CAPITOLO 2 Omentalizzazione delle cisti prostatiche in chirurgia open
2.8 Tecnica chirurgica
2.8.1 Omentalizzazione di ascesso prostatico
Viene effettuata una celiotomia sulla linea mediana ventrale, dall’ombelico al margine pubico. Se è necessario per esporre adeguatamente la prostata, si estende l’incisione caudalmente e si pratica l’osteotomia del pube. Per facilitare l’esposizione si applicano dilatatori di Balfour. Si esplora l’addome e si isolano vescica e prostata con delle garze laparotomiche inumidite. Per retrarre la prostata cranialmente, si applicano dei punti di ancoraggio sulla parete vescicale. Con la punta del bisturi si pratica un’incisione su ciascuno dei due lati della ghiandola e si rimuove il materiale purulento mediante aspirazione. Con le dita, si esplorano e si rompono tutti gli ascessi multiloculari presenti all’interno del parenchima. Grazie al catetere precedentemente inserito, è possibile identificare l’uretra prostatica. Si può introdurre, in via temporanea, un drenaggio di Penrose all’interno del parenchima attorno all’uretra prostatica per elevare la ghiandola e facilitare l’irrigazione delle cavità ascessuali con soluzione salina tiepida. Successivamente, si ampliano le piccole incisioni mediante resezione del tessuto capsulare laterale (conservando il tessuto asportato per l’esame istopatologico) e si introduce un lembo di omento in una delle ferite capsulotomiche utilizzando una pinza emostatica inserita nell’apertura controlaterale (Figura 2.1).
Figura 2.1: Omentalizzazione di un ascesso prostatico. Dopo aver inciso a tutto spessore i due lati della ghiandola prostatica e
avere aspirato, esplorato e lavato la cavità ascessuale, introdurre l’omento attraverso una delle due incisioni capsulari e afferrarlo con le pinze inserite nella capsulotomia contro laterale (A). Quindi, far passare l’omento attorno all’uretra prostatica, estrarlo dall’incisione d’entrata e ancorarlo a se stesso con suture con punti a U riassorbibile (B) (Fossum, 2008).
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Si fa passare l’omento attorno all’uretra prostatica e lo si estrae attraverso la stessa incisione d’entrata e lo si ancora su se stesso con suture a U in materiale assorbibile applicate fuori dalla prostata. Infine, si chiude l’addome come di routine e si procede con la castrazione (White e
Williams, 1995; Apparicio et al., 2006; Fossum, 2008).
La metodica utilizzata da White e Williams (1995) ha dimostrato di essere efficace, di semplice esecuzione e di presentare un’incidenza molto bassa di complicazioni postoperatorie rispetto alle altre tecniche chirurgiche comunemente usate in questi casi. Zambelli e Bralia (2000) hanno effettuato in uno studio una tecnica di omentalizzazione modificata, con l’obiettivo di ripristinare l’attività funzionale della prostata permettendo di recuperare anche le funzioni riproduttive dei soggetti. Alla luce poi del fatto che i dotti deferenti raggiungono l’uretra prostatica attraverso il parenchima dorsale della ghiandola e non esistendo dati sull’applicazione della tecnica chirurgica utilizzata da White e Williams su soggetti non orchiectomizzati, gli Autori di questo studio hanno ritenuto di modificare tale tecnica al fine di evitare eventuali lesioni a carico dei dotti deferenti, dei vasi e nervi prostatici (Zambelli e
Bralia, 2000). Secondo questa tecnica modificata, dopo lo svuotamento della cavità
patologica, effettuato con siringa o aspiratore, vengono praticate una o più incisioni sulla superficie ventrale o ventrolaterale della prostata, diversamente da quanto fatto da White e Williams. Una volta ripulita la cavità ascessuale, il lembo omentale viene introdotto dalla superficie ventrale della prostata, semplicemente riempiendo il più possibile la cavità (Figura 2.2). L’omento viene poi fissato alla capsula prostatica con punti di sutura riassorbibili. A questo tipo di tecnica non segue l’orchiectomia (Zambelli e Bralia, 2000).
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Figura 2.2: A: Sezione trasversale di prostata con ascesso prostatico; B: Stessa sezione di A dopo
omentalizzazione prostatica eseguita con tecnica di White e Williams; C: Stessa sezione di A dopo omentalizzazione prostatica eseguita con tecnica modificata. (Zambelli e Bralia, 2000)
2.8.2 Omentalizzazione di cisti paraprostatica
L’omentalizzazione di una grossa cisti parenchimale prostatica si effettua come l’omentalizzazione di un ascesso, mentre quella di una cisti periprostatica presenta alcune differenze. Si esegue una celiotomia caudale, dall’ombelico al margine pubico. Si individua la cisti e con il bisturi si effettua un’unica breve incisione lungo la sua parete. L’incisione consente di drenare la cisti mediante aspirazione, per evitare di contaminare la cavità addominale e successivamente si asporta la maggior parte della parete della cisti. E’ necessario evitare di effettuare una dissezione estesa della cisti nell’area del collo della vescica e della prostata, in modo da minimizzare il rischio di ledere i nervi che controllano la continenza. Prelevare dei campioni per l’esame colturale, citologico e istopatologico. Si introduce l’omento nella porzione residua della cisti e lo si fissa con suture da materassaio, utilizzando
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filo riassorbibile 2-0. Si sutura la breccia celiotomica come di routine e si procede alla castrazione (White, 2001), (Figure 2.3; 2.4). Generalmente l’omento è facilmente mobilizzabile fino alla prostata ma, nei casi in cui è necessario, si è provvede al parziale distacco dell’omento dalla grande curvatura dello stomaco con la formazione di un lembo peduncolato. Si legano l’arteria e la vena gastroepiploica di destra e, più o meno diffusamente, i vasi gastrici brevi, preservando i vasi gastroepiploici sinistri (Zambelli e Bralia, 2000).
Figura 2.3: (C): ciste prostatica prima del drenaggio e omentalizzazione; (B): vescica; (P): prostata.
Figura 2.4: L’omento (O) è stato introdotto nella cavità cistica dopo parziale resezione della capsula della cisti.
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2.8.3 Trattamento e valutazione postoperatori
Un vantaggio significativo del drenaggio per omentalizzazione nelle patologie prostatiche consiste nel fatto che il soggetto può generalmente essere dimesso 24 ore dopo l’intervento e richiede una terapia antibiotica postoperatoria di più breve durata. Si somministrano analgesici secondo necessità ed è necessario fornire un’adeguata copertura antibiotica ad ampio spettro per almeno una settimana dopo l’intervento per evitare l’instaurarsi di infezioni postoperatorie (White, 2001; Freitag, 2007).
2.8.4 Complicazioni e prognosi
Se non si introduce una quantità sufficiente di omento nella cavità dell’ascesso, si possono presentare recidive. Per evitare questa complicanza, il chirurgo deve accertarsi che l’asportazione del tessuto capsulare laterale sia sufficiente a consentire il passaggio agevole del dito indice nella cavità ascessuale. L’incontinenza urinaria postintervento è frequente e può risolversi spontaneamente nelle settimane successive all’intervento, ma può persistere anche dopo un intervento riuscito di drenaggio con omentalizzazione. Ciò può essere dovuto ad una disfunzione nervosa della vescica, a una disfunzione dello sfintere uretrale interno o dello sfintere uretrale esterno (Gookin et al., 1996). Il trattamento medico può, in alcuni casi, risolvere il problema. La contrazione del muscolo detrusore della vescica può essere indotta con i colinergici. Gli -agonisti vengono utilizzati per migliorare il tono dello sfintere uretrale interno.
La ritenzione urinaria è meno frequente ed è necessario controllare attentamente le funzioni urinarie del soggetto durante le 24 ore successive all’intervento (White, 2001).
Come già trattato all’inizio di questo capitolo, l’omentalizzazione, paragonata alle altre tecniche di drenaggio, richiede una minor perizia chirurgica, il periodo di ricovero è più breve e la frequenza di complicanze postoperatorie è bassa.
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