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Tassonomia delle piattaforme distributive online

2. LA DISTRIBUZIONE AUDIOVISIVA NELL’ERA DI INTERNET

2.3 La distribuzione online: aspetti, tipologie e problematiche general

2.3.3 Tassonomia delle piattaforme distributive online

Il nuovo canale distributivo ha reso disponibili nuovi servizi che permettono la fruizione dell’audiovisivo online anche in modo legale (video on demand125). Tali servizi sono offerti da piattaforme web appoggiate a dei server informatici alle quali l’utente accede tramite indirizzo URL come un normale sito internet. Accedendovi, infatti, ci si trova di fronte una home page che rappresenta una sorta di vetrina dei contenuti più in voga. La navigazione è quasi sempre libera ma per poter usufruire dei servizi è necessaria la registrazione di un account. Entrando nello specifico, le due grandi tipologie di servizi offerti dalle piattaforme sono l’electronic sell-through (EST) e il subscription video on demand (SVOD). Nel primo caso si paga esclusivamente per il singolo contenuto che si intende fruire e il servizio è offerto da una piattaforma che si configura come una videoteca virtuale con un suo catalogo in cui scegliere cosa vedere, esattamente come accadeva nella videoteca tradizionale. L’electronic sell-through si divide in due sottotipologie che già ampiamente conosciamo: l’acquisto e il noleggio126. Nel mondo fisico la differenza sta nella possibilità di fruire un contenuto audiovisivo illimitatamente – quindi possedere una propria copia di un film in VHS, DVD o Blu-ray – oppure per un periodo di tempo limitato che solitamente è di qualche giorno – cioè noleggiare il film negli stessi supporti e una volta visto riconsegnarlo in videoteca. Nel mondo virtuale accade la stessa identica cosa anche se con vincoli e tempistiche diverse e, naturalmente, senza più la necessità del supporto fisico. Nel caso del subscription

video on demand, invece, l’utente sottoscrive un abbonamento, solitamente mensile, che

prevede la possibilità di fruire liberamente dei contenuti presenti nella piattaforma. Non si paga più per la singola fruizione ma si paga una somma a forfait a cadenza temporale per l’utilizzo senza limiti di tutto ciò che la piattaforma offre. In realtà, come vedremo, esistono dei vincoli ma non solo legati alla fruizione ripetuta dello stesso contenuto né al numero complessivo di contenuti fruiti dall’utente. In altre parole, una volta abbonati possiamo vedere e rivedere tutti i film che vogliamo, almeno finché è sottoscritto

125 Precisiamo fin da subito che la definizione video on demand spesso è utilizzata a livello generale per

ricomprendere entro sé tutte le varie tipologie di distribuzione audiovisiva in rete, senza perciò distinguere i diversi servizi.

126 Nel mondo virtuale il servizio di acquisto viene anche chiamato pay-per-download (PPD) mentre il

noleggio pay-per-view (PPV). Quest’ultimo termine, tuttavia, è spesso utilizzato per indicare genericamente entrambi i servizi, ovvero come sinonimo di electronic sell-through.

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l’abbonamento. In questo secondo caso, perciò, le definizioni di acquisto e noleggio vengono a cadere in quanto tale fruizione presenta elementi sia dell’uno che dell’altro. Esiste un terzo servizio anche se più raro, oltre all’EST e allo SVOD, che consiste nella fruizione free dei contenuti audiovisivi quindi senza dover pagare un corrispettivo economico, ma comunque in un contesto legale. La fruizione free solitamente si lega a contenuti caduti in pubblico dominio oppure a contenuti offerti sulla base di una programmazione vincolata da orari. O ancora può legarsi al tradizionale modello di business basato sulla pubblicità di cui abbiamo parlato nel precedente paragrafo. In quest’ultimo caso vengono messi a disposizione anche contenuti protetti da copyright in maniera del tutto gratuita grazie al finanziamento ottenuto tramite pubblicità127.

