di
un
passato
amore.
La
duchessa
 tra
 l’altro
 mantiene
 vivo
 il
 ricordo
 del
 suo
 amato,
 attraverso
 un
 ritratto
 che
 saluta
 amorevolmente
 al
 ritiro
 nelle
 sue
 stanze,
 dopo
 la
 festa.
 In
 Amanti
 d’oltretomba
 invece
 il
 dottor
 Arrowsmith
 ha
 dei
 rapporti
 con
 la
 vecchia
 cameriera
 Solange,
 ringiovanita
 dopo
 la
 morte
 della
 moglie,
 sempre
attraverso
delle
trasfusioni
di
sangue.
Qui
il
ricordo
della
moglie
 Muriel
 è
 testimoniato
 da
 due
 cuori
 in
 altorilievo
 posizionati
 sopra
 la
 tomba.
Un
angelo
per
Satana
rievoca
il
ricordo
e
la
presenza
dell’antenata
 dalla
quale
discende
Harriet,
attraverso
la
statua
nuda
e
sensuale
 che
la
 raffigura.
 Anche
 in
 L’orribile
 segreto
 del
 dottor
 Hichcock
 e
 ne
 Il
 mulino
 delle
 donne
 di
 pietra
 vengono
 effettuate
 trasfusioni,
 nel
 primo
 per
 ringiovanire
ancora
e
nel
secondo
per
mantenere
Helfi
in
vita.
Un
ritratto,
 come
 accennato,
 di
 Margaretha
 evocherà
 la
 presenza
 della
 moglie
 scomparsa
nel
film
di
Freda,
mentre
in
Danza
macabra
il
ritratto
di
Julia
 che
 si
 muove,
 crea
 l’effetto
 vertiginoso
 e
 la
 perdita
 di
 equilibrio
 nel
 protagonista.
Anche
in
Bava
il
ritratto
è
un
“punto
di
congiunzione
tra
vivi
 e
defunti,
è
il
mezzo
con
cui
il
passato
tenta
di
sopraffare
e
vampirizzare
il
 presente,
per
annullarlo
e
ricondurlo
a
sé”.42In
La
maschera
del
demonio,
 il
 regista
 raddoppia
 il
 ritratto
 di
 Asa:
 uno,
 socialmente
 accettato,
 la
 raffigura
 assieme
 a
 Javutic
 nella
 sala
 grande
 del
 castello
 e
 un
 altro,
 nascosto
nell’intimità
dei
sotterranei,
la
rappresenta
nuda,
sensuale
come
 una
Eva
tentatrice.
Altro
ritratto
significativo
è
quello
che
in
Operazione
 paura
ritrae
l’immagine
della
piccola
Melissa
accanto
al
teschio,
“come

 







(21)

Locandina
de
Il
mulino
delle
donne
di
pietra
di
G.
Ferroni
(1960).


(22)

una
 versione
 demente
 di
 una
 delle
 Meninas
 di
 Velàzquez”.43Ne
 Il
 mulino
 delle
 donne
 di
 pietra
 “il
 ritratto”
 sarà
 invece
 un
 elemento
 di
 raccordo
narrativo
che
unirà
la
sorte
della
modella
di
accademia
Annelore
 e
il
lavoro
pseudo
artistico
del
prof.
Gregorius
Wahl.
Quest’ultimo
insegna
 pittura
 nella
 stessa
 accademia
 e
 utilizza
 il
 suo
 sapere
 per
 mummificare
 giovani
 
 vittime,
 assassinate
 al
 fine
 di
 mantenere
 in
 vita
 la
 figlia.
 Un
 macabro
marchingegno
con
carillon
nel
mulino,
permette
inoltre
la
sfilata
 dei
cadaveri
trasformati
in
statue
dal
professore.
Un
mad
artist
che,
come
 il
personaggio
del
mad
doctor,

lavora
sui
corpi
delle
donne
mutandone
la
 natura.


