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Parallelamente all’emergenza dei gesti referenziali si assiste alla produzione, da parte del bambino, delle prime parole: «anche se prima dei 12 mesi erano già presenti suoni vocalici che potevano sembrare parole (la cosiddetta lallazione) è solo dopo un anno di età che il bambino comincia ad utilizzare questi suoni per riconoscere, categorizzare, nominare oggetti» (Volterra e Bates 1995). Dobbiamo sottolineare che le prime parole non sono veri e propri simboli, il loro uso, inizialmente, è stretta- mente collegato a situazioni di routine e per questo si definisce non referenziale. «Ad esempio, inizialmente, il bambino pronuncia le prime espressioni vocali solo per accompagnare i suoi schemi d’azione, cioè mentre sta compiendo lui stesso una determinata azione su determinati oggetti (ad es., dice ciao giocando con il telefo- no o papà mentre si volge o va verso il padre che entra dalla porta). In un secondo momento, il bambino usa le parole anche per anticipare o ricordare questi suoi schemi d’azione (ciao, usato un’attimo prima di giocare con il telefono; papà, è corso poco prima incontro al padre). Infine, il bambino si serve delle parole anche fuori del loro contesto abituale per categorizzare nuove persone, oggetti o eventi (ciao, usato anche quando qualcuno entra o esce da una stanza, porta via qualcosa, ecc.; papà, per nominare il padre anche in sua assenza, o talvolta in riferimento ad altre figure maschili che vede per la prima volta)» (Caselli 1995: 250). Il primo periodo dell’ac- quisizione lessicale procede con un ritmo piuttosto lento, poiché il bambino sembra impegnarsi non tanto sulla quantità delle nuove parole, quanto sui meccanismi che regolano e permettono l’acquisizione stessa. A 16 mesi circa, si assiste ad un profondo mutamento del ritmo di acquisizione delle nuove parole: il bambino passa da una produzione di circa 50 parole, alle 130 circa dei 19-21 mesi ed infine alle 441 parole

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dei 28-30 mesi, come indicano i dati riportati in Caselli e Casadio (1995). Questo periodo viene anche denominato «esplosione lessicale», in quanto il bambino nomina spontaneamente tutto ciò che conosce senza più bisogno di sollecitazioni da parte dell’adulto e si mostra interessato alla produzione di nuovi vocaboli. In questo stesso periodo si assiste anche all’aumento delle parole “predicative o relazionali” come ad esempio i verbi; ciò non avviene solo tramite l’acquisizione di parole nuove, ma anche grazie ad un nuovo uso delle vecchie parole. Prendiamo per esempio la parola “cane”; in un primo momento, il bambino produce questa parola in situazioni di routines: leggendo un libro che contiene la figura del cane, o in risposta a particolari domande. In una seconda fase il bambino, invece, continuerà ad usare la parola “cane”, ma con una funzione proto-predicativa: ad esempio, indicando un oggetto come la ciotola del cibo dell’animale. In questo caso, “cane” assume il significato di “appartiene al cane”. Questo fenomeno si colloca in quello che viene definito periodo «olofrastico»: un arco di tempo, durante il quale il bambino, pur pronunciando una sola parola alla volta, è in grado di esprimere un significato più complesso. Una stessa parola può acquisire il significato di “frasi” anche molto diverse tra loro.

..

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Già nel periodo olofrastico il bambino mostra la capacità linguistica di combinare due o più simboli tra loro. Secondo Scollon (1978) la costruzione della frase da parte del bambino si sviluppa in due fasi: la prima denominata «verticalizzazione», si colloca proprio nel periodo olofrastico, la seconda, invece, corrisponde alla combinazione di due o più elementi nello stesso turno dialogico ed emerge attorno ai 18-24 mesi.

Caselli e Casadio (1995) riportano un esempio di costruzione verticale, nel quale analizzando in verticale il dialogo tra madre e bambino, si può ricavare un prototipo di frase:

Madre: andiamo

Bambino: bimbi

Madre: sì, andiamo al giardino dai bimbi Bambino: palla

Madre: sì, portiamo la palla

«La capacità di combinare simboli appare strettamente collegata allo sviluppo del vocabolario verbale; in letteratura si parla di “soglia minima”, cioè di un numero mini- mo di parole senza aver raggiunto i quali il bambino non sarebbe in grado di combinare, ma tale numero, non è determinato con certezza per la presenza di un’alta variabilità individuale» (Caselli e Casadio 1995: 27). Possiamo inoltre distinguere tra due diversi tipi di stile di acquisizione: esistono bambini olistici, che pur possedendo un repertorio di parole limitato, producono enunciati di più parole e bambini analitici, che possie- dono invece un vocabolario più ampio. Ann Peters (1977) distingue uno stile analitico e uno stile gestaltico nello sviluppo della lingua materna. Lo stile analitico è usato per assolvere a funzioni referenziali, per la costruzione di concetti lessicali, ecc.; lo stile gestaltico è il tentativo di usare interi enunciati in una situazione socialmente appro- priata, dunque in contesti conversazionali. Peters sostiene che può esistere una variazio-

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ne individuale fra i bambini riguardo alla predominanza dello stile, forse da mettere in relazione anche al tipo di input che il bambino riceve, ed avanza l’ipotesi che il bambino analitico riceva discorsi chiari dalle persone con cui stabilmente interagisce; il bambino gestaltico, invece, riceverebbe dati conversazionali più rapidi. Ma può accadere anche che uno stesso bambino usi o l’uno o l’altro stile a seconda delle situazioni: in particolare lo stile gestaltico per le funzioni sociali e lo stile analitico per le funzioni referenziali, specificamente le nominazioni (Brandi 1996). La differenza fondamentale consiste nel fatto che i primi si esprimono con frasi fatte (per esempio: va via, ecco mamma, ecc.), che appaiono come delle riproduzioni di enunciati memorizzati per intero, in quello stile olistico di pertinenza dell’emisfero cerebrale destro e non frasi analizzate nelle loro parti componenti; i bambini analitici, invece, producono combinazioni di parole non rigide, costituite da parole già in precedenza analizzate ed usate come parole singole, in sostanza frasi processate dall’emisfero cerebrale sinistro. Quando compaiono le prime combinazioni di due o più parole, nel periodo dai 18 ai 24 mesi circa, iniziano a mani- festarsi anche le prime abilità grammaticali. I primi enunciati del bambino hanno un carattere telegrafico, ovvero consistono, quasi esclusivamente, nell’uso di nomi, verbi ed in misura minore aggettivi ed avverbi. Sono enunciati privi, per lo più, di elementi grammaticali come i pronomi, gli articoli, le preposizioni, le congiunzioni, la copula ed i verbi ausiliari. Un tipico esempio di queste produzioni sono:

• atto pu (= il gatto è andato via),

• otto brum brum (= la macchinina è rotta),

• nonna chiai (= gli occhiali sono di nonna) (Devescovi e Pizzuto 1995).

Dal punto di vista quantitativo, un indice da tenere in considerazione per l’analisi dello sviluppo morfosintattico della produzione del bambino è la crescita della LME (Lunghezza Media dell’Enunciato). Si tratta di un indice piuttosto affidabile dello sviluppo grammaticale ed intende per enunciato ogni sequenza di parole preceduta e seguita da silenzio o da cambio di turno conversazionale, a prescindere dalla sua strut- tura grammaticale. La LME non è in grado, tuttavia, di mettere in evidenza le carat- teristiche strutturali degli enunciati, che a parità di lunghezza, possono avere struttura assai diversa, occorre dunque associare una descrizione dello sviluppo frasale.

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