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Il tasso di rendimento dei contributi in un sistema a ripartizione

Sergio Nisticò

4. Il tasso di rendimento dei contributi in un sistema a ripartizione

Si immagini una ipotetica economia in cui i membri di ogni generazione vivo- no due periodi di uguale lunghezza, uno da attivi e l’altro da pensionati, e che, con la nascita di un sistema pensionistico obbligatorio a contribuzione definita, ad ogni generazione attiva sia imposto di risparmiare una quota prefissata del reddito corrente per finanziare le pensioni da corrispondere alla coorte ‘anziana’. È intuitivo che, mantenendo costante nel tempo la quota di reddito da destinare obbligatoriamente al risparmio previdenziale, le entrate dell’ente (il gettito con- tributivo) crescono nella stessa percentuale con cui cresce il reddito degli attivi.

Si può dimostrare che la variazione percentuale del reddito complessivo degli at- tivi da un periodo all’altro fornisce la misura del ‘tasso d’interesse’ con cui un si- stema a ripartizione può remunerare i contributi pagati degli attivi nel rispetto della sostenibilità finanziaria. Un esempio può servire a chiarire questo punto. Si immagini che la popolazione corrente sia costituita da 1000 individui, 400 dei quali sono pensionati e 600 attivi; si immagini inoltre che il reddito medio annuo degli attivi sia pari a 100 euro e che il risparmio previdenziale obbligatorio sia pa- ri al 40% del reddito cosicché, riscuotendo 40 euro da ciascun dei 600 lavoratori

2 Si veda, ad esempio, S.GRONCHI AND S.NISTICÒ, The Theoretical Foundations of NDC Pension Schemes, in Metroeconomica, 2008, vol. 58, 2, 131-159.

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attivi, si potranno erogare ai 400 pensionati del periodo corrente prestazioni complessive per 2400 euro. Si supponga poi che nessuno dei 400 pensionati del periodo corrente sopravviva un ulteriore anno, contrariamente ai 600 lavoratori attivi che sopravvivono tutti, da pensionati, nel periodo successivo. Se, ipotizzan- do ad esempio un aumento del 50%, da 600 a 900, del numero di lavoratori attivi a parità di reddito medio, il reddito complessivamente prodotti nel periodo suc- cessivo aumenterebbe anch’esso del 50%, da 6000 a 9000 euro, e il risparmio previdenziale obbligatorio del 40% produrrebbe un gettito contributivo pari a 3600 euro capaci di finanziare pensioni di pari importo ai 600 neopensionati. Pertanto, a fronte dei 2400 euro di contributi imposti alla generazione attiva del periodo precedente, sarà possibile erogare pensioni per 3600 euro a favore della stessa generazione, con un ‘rendimento’ 1200 euro che rappresenta proprio il 50% dei 2400 euro di contributi versati. Il 50%, pari al tasso di crescita del red- dito complessivo degli attivi, è quindi il saggio di interesse (il tasso di rendimento del risparmio previdenziale) che, nella nostra ipotetica economia, il meccanismo della ripartizione è in grado di garantire a ciascuna generazione, nel rispetto dell’equilibrio finanziario del sistema.

Sebbene l’idea che la ripartizione possa riconoscere a ogni generazione un tas- so di interesse uguale al tasso di crescita dei redditi soggetti a risparmio previden- ziale fosse già nota alla teoria economica sin dagli anni Cinquanta e Sessanta sotto il nome di teorema di Samuelson-Aaron3, è solo a partire dagli anni ’90 del secolo

scorso che si è compresa la diversa natura che tale saggio d’interesse assume a se- conda del metodo di calcolo della pensione. Infatti, poiché i sistemi a prestazione definita promettono un determinato livello della prestazione, retributiva o di tipo Beveridge’, tenendosi la libertà di far variare ogni anno il prelievo contributivo in modo da mantenere quelle promesse, il tasso di rendimento del risparmio previ- denziale può essere solo implicitamente desunto ponendo a confronto i redditi che una generazione di pensionandi si aspetta di ricevere sulla base della durata attesa della rendita con i contributi annui che ha dovuto forzatamente realizzare nel corso della vita attiva. Nei sistemi ‘contributivi’, invece, il rendimento con cui vengono remunerati i contributi è esplicitamente accreditato di anno in anno, co- sicché, in perfetta trasparenza, ogni individuo può seguire l’evoluzione del pro- prio montante contributivo e valutare la redditività dei propri contributi rispetto ad altri possibili impieghi. Inoltre, il rendimento con cui il sistema remunera an- nualmente il risparmio previdenziale è identico per tutti gli individui. Di contro, Il rendimento che la ripartizione offre in uno schema a prestazione definita non solo è implicito, ovvero ‘nascosto’ nelle formule della regola di calcolo della pen- sione, ma è anche differenziato tra i vari membri di ciascuna generazione. Il prin- cipale merito della letteratura di quegli anni, e in particolare di quella che ha ac-