Il
 testo
 di
 LeFanu
 è
 comunque
 il
 romanzo
 specchio
 del
 nostro
 cinema:
in
Danza
macabra
(Antonio
Margheriti,
1964),
La
cripta
e
l’incubo
 (Thomas
Miller,
alias
Camillo
Mastrocinque,
1964),
Un
angelo
per
Satana
 (Camillo
 Mastrocinque,
 1966),
 Cinque
 tombe
 per
 un
 medium
 (Massimo
 Pupillo,
1965),
le
relazioni
saffiche
riflettono
i
caratteri
del
romanzo
e
ne
 estendono
i
confini.
In
particolare
sarà
il
film
di

Mastrocinque
del
’64
ad
 essere
 il
 più
 fedele
 a
 Carmilla.
 Ne
 La
 cripta
 e
 l’incubo
 Laura
 accoglie
 Ljuba/Carmilla
 che
 si
 rivela
 essere
 il
 vampiro
 e
 la
 piega
 alla
 propria
 volontà
seduttiva.
La
storia
di
Mastrocinque,
gioca
bene
con
le
atmosfere
 oniriche
 e
 l’aspetto
 dei
 personaggi
 invertendo
 i
 colori
 e
 le
 sembianze
 somatiche
 delle
 due
 donne
 rispetto
 alle
 descrizioni
 del
 romanzo44e
 ai
 cliché
 della
 sensualità
 sedimentati
 nella
 società:
 all’immagine
 sensuale,
 corvina
 e
 mediterranea
 di
 Adriana
 Ambesi
 sarà
 affidato
 il
 personaggio
 melanconico
e
languido
di
Laura,
qui
dipinta
come
una
damsell
in
distress,
 mentre
 bionda,
 pallida
 e
 dall’aspetto
 virginale
 sarà
 Ljuba
 (Ursula
 Davis
 alias
 Pier
 Anna
 Quaglia),
 vampira
 menzognera,
 celata
 dietro
 a
 modi










43
Ivi
p.65.


44Nel
 romanzo
 è
 invece
 Carmilla
 ad
 essere
 descritta
 come
 una
 fanciulla
 dalla
 pelle
 splendida
 e
 dai
 lunghi
 capelli
 castani
 e
 lucenti,
 mentre
 Laura
 appare
 bionda
 ed
 emaciata.


(23)

gentili.45C’è
dietro
questo
mascheramento
il
doppio
intento
di
stupire
lo
 spettatore
 e
 di
 creare
 più
 ambiguità
 nella
 figura
 di
 Ljuba,
 i
 quali
 intenti
 sono
percepiti
falsi
e
bugiardi.


Eppure,
le
atmosfere
che
Mastrocinque
introduce
nel
suo
film,
sono
 diverse
da
quelle
che
respiriamo
nel
romanzo
di
Le
Fanu:


Se
le
pagine
di
Le
Fanu
si
situano
nel
pieno
del
dibattito
ottocentesco
sulla
 condizione
 della
 donna,
 un
 altro
 è
 lo
 sguardo
 sul
 corpo
 e
 sulla
 sessualità
 femminile
 nell’Italia
 affamata
 di
 novità
 e
 di
 pelle
 nuda
 dei
 primi
 anni
 ’60.
 Nel
 gotico
italiano
il
lesbismo
è
visto
non
come
forza
squassante
(quale
invece
era
 nei
confronti
dell’ortodossia
vittoriana
per
Le
Fanu),
bensi’
come
lasciapassare
 per
 il
 voyerismo,
 e
 in
 quanto
 tale
 rappresentato
 con
 compiaciuta
 indulgenza
 tutta
maschile.46

Ancora
 secondo
 Curti,
 Ljuba
 e
 come
 lei
 Julia
 (Danza
 macabra)
 e
 Harriet
 (Un
 angelo
 per
 Satana),
 non
 sono
 “particelle
 virali”47volte
 a
 sgretolare
 le
 sicurezze
 della
 società
 patriarcale,
 come
 in
 Le
 Fanu,
 ma
 un
 pretesto
 per
 “accondiscendere
 alla
 curiosità
 di
 un
 pubblico
 in
 cerca
 di
 emozioni
proibite,
e
che
associa
l’horror
alla
messa
in
scena
di
perversioni
 più
o
meno
bizzarre.”48Tuttavia,
al
di
là
delle
motivazioni
più
o
meno
volte
 al
 raggiungimento
 di
 incassi
 alti,
 le
 donne
 del
 gotico
 introducono
 la
 possibilità
di
un
ribaltamento
dei
ruoli.