A questo punto si rende necessaria una precisazione. Nei contesti illegali di fruizione audiovisiva siamo stati abituati a distinguere il download di un contenuto dalla sua visione in streaming128. Ebbene queste due definizioni, più a carattere tecnico, non vanno confuse con quelle di acquisto e noleggio nella distribuzione legale a cui non sempre corrispondono. Infatti, l’acquisto online non implica necessariamente un effettivo download del film sul proprio disco fisso ma può limitarsi ad una sua visione in streaming. Invece, il noleggio avviene sempre e comunque in streaming ma comporta un parziale download dei dati. Chiariamo meglio i due concetti dal punto di vista tecnico. Il download prevede di scaricare da un server o da un altro computer – nel caso di un’architettura client-client – il file del film sul proprio Pc e quindi disporne in totale libertà; le tempistiche di download dipendono chiaramente dalla larghezza di banda della connessione di cui si dispone e la visione può avvenire soltanto al termine del processo. Lo streaming, invece, rappresenta la possibilità di fruire un film direttamente online senza dover scaricare il file sul proprio hard disk anche se, in realtà, ai fini della riproduzione del contenuto audiovisivo avviene comunque una trasmissione di dati dal

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Un valido esempio italiano, che non vedremo nel terzo capitolo, è rappresentato da RAI Cinema Channel (RCC) in cui è possibile trovare i film trasmessi nell’ultima settimana dai canali RAI assieme ad altri contenuti audiovisivi: http://www.raicinemachannel.rai.it/ (ultimo accesso aprile 2014). Si tratta, più precisamente, di un caso di catch-up TV ovvero una piattaforma digitale che mette a disposizione in streaming i programmi televisivi trasmessi di recente (solitamente nell’ultima settimana) dai canali tradizionali (RAI, Mediaset, La7). Questi contenuti sono fruibili gratuitamente e per un periodo di tempo limitato.

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Per diverso tempo il più celebre servizio streaming è stato Megavideo il quale offriva una grande quantità di film e serie televisive gratuitamente. A causa della sua illegalità è stato chiuso all’inizio del 2012 dall’FBI assieme a Megaupload, il servizio che consentiva l’upload e il download dei file. Tuttavia, essi hanno lasciato il posto ad una serie di altre piattaforme gratuite destinate allo streaming gratuito.

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server al client ma in ogni caso sempre parziale, il che non permette di disporre del file. Dato che la riproduzione avviene sostanzialmente in tempo reale (ritardata di qualche secondo) è necessaria una connessione con una larghezza di banda che consenta costanza nella riproduzione. Si parla di streaming on demand quando il contenuto è disponibile su richiesta dell’utente con eventuali vincoli e tempistiche che ovviamente variano da piattaforma a piattaforma. Viceversa, lo streaming live dà la possibilità di fruire “in diretta” di un determinato contenuto audiovisivo, proprio come accade con la normale televisione, in quanto la trasmissione avviene in date e orari precisi. Infine, i contenuti audiovisivi offerti dalle piattaforme online possono essere disponibili in tre differenti formati:

 Standard definition (SD), disponibile con connessione minima di 1 Mbps;  High definition (HD), disponibile con connessione minima di 2,5 Mbps;  Full definition (HD+), disponibile con connessione minima 4,5 Mbps129.

EST e SVOD si traducono in due modelli di business che prevedono una diversa ripartizione dei profitti. Infatti, ogni piattaforma online deve negoziare la distribuzione dei contenuti audiovisivi con chi ne detiene il diritto di sfruttamento economico, generalmente il distributore tradizionale. Nel caso dell’electronic sell-through si adotta il revenue sharing che prevede la condivisione del guadagno derivante dal consumo del contenuto distribuito online: il 50-70% al distributore e il restante 30-50% alla piattaforma. Nel caso del subscription video on demand, invece, si stipula un accordo flat: la piattaforma acquista il contenuto per un determinato periodo di tempo (ad esempio un anno) per poterlo distribuire e il guadagno rimane interamente alla piattaforma. Naturalmente al termine del periodo si può rinegoziare il contenuto ma, come vedremo con il caso Infinity, esistono degli ostacoli imposti dallo strapotere dei network televisivi.

