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Omentalizzazione delle cisti prostatiche nel cane: confronto tra tecnica open e tecnica laparoscopica

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Academic year: 2021

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UNIVERSITA’ DI PISA

Dipartimento di Scienze Veterinarie

Corso di Laurea Magistrale in Medicina Veterinaria

Omentalizzazione delle cisti prostatiche nel cane: confronto tra

tecnica open e laparoscopica

Candidato: Relatore:

Elena Berti Prof. Iacopo Vannozzi

Correlatore:

Prof.ssa Alessandra Rota

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A Nonna Maria,

da sempre la mia buona stella.

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INDICE

RIASSUNTO...5

INTRODUZIONE...6

CAPITOLO 1 Anatomia, fisiologia e patologia della prostata del cane...7

1.1. Anatomia della prostata...8

1.2. Fisiologia ed endocrinologia della prostata...11

1.3. Patologie prostatiche nel cane...16

1.3.1. Considerazioni generali...16

1.3.2. Palpazione rettale...17

1.3.3. Esami ematobiochimici...18

1.3.4. Esame delle urine...19

1.3.5. Analisi del fluido prostatico...19

1.3.6. Biopsia della prostata...23

1.3.7. Esame radiografico...24 1.3.8. Tomografia Computerizzata...27 1.3.9. Esame ecografico...27 1.4. Cisti prostatiche...30 1.4.1. Sintomatologia...31 1.4.2. Diagnosi...31 1.4.3. Trattamento...33 1.5. Ascessi prostatici...35 1.5.1. Sintomatologia...35 1.5.2. Diagnosi...36 1.5.3. Trattamento...37

CAPITOLO 2 Omentalizzazione delle cisti prostatiche in chirurgia open...39

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2

2.2 Strumenti laparotomici...41

2.3 Attrezzature particolari...43

2.3.1 Elettrochirurgia ad alta frequenza...43

2.3.2 Ultrasuonochirurgia...44

2.4 Sala operatoria...44

2.5 Esame clinico e valutazione preoperatoria del paziente...44

2.6 Preparazione del paziente...46

2.7 Protocollo anestesiologico...46

2.7.1 Premedicazione...46

2.7.2 Induzione dell’anestesia...47

2.7.3 Mantenimento dell’anestesia...47

2.7.4 Monitoraggio del paziente...48

2.8 Tecnica chirurgica...49

2.8.1 Omentalizzazione di ascesso prostatico...49

2.8.2 Omentalizzazione di cisti paraprostatiche...51

2.8.3 Trattamento e valutazioni postoperatorie...53

2.8.4 Complicazioni e prognosi...53

CAPITOLO 3 Omentalizzazioni delle cisti prostatiche in laparoscopia...54

3.1 Cenni storici sulla chirurgia laparoscopica...55

3.2 Colonna laparoscopica...57

3.2.1 Sistema video...57

3.2.2 Fonte luminosa...58

3.2.3 Cavi e fibre ottiche...59

3.2.4 Laparoscopio...59

3.2.5 Laparoinsufflatore...60

3.2.6 Elettrochirurgia ad alta frequenza...61

3.2.7 Ultrasuonochirurgia...62

3.3 Strumentario...63

3.3.1 Strumentario addizionale...69

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3

3.5 Controindicazioni...72

3.6 Protocollo anestesiologico...73

3.6.1 Monitoraggio del paziente...73

3.7 Pneumoperitoneo...74

3.7.1 Scelta dei gas...75

3.7.2 Metodi per la realizzazione dello pneumoperitoneo...76

3.8 Tecnica chirurgica...78

3.9 Trattamenti postoperatori...81

1.10 Complicazioni...81

1.10.1 Complicazioni conseguenti ad un’inaccurata scelta del paziente...82

1.10.2 Complicazioni conseguenti al fattore umano...82

1.10.3 Complicazioni conseguenti ad un’errata insufflazione...82

1.10.4 Complicazioni conseguenti allo pneumoperitoneo...84

1.10.5 Complicazioni conseguenti all’introduzione ed estrazione degli strumenti...85

CAPITOLO 4 Omentalizzazione delle cisti prostatiche open e laparoscopica a confronto...88

4.1 Selezione del paziente e valutazioni preoperatorie...89

4.2 Tempi operatori a confronto...95

4.3 Questione economica...98

4.4 Stress intraoperatorio a confronto...99

4.5 Recupero postoperatorio a confronto...101

4.6 Tecniche chirurgiche e complicanze intraoperatorie a confronto...103

4.6.1 Il cambio di prospettiva...103

4.6.2 Ingresso in cavità addominale... 104

4.6.3 Reperimento della cisti prostatica e omentalizzazione...106

4.6.4 Chiusura della cavità addominale...107

4.7 Vantaggi della chirurgia laparoscopica...108

CAPITOLO 5 Casistica personale...109

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4

5.2 Materiali e metodi...110

5.3 Omentalizzazione cisti prostatiche open...113

5.3.1 Immagini ecografiche...115

5.4 Omentalizzazione cisti prostatiche laparoscopica...118

5.4.1 Immagini intraoperatorie...119 5.5 Risultati...122 5.5.1 Tempi chirurgici...122 5.5.2 Complicazioni...124 5.6 Discussione e conclusioni...125 BIBLIOGRAFIA...128 RINGRAZIAMENTI...138

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Riassunto

Parole chiave: omentalizzazione; prostata; laparotomia; laparoscopia

Lo scopo di questa tesi è stato quello di confrontare la tecnica chirurgica laparotomica con quella laparoscopica nell’ambito dell’omentalizzazione delle cisti prostatiche nel cane, allo scopo di valutare la fattibilità dell’intervento laparoscopico e i suoi relativi vantaggi e svantaggi rispetto alla tecnica classica. Sono state valutate le due tecniche chirurgiche, i tempi necessari per la chirurgia, la preparazione del paziente, la gestione postoperatoria e possibili complicanze che si possono avere sia con l’una che l’altra tecnica. Per questo studio sono stati utilizzati 18 soggetti affetti da cisti/ascessi prostatici, di cui 11 sottoposti a tecnica open e 7 a tecnica laparoscopica. 15 cani presentavano cisti prostatiche, mentre 3 presentavano un ascesso prostatico. I risultati del nostro lavoro hanno evidenziato che la tecnica laparoscopica per l’omentalizzazione delle cisti prostatiche presenta gli stessi vantaggi e svantaggi di qualsiasi altro intervento laparoscopico, pertanto, con un’accurata valutazione e scelta del paziente al fine di scegliere la tecnica più appropriata per ciascuno di essi, è auspicabile per il futuro uno studio più approfondito di tale tecnica e un suo maggiore utilizzo nella chirurgia prostatica del cane.

Abstract

Key words: omentalization; prostate; laparotomy; laparoscopy

The purpose of this study was to confront open and laparoscopic surgery examinating the omentalization of prostatic cysts in male dogs, to valuate the laparoscopic surgery feasibility and its advantages and disadvantages versus classic technique. We considered the two techniques, duration of surgery, patient preparations, postoperative measures and possible complications that may occur in one as in the other technique. For this study we used 18 subjects affected by prostatic cyst/abscess, of which 11 processed with open technique and 7 with laparoscopic technique. 15 dogs had prostatic cysts, 3 had prostatic abscesses. The results of our work showed that the laparoscopic technique for the omentalization of prostatic cysts has the same advantages and disadvantages of any other laparoscopic surgery, and so, with an accurate valuation and choice of the patient to choose the most appropriate surgical technique, is desirable for the future a more deepened study of this technique and a its major use for prostatic surgery.

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Introduzione

L’omento, grazie alle sue caratteristiche angiogeniche ed immunogene, fornisce un supporto ideale nei processi riparativi. Esso fornisce infatti un incremento nell’apporto vascolare e linfatico ai tessuti danneggiati, favorendone così la ricostruzione. Per queste proprietà l’omento viene utilizzato nella risoluzione chirurgica di diverse patologie.