Nel
gotico
italiano
si
sviluppa
un
fenomeno
divistico
al
femminile
che
 “esalta
 la
 dimensione
 immaginifica
 legata
 all’inconscio”49e
 ne
 libera
 desideri
rimossi
e
tabù.
Come
in
letteratura
il
termine
«gotico»
dava
l’idea
 di
 caos,
 eccesso
 e
 esagerazione,
 contrapponendosi
 a
 «classico»,
 cosi’
 il
 cinema
 gotico
 ne
 riprende
 i
 parametri
 e
 opta
 per
 ambientazioni
 del
 





 45Sulla
relazione
tra
il
testo
di
LeFanu
e
il
film
di
Mastrocinque
si
rimanda
alla
lettura
di
 R.
Curti,
op.
cit.,
p.
143.
 46R.
Curti,
op.
cit.,
p.145‐146
 47
Definizione
di
Roberto
Curti,
p.
146.

 48Ibid.
 49
Ivi,
p.
118.


(24)

passato
romantico
o
vittoriano,
come
nei
film
della
Hammer.50
Con
le
sue
 atmosfere
 oniriche,
 ambientazioni
 arcaiche,
 castelli,
 passaggi
 segreti,
 luoghi
spettrali
che
predispongono
a
esperienze
soprannaturali,
il
gotico
 gioca
 con
 le
 paure
 e
 i
 fantasmi
 della
 società
 mettendo
 in
 scena
 vizio,
 perversione,
violenza.

L’attenzione
è
però
tutta
posta
su
“un’estetica
del
 corpo
 
 femminile
 e
 della
 violenza
 applicativi
 del
 mostruoso”,51
sui
 corpi
 trasgressivi
delle
donne
che
abitano
il
genere
e
evocano
“lo
spettro
della
 disgregazione
 sociale”,
52mettendo
 in
 discussione
 i
 valori
 fondanti
 della
 società
italiana,
la
famiglia,
la
sessualità,
il
potere
maschile.
Il
femminino
 del
gotico
attrae
e
respinge,
domina
e
schiavizza,
guarda
l’uomo
dall’alto
 in
basso
minandone
il
modello
patriarcale.



A
 differenza
 dei
 tanti
 Maciste
 che
 rispondevano
 all’avvento
 della
 visione
virile
fascista,
nel
gotico,
l’uomo
è
l’elemento
passivo,
destinato
a
 soccombere
 all’irresistibile
 potere
 della
 seduzione,
 lasciandosi
 vampirizzare,
come
il
dottor
Kruvajan
da
Asa,
nel
mirabile
lavoro
di
Bava.
 Il
sentimento
associato
all’immagine
femminile
è
quindi
ambivalente
nella
 cultura
e
tradizione
italiana:
“seduzione
e
terrore,
desiderio
e
ribrezzo”53 per
le
“ammirabili
belve
del
genere”.54
 1.4
Il
cinema
gotico
nel
contesto
sociale
 
 
 L’horror
italiano,
con
il
suo
immaginario
“alieno”
rispetto
alla
cultura
 nazionale
(atmosfere
oniriche
ambientate
in
un
imprecisato
Nord
Europa
 di
epoca
vittoriana)
ha
comportamenti
intertestuali
complessi
che
vanno
 





 50
Cfr.
Ivi,
p.
87.
 51F.
Pitassio,
L’orribile
segreto
dell’horror
italiano,
in
G.
Manzoli,
G.
Pescatore
(a
cura
di),


L’arte
 del
 risparmio:
 stile
 e
 tecnologia.
 Il
 cinema
 a
 basso
 costo
 in
 Italia
 negli
 anni
 Sessanta,
Carocci,
Roma,
2005,
p.
34.


52Ivi,
p.
117.


53R.
Curti,
op.
cit.,
p.118.


