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di Marshall W o l f e

Immagini dello sviluppo

È da oltre venticinque anni che i dirigenti politici della maggior parte dei paesi vanno appoggiando l'idea dello sviluppo come tema centrale della politica governativa, affermando che tutti i popoli hanno il diritto di svilupparsi, così come la capacità per farlo. Teorici e pratici di tendenze svariate hanno esplorato le basi e le ripercussioni di questa posizione, che si è diffusa per vie diverse. Migliaia di specialisti derivano ormai i propri mezzi di vita dallo sviluppo. Questo prolungato interesse per lo sviluppo non ha però fatto progredire il mondo verso un accordo definitivo né su ciò che è lo sviluppo, né sul come deve essere raggiunto. È strano che posizioni e punti di vista diversi continuino a coesistere e a influenzarsi, malgrado le dimostrazioni della loro mutua incom-patibilità o della loro incongruenza con l'esperienza ormai denunciate in numerose pubblicazioni polemiche e critiche. Quasi nessuna delle idee sullo sviluppo che erano in voga circa venticinque anni fa è stata screditata defi-nitivamente — almeno a giudicare dalla frequenza con cui ricorrono nelle dichiarazioni politiche —, però al loro fianco sono apparse concezioni assai diverse, molte delle quali derivano da interpretazioni del cambiamento delle società precedenti al diffondersi del termine « sviluppo ». Le circostanze in cui si realizza il dibattito internazionale sullo sviluppo producono l'eclettismo, la facile accettazione di novità superficiali, l'indecisione di fronte a scelte definite e l'oblìo delle esperienze passate. Di fatto, il dibattito consiste in gran misura in affermazioni rituali o in un dialogo tra sordi.

Da questo dibattito possono dedursi varie concezioni dello sviluppo e angoli visuali totalmente differenti. Le differenze si raggruppano attorno alle que-stioni seguenti: a) immagini dell'ordine internazionale e del suo ruolo nello

Il presente articolo è stato originariamente pubblicato nel Boletin Econòmico de

América Latina, voi. XVIII, n. 1-2, 1973 (periodico della Comisión Econòmica para

América Latina, Santiago, Cile) con il titolo « Desarrollo: imàgenes, concepciones, criterios, agents, opciones ». L'A. è attualmente Direttore della Divisione dello Sviluppo Sociale del CEPAL.

sviluppo nazionale; b) immagini delle strutture sociali nazionali esistenti e dei rapporti di potere; c) immagini caratterizzate da giudizi di valore sulla società futura che si spera possa sorgere dal processo di sviluppo; d) natura degli agenti sui quali si fa affidamento affinché dirigano o promuovano lo sviluppo; e) scelte che hanno gli agenti per cercare di passare dal presente insoddisfacente al futuro desiderato. Logicamente, le concezioni e i punti di vista adottati riguardo alle ultime due questioni devono derivare da quelli adottati in rapporto alle altre. In pratica possono non corrispondere molto strettamente.

Il primo punto suggerisce tre immagini possibili dei rapporti internazionali per quanto riguarda lo sviluppo: un corteo, una piramide vivente e una corsa verso un pozzo senza fondo.

La prima immagine ha presieduto le attività degli organismi burocratici e di ricerca internazionali; di consulenti e promotori professionisti; dei rapporti, risoluzioni, e raccomandazioni dedicati alle proposizione che i governi sono entità razionali, bene intenzionate e conseguenti, ansiose di progredire verso 10 « sviluppo », la « modernizzazione » e la « giustizia sociale » e che aspet-tano solamente che qualcuno dica loro come farlo; che, infine, da qualche parte, esiste il sentiero della verità che può essere loro indicato. Che i manuali prodotti dai meccanismi internazionali a quanto pare non li abbiano ancora posti sul retto cammino, significa che deve essere mancata qualche istruzione essenziale. In tal modo i manuali per lo sviluppo diventano sempre più com-plessi e generici. Si magnifica la « pianificazione » come un'entità mistica che risolverà tutti i problemi una volta che venga concepita correttamente: « la pianificazione deve prestare più attenzione a... »; « la pianificazione deve essere generale... »; « la pianificazione stabilisce... permette... dispone... », secondo le formulazioni dei rapporti internazionali. La supposizione della razionalità e della benevolenza effettiva o potenziale dei governi unisce i paesi ad alto reddito e quelli a basso reddito nella ricerca dello sviluppo. Se quelli ancora non hanno fatto quanto necessario per aiutare questi, lo faranno ben presto, in quanto viene loro dimostrato in forme convincenti che ciò coincide sia con 11 loro dovere che con il loro interesse.