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I requisiti di connessione qui riportati sono quelli richiesti dalla piattaforma Chili che analizzeremo nel prossimo capitolo.

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2.3.4 Copyright

Infine, ci dobbiamo scontrare con la problematica che più affligge la distribuzione online e che quasi sempre ne impedisce la diffusione a livello internazionale: il copyright. Esso nasce dall’esigenza di tutelare l’autore o il produttore dell’opera culturale – in particolare quelle opere che si possono riprodurre – dall’uso illegale che ne potrebbe essere fatto dai consumatori, in quanto si tratta di opere soggette a non escludibilità e non rivalità. Negli Stati Uniti è la stessa Costituzione ad affermare all’articolo 1 sezione 8: “The Congress shall have Power […] To promote the Progress of Science and useful Arts, by securing for limited Times to Authors and Inventors the exclusive Right to their respective Writings and Discoveries”130. Ed ogni nazione ha una sua legge in tutela del diritto d’autore che definisce l’insieme dei diritti esclusivi che l’autore possiede131 e l’orizzonte temporale entro cui può esercitarli, oltre alle specifiche categorie di oggetti sottoposti a tutela. Tra questi vi sono anche le opere audiovisive mentre i diritti che vengono accordati sono generalmente i seguenti: riproduzione, distribuzione e proiezione dell’opera oppure creazione di ulteriori opere derivate132. Essi possono essere trasferiti oppure concessi tramite licenze133, anche separatamente tra loro. In Italia i diritti di sfruttamento economico dell’opera sono riconosciuti fino a 70 anni dalla morte dell’autore; allo stesso modo “U.S. copyright for movies is now generally for the life of the author plus 70 years, or in the case of corporate authorship, the earlier of 95 years after publication or 120 years after creation”134. Perciò qualsiasi utilizzo di un’opera culturale che non sia stato autorizzato da chi ne detiene i diritti di sfruttamento economico viene ritenuto illegale ad eccezione dell’uso specifico per scopi educativi, informativi e di ricerca135. Ma oltre a tutelare il proprietario dell’opera da usi illeciti e garantirgli così un ritorno economico per quanto creato, il copyright è uno

130

J. Ulin, op. cit., cap. 2.

131 Nel caso di opere audiovisive i diritti sono generalmente detenuti dal produttore o dal distributore.

132 Quelli che abbiamo elencato costituiscono i diritti di sfruttamento economico dell’opera. A questi si

aggiunge il diritto morale ovvero il riconoscimento formale all’autore della paternità dell’opera anche quando tutti gli altri diritti sono stati alienati o decaduti.

133 La concessione tramite licenza si ha soprattutto nel caso di prodotti culturali derivati all’interno di un

franchise.

134

J. Ulin, op. cit., cap. 2.

135 Si tratta di alcune restrizioni del copyright solitamente imposte dalla legge. Negli USA sono note con il

termine fair use. In Italia, invece, la disciplina giuridica in materia è piuttosto complessa e ambigua. Capita, infatti, di dover richiedere l’autorizzazione anche in questi casi specifici.

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strumento artificiale adottato dall’industria mediale per indurre scarsità necessaria a massimizzare il profitto sui prodotti distribuiti. Su questa seconda finalità si potrebbe aprire un dibattito – qualche riferimento l’abbiamo già fatto nel primo capitolo a proposito dei fenomeni grassroots – in quanto “Il copyright, pensato per favorire la creatività, si è spesso trasformato in una restrizione che rasenta la follia”136 a danno della stessa creatività.