(25)

dall’imitazione
 dei
 successi
 contemporanei,
 alle
 influenze
 del
 cinema
 americano
 (primo
 fra
 tutti
 Hitchcock)
 e
 del
 cinema
 classico
 europeo
 (ad
 esempio
 il
 cinema
 di
 Dreyer).55
Eppure
 esso
 sembra
 avere
 un
 legame
 profondo
 con
 la
 contemporaneità
 ed
 essere
 inevitabilmente
 legato
 ai
 cambiamenti
 sociali
 e
 culturali
 del
 periodo.
 In
 generale,
 ciò
 è
 valido
 per
 tutto
il
cinema
di
genere
di
quegli
anni:
peplum,
melodramma,
gotico
e
il
 successivo
western.56
 Scrive
Stefano
della
Casa:
 
 I
generi
di
profondità
[…]
presentano
una
loro
componente
politica,
capace
 di
mostrare
in
controluce
alcune
delle
tensioni
e
delle
contrapposizioni
che
 stanno
 maturando
 nel
 tessuto
 sociale
 e
 che
 si
 tradurranno
 in
 aperta
 conflittualità
con
il
movimento
studentesco
alla
fine
degli
anni
’60
e
con
le
 rivendicazioni
sindacali
dell’inizio
del
decennio
successivo.57



Come,
 per
 esempio,
 “Il
 cinema
 di
 Ercole
 e
 Maciste
 è
 il
 genere
 popolare
più
diffuso
nel
periodo
di
transizione
dall’Italia
agricola
all’Italia
 







55Cfr.
F.
Di
Chiara,
I
tre
volti
della
paura,
Il
cinema

horror
italiano
(1957‐1965),
op.
cit.,
p.
 14.
Ne
I
Vampiri,
si
fa
omaggio
a
Vampyr
(1932)
di
Dreyer
attraverso
la
scelta
di
dare
lo
 stesso
 nome
 dell’insofferente
 e
 vampirizzata
 Giselle
 al
 personaggio
 creato
 da
 Freda,
 Giselle
Du
Grand.


56Un
 approccio
 interessante
 sulle
 influenze
 tra
 generi
 e
 il
 contesto
 culturale
 in
 cui
 si
 sviluppano
è
quello
di
“paragonare
il
genere
al
mito
e
di
trattare
i
generi
come
le
attuali
 personificazioni
del
mito”
(R.
Altman,
Film/Genere,
V&P,
Milano,
2004,
p.
34.)
Gli
studi
 degli
 antropologi
 strutturalisti
 come
 Lévi
 Strauss
 e
 Vladimir
 Propp
 hanno
 influenzato
 l’approccio
sincronico
di
Matthew
Arnold,
T.S.
Eliot
e
Northrop
Frye
che
presupponeva
 che
 i
 testi
 fossero
 “estrapolati
 dal
 tempo
 e
 posti
 in
 un
 deposito
 atemporale,
 come
 se
 fossero
 tutti
 contemporanei”
 (Ivi,
 pp.
 33‐34),
 proponendo
 un
 modello
 dove
 le
 somiglianze
 tra
 i
 testi
 possono
 essere
 riconosciute.
 In
 Film/Genere
 di
 Rick
 Altman
 leggiamo:
“Per
Bazin
«il
western
nacque
dall’incontro
tra
mitologia
e
un
(nuovo)
mezzo
 espressivo».
 Altman
 afferma
 che
 il
 musical
 modella
 un
 mito
 a
 partire
 dal
 rituale
 americano
del
corteggiamento».
Schatz
confessa
che,
«in
ultima
analisi,
la
relazione
tra
 la
 produzione
 di
 film
 di
 genere
 e
 la
 creazione
 di
 miti
 a
 livello
 culturale
 appare
 significativa
 e
 diretta».
 Will
 Wright
 precisa:
 «il
 western,
 pur
 essendo
 collocato
 nella
 moderna
 società
 industriale,
 rappresenta
 un
 mito
 tanto
 quanto
 i
 miti
 tribali
 degli
 antropologi».”
(Ibid.)
Tuttavia
tale
approccio
non
è
pienamente
condiviso
da
Altman
che
 anzi
ritiene
che
i
generi
esistano
nella
storia
e
che
“i
film
di
un
certo
genere
non
devono
 solo
 rassomigliarsi,
 bensì
 differenziarsi.”
 (Ivi,
 p.
 36.).
 Nonostante
 ciò,
 tali
 approcci
 restano
affascinanti
e
stimolano
la
ricerca
di
un
percorso
in
tal
senso,
anche
per
il
gotico
 italiano.