La concezione dello sviluppo è lineare. Si riassume nella parola d'ordine « serrate le file ». Immaginiamo un corteo disordinato di paesi. I primi avan-zano comodamente e tranquillamente già all'interno delle frontiere della Terra Promessa. Alcuni paesi al centro marciano rapidamente, cercando di vincere la fatica e di ignorare la fame e i piedi doloranti, vedendo come comincia a restringersi la distanza che li separa dai primi. Un maggior numero di paesi, più piccoli e più deboli, si allontanano sempre di più dall'avanguardia, mentre inviano disperati messaggi verso la testa della colonna: « adempite al vostro dovere: aiutateci a marciare più rapidamente ». Chi grida e si strazia per la frustrazione, chi invece si ferma, vinto da una apatia disperata.

I manuali generalmente criticano alcune misure prese dai primi nel pas-sato; il « costo umano » è stato elevato senza necessità. Suggeriscono approcci fondati su questa esperienza, però principalmente danno per scontato non solo che la direzione presa dall'avanguardia era quella giusta per i suoi propri interessi, ma che è anche conveniente e possibile per coloro che seguono.

Suggeriscono la seconda immagine le opinioni di molti sociologi e studiosi di scienze politiche, e di alcuni economisti che rifiutano o non apprezzano il chiasso per i manuali dello sviluppo universalmente applicabili, e che mettono in dubbio la capacità della maggioranza dei governi nazionali e dello stesso ordine internazionale a generare processi che giustifichino le speranze che si sono poste nell'espressione « sviluppo ». Da questo punto di vista i processi di sviluppo seguiti dai paesi che attualmente hanno un alto reddito pro-capite non sono validi oggi per il resto del mondo, salvo limitate eccezioni. In realtà, i paesi ad alto reddito, hanno potuto svilupparsi in gran misura grazie alla loro capacità di sfruttare e dominare gli altri, e sotto mentite spoglie questa continua ad essere una verità di ogni giorno. Fino a che le loro attuali strut-ture economiche e politiche si manterranno tali, saranno incapaci per natura di aiutare gli altri paesi a raggiungere il loro livello. I modelli da loro offerti attraggono il resto del mondo verso una strada senza uscita, indebolendo le capacità nazionali di prendere le decisioni necessarie per una sviluppo autentico e autonomo.

Quindi, il sistema mondiale è rappresentato da una piramide vivente, piut-tosto che da un corteo: i paesi che stanno in cima sono capaci di salire sempre di più perché si appoggiano sopra le spalle di coloro che stanno più in basso. Siccome la piramide è una struttura vivente, essa si trova in continuo movimento: quelli che stanno in basso cercano di scappare, mentre quelli che stanno più in alto cercano di bloccarli al posto dove si trovano mediante combinazioni che vanno dalla forza all'inganno, dalle minacce agli incentivi. Quelli che stanno in alto si appoggiano gli uni agli altri, però allo stesso tempo ognuno cerca di alzarsi al di sopra delle spalle degli altri. Ogni tanto un gran terremoto scuote tutta la piramide quando la concorrenza al vertice diviene violenta e aumentano le opportunità per quelli di sotto di salire o di fuggire. Per quelli che ora si trovano vicino alla base della piramide, lo sviluppo presuppone la distruzione di tutta la struttura e la sua sostituzione con rap-porti egualitari e cooperativi tra le unità. Questa immagine piramidale del sistema internazionale per solito si accompagna ad una immagine simile delle strutture di potere all'interno dele singole unità. Si può concludere o meno che i modelli di consumo e di produzione dei paesi che ora stanno nella parte superiore della piramide sono irraggiungibili o non convenienti per gli altri; in ogni modo, si persegue una maggiore importanza del controllo governativo della produzione, in forme collettive di consumo e nell'equa distribuzione di

beni e servizi per continuare la trasformazione delle strutture piramidali na-zionali ed internana-zionali.