3 P.SAMUELSON, An exact consumption loan model of interest with or without the social contrivance of money, in Journal of Political Economy, 1958, 68, 467-82; H.AARON, The social

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compagnato la riforma italiana, è stato proprio quello di evidenziare che il saggio di interesse garantito dai sistemi a ripartizione ‘retributivi’ (il tasso di crescita dei redditi soggetti a prelievo contributivo) è in realtà un ipotetico rendimento gua- dagnato da ogni generazione nel suo complesso, con rendimenti individuali che sono fortemente differenziati4.

Occorre infine sottolineare l’importanza di un aspetto essenziale del nuovo si- stema, ovvero la libera scelta del momento in cui cominciare a prelevare le annua- lità di pensione liquidando tutto o parte del proprio montante contributivo. Il metodo contributivo lascia infatti agli iscritti la facoltà di decidere se gli aggiu- stamenti richiesti in base alla [2] dall’aumento della speranza di vita saranno ef- fettuati attraverso il posticipo del pensionamento (che tende a ridurre R/N) per salvaguardare l’importo della pensione, o accettando i coefficienti di trasformazio- ne meno generosi imposti dall’aumento della speranza di vita (che tende a ridurre p/w) per evitare il posticipo dell’età di pensionamento. La circostanza che nell’am- bito del sistema NDC i cittadini diventino parte attiva del processo di aggiusta- mento richiede, però, che essi siano continuamente in grado di monitorare non solo l’andamento del proprio montante contributivo, ma anche l’evoluzione del quadro demografico ed economico, che influisce anno dopo anno sia sul rendi- mento del proprio risparmio previdenziale sia sulla propria speranza di vita. Solo con tali informazioni ogni iscritto può decidere, in perfetta autonomia e traspa- renza, il proprio mix ideale tra tasso di sostituzione ed età di pensionamento. Non è un caso che il sistema svedese, il cui elevato grado di definizione anche dei più piccoli dettagli potrebbe utilmente fare da ‘guida’ al legislatore italiano, pre- vede un notevole investimento da parte dell’amministrazione dell’ente previden- ziale (i cui costi sono sostenuti dagli iscritti attraverso un’appropriata, seppur mi- nima, decurtazione annua dei montanti contributivi) su tutti quegli aspetti infor- mativi capaci di rendere il nuovo modello pensionistico compreso e condiviso5.

4 S. GRONCHI, I rendimenti impliciti della previdenza obbligatoria: un’analisi delle iniquità del sistema”, in Conti pubblici e Congiuntura Economica, Ministero del Tesoro – Ragioneria Generale dello Stato, 1994, n. 2 (ripubblicato, con modifiche, in Economia Italiana, 1995, n. 1).

Si veda anche S. GRONCHI, Sostenibilità ed equità del sistema previdenziale italiano, in O. CA- STELLINO (a cura di), Le pensioni difficili. La previdenza sociale in Italia tra crisi e riforma, il Mulino, Bologna 1995, 137-42.

5 È proprio la possibilità di far seguire ai lavoratori l’evoluzione del proprio montante con-

tributivo, con l’esplicita indicazione degli interessi maturati, che spiega la ragione della cosid- detta ‘busta arancione’ che l’agenzia pensionistica svedese invia ogni anno a tutti gli attivi. Per un esempio di come l’Agenzia Svedese preposta all’amministrazione delle pensioni di vec- chiaia (Pensionsmyndigheten) informa invece l’intera opinione pubblica sul funzionamento, sul bilancio e sulle prospettive del sistema pensionistico si veda: O. SETTERGREN,K.BIR- KHOLZ (a cura di), Orange Report, Annual Report of the Swedish Pension System 2015, Stoc- kholm, 2016.

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5. L’alternativa tra l’uniformità dei rendimenti individuali e l’uniformità dei tassi di sostituzione