(26)

industriale
 che
 si
 sta
 definitivamente
 affermando
 negli
 anni
 ’60”,58allo
 stesso
 modo,
 i
 temi
 legati
 alla
 sessualità
 e
 l’accentramento
 della
 figura
 femminile
demonizzata
e
torturata
nel
cinema
gotico,
possono
svelare
le
 inquietudini
 e
 le
 ansie
 di
 un’epoca
 di
 passaggio
 rivolta
 verso
 il
 cambiamento
 dei
 ruoli
 della
 donna
 e
 all’ottenimento
 dei
 suoi
 diritti.59Il
 cinema
 gotico,
 figlio
 dei
 primi
 anni
 sessanta,
 si
 sviluppa
 quindi
 su
 un
 humus
sociale
florido
di
trasformazioni,
vitalità
e
paure.



Nel
 ’65
 con
 l’uscita
 del
 film‐documentario
 Comizi
 d’amore60
di
 Pier
 Paolo
Pasolini,
ci
si
ritrova
davanti
al
ritratto
di
un
paese
contraddittorio
e
 arretrato,
uno
spaccato
di
Italia
divisa
e
poco
evoluta,
non
ancora
in
grado
 di
 affrontare
 senza
 vergogna
 un
 confronto
 sul
 tema
 della
 sessualità
 e
 ancora
 molto
 legato
 a
 pregiudizi
 patriarcali.
 Ecco
 perché
 l’isotopia
 della
 sessualità,
nel
cinema
di
quegli
anni,
riveste
un’importanza
fondamentale:
 il
genere
gotico
e
le
sue
componenti,
ci
consentono
di
individuare
alcune
 operazioni
 culturali
 di
 rimozione
 e
 di
 riconoscimento
 della
 figura
 femminile
 nel
 contesto
 dei
 cambiamenti
 sociali,
 e
 di
 fare
 emergere
 contraddizioni
e
tabù
di
un
paese
fortemente
legato
alla
cultura
cattolica.
 Necrofilia,
 incesto,
 lesbismo
 sono
 alcuni
 dei
 temi
 fondanti
 ai
 quali
 si
 accompagnano
 le
 tematiche
 sovrannaturali
 del
 vampirismo,
 del
 fantasma/doppio,
della
strega.
Per
comprendere
l’intertestualità
di
questi
 elementi
semantici,
e
le
loro
relazioni,
legate
inestricabilmente
al
soggetto
 femminile,
i
gender
studies
diventano
il
linguaggio
preferenziale,
al
fine
di
 capire
i
meccanismi
di
stigmatizzazione
della
“donna=mostro”.
61 
 





 58Ivi,
p.
317.
 59Basti
pensare
che
in
Italia
alcuni
fondamentali
diritti
si
ottengono
relativamente
tardi
 rispetto
al
resto
d’Europa:
il
primo
febbraio
1945
viene
concesso
il
diritto
di
voto
alle
 donne,
 il
 primo
 dicembre
 1970
 si
 ha
 la
 legge
 sul
 divorzio
 e
 il
 22
 maggio
 1978
 l’attivazione
della
legge
194.



60Comizi
 d’amore
 (1965)
 è
 un
 film
 documentario
 diretto
 da
 Pier
 Paolo
 Pasolini
 e
 prodotto
 da
 Alfredo
 Bini.
 Il
 film
 esamina
 da
 vicino,
 attraverso
 varie
 domande
 poste
 dall’autore,
 il
 parere
 degli
 italiani
 e
 delle
 italiane
 circa
 sessualità,
 amore
 e
 buon
 costume.


61Rimandiamo
al
capitolo
successivo
un
approfondimento
su
alcuni
studi
femministi
e
 di
genere
applicati
al
cinema
gotico
italiano.


(27)

Locandina
de
L’orribile
segreto
del
dr.
Hichcock
di
R.
Freda
(1962).