Assume rapidamente importanza una terza immagine che nega le premesse fondamentali comuni alle altre due rispetto alla possibilità e alla convenienza dell'aumento a lungo termine della produzione e del consumo, e della capa-cità illimitata dell'innovazione tecnologica di risolvere i problemi. Le risorse naturali sono limitate; la degradazione dell'ambiente, inseparabile da qualun-que sforzo prolungato per aumentare i livelli di produzione e di consumo di una popolazione mondiale in continua crescita, porta il disastro ecologico; la speranza che le società a basso reddito abbiano un giorno risorse e capacità produttive sufficienti per raggiungere i livelli attuali di benessere materiale delle società ad alto reddito, è assurda; queste ultime periranno e trascineranno il resto dell'umanità con loro se non trasformano le loro aspettative e i loro modi di vita. Questa immagine, presentata all'inizio da specialisti in demo-grafia ed ecologia, si sta diffondendo nell'opinione pubblica con grande rapi-dità, sostenuta dalla notorietà sempre maggiore di sottoprodotti non desiderati della crescita economica e demografica. In altri ambienti, specialmente nel-l'opinione pubblica delle società che più lottano per « serrare le file » o inse-rirsi nella piramide, ingenera, come naturale, frustrazione e rifiuto.

Secondo questa diagnosi, il corteo si dirige non verso la Terra Promessa, ma verso un pozzo senza fondo. La lotta piramidale ha luogo su sabbie mobili, quelle che ingoieranno tutti i contendenti, tanto più rapidamente quanto più si sforzeranno di uscirne. L'unica speranza è quella di contenere sia il corteo che la lotta, stabilendo priorità completamente diverse per l'attività umana, ottenendo che la crescita demografica sia zero, curando le risorse e subordinando la produzione e il consumo al mantenimento di un equilibrio ecologico a lungo termine.

Queste tre immagini riassumono una grande varietà di correnti di opinioni, per la maggior parte autentiche. I componenti del gruppo vanno da chi crede ciecamente nella pianificazione econometrica e nel massimo incremento degli investimenti produttivi, fino ai profeti e promotori dello « sviluppo delle risorse umane », « sviluppo di comunità », « motivazione alla riuscita », ecc. Il minimo comune denominatore è la fede nella razionalità e nelle buone intenzioni potenziali dei governi nazionali e dell'ordine internazionale. Nel secondo gruppo troviamo sia le varie scuole di marxisti rivoluzionari — che aspirano alla trasformazione simultanea dell'ordine internazionale e del con-trollo nazionale dei mezzi di produzione come requisiti preliminari per uno sviluppo equo su scala mondiale —, sia i « realisti » preoccupati delle possi-bilità di sopravvivenza, di manovra e di aumento della capacità di negozia-zione nazionale o di classe, all'interno di strutture di dominanegozia-zione e di dipen-denza che si considerano permanentemente e strutturalmente paralizzanti e

non eque. Il minimo comune denominatore è la preoccupazione per questioni di potere e per la identificazione di forze sociali capaci di dirigere lo svi-luppo. Nel terzo gruppo militano sia chi crede che possano sorgere e sorge-ranno società umane più felici e più creative sulla base di una trasformazione dei valori attuali, sia i profeti dell'ecatombe inevitabile di tutta la razza umana. Il minimo comune denominatore è il rifiuto della possibilità e della conve-nienza di continuare ad aumentare indefinititamente la popolazione e la pro-duzione.

Il primo gruppo predomina ancora in campo internazionale, però molti denotano che va perdendo fiducia in se stesso e che viene contagiato sempre di più dalle preoccupazioni espresse dagli altri gruppi. L'eclettismo e l'ansia di soddisfare tutti gli interessi capaci di farsi sentire negli incontri internazio-nali, caratteristici in questo campo, li rendono vulnerabili a questo contagio. Ogni volta di più i governi vengono spinti a fare cose differenti e a farle meglio che nel passato. I portavoce ufficiali denunciano la corruzione, il burocraticismo, la distribuzione diseguale e la dipendenza esterna, e promet-tono che i loro rispettivi governi cambieranno indirizzo. Le dichiarazioni sulla necessità di far fronte alle realtà di potere internazionali e nazionali, di cercare appoggio sulla base degli interessi di determinate classi e in determi-nate politiche di sviluppo, fanno parte dei preamboli dei piani di sviluppo economico. Si comincia a riconoscerne ufficialmente e in modo esplicito, per quanto a denti stretti, la necessità di limitare la popolazione e di conservare le risorse, così come i pericoli e l'inutilità del produrre per produrre.