Con l’avvento di internet il controllo del copyright è divenuto molto più difficile a causa dell’estrema semplicità con cui le opere digitalizzate circolano in rete; oltretutto per molto tempo è mancato un aggiornamento legislativo sulle nuove modalità di sfruttamento nate con il digitale137. Così scrive Andrew Currah sul copyright legato alla distribuzione audiovisiva online:

distribution of films over a new medium such as the Internet requires clearance from the relevant rights holders. The studios must ensure that they hold the appropriate distribution rights before distributing and selling a film over the Internet in a digital format. In particular, there are two types of legal right that need to be investigated – general distribution rights and rights to the music in the film. The cost of clearing these rights can be substantial, especially for older titles where the structure of asset ownership is less clear. In addition, the studios must convert their films into a digital format for sale and distribution over the Internet (a relatively inexpensive process that costs approximately $5000 per title)138.

Quindi appare relativamente semplice distribuire un film online anche se, come aggiunge lo stesso Currah, “For many titles, the size of the market for legal downloads is not yet large enough to justify the costs associated with making available the content”139. Il problema principale con cui si devono scontrare le piattaforme distributive riguarda la territorialità140: se la rete è per sua natura globale, indipendentemente dai confini nazionali degli Stati, questo non significa che sia automaticamente possibile offrire in tutto il mondo contenuti protetti da copyright. Le piattaforme devono negoziare la distribuzione dei contenuti territorio per territorio, anzi

136 D. Hesmondhalgh, op. cit., p. 170.

137

Se in un primo momento si considerava illegale qualsiasi utilizzo non autorizzato di contenuti audiovisivi (e musicali), oggi la normativa punta a punire esclusivamente l’utilizzo a scopo di lucro tralasciando, ad esempio, la fruizione finale domestica. Traspare in questo senso l’idea che se tutti compiono una stessa azione allora questa diventa “automaticamente” lecita.

138 A. Currah, Hollywood versus the Internet: the media and entertainment industries in a digital and

networked economy, cit., p. 457.

139 Ibidem.

140

Lo stesso problema si pone anche nella distribuzione tradizionale che distingue il mercato domestico – quello in cui il film viene prodotto – dal mercato estero che risulta però frammentato in diverse aree geografiche se non addirittura singole nazioni. Ma la “fisicità” della distribuzione tradizionale non fa percepire la frammentazione dei mercati come un ostacolo, contrariamente alla distribuzione virtuale.

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paese per paese, e questo spiega perché anche casi “internazionali” come iTunes Store non siano realmente internazionali come il termine farebbe intendere. Anzi, la maggior parte delle piattaforme risulta disponibile in un solo paese o al massimo in due. In definitiva, anche se internet è globale e così pure il suo pubblico, capita che spostandosi in paesi diversi non sia sempre possibile fruire dello stesso servizio. Così scrive Michael Gubbins:

A UK citizen, for example, cannot access the BBC catch-up service iPlayer, created by a European national public service broadcaster (BBC) with public money, in most other European countries. Such frustrations are frequently cited as a major driver of piracy. And where European companies do attempt to create services, they find themselves blocked by competition law141.

Nel prossimo paragrafo vedremo come l’Unione Europea stia tentando di risolvere o comunque semplificare il problema del copyright.

A livello italiano segnaliamo che AGCOM ha approvato nel dicembre 2013 il nuovo

Regolamento in materia di tutela del diritto d’autore sulle reti di comunicazione elettronica142 ma a quanto pare risulta troppo ambiguo e a tratti superficiale per risolvere definitivamente le problematiche inerenti la distribuzione online e il diritto d’autore. Infatti, non è chiaro se le piattaforme e i siti che consentono la pratica del file

sharing siano considerati illegali o meno ed è fin troppo superficiale il riferimento al

diritto di accesso alla cultura da parte del pubblico. Infine, non sembra dare un valido contributo allo sviluppo dell’offerta culturale online143.