(28)

Negli
 anni
 di
 La
 dolce
 vita
 e
 del
 Boom,
 della
 commedia
 all’italiana
 finalmente
libera
dalle
pastoie
democristiane
e
capace
di
graffiare
a
fondo
 nell’immaginario
 di
 un
 paese
 che
 si
 sente
 ricco
 e
 «arrivato»,
 il
 gotico
 sembra
rappresentare
una
bolla
atemporale,
un
rinchiudersi
a
riccio
fuori
 dal
mondo
e
dal
tempo,
già
dalla
scelta
del
bianco
e
nero
come
elemento
 suggestivo
e
passatista.
In
realtà
non
può
evitare
di
farsi
portatore,
a
suo
 modo,
dei
mutamenti
nel
costume
e
nella
cultura,
e
delle
ansie
che
a
questi
 sottendono.62 
 In
un
paese
dove
ancora
verginità
e
onore
sono
due
valori
resistenti,
 la
 svedese
 e
 bionda
 Anita
 Ekberg,
 coi
 suoi
 bagni
 nella
 fontana,
 e
 la
 britannica
 e
 corvina
 Barbara
 Steele,
 coi
 suoi
 grandi
 occhi,
 sono
 le
 due
 straniere
che,
portando
scompiglio,
si
prestano
a
diventare
il
nuovo
sogno
 erotico
 italiano.
 Per
 “un
 immaginario
 maschile
 limitato
 e
 credulone
 che
 procede
 per
 stereotipi
 ed
 elementari
 associazioni”,63le
 due
 dive
 non
 possono
 che
 incarnare
 un’idea
 di
 forte
 eccesso
 e
 di
 trasgressione.
 All’immagine
 delle
 dive
 nostrane,
 alle
 quali
 sono
 affidati
 i
 ruoli
 delle
 popolane:
Lollobrigida,
Sofia
Loren
e
i
primi
film
della
Cardinale,
Barbara
 Steele
 regina
 dell’horror,
 restituisce
 un’idea
 di
 irraggiungibilità
 perturbante,
 determinata
 anche
 dalla
 sua
 natura
 ultraterrena
 che
 ne
 rende
quasi
impossibile
il
rinserimento
nel
sociale
e
ne
prevede
quindi
la
 morte.
La
strega,
pur
intrigante
che
sia,
non
può
sopravvivere
nell’ordine
 sociale
italiano.



All’eroe,
 che
 pure
 è
 attratto
 dall’aspetto
 seducente
 della
 perdizione,
 toccherà
scegliere
tra
le
due
incarnazioni
del
femminino:
angelo
e
diavolo,
 santa
 e
 puttana,
 secondo
 uno
 schema
 ereditato
 dal
 melodramma.
 E
 al
 momento
della
scelta
non
potrà
che
ripiegare
sulla
purezza,
sull’illibatezza
 –
 i
 valori
 della
 tradizione
 e
 del
 focolare
 domestico‐
 in
 un’implicita,
 e
 autopunitiva,
 rinuncia
 ai
 piaceri
 della
 sensualità:
 a
 conferma
 di
 come
 la
 







62R.
Curti,
op.
cit.,
p.119.
 63
Ivi,
p.120.


(29)

cultura
popolare
tragga
linfa
dalle
incongruenze
che
punteggiano
i
costumi
 del
paese.


Come
ha
catalizzato
gli
impulsi
dello
spettatore,
agevolandone
le
fantasie,
 così
la
componente
orrorifica
si
incarica
di
riportarlo
con
i
piedi
per
terra:
 la
 catarsi
 vale
 anche
 come
 richiamo
 all’ordine,
 lo
 shock
 visivo
 fa
 da
 bromuro.64

Gli
uomini
del
genere
preferiscono
le
streghe
ma
sposano
le
sante:
le
 passive
Katia
(La
maschera
del
demonio),
Liselotte
(Il
mulino
delle
donne
di
 pietra),
 Laurette
 (I
 vampiri),
 Jenny
 (Amanti
 d’oltretomba),
 Cynthia
 (L’orribile
 segreto
 del
 dottor
 Hichcock),
 sono
 alcuni
 esempi.
 Anche
 per
 questo
 molti
 studiosi
 conferiscono
 una
 “resistenza
 conservatrice”
 al
 genere
 gotico
 italiano,
 dovuta
 pure
 al
 tentativo
 di
 proporre
 i
 propri
 modelli
 femminili
 come
 alternativa
 a
 quelli
 di
 altri
 paesi,
 e
 alla
 spettacolarizzazione
 delle
 torture
 inflitte
 alle
 protagoniste,
 proprio
 quando
 la
 donna
 nella
 società
 italiana
 riesce
 ad
 ampliare
 i
 propri
 diritti.
 Come
sottolinea
Di
Chiara,