Ci sono chiari limiti alla capacità delle organizzazioni intergovernamen-tali o dei governi nazionali di determinare logicamente e obiettivamente la conseguenza delle molte varianti delle tre immagini, e scegliere in conseguenza un quadro politico armonico. È un compito difficile per gli specialisti in studi sullo sviluppo, il cui status dipende dalla realtà di qualcosa che si possa identificare come « sviluppo », sulla base della quale possano consigliare utilmente i governi ed effettuare ricerche orientate alle formulazioni di poli-tiche. È compito ancora più difficile per i dirigenti politici e per gli ammini-stratori. Che succederà se lo Stato, tale come è costituito ora nei paesi ricchi e nei paesi poveri, è incapace per natura di portare avanti lo sviluppo dei paesi poveri mediante un'azione razionale, bene intenzionata e pianificabile, o se quello che finora è stato considerato come sviluppo porta al disastro? Che funzione rimarrà al teorico e al consulente dello sviluppo? Chi dovrà consigliare, se ha da farlo? Può mantenere la speranza di formulare idee o criteri di sviluppo che corrispondano a processi di cambiamento reali, possibili e convenienti; che siano suscettibili di intervento governativo razionale a van-taggio del benessere umano, e che siano comprensibili, per lo meno come base per discutere possibili linee di azione, a persone il cui punto di vista risente della influenza di una delle tre immagini?

Criteri per uno stile di sviluppo

Nei primi anni dell'interesse internazionale per lo sviluppo, chi lo proponeva dava per scontato quasi universalmente, anche se con diversi gradi di insi-stenza e di disposizione ad ammettere l'importanza di altri fattori, che il suo elemento centrale consisteva nell'incrementare la produzione per abitante, principalmente mediante l'industrializzazione, e che ciò richiedeva l'aumento massimo del tasso di investimento « produttivo ». Questo punto di vista dava per scontato, esplicitamente o implicitamente, che i paesi industrializzati ad alto reddito sono « sviluppati », che questa è una situazione invidiabile e che il resto del mondo può raggiungerla. I sostenitori dello sviluppo potevano avere dubbi rispetto alla capacità dei paesi meno favoriti a svilupparsi me-diante l'industrializzazione, ma poiché l'unica alternativa sembrava quella di continuare ad essere poveri e arretrati, tali incertezze nell'atmosfera di consenso sul diritto universale a svilupparsi, venivano escluse dal dibattito pubblico intergovernativo.

Oggi questa concezione dello sviluppo è stata criticata ripetutamente e da vari punti di vista; prestarle altra attenzione sarebbe come sfondare una porta aperta. Malgrado tutto, continua ad essere ostinatamente sostenuta da parte di molti dirigenti politici, pianificatori e imprenditori, e il considerarla come una alternativa da rifiutare a sua volta condiziona la forma in cui altre correnti di opinione cercano concezioni più soddisfacenti di sviluppo. Esse si appoggiano al fatto che tendere esclusivamente all'obiettivo della crescita economica è risultato controproducente. In realtà, gli ultimi venticinque anni offrono pochissimi esempi convincenti di paesi che sono stati capaci di perse-guire esclusivamente la crescita economica durante un qualsiasi periodo di tempo, anche se ci possono essere stati molti dirigenti politici e pianificatori che hanno creduto di farlo. Una impostazione di questo tipo richiede una combinazione eccezionale di forza e di continuità del regime politico, di dotazione di risorse e di una congiuntura internazionale favorevole. Nei pochi casi in cui questi requisiti sono stati presenti, la concentrazione sulla crescita economica non è stata controproducente, né per se stessa né per gli interessi dei gruppi che controllano il processo, benché i risultati siano suscettibili di critica dal punto di vista del benessere umano e dei valori egalitari, e anche malgrado il dubbio sulle possibilità di controllare a lungo termine le tensioni derivanti.

Negli attacchi all'identificazione dello sviluppo con la crescita economica, si mescolano comunemente varie tesi: i costi umani sono troppo alti; i risultati sono inevitabilmente non equi; il tipo di « società dei consumi » a cui conduce è indesiderabile per natura, benché si riducano le ineguaglianze; le resistenze della società e le incompatibilità strutturali ostacoleranno o per-turberanno la stessa crescita economica, a meno che nel modello di sviluppo

si ponga in primo piano il cambiamento della società; le relazioni internazio-nali sono incompatibili con l'industrializzazione completa dei paesi ora arre-trati. A volte i sostenitori di orientamenti diversi dello sviluppo sembrano ispirati a premesse di valore quando respingono come criterio esclusivo quello della « crescita economica »; però nello stesso tempo sembrano far ricorso ad argomenti « pratici » per cercare di convincere i dirigenti politici e i pianificatori che essa non darà alcun risultato. A volte gli stessi pianificatori partono dal tentativo di comprendere o evitare gli « ostacoli sociali » pratici, ai quali si attribuisce la responsabilità dell'insuccesso delle loro strategie di crescita economica, e allora introducono premesse di valore per rafforzare i loro argomenti in favore dei cambiamenti strutturali necessari.

Gli ultimi incontri internazionali danno l'impressione che le varie impo-stazioni siano penetrate solo superficialmente nel pensiero dei dirigenti politici e nell'opinione pubblica della maggioranza dei paesi. Persiste infatti il pre-supposto che tutti i paesi possano scegliere realmente tra « il concentrarsi sulla crescita economica » (imitando le prime tappe dei paesi già sviluppati) o equilibrare la crescita economica (che si suppone essenziale in ogni caso) mediante l'assegnazione di ampie risorse a servizi sociali e varie misure di ridistribuzione del reddito (imitando le tappe successive adottate dai paesi già sviluppati). Questi presupposti sono compatibili con ognuna delle prime due immagini sopra descritte, per quanto gli agenti e le strategie siano diversi. Sono invece totalmente incompatibili con la .terza immagine; si può osser-vare d'altra parte che si delinea un'altra divisione, anche se in embrione, tra le politiche che sottolineano l'importanza di impedire una maggiore cre-scita economica e quelle che sottolineano l'esigenza di distribuzione e di benessere di una società che non si preoccupa dello sviluppo economico.

Nella ricerca di concetti più adeguati rispetto a ciò che è lo sviluppo e del perché lo si voglia, è necessario insistere per una chiara distinzione tra due usi legittimi dell'espressione « sviluppo », ed è insieme necessario mante-nere un nesso tra le interpretazioni che da questi derivano:

a) Lo sviluppo consiste in processi di crescita e di cambiamento

sistema-ticamente in rapporto tra loro, in società delimitate dalle frontiere degli stati nazionali, però in alto grado interdipendenti su scala mondiale. Questi processi manifestano molte uniformità e sequenze prevedibili, ma anche caratteristiche uniche per ciascun paese o società, derivate dalla storia, dai tratti e valori culturali, dalla misura del territorio e dall'entità della popolazione, dalla dota-zione di risorse, dalla struttura sociale e dai rapporti interni di potere, dalla posizione nel sistema internazionale, ecc. Ogni società dispone di una varietà più o meno limitata di scelte, e di una capacità più o meno limitata di operare tali scelte. In qualsiasi momento la capacità politica di operare le scelte tra

le varie possibili può essere o meno compatibile con le possibilità reali di sviluppo, e tanto la capacità di scegliere quanto la varietà di possibilità stanno permanentemente cambiando. In questo senso, l'unica alternativa generale allo sviluppo è la stasi o la decadenza. In momenti diversi, lo sviluppo può arrivare ad essere più o meno spontaneo o soggetto a decisioni razionali di tipo politico o alla pianificazione; J D Ì Ù O meno conflittuale o pacifico; più o meno egalitario o inegalitario; più o meno orientato all'investimento o ai consumi; più o meno autonomo o dipendente sul piano razionale. Può anche essere suscettibile di fallimento a causa di contraddizioni interne, o attuabile a lunga scadenza: ma non si vede alcun motivo valido per supporre che un modello nazionale di sviluppo possa continuare all'infinito senza esaurire le proprie possibilità e senza scontrarsi con il fallimento o la trasformazione. In questo senso lo sviluppo è inequivocabilmente sviluppo della società; a scopo di analisi si possono trattare separatamente gli aspetti economici, sociali,

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