L’omentalizzazione è una tecnica che è stata inizialmente proposta nell’uomo e successivamente impiegata anche nei carnivori domestici per il trattamento di cisti e ascessi prostatici. E’ una tecnica che permette di ottenere buoni risultati anche a lungo termine, fornendo inoltre al paziente un periodo postoperatorio migliore e al proprietario una più semplice gestione dell’animale rispetto alle tecniche utilizzate in passato per la risoluzione di questa patologia, come ad esempio la marsupializzazione. Questa metodica offre inoltre il vantaggio di essere di semplice esecuzione e di presentare un’incidenza molto bassa di complicanze postoperatorie (Zambelli, 2006).

Negli anni, la chirurgia laparoscopica ha trovato sempre più utilizzo nella Medicina Veterinaria, grazie agli evidenti vantaggi da essa apportati rispetto a quella tradizionale. I principali vantaggi sono il minor trauma a carico dei tessuti durante le procedure chirurgiche, minore incidenza di complicazioni postoperatorie (infezione della ferita, deiscenza, formazione di ernie), minor rischio di sviluppo di aderenze (dal momento che gli organi non vengono esposti), marcata riduzione del dolore postoperatorio e della durata del ricovero. Il nostro lavoro, quindi, si propone di confrontare la tecnica laparoscopica con la tecnica open per effettuare l’omentalizzazione delle cisti prostatiche, analizzando i vantaggi e gli svantaggi di entrambe le tecniche, le complicazioni intra e postoperatorie che esse possono comportare, i tempi necessari per effettuare le diverse chirurgie, al fine di valutare se la chirurgia laparoscopica può essere applicata con successo a questa tipologia di intervento chirurgico.

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CAPITOLO 1

Anatomia, fisiologia e patologie della prostata del

cane

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1.1 ANATOMIA DELLA PROSTATA

Figura 1.1 Schema dell'apparato genitale maschile, da "Miller's anatomy of the dog", 2013

La prostata è una ghiandola tubulo-alveolare bilobata deputata alla produzione di un liquido chiaro e sieroso che garantisce un ambiente idoneo per la sopravvivenza e la motilità degli spermatozoi (Hansel e McEntee, 1977). Nel cane è l'unica ghiandola sessuale accessoria. La ghiandola si sviluppa a circa sei settimane di gestazione a partire da gemme simmetriche provenienti dall'uretra pelvica che producono tessuto ghiandolare frammisto a connettivo stromale e tessuto muscolare liscio (Marcato, 2008). La prostata è compresa tra il retto, dorsalmente, e la sinfisi pubica e la parete addominale ventralmente e avvolge completamente la porzione prossimale dell'uretra pelvica, al livello del collo della vescica (Figura 1.1). La superficie ventrale della prostata è retroperitoneale ed è coperta da un cuscinetto di grasso. La sua posizione nel quadrante addominale caudale è età-dipendente. Durante i primi mesi di vita si colloca all’interno della cavità addominale, a causa del residuo uracale che trattiene la

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vescica in prossimità dell’ombelico. Al secondo mese d'età, quando si ha la rottura del residuo uracale, la ghiandola si muove caudalmente, fino a collocarsi all’interno della pelvi. Con la pubertà e l’inizio della secrezione di testosterone da parte delle cellule testicolari interstiziali (cellule del Leydig), il volume ed il peso della ghiandola aumentano. Questo processo determina uno scivolamento craniale della prostata, che così viene a trovarsi nuovamente, in toto o in parte, all’interno dell’addome. Nella maggior parte dei cani di quattro anni la prostata si trova per i due terzi in addome, dopo i dieci anni si trova interamente in cavità addominale (Gordon, 1961). Ulteriori modifiche della posizione della ghiandola si verificano a seconda di variazioni di peso e volume della prostata stessa: iperplasia, cisti o neoplasie prostatiche ne favoriranno lo scivolamento craniale, la castrazione quello caudale (Kutzler e Yeager, 2008). Per alcuni Autori anche lo stato di replezione vescicale determina un’alterazione della localizzazione dell’organo, poiché il peso della vescica può trascinare cranialmente la prostata (Kutzler e Yeager, 2008), uno studio del 1961, invece, afferma che tale fattore è ininfluente (Gordon, 1961). Nei cani anziani, il terzo caudale della superficie dorsale della prostata è attaccato al retto tramite una fascia fibrosa (Gordon, 1960).

La prostata è una ghiandola androgeno-dipendente, e le sue dimensioni dipendono quindi in gran parte dall'azione degli ormoni steroidei, ed in particolare dal testosterone, dal quale originano due metaboliti responsabili dell'azione androgenica: il 5--diidrosterone (DHT) e il 17--estradiolo, le cui azioni a livello prostatico saranno meglio discusse nel prossimo paragrafo. La prostata del cane si presenta come un organo fibro-muscolo-ghiandolare di forma ovoidale o sferoidale, in cui distinguiamo un corpo (molto sviluppato nel cane) e una parte disseminata, che consiste di elementi ghiandolari che si estendono lungo l'uretra al di sotto del muscolo uretrale (Marcato, 2008). Ha un diametro di 2-3 cm e pesa 6-8 g in soggetti di taglia ed età medie; ha un colore grigio-giallastro e presenta consistenza solida (Barone, 2003). Possiede una sottile capsula di tessuto fibromuscolare, dalla quale originano fibre muscolari lisce che si approfondano nel parenchima per fondersi alla muscolatura liscia dell'uretra. La prostata è percorsa sulla linea mediana della faccia dorsale da un profondo solco (generalmente palpabile tramite esplorazione rettale) che si continua all'interno del parenchima formando il setto mediano, che separa la ghiandola in due lobi (destro e sinistro) (Miller, 2013). Ogni lobo è a sua volta suddiviso in lobuli dai setti capsulari che si portano in

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profondità nel parenchima; i lobuli sono composti da numerose ghiandole tubulo-alveolari che sboccano attraverso 12-20 piccoli dotti nell'uretra prostatica (Fossum, 2008). I due dotti deferenti penetrano nella superficie craniodorsale della prostata, uno per lobo, e decorrono in senso caudoventrale attraverso la porzione dorsale della ghiandola, per sboccare in uretra attraverso due fessure poste ai lati del collicolo seminale, che si trova nella porzione centrale della cresta uretrale longitudinale dorsale. La porzione distale del dotto deferente che penetra in uretra è detta ampolla del dotto deferente, a causa del suo lume più ampio dovuto alla presenza di ghiandole nella mucosa; nel cane, però, l'ampolla è molto piccola e difficilmente riconoscibile (Miller, 2013).

I due lobi prostatici presentano una vascolarizzazione indipendente (Stefanov, 2004). Il sangue arterioso giunge a ciascun lobo attraverso l’arteria prostatica (corpo) e l’arteria uretrale (parte disseminata). L’arteria prostatica origina dall’arteria pudenda interna, si porta con decorso caudo-medio-ventrale e raggiunge la ghiandola lateralmente, dopo aver dato origine all’arteria rettale media, all’arteria deferenziale e all’arteria vescicale caudale (Barone, 2003). In seguito si divide in tre rami: craniale, medio e caudale (Stefanov, 2004); questi si ramificano a livello della capsula e le loro diramazioni penetrano nel parenchima seguendo i setti connettivali. Anche l’arteria uretrale origina dall’arteria pudenda interna e va a irrorare la parte caudale dell’uretra pelvica e i lobuli prostatici qui disseminati (Barone, 2003). Lobuli ghiandolari differenti sono irrorati da arterie distinte, senza alcuna anastomosi tra di esse. Fitte reti capillari circondano i fondi ciechi ghiandolari (Barone, 2003). Il drenaggio venoso si verifica attraverso la vena uretrale, che accompagna l'uretra, e altre piccole venule che seguono le arterie capsulari (Kutzler e Yeager, 2008). Il sangue refluo dalla prostata raggiunge poi la vena iliaca interna, in seguito la vena iliaca comune e infine la vena cava caudale (Stefanov, 2004). Il drenaggio linfatico scarica sui linfonodi iliaci mediali. I nervi ipogastrico e pelvico forniscono alla prostata l'innervazione rispettivamente simpatica e parasimpatica. La stimolazione parasimpatica, durante l'erezione, aumenta la velocità di produzione di fluido prostatico, mentre la stimolazione simpatica, durante l'eiaculazione, espelle il fluido nell'uretra prostatica (Kutzler e Yeager, 2008).