Contrariamente a quanto accaduto in Svezia, dove il sistema NDC è stato vara- to nel 1998 dopo un lungo dibattito teorico e politico iniziato sin dal 1992, in Ita- lia il nuovo schema ha preso forma nel corso del 1995 durante il breve periodo di vita del governo Dini, un governo tecnico che aveva in agenda il difficile compito di contribuire al risanamento finanziario anche, e soprattutto, attraverso una dra- stica riduzione della spesa pensionistica. Sarebbe stato possibile ridurre la spesa previdenziale senza intaccare la filosofia del vecchio impianto, attraverso una se- rie di misure ‘parametriche’ miranti a ridurre la generosità delle prestazioni pen- sionistiche, alcune delle quali peraltro già introdotte dalla riforma Amato del 1992. La scelta fu, invece, più coraggiosa. Si decise di abbandonare definitiva- mente, almeno per i nuovi assunti, il metodo retributivo adottando quello ‘con- tributivo’. Ciò che consentì, sia in Italia sia in Svezia, di coagulare il consenso sul nuovo modello fu proprio l’emergere della consapevolezza che il vecchio sistema retributivo non solo produceva insostenibili deficit finanziari per l’eccessiva ge- nerosità delle prestazioni, ma lo faceva in modo del tutto regressivo proprio per la sua caratteristica di differenziare i rendimenti impliciti individuali a vantaggio di quelli con carriera lavorativa a profilo crescente e dei percettori delle cosiddet- te pensioni di anzianità. Il passaggio al metodo contributivo, che consentiva di riconoscere in modo esplicito e diretto a ciascun individuo un unico tasso di ren- dimento sui contributi versati, eliminando così alla radice qualsiasi iniquità, emerse quindi come la strada più diretta per raggiungere il duplice obiettivo della trasparenza e della sostenibilità del sistema pensionistico italiano. È doveroso no- tare che, contrariamente a quanto avviene in Svezia, l’attuale dibattito sulla pre- videnza obbligatoria sembra ignorare questi aspetti e si limiti a considerare il me- todo contributivo quale un mero tecnicismo adottato, in emergenza, per ridurre l’onere finanziario del sistema.

Infatti, uno degli aspetti più interessanti che il dibattito scientifico sulla rifor- ma italiana e svedese ha evidenziato è la circostanza che il principio dell’uni- formità dei rendimenti individuali, che consente di eliminare le redistribuzioni regressive, è incompatibile con il vecchio principio ispiratore della maggior parte dei sistemi pensionistici pubblici, ovvero con il principio che la pensione debba essere commisurata ai redditi guadagnati nella fase finale della vita attiva. Infatti, sono proprio le formule di calcolo che promettono un ‘tasso di sostituzione’ tra prima pensione ed ultimo reddito guadagnato sostanzialmente uniforme per tutti gli iscritti, a essere responsabili della disparità ‘regressive’ nei rendimenti impliciti individuali. Ne è prova il fatto che l’applicazione del metodo contributivo produ- ce tassi di sostituzione molto più alti per gli individui con profilo di carriera piat- to e molto più bassi per gli individui con profilo di carriera crescente. Inoltre, il riconoscimento di un rendimento uniforme sui contributi versati penalizza, in

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termini di tasso di sostituzione, chi sceglie il pensionamento anticipato6.

È ovviamente possibile disegnare delle regole di calcolo della prestazione che producano, anche in uno schema retributivo, risultati analoghi, in termini di di- versificazione dei tassi di sostituzione e di uniformità dei rendimenti individuali, a quelli degli schemi contributivi. È questo il caso, ad esempio, del sistema pen- sionistico statunitense che, prevedendo una diversificazione dei parametri utiliz- zati per il calcolo della pensione per scaglioni di reddito individuale, produce una marcata differenziazione dei tassi di sostituzione. Si pensi che, a fronte di un’aliquota contributiva del 10,6%, il valore di una pensione di vecchiaia erogata dal sistema pensionistico statunitense può variare dal 20% al 90% dell’ultimo reddito percepito, a seconda che si tratti di lavoratori il cui reddito di fine carrie- ra è stato molto più alto di quello d’ingresso o di lavoratori che sono rimasti nei gradini più bassi della distribuzione del reddito. Tale sistema, però, pur raggiun- gendo sostanzialmente, anche se non esattamente, gli stessi risultati del metodo contributivo (uniformità dei rendimenti individuali e diversificazione dei tassi di sostituzione), condivide con tutti i sistemi retributivi il problema dell’assenza di trasparenza, inevitabile quando il sistema non esplicita il tasso di remunerazione dei contributi. Non è un caso che la social security statunitense sia continuamente oggetto di critiche da parte di coloro che la ritengono eccessivamente onerosa e distorsiva delle decisioni individuali di risparmio7. La previdenza obbligatoria

statunitense sarebbe senz’altro molto più apprezzata e condivisa anche dalle ca- tegorie di lavoratori a più alto reddito, che ne sopportano i costi senza essere in grado di comprenderne i benefici, se gli stessi importi (contributi e pensioni) fos- sero riscossi ed erogati in un contesto contributivo che, esplicitando il rendimen- to dei contributi pagati, rende evidente che questi non debbano essere considera- ti una tassa, bensì risparmio previdenziale, obbligatorio ma anche adeguatamente remunerato.

6. Conclusioni: il ‘contributivo’ e la separazione tra assistenza e previdenza