Nella
 rappresentazione
 delle
 figure
 mostruose
 protagoniste
 dei
 film,
 le
 donne
 vampire
 che
 offrono
 al
 protagonista
 maschile
 una
 torbida
 alternativa
 a
 fidanzate
 bionde
 ed
 eteree,
 si
 può
 leggere
 in
 filigrana
 il
 tentativo
di
negoziazione
operato
dall’intera
società
italiana
nei
confronti
 di
 diversi
 modelli
 femminili
 percepiti
 come
 concorrenti.
 Si
 tratta
 di
 un
 processo
iniziato
subito
dopo
la
Liberazione,
e
proseguito
nel
corso
degli
 anni
 ’50
 specialmente
 all’interno
 di
 generi
 come
 il
 melodramma
 e
 la
 commedia:
 in
 questo
 contesto
 l’horror
 italiano,
 nato
 all’alba
 del
 boom,
 assume
una
posizione
particolare,
in
quanto
sembra
operare
una
sorta
di
 “resistenza
 conservatrice”
 nei
 confronti
 delle
 evoluzioni
 sociali
 e
 di
 costume.65











64Ivi,
p.
124.


(30)

E
ancora:
 


In
pratica,
man
mano
che
la
donna
nella
società
italiana
riesce
ad
ampliare
 i
 propri
 diritti
 e
 la
 propria
 possibilità
 di
 azione,
 l’horror
 passa
 da
 un
 meccanismo
narrativo
nel
quale
si
assiste
al
confronto
tra
una
femminilità
 positiva
e
una
negativa,
a
un
altro
incentrato
sulla
spettacolarizzazione
di
 torture
 inflitte
 a
 personaggi
 femminili
 presentati
 come
 sessualmente
 perversi:
 in
 questo
 consiste
 la
 “resistenza
 conservatrice”
 cui
 si
 è
 fatto
 riferimento
 precedentemente,
 e
 che
 fa
 dell’horror
 italiano
 un
 genere
 sostanzialmente
retrivo
sul
piano
morale.66

La
spettacolarizzazione
delle
torture
inizia
abbastanza
presto
col
già
 citato
 La
 maschera
 del
 demonio,
 ma
 si
 intensifica
 notevolmente
 in
 un
 secondo
 periodo,
 dopo
 il
 film
 spartiacque
 di
 Robert
 Hampton
 (alias
 Riccardo
 Freda),
 L’orribile
 segreto
 del
 dottor
 Hichcock
 (1962).
 Solo
 dopo
 essersi
 arresi
 all’insuccesso
 dei
 film
 e
 agli
 incassi
 sempre
 troppo
 bassi,
 inizia
una
corsa
verso
produzioni
meno
costose
(a
eccezione
de
I
tre
volti
 della
 paura
 di
 Mario
 Bava,
 1963)
 e
 con
 effetti
 spettacolari
 intensi.
 In
 Amanti
 d’oltretomba
 (Mario
 Caiano,
 1965)
 il
 “mad
 doctor”
 Stephen
 Arrowsmith
 (Paul
 Murrel),
 scoprendo
 il
 tradimento
 della
 moglie
 Muriel
 (Barbara
 Steele)
 con
 uno
 stalliere,
 infliggerà
 ai
 due
 amanti
 terribili
 patimenti,
 servendosi
 dei
 suoi
 strumenti
 da
 laboratorio,
 ambiente
 che
 ritorna
spesso
nei
film
horror.
La
frusta
e
il
corpo67(di
John

M.
Old
alias
 Mario
Bava,
1963),
si
misura
con
le
passioni
proibite
tra
la
bella
Nevenka
 (Daliah
Lavi)
e
il
cognato
Kurt
(Christopher
Lee),
all’interno
di
un
quadro
 paesaggistico
 (il
 castello,
 la
 spiaggia,
 la
 tempesta)
 “che
 si
 rifà
 alla
 concezione
 romantica
 e
 gotica
 del
 Sublime
 come
 sentimento,
 emozione










66
Ivi,
p.
17.


67Il
film
è
vietato
ai
minori
di
14
anni,
sequestrato
il
12
ottobre
1963
e
dissequestrato
 l’anno
successivo
con
la
confisca
di
alcune
scene
ritenute
contrarie
al
buon
costume.
Cfr.
 R.
Curti,
op.
cit.,
p.
133.


(31)

connessa
 al
 terrore
 e
 al
 dolore”68
e
 che
 si
 proietta
 nella
 relazione
 sadomasochistica
 che
 rispecchia
 perfettamente
 questi
 motivi.
 Ne
 La
 vergine
 di
 Norimberga
 (Antonio
 Margheriti,
 1963)
 e
 ne
 Il
 boia
 scarlatto
 (Massimo
Pupillo,
1965)
ritroviamo
ancora
la
stanza
delle
torture
e
i
loro
 sadici
 proprietari.
 Quest’ultimo
 film
 in
 particolare,
 offre
 uno
 sguardo
 ravvicinato
col
mondo
dei
fotoromanzi
di
allora:
una
sgangherata
comitiva
 guidata
da
un
venale
editore,
finisce
per
caso
in
un
tetro
castello
con
tanto
 di
 camera
 delle
 torture
 annessa.
 Horror
 pulp
 e
 demenziale
 che
 ha
 per
 protagonista
 l’ex
 culturista
 Mickey
 Hargitay
 nel
 ruolo
 di
 Travis:
 un
 misogino
 asociale
 che
 gode
 nell’arrostire,
 strangolare
 e
 frustare
 le
 belle
 modelle
del
film.



Anche
i
gotici
italiani
della
prima
fase
ricorrono
a
torture,
seppur
in
 forma
 meno
 spettacolare
 e
 condividono,
 nei
 metodi
 di
 lavorazione,
 il
 taylorismo
 che
 contraddistingueva
 l’Italia
 attraversata
 dal
 boom
 economico.

I
vampiri
fu
girato
in
soli
dodici
giorni
e
per
scommessa69(o
 almeno
così
dichiara
Freda)
con
la
grande
collaborazione
di
Mario
Bava,
 già
 direttore
 della
 fotografia,
 ma
 che
 negli
 ultimi
 giorni
 di
 lavorazione

 amplierà
 il
 proprio
 ruolo
 impostando
 il
 film
 col
 suo
 stile
 visivo
 e
 decidendo
 il
 taglio
 finale.
 Inoltre
 la
 cinematografia
 di
 Bava
 suggerisce
 visivamente
 la
 relazione
 tra
 il
 gotico
 e
 il
 mondo
 moderno:
 gli
 effetti
 speciali
 utilizzati
 creano
 un’associazione
 tra
 il
 vampiro
 e
 la
 tecnologia,
 segnando
I
vampiri
come
un
film
horror
moderno.
Per
questo
motivo,
per
 molti
 amanti
 del
 genere,
 I
 vampiri
 può
 essere
 considerato
 un
 film
 co‐ diretto
da
Freda
e
Bava.70









68
R.
Curti,
op.
cit.,
p.
93.


69«Dissi
 loro
 che
 ero
 in
 grado
 di
 fare
 anche
 un
 film
 dell’orrore,
 impresa
 nella
 quale
 nessun
 regista
 italiano
 aveva
 mai
 a
 avuto
 il
 coraggio
 di
 cimentarsi.
 Non
 solo:
 l’avrei
 girato
 a
 basso
 costo
 e
 in
 pochissimo
 tempo[...]
 avevo
 riunito
 collaboratori
 di
 prim’ordine.
 Uno
 era
 il
 fotografo
 Mario
 Bava».
 Stefano
 Della
 Casa,
Storia
 e
 storie
 del


cinema
popolare
italiano,
La
Stampa
Editrice,
Torino
2001,
pp.
79‐80.

70
Il
 primo
 a
 sostenerlo
 è
 Tim
 Lucas
 in
 Black
 Sunday,
 DVD
 liner
 notes
 (Image
 Entertainment,
1999)
e
Stacey
Abbott
nel
suo
saggio
The
Vampire
Transformed,
in
Kino
 eye,
 Vol
 2,
 issue
 18,
 18
 nov.
 2002,
 disponibile
 anche
 online
 sul
 sito
 della
 rivista
 http://www.kinoeye.org/02/18/abbott18.php.
 Altro
 sito
 cinefilo
 sostenitore
 della
 co‐

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