Istologicamente, la prostata è classificata come una ghiandola tubuloalveolare composta. Il corpo è circondato da una sottile capsula fibrosa che invia in profondità dei setti, suddividendolo in lobuli. Fibre elastiche e fibre muscolari lisce si trovano sia nella capsula che

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nei setti. Ciascun lobulo ospita un tubulo ghiandolare più o meno ramificato che è drenato da un dotto escretore lungo il quale possono trovarsi diverticoli tubulari e otricolari. Gli adenomeri hanno lume relativamente ampio, occupato da secreto che può contenere delle concrezioni sferoidali a struttura lamellare. L'epitelio che li tappezza è costituito da cellule cubiche o cilindriche con reticolo endoplasmatico ruvido e apparato del Golgi ben sviluppati. In quest'ultimo possono essere individuati granuli di secreto in formazione. Tra le cellule si trovano, in posizione basale, diversi elementi di rimpiazzo. Nei dotti escretori l'epitelio diviene progressivamente stratificato fino ad assumere, nelle parti terminali, le caratteristiche del rivestimento uretrale (epitelio di transizione) (Pelagalli e Botte, 1999) (Figura 1.2).

Figura 1.2 Sezione istologica della prostata di un cane intero. Colorazione con Ematossilina e Eosina. Da: Noah's

Arkive 2002

1.2 FISIOLOGIA ED ENDOCRINOLOGIA DELLA PROSTATA

Gli equilibri endocrini su cui si basa la corretta funzionalità dell’apparato riproduttore maschile canino, prostata compresa, sono estremamente complessi e coinvolgono molte sostanze diverse. Il controllo di tali equilibri è affidato a due sistemi ormonali: uno composto da GnRH, LH e testosterone, l’altro da GnRH, FSH e Inibina. La prima catena ormonale ha come prodotto terminale il testosterone, secreto a livello testicolare dalle cellule interstiziali (cellule del Leydig). La sua produzione viene stimolata dal LH (nel maschio detto anche

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Interstitial Cells Stimulating Hormone, ICSH), rilasciato in circolo dall’ipofisi. A loro volta i livelli di LH sono controllati da quelli di GnRH, fattore di derivazione ipotalamica. Il secondo sistema viene stimolato dalla produzione di GnRH, come il precedente. Questo ormone determina la liberazione da parte dell’ipofisi di FSH, che a sua volta stimola la secrezione di inibina ed estrogeni da parte delle cellule del Sertoli, presenti a livello dei tubuli (Feldman e

Nelson, 1998). A impedire un’eccessiva produzione dei diversi fattori, concorrono diversi

meccanismi di feedback (Figura 1.3).

Figura 1.3 Rappresentazione schematica dei meccanismi di feedback che regolano la produzione degli ormoni

sessuali nel cane maschio. Stimolo secrezione; - - - Inibizione secrezione. Modificato da Feldman e Nelson, Endocrinologia del cane e del gatto, UTET, 1998.

Il testosterone, ad esempio, esercita un feedback negativo a livello ipotalamico sulla produzione di GnRH (Hewitt, 1998) e a livello ipofisario su quella di LH e FSH, lo stesso vale uno dei suoi metaboliti, l’estradiolo (Winter et al. 1982), che possiede un azione inibitoria a livello ipofisario persino maggiore del suo precursore (Pineda, 1989). Nei cani castrati, venendo meno l’azione inibitoria del testosterone a livello ipotalamico e ipofisario, si assiste ad un innalzamento dei livelli sierici di LH (DePalatis et al. 1978). Nel cane, la prostata è

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l'unica ghiandola sessuale accessoria, e la sua funzione secretoria è androgeno-dipendente. Come già precedentemente accennato, il testosterone agisce sulla prostata attraverso due suoi metaboliti: il 5-α-diidrotestosterone (DHT) e il 17-β-estradiolo. Il DHT deriva dalla metabolizzazione del testosterone da parte della 5-α-reduttasi presente nelle cellule prostatiche, e favorisce l'accrescimento e la moltiplicazione delle cellule epiteliali secernenti (Marcato, 2008). Sebbene sia il testosterone sia il DHT stimolino l'attività ghiandolare prostatica, il DHT è di gran lunga più attivo dal punto di vista biologico in quanto si lega al recettore per gli androgeni con un'affinità doppia rispetto al testosterone e ha una velocità di dissociazione inferiore di cinque volte (Kutzler e Yeager, 2008). Il 17--estradiolo stimola la proliferazione della componente stromale della ghiandola e proviene per il 40% dalla trasformazione periferica del testosterone circolante, per il 10% dalle cellule del Sertoli e per il restante 50% dalla conversione periferica dell'estrone surrenalico (Marcato, 2008). Nei cani sessualmente maturi, la prostata comprende l'insieme delle ghiandole alveolari tubulari che si irradiano dalle aperture del dotto uretrale. Nei cani castrati e sessualmente immaturi, invece, la prostata comprende un sistema di dotti ramificati con scarso sviluppo alveolare. L'eliminazione dello stimolo androgenico, sia essa farmacologica o per castrazione, causa atrofia ghiandolare e parenchimale della prostata.

Nel cane gli ormoni circolanti a livello sistemico non sono le uniche sostanze a modulare l’attività prostatica: le cellule muscolari e i fibroblasti che compongono lo stroma connettivale della ghiandola secernono fattori di crescita (endotelina-1, fattore di crescita dei fibroblasti, fattore di crescita trasformante-, IL-6 e IL-8 (Kutzler e Yeager, 2008)) che agiscono in modo paracrino sulle cellule degli adenomeri. La loro attività è sotto controllo androgenico, come dimostra la presenza di recettori per gli androgeni all’interno di tali cellule (Prins et al. 1996,

Gallardo et al., 2007). Nei cani anziani si riscontra una riduzione dei livelli di testosterone

circolante, una più rapida metabolizzazione della frazione libera e un incremento della frazione legata alla TeGB (Testosterone globulin binding). Nella maggior parte di questi soggetti si riscontra, però, un progressivo aumento di estrogeni circolanti responsabili verosimilmente di una up regulation dei recettori androginici negli acini ghiandolari prostatici, che comporta una maggior captazione degli androgeni circolanti. Questi, nonostante siano

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presenti in concentrazioni più basse rispetto ad un soggetto giovane, inducono l’accrescimento della prostata (Marcato, 2008).

Il secreto prodotto dalla prostata costituisce la maggior parte del volume dell’eiaculato del cane (Huggins et al. 1939), andando a formare la totalità della prima (pre-spermatica) e terza (prostatica) frazione dell’eiaculato. La prima frazione è solitamente di volume ridotto (0,5-5 ml), trasparente e acellulare. Si distingue facilmente dalla seconda frazione, ricca di spermatozoi, che invece è opalescente, con volume che va da 1,0 a 4,0 ml. La terza frazione, infine, appare come un liquido trasparente, che può raggiungere volumi di 80 ml (range 2,5-80ml). Durante la sua emissione, se viene effettuata la raccolta del seme tramite vagina artificiale, è possibile percepire l’uretra peniena contrarsi ritmicamente e vedere in contemporanea la contrazione dell’ano. È importante notare che la quantità di fluido prostatico raccolto influenza notevolmente la concentrazione spermatica, che quindi non può essere considerata attendibile al fine di determinare la qualità del seme nel cane (Johnston et al. 2001). Il secreto prostatico non risulta indispensabile per la fertilità, ma la aumenta, tramite un meccanismo non ancora chiarito (Nothling et al., 2005). Esso ha inoltre un ruolo importante nell’impedire che la reazione acrosomiale avvenga prematuramente. È stato scoperto che questo processo è correlato al legame del progesterone, presente nel fluido follicolare, con specifici recettori sulla membrana degli spermatozoi. Proteine presenti nel fluido prostatico sono in grado di mascherare tali recettori, dilazionando l’avvio della reazione (Sirivaidyapong

et al., 1999). La secrezione del liquido prostatico da parte degli adenomeri ghiandolari è sotto

il controllo degli stimoli nervosi, apportati all’organo principalmente dal nervo ipogastrico, attraverso la liberazione di acetilcolina. Le fibre adrenergiche che corrono nel medesimo nervo, invece, sono deputate alla stimolazione della contrazione delle numerose cellule muscolari lisce disperse nello stroma connettivale. Si suppone che a tale funzione concorrano anche alcune fibre nervose pelviche colinergiche (Basinger et al., 2005). Il fluido prostatico viene costantemente immesso nell’uretra prostatica. Se non avviene l’eiaculazione, esso drena nella vescica (Johnston et al., 2001). La funzione secretoria ghiandolare aumenta di pari passo con l’accrescimento della prostata fino ai 4 anni di età, sia se si considera il volume totale di fluido, sia se si valuta il suo contenuto proteico. Dopo questa età, invece, la secrezione diminuisce, anche se il volume dell’organo continua ad accrescersi (Brendler et al., 1983).

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Dal punto di vista chimico, il fluido prodotto dalla prostata contiene principalmente lattato, colesterolo ed enzimi (Hewitt, 1998). Tra gli enzimi si deve annoverare l’arginina esterasi, la cui concentrazione è modulata dagli androgeni e costituisce più del 90% delle proteine presenti nel plasma seminale (Chapdelaine et al., 1983; Dubè et al., 1995). Il PSA (Prostatic Specific Antigen), presente in notevole concentrazione nel fluido prostatico umano, è assente in quello canino (Kutzler e Yeager, 2005).

Le secrezioni prostatiche possiedono un’azione antibatterica operata da un composto a basso peso molecolare zinco-dipendente, detto PAF (Prostatic Antibacterial Factor) (Barsanti e

Finco, 1995). Esso è in grado di neutralizzare soprattutto i batteri Gram negativi (Feldman e Nelson, 1998). Non è comunque esclusa la presenza di un ulteriore fattore zinco-indipendente

(Marcato, 2008). È importante valutare il pH, il cui range fisiologico è 6,0 e 7,4. Un pH all’interno di tale range permette al fluido prostatico di stimolare la motilità spermatica e tamponare l’acidità dell’ambiente vaginale dopo l’eiaculazione (Feldman e Nelson, 1998). La Tabella 1.2 riassume la composizione del fluido prostatico, come definita da Bartlett (1962) analizzando la terza frazione dell’eiaculato.

Peso secco 2,8 g/dL Bicarbonato 2,3 mEq/L

Contenuto idrico 97,2% Fosfati acidi 1,5 mEq/L

pH 6,5 Zinco 7,13 mg/dL

Sodio 136 mEq/L Ferro 0,02 mg/dL

Potassio 7,7 mEq/L Rame 0.35 mg/dL

Calcio 0,5 mEq/L Fruttosio 0,3 mg/dL

Magnesio 0,3 mEq/L Acido lattico 16,3 mg/dL

Cloro 159 mEq/L Proteine 2,38 g/dL

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1.3 PATOLOGIE PROSTATICHE NEL CANE

1.3.1 Considerazioni generali

Le patologie della prostata sono frequenti nei cani maschi anziani e interi, infatti rappresentano una delle entità cliniche di più comune riscontro. I disturbi della ghiandola prostatica sono rappresentati da:

 Iperplasia Prostatica Benigna (IPB)  Metaplasia squamosa

 Prostatite batterica  Ascesso prostatico

 Cisti prostatica e paraprostatica  Neoplasia prostatica

Ai fini di questo studio abbiamo preso in considerazione solo quelle patologie prostatiche risolvibili con l’omentalizzazione (cisti e ascessi), pertanto le altre patologie non verranno analizzate nello specifico se non come riferimento nel corso della trattazione delle altre affezoni.

Le patologie prostatiche interessano l’80% dei cani d’età maggiore ai 10 anni, e lo 0.6% dei cani di 4 anni d’età. L’età media alla diagnosi di patologia prostatica si aggira intorno ai 9 anni e i cani interi risultano essere maggiormente a rischio rispetto ai cani castrati (Krawiec e

Heflin, 1992). Non vi è una particolare predisposizione di razza alla patologia prostatica,

anche se i Pastori tedeschi ed i Dobermann risultano le razze maggiormente interessate (Smith, 2008). Fra le patologie prostatiche quella ad incidenza maggiore è sicuramente l’iperplasia prostatica benigna (Barsanti e Finco, 1995), seguita dalle cisti prostatiche, dalle prostatiti, dalle neoplasie e dagli ascessi (Smith, 2008). Le dimensioni della prostata sono correlate al peso corporeo e all’età dell’animale, così come alla razza. E’ stato riportato, infatti, che lo Scottish terrier ha una prostata quattro volte più grande di quella di cani di altre razze di peso ed età simili (Kutzler e Yeager, 2008).

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I segni clinici delle malattie prostatiche possono essere molto variabili, dalla malattia acuta, con effetti sistemici significativi, all’ingrossamento asintomatico della ghiandola che viene scoperto occasionalmente durante la visita. Le patologie prostatiche si manifestano con sintomi tra loro simili, raggruppabili in quattro categorie: sintomi generali (febbre, abbattimento, anoressia, diminuzione del peso corporeo, dolore addominale), anomalie della defecazione (tenesmo, costipazione, dolore alla defecazione, feci appiattite, diarrea), disturbi delle basse vie urinarie (disuria o anuria, incontinenza, scolo uretrale continuo o intermittente di materiale emorragico, purulento o trasparente secondario allo stato di infiammazione prostatica che induce una iperproduzione di liquido prostatico) e disordini della locomozione (zoppia, debolezza agli arti posteriori, andatura rigida e stentata, falsa cifosi)

(Maurey-Guenec, 2007; Dorfman e Barsanti, 1998; Simpson et al., 1998). La stranguria dovuta a

fenomeni ostruttivi è un reperto comune nell’uomo mentre è rara nel cane, nel quale suggerisce l’esistenza di un ascesso o di una cisti di grosse dimensioni oppure di una neoplasia (Dorfman e Barsanti, 1998). Pertanto, il sospetto di una patologia prostatica deve insorgere quando ci troviamo di fronte ad un cane maschio di età superiore ai 5 anni che viene portato alla visita per uno dei seguenti motivi:

 tenesmo

 perdita di sangue dal pene indipendentemente dalla minzione  ematuria

 infezioni ricorrenti del tratto urinario.

E’ importante raccogliere un’anamnesi approfondita ed eseguire un esame clinico attento. Occorre stabilire la durata e l’evoluzione dei segni clinici, raccogliere informazioni sulle abitudini di minzione e defecazione del soggetto e rilevare qualsiasi manifestazione di disturbo sistemico o zoppia. Sulla base di questi reperti si formula un elenco delle principali diagnosi differenziali e si inizia a seguire uno schema diagnostico (Dorfman e Barsanti, 1998).

1.3.2 Palpazione rettale

La palpazione trans rettale, in quanto procedura rapida e non invasiva, viene considerata

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2007 ha rilevato che essa ha una sensibilità del 53% e una specificità del 75% (Mukaratirwa e

Chitura, 2007). La palpazione rettale permette di esaminare solo l’aspetto dorsale o

dorso-caudale della prostata, mentre la concomitante palpazione addominale non solo consente l’esame degli aspetti craniali dell’organo, ma facilita anche una migliore palpazione attraverso il retto poiché la prostata può essere spinta nel canale pelvico, o comunque in sua prossimità. Durante la palpazione, valutare dimensioni, simmetria, profilo superficiale, mobilità e dolorabilità della prostata. Normalmente essa si presenta bilobata, simmetrica, liscia, mobile e non dolente (Kutzler e Yeager, 2008; Maurey-Guenec, 2007). L’animale viene mantenuto in stazione quadrupedale (Paclikova et al., 2006). In alternativa si può eseguire la palpazione transrettale mantenendo l’animale in stazione sui soli arti posteriori (Johnston et al., 2001).

1.3.3 Esami ematobiochimici

Le patologie prostatiche possono dare sintomi sistemici vaghi, comuni anche a processi

morbosi che interessano altri organi e apparati, inoltre i cani che presentano questo tipo di disturbi sono spesso anziani e la prostata potrebbe non essere l’unico organo colpito da patologia. Per questo motivo è importante eseguire uno screening dello stato di salute generale dell’organismo tramite esame ematobiochimico completo (Barsanti e Finco, 1995). Nell’uomo vengono comunemente utilizzati due marker sierici specifici come indici della presenza di carcinoma prostatico: il PSA (Prostatic Specific Antigen) e la fosfatasi acida. Nel cane il PSA non è stato rilevato né nel siero né nel plasma seminale, mentre alterazioni della concentrazione della fosfatasi acida non sono sufficientemente specifiche da avere valenza diagnostica (Corazza et al, 1994, Gobello et al., 2002). L’analisi dell’espressione dell’arginina esterasi ha rivelato un aumento della sua concentrazione sierica negli animali affetti da patologia prostatica. Tale dato, però, non permette di differenziare tra gli specifici processi morbosi in quanto l’aumento riscontrato non differisce significativamente tra cani affetti da IPB, prostatite o carcinoma prostatico (Johnston et al., 2001).

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1.3.4 Esame delle urine

Spesso infezioni dell’apparato urinario e della prostata sono concomitanti, pertanto cani maschi in cui sia stata evidenziata piuria o batteriuria devono essere sottoposti ad accertamenti per escludere la presenza di prostatite, e viceversa. Per determinare la presenza d’infezioni alle vie urinarie inferiori è necessario effettuare l’esame chimico-fisico e batteriologico su urine raccolte tramite cistocentesi o cateterismo (Barsanti e Finco, 1995). Questo esame non consente, però, di attribuire in modo specifico la causa del disordine alla ghiandola prostatica.

1.3.5 Analisi del fluido prostatico

L’esame delle secrezioni prostatiche è un valido strumento per determinare la presenza o meno di una patologia a carico della prostata o per fornire ulteriori elementi che permettano di identificare con precisione quale sia il processo morboso in corso (Barsanti e Finco, 1995). E’ necessario valutare il fluido prostatico mediante esame citologico e coltura batterica quantitativa. Il fluido prostatico può essere ottenuto attraverso vari metodi: eiaculazione (raccolta della terza frazione), lavaggio prostatico o agoaspirazione. Il prelievo tramite eiaculazione è generalmente il metodo preferibile, specialmente quando si sospetta un’infezione batterica con concomitante cistite, in modo da ottenere un campione non contaminato dall’infezione delle vie urinarie (Kutzler e Yeager, 2008). L’efficacia della raccolta del materiale seminale dipende molto dalla collaborazione del cane. Dovrebbero essere presenti solo le persone strettamente necessarie e l’ambiente dove eseguire la procedura dovrebbe essere tranquillo (Barsanti e Finco, 1995; Farstad, 1998). Con alcuni cani la raccolta del seme può essere eseguita con la sola stimolazione manuale, altrimenti è necessaria la presenza di una cagna in estro o trattata con estrogeni. Più tentativi possono necessari con cani particolarmente timidi. Se la patologia in corso provoca dolore, come nel caso di una prostatite acuta, indurre l’eiaculazione potrebbe non essere possibile (Barsanti e Finco, 1995). In presenza di una cagna in estro, al cane viene permessa la monta e non appena il pene viene estroflesso dal prepuzio esso viene afferrato saldamente con una mano e deviato. Le dita dell’operatore devono esercitare una pressione decisa sul bulbo del pene e caudalmente ad esso (Farstad, 1998). In assenza di una cagna in calore, l’operatore deve massaggiare il pene

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sul glande fino all’inizio dell’erezione. Quando ciò accade, il prepuzio va spinto caudalmente al bulbo del pene e una leggera pressione va mantenuta con le dita a questo livello per tutta la durata della raccolta (Barsanti e Finco, 1995). E’ possibile avere una raccolta asettica del fluido, a patto che si abbia cura di cambiare i recipienti di raccolta una volta raccolte la prima e la seconda frazione dell’eiaculato e che la punta del pene non tocchi l’interno del recipiente di raccolta sterile (Kutzler e Yeager, 2008). Per l’esame citologico è consigliabile raccogliere il campione in una provetta con EDTA (Baker e Lumsden, 1999). Il campione combinato della prima e seconda frazione può essere utilizzato per la valutazione dello sperma, se richiesta. L’esame citologico del fluido prostatico aiuta a determinare se durante l’eiaculazione si è verificata o meno contaminazione; in particolare, la presenza di cellule epiteliali squamose con cocchi Gram-positivi (con una carica inferiore ai 100.000/ml (Barsanti e Finco, 1995)), insieme all’assenza di neutrofili, indica che durante la raccolta si ha avuto contaminazione (Kutzler e Yeager, 2008). L’esame citologico dovrebbe essere effettuato sia sul campione tal quale che dopo centrifugazione (Kraft et al., 2008).

Se il cane non eiacula, si effettua il lavaggio prostatico. Le varie procedure per eseguire questa tecnica vanno eseguite nella maniera più asettica possibile. Si procede a far urinare il cane e, successivamente, si cateterizza la vescica e si rimuove l’urina residua. La vescica viene quindi lavata con 5 ml di soluzione fisiologica, e questo campione ottenuto (PM-1) viene tenuto da parte. Il catetere viene successivamente retratto in modo che la punta sia distale alla prostata, la quale viene massaggiata per via trans rettale per circa 1 minuto, per spremere una quantità di fluido prostatico nell’uretra, dove esso può essere raccolto con il catetere urinario. Lentamente vengono iniettati 5 ml di soluzione fisiologica mentre l’orifizio ureterale viene occluso. Il catetere viene fatto avanzare in vescica mentre si effettua l’aspirazione, e il campione (PM-2) viene raccolto. Il campione del lavaggio prostatico deve essere fissato su un vetrino, colorato con ematossilina-eosina, e ne deve essere valutata la cellularità (Kutzler e

Yeager, 2008). in animali sani il fluido postmassaggio appare limpido (Feldman e Nelson,

1998). La valutazione citologica è maggiormente informativa se effettuata su campione centrifugato, poiché le cellule nel campione tal quale sono molto diluite (Kustritz, 2006). In assenza di patologie prostatiche, il campione PM-2 contiene spermatozoi, cellule dell’epitelio di transizione ed eritrociti (Baker e Lumsden, 1999). Raramente sono visibili cellule epiteliali prostatiche. Se non patologiche, esse si presentano uniformi in dimensione e aspetto. Il nucleo

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appare ovale, può essere presente un solo nucleolo di dimensioni ridotte. Il citoplasma è basofilo e vacuolato (Barsanti e Finco, 1995). Non sono stati riportati effetti collaterali conseguenti a questa metodica. I due campioni raccolti vanno comparati per determinare la sede della patologia in atto (Kustritz, 2006). Se è presente un’infezione del tratto urinario inferiore, prima di effettuare il lavaggio prostatico, il cane deve essere trattato con un antibiotico appropriato che non penetri nella prostata. Il massaggio prostatico non è esente da rischi: in caso di prostatite acuta o ascesso prostatico, c’è il rischio di creare una setticemia forzando i microrganismi batterici nel flusso sanguigno o di causare peritonite. Un altro svantaggio di questa tecnica è dato dal fatto che è difficile essere certi che il fluido prostatico sia stato espresso o meno (Kutzler e Yeager, 2008).

Alternativamente alle tecniche precedentemente esposte, possiamo prelevare campioni di fluido prostatico tramite aspirazione con ago sottile (FNA: Fine Needle Aspiration). L’agoaspirato può essere considerata una valida alternativa alla biopsia, poiché le diagnosi effettuate tramite le due diverse metodiche concordano nel 75% dei casi. L’agoaspirato, inoltre, presenta il vantaggio di una minore invasività, non richiede anestesia generale, ha costi inferiori, permette una migliore visualizzazione della citomorfologia e una maggiore rapidità nel fornire risultati (Powe et al., 2004). L’agoaspirato va evitato se si sospetta la presenza di raccolte purulente, poiché è stata descritta la disseminazione di batteri dalla prostata al peritoneo lungo il tragitto dell’ago (Barsanti e Finco, 1995). Se il materiale aspirato risulta purulento, l’aspirazione dovrebbe continuare in modo da ridurre la pressione all’interno dell’ascesso e prevenire la fuoriuscita di pus dal foro dell’ago (Kraft et al., 2008). L’ago aspirato andrebbe inoltre evitato in caso di sospetta neoplasia, in quanto è stata riportata la diffusione di cellule neoplastiche lungo il tragitto dell’ago (Baker e Lumsden, 1999; Nyland et

al., 2002). La tecnica va applicata rispettando le norme di asepsi, utilizzando un ago spinale

(Barsanti e Finco, 1995) da 22G (Baker e Lumsden, 1999). L’utilizzo dell’ecografia per la guida dell’ago permette di eseguire il prelievo di cellule dalle aree patologiche e ridurre il rischio di traumatizzare strutture periprostatiche (Johnston et al., 2001), ma è importante prestare attenzione a non utilizzare un quantitativo eccessivo di gel, poiché, se presente sul vetrino, all’esame microscopico provoca artefatti (Kraft et al., 2008). Possiamo utilizzare tre diversi approcci: per via trans addominale, via perirettale o via transrettale. L’approccio è determinato dalla localizzazione della prostata, evidenziata alla palpazione o all’ecografia

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(Slatter, 2005). Con l’approccio trans addominale, il cane viene posto in decubito laterale e l’area addominale caudale viene rasata. La sedazione non è sempre necessaria. Si prepara chirurgicamente l’area e si copre la sonda ecografica con una protezione sterile; si visualizza ecograficamente l’area da campionare e si introduce un ago sterile nella lesione e si aspira più volte tramite una siringa sterile affissa all’estremità esterna dell’ago; si rilascia infine la pressione negativa e si ritrae l’ago (Kustritz, 2006). Per l’approccio perirettale il cane viene sedato e posto in decubito dorsale o sternale; anche in questo caso, l’area interessata viene rasata e preparata chirurgicamente; un dito nel retto stabilizza la prostata; un ago spinale viene introdotto nella regione del perineo a 1-2 cm dal piano sagittale mediano (a destra o a sinistra) e a 1-2 cm dall’ano (a ore 5 o a ore 7) (Barsanti, 1999); quando l’ago è penetrato nella prostata, si applica una pressione negativa tramite una siringa connessa a esso; si rilascia poi la pressione negativa e si ritrae l’ago (Johnston et al., 2001). Infine, l’approccio trans rettale è impiegato nel caso si sospetti una neoplasia prostatica, ma è sconsigliato per conferma di prostatite, data l’impossibilità di ottenere un campione non contaminato (Threlfall e Chew, 1999). Il cane viene sedato se la palpazione transrettale della prostata risulta dolorosa; una guida per ago transrettale viene posta sopra una mano guantata e un ulteriore guanto vi viene posto sopra per creare un tragitto per l’ago sopra il dito indice; tramite palpazione transrettale viene palpata la prostata e localizzata l’area da campionare e successivamente si procede come negli approcci precedentemente descritti (Johnston et al., 2001).

In una prostata sana, all’esame citologico tramite agoaspirazione, le cellule prostatiche normali appaiono come cilindriche o cuboidali, uniformi. Il loro nucleo è rotondeggiante e in posizione centrale o basale. Il citoplasma è basofilico e finemente granulare (Barsanti e Finco, 1995). Non si riscontrano cellule squamose. Il loro ritrovamento va considerato indice di metaplasia squamosa. Esse sono caratterizzate da citoplasma debolmente colorato e con un nucleo piccolo (Kraft et al., 2008). A seguito di coltura del materiale raccolto, ogni batterio isolato va considerato patologico, se l’agoaspirato è stata eseguito in sterilità. In caso d’infezione prostatica è frequente l’isolamento di un solo microrganismo. In caso di approccio perirettale, colture miste sono indicative di contaminazione da penetrazione del colon (Barsanti e Finco, 1995).

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1.3.6 Biopsia della prostata

La biopsia prostatica è necessaria per emettere una diagnosi definitiva in alcune malattie della

prostata. Il suo utilizzo è tuttavia limitato dall’invasività della procedura. Solitamente è impiegata se tecniche meno invasive non forniscono elementi sufficienti alla diagnosi, se la terapia intrapresa per una sospetta patologia prostatica si è dimostrata inefficace, se la patologia sospettata è grave (ad esempio una neoplasia) e richiede interventi immediati e aggressivi. Il materiale raccolto può essere impiegato per l’esecuzione di esami batteriologici, citologici o istologici. Il prelievo bioptico può essere effettuato a “cielo aperto”, cioè durante l’esposizione chirurgica dell’organo, o in via percutanea (“chiusa”) (Barsanti e Finco, 1995). E’ comunque preferibile impiegare tecniche di prelievo per via percutanea, perché sono meno invasive, meno costose e causano minore morbilità. Tuttavia, le tecniche per il prelievo intraoperatorio permettono di raccogliere dei campioni più grandi da siti più specifici. Per le biopsie percutanee si usa l’ago Biopty Tru-Cut o gli aghi da biopsia Franklin-Silverman, che possono essere guidati con la palpazione (alla cieca) oppure con l’ausilio dell’ecografo. Quest’ultima metodica è da preferire, in quanto consente di dirigere l’ago verso le aree che presentano anomalie (Fossum, 2008). Nell’immagine ecografica, l’ago si presenta come un eco puntiforme estremamente brillante. La sua visualizzazione è tanto migliore quanto più esso è perpendicolare al fascio di ultrasuoni. Sempre ben visibile è il movimento dei tessuti che l’ago attraversa (Quenda, 1997). Non si devono eseguire biopsie prostatiche quando si sospetta la presenza di un ascesso o di una cisti (Fossum, 2008). Per evitare di ledere l’uretra prostatica è possibile inserire un catetere uretrale riempito con fluido o aria prima di raccogliere i campioni della biopsia (Kutzler e Yeager, 2008). La tecnica per l’esecuzione di una biopsia percutanea ricalca quella dell’agoaspirato. Può essere impiegato un approccio transaddominale o perirettale. L’animale va sedato ed è necessaria un’anestesia locale. Campioni diagnostici vengono ottenuti in circa due terzi dei casi (Kustritz, 2006). Nell’uomo è stata dimostrata l’utilità dell’esecuzione di biopsie multiple, anche in aree che, ecograficamente, non presentano alterazioni (Mattoon e Nyland, 2002). Nel caso di biopsia prostatica aperta, è possibile raccogliere campioni prostatici impiegando un ago da biopsia o con un’incisione a cuneo usando una lama da bisturi n°11; se si procede con l’incisione, è necessario, dopo aver effettuato il prelievo, avvicinare i margini dell’incisione applicando dei

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punti di sutura assorbibili a X oppure semplici continui nella capsula della prostata, utilizzando un filo assorbibile 3-0 o 4-0 (Fossum, 2008). Qualunque sia la tecnica applicata, se sono presenti raccolte purulente, è buona norma aspirarle prima di procedere alla biopsia. Complicazioni riscontrate nell’applicare una biopsia prostatica sono: ematuria, disseminazione dell’infezione, lacerazione dei vasi sanguigni, fistola uretrale, orchite, puntura involontaria di organi adiacenti (Kutzler e Yeager, 2008).

1.3.7 Esame radiografico

Per visualizzare la ghiandola prostatica, con questo tipo di esame, in maniera ottimale, è necessario centrare lo studio radiografico a livello dell’addome caudale, cranialmente rispetto all’articolazione dell’anca di 1-2 cm, utilizzando una tecnica a bassi kV per rendere al massimo il contrasto tra i tessuti molli (Costello, 2009). Questa metodica non permette di esaminare nel dettaglio il parenchima prostatico, tuttavia è possibile evidenziare eventuali foci di mineralizzazione o cavità contenenti gas all’interno della ghiandola. Essa dà, inoltre, una visione d’insieme delle strutture presenti a livello dell’addome caudale e della pelvi, permettendo d’identificare un eventuale aumento di volume dei linfonodi iliaci e dislocazioni di colon o vescica. La visualizzazione dei tessuti duri, inoltre, risulta indispensabile per determinare alterazioni a carico di vertebre, bacino e femore, causate, ad esempio, da metastasi originate da neoplasie prostatiche (Mattoon e Nyland, 2002). La prostata va esaminata in proiezione sia latero-laterale sia ventro-dorsale (Smith, 2008), ma diversi Autori concordano sul fatto che, tra le due proiezioni, la latero-laterale fornisca maggiori informazioni, poiché permette una visualizzazione più rapida e precisa del margine craniale, riducendo le sovrapposizioni tra le diverse strutture anatomiche (Debiak e Balicki, 2009;

Costello, 2009; Kevin e McAllister, 2011). Radiologicamente, la prostata si presenta come una

massa rotondeggiante (Lattimer e Essman, 2007), omogenea, con la radiopacità tipica dei tessuti molli, con margini netti e regolari (Paclikova et al., 2006), posta tra la vescica, il retto e la pelvi. Occorre però precisare che la sua chiara visualizzazione (nella proiezione latero-laterale) dipende dalla presenza di una modica quantità di grasso tra il margine cranioventrale della prostata e il margine caudoventrale della vescica (Slatter, 2005), dal grado di replezione della vescica urinaria, dallo spessore della parete della cavità addominale, dall’età, dalla

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maturità sessuale e che la valutazione del margine posteriore è resa impossibile dalla presenza del bacino (Lattimer e Essman, 2007). In cani giovani o castrati, la prostata normalmente non si visualizza, poiché si presenta di piccole dimensioni e spesso si trova all’interno del canale pelvico (Paclikova et al., 2006). In proiezione laterale, la lunghezza e l’altezza di una prostata sana non superano il 70% della distanza tra il promontorio del sacro e il margine craniale del pube. In proiezione ventro-dorsale, invece, la larghezza della ghiandola non supera il 50-65% del diametro dell’ingresso della pelvi (Mattoon e Nyland, 2002; Hayward, 2006). Si deve notare che la diagnostica radiologica tende a sovrastimare le dimensioni prostatiche a causa della difficoltà di distinguere la ghiandola dalle strutture che la circondano, come il colon e la parete addominale (Atalan et al., 1999c). Se le dimensioni prostatiche sono normali, colon e vescica sono in posizione fisiologica (Kutzler e Yeager, 2008).

Nello studio radiologico della prostata è importante considerare che nessuna alterazione dell’immagine radiografica dell’organo è specifica di una determinata patologia (Atalan et al., 1999a). Inoltre, in animali magri o con fluido nell’addome caudale, la prostata può non essere radiograficamente visualizzabile, neppure se patologicamente aumentata di volume (Lattimer

e Essman, 2007). Per definire radiograficamente se la ghiandola è ingrossata o meno, è più

affidabile la valutazione della lunghezza rispetto a quella dell’altezza dell’organo. Ciò può essere attribuito alla minore resistenza incontrata dalla prostata nell’espandersi in senso orizzontale, piuttosto che verticale (Atalan et al., 1999a). Un’ulteriore studio radiografico può essere effettuato facendo ricorso alla cistouretrografia retrograda con mezzo di contrasto per distensione (DRCU, Distension Retrograde Contrast Urethrocystography) (Han, 2000) (Figura 1.4). Essa permette di valutare l’uretra prostatica e la sua posizione all’interno della ghiandola tramite l’utilizzo di un mezzo di contrasto positivo (Lattimer e Essman, 2007). Questa metodica raramente permette di evidenziare la presenza di patologie prostatiche, perciò viene generalmente preferita l’ecografia (Burk e Ackerman, 1996; Kutzler e Yeager, 2008), tramite cui si ottengono in modo più semplice un maggior numero d’informazioni sulla struttura intima del parenchima della ghiandola (Lattimer e Essman, 2007). La cistouretrografia, tuttavia, è indispensabile per identificare patologie a carico dell’uretra, che l’indagine ultrasonografica permette solo di sospettare (Hanson e Tidwell, 1996; Lattimer e Essman 2007), per questo può essere consigliabile l’utilizzo congiunto di ecografia e radiografia con contrasto (Feeney et al., 1987). Nella prostata normale si identifica un contrasto positivo

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Figura 1.4 Cistouretrografia retrograda di un cane sano. È presente reflusso uretroprostatico di entità fisiologica

(freccia) (http://www.vetmedtext.com, Elsevier Inc. 2009).

minimo nel parenchima prostatico vicino all’uretra (reflusso uretroprostatico). Tuttavia, l’accumulo di grandi volumi di materiale di contrasto nel parenchima prostatico (reflusso intraprostatico) è stato riportato in tutti i tipi di patologie prostatiche (Kutzler e Yeager, 2008). L’uretra prostatica fisiologicamente si trova al centro della ghiandola (Lattimer e Essman, 2007) e il suo diametro può essere fino a 2,7 volte superiore a quello dell’uretra pelvica (Dorfman e Barsanti, 1998). La sua superficie mucosale normalmente è liscia. Il diametro aumenta leggermente al centro della prostata, per diminuire alle estremità craniale e caudale (Lattimer e Essman, 2007); variazioni fisiologiche del diametro uretrale avvengono in relazione allo stato di replezione della vescica (Kutzler e Yeager, 2008). Il lieve difetto di riempimento dovuto al collicolo seminale non va interpretato come un’alterazione patologica (Lattimer e Essman, 2007). Complicazioni conseguenti all’esecuzione della DRCU sono l’instaurarsi d’infezioni e i traumi a livello uretrale. La loro incidenza può essere ridotta sedando l’animale. L’entrata in circolo di mezzo di contrasto tramite soluzioni di continuo della mucosa uretrale non dà problemi all’animale (Burk e Ackerman, 1996). Nel caso la parete vescicale sia gravemente lesionata da processi patologici, bisogna procedere con cautela per evitarne la rottura (Barsanti e Finco, 1995).

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1.3.8 Tomografia Computerizzata

In medicina veterinaria, la tomografia computerizzata è utilizzata frequentemente e con ottimi risultati per investigare il cervello, le cavità ed i seni nasali, l’area periorbitale, la colonna vertebrale, gli arti, il torace, l’apparato gastro-enterico, il fegato, la milza, le ghiandole surrenali, i reni, gli ureteri, i linfonodi ed i maggiori vasi, inclusi aorta e vena cava (Tidwell, 2007). Ad oggi, però, lo studio della prostata con la tomografia computerizzata è stato oggetto di pochi e recenti lavori, che ne hanno iniziato a delineare i caratteri fisiologici e l’anatomia topografica normale. Uno studio del 2010 ha rilevato che la maggior parte della ghiandola si localizza in corrispondenza di S1 e che appare come una struttura ovoidale omogenea ben distinta dal grasso circostante, relativamente ipodensa rispetto alla parete del retto, con margini lisci e ben definiti (Dimitrov et al., 2010).

1.3.9 Esame ecografico.

L’ecografia transaddominale è la tecnica di diagnostica per immagini migliore per la valutazione della prostata, poiché è un metodo sicuro, non invasivo, che consente misurazioni precise così come la valutazione del parenchima prostatico (Kutzler e Yeager, 2008). Nel cane possono essere effettuate scansioni in decubito dorsale, laterale o in stazione quadrupedale (Prufer et al., 2000). Si consiglia una sonda da 5 o 10 MHz convessa o settoriale a causa del suo campo di osservazione di 90° o superiore, e poiché la testa della sonda può seguire il contorno del corpo dell’animale meglio di quanto possa fare una a matrice lineare. Per visualizzare la prostata, la sonda viene posizionata contro la parete addominale ventrale, cranialmente al pube, in posizione paraprepuziale. Si rintraccia la prostata caudalmente alla vescica, che dovrebbe essere in condizione di massimo riempimento, rappresentando, quindi, un punto di repere e un mezzo per spostare la ghiandola verso la cavità addominale, rendendola più accessibile. La prostata deve essere osservata e misurata lungo i piani longitudinale e trasversale. La lunghezza e l’altezza della prostata vengono misurate sulle immagini longitudinali; la lunghezza è definita come il diametro prostatico massimo lungo l’asse uretrale, mentre l’altezza è definita come il diametro prostatico massimo perpendicolare all’asse della lunghezza. L’immagine trasversale della prostata viene ottenuta ruotando la

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sonda di 90°. Dall’immagine trasversale, l’altezza è definita come il diametro prostatico che separa i due lobi, mentre la larghezza è definita come il diametro prostatico massimo perpendicolare all’asse dell’altezza. Visualizzazioni non ottimali dell’organo fanno si che i valori misurati dei diametri differiscano da quelli misurati correttamente fino al 8,8% per quanto riguarda la lunghezza, fino al 35,7% considerando la larghezza e al 22% l’altezza (Atalan et al., 1999b). Sono state definite delle formule per determinare i limiti superiori dei range fisiologici di tali valori (Tabella 1.3.1); il risultato è stato ottenuto attraverso l’esame ecografico di 100 cani adulti, interi e clinicamente sani (Ruel et al., 1998; Kamolpatana et al., 2000). L’aspetto ecografico della prostata di un cane intero sano deve essere quello di una struttura uniformemente fine-media e moderatamente iperecogena, un aspetto simile a quello della milza, con una capsula ecogena e margini lisci. L’uretra, che attraversa longitudinalmente la parte centrale dei due lobi, è generalmente ipoecogena rispetto al parenchima prostatico. Al contrario, in un cane castrato la prostata appare leggermente ipoecogena rispetto al grasso e alle strutture adiacenti, cosicché l’uretra è di più difficile visualizzazione. Nel cane intero si può visualizzare nel centro della prostata una regione ilare maggiormente ecogena, a forma di farfalla (Figura 1.3.1); questa corrisponde a collagene e tessuto epiteliale nella parete dell’uretra prostatica e dei dotti periuretrali (Kutzler e Yeager, 2008). La capsula non è sempre ben definita, essa si evidenzia soltanto in condizioni di perfetta perpendicolarità degli ultrasuoni e, quando appare, è indicata da un’interfaccia sottile, continua e debolmente ecogena; inoltre, essendo la prostata di forma rotondeggiante, si possono via via valutare solo brevi tratti della capsula (Poulsen e Tobias, 2000).

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Figura 1.3.1: Scansione trasversale: cane di 3 anni, prostata normale; parenchima ben delimitato e più ecogeno

rispetto alle strutture circostanti. La simmetria dei lobi conferisce la tipica forma a farfalla.

Tabella 1.3.1: Formule per il calcolo dei valori massimi dei diametri prostatici considerati fisiologici. Modificato

da Ruel et al. (1998) e da Kamolpatana et al. (2000). BW: peso corporeo. A: età.

DIMENSIONE FORMULA

Lunghezza

Diametro lungo l’asse uretrale

(0,055 x BW) + (0,143 x A) + 3,31

Larghezza

Diametro perpendicolare all’asse di HT

(0,047 x BW) + (0,089 x A) + 3,45

AltezzaS (HS)

Diametro perpendicolare all’asse della lunghezza

(0,046 x BW) + (0,069 x A) + 2,68

AltezzaT (HT)

Diametro lungo la linea che separa i due lobi

(0,044 x BW) + (0,083 x A) +2,25

Volume

{1/2,6x(LunghezzaxLarghezzax[(HS+HT)/2])}+1,8cm3

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1.4 CISTI PROSTATICHE

Una cisti prostatica è una cavità ripiena di fluido, non settica, con parete propria, situata all’interno o adesa alla prostata. Oltre che congenite, possono essere acquisite, come accade frequentemente nel cane, dove costituiscono una patologia secondaria ad iperplasia, neoplasie o processi infiammatori della prostata (Marcato, 2008). Le cisti prostatiche insorgono più frequentemente nei cani maschi, interi e di grossa taglia (Black et al., 1998), e possiamo riscontrarle approssimativamente nel 15% dei cani oltre i 7 anni di età (Levy et al., 2014). Ad eccezione delle cisti di piccole dimensioni associate all’iperplasia benigna, l’incidenza di cisti prostatiche in proporzione alle patologie della ghiandola è bassa (all’incirca compresa fra 2,6% e 5,3%) (Dorfman e Barsanti, 1998). Le cisti prostatiche, a seconda dell’eziologia, possono essere così classificate:

 cisti da ritenzione o vere;

 ematocisti (postumi dell’ematoma prostatico);  cisti paraprostatiche.

Le cisti da ritenzione si formano all’interno della prostata (cisti parenchimali) per ritenzione di secreto, prodotto in eccesso dalle ghiandole ipertrofiche, che si presenta come un liquido biancastro, lattiginoso. Sono associate a Iperplasia Prostatica Benigna (IPB) e possono presentarsi in concomitanza a metaplasia squamosa causata da tumori delle cellule del Sertoli o dalla prolungata somministrazione in soggetti, anche giovani, di estrogeni (Marcato, 2008). La ritenzione è provocata dall’occlusione dei dotti escretori, cui consegue una progressiva dilatazione degli acini (Johnston et al., 2000). Le cisti convergono mentre si allargano, formando cavità più ampie, e vengono circondate da collagene denso che può andare incontro ad ossificazione. Generalmente, le cisti parenchimali tendono ad avere dimensioni maggiori verso la periferia della prostata (Barsanti e Finco, 1995). Dal punto di vista istologico, queste cisti sono delimitate da un epitelio compatto di transizione, cuboide o squamoso, e sono ripiene di materiale secretorio e detriti cellulari (Fossum, 2008).

Le cisti da ritenzione possono assumere dimensioni tali da evolvere in cisti paraprostatiche. La loro eziopatogenesi non è certa, ma è stato ipotizzato che derivino dall’utero mascolino (una struttura embrionale derivata dal sistema dei dotti di Müller), da cisti da ritenzione (Kutzler e

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loro incidenza è stimata attorno al 2,6 - 5,3% dei cani affetti da patologia prostatica (Stowater

e Lamb, 1989). Queste cisti sono adiacenti e adese alla prostata tramite un peduncolo, ma

raramente comunicano col parenchima. Variano per dimensioni, forma e localizzazione; la maggior parte di esse è posizionata cranialmente o dorsalmente alla prostata e alla vescica urinaria, e sono spesso ampie, estendendosi quindi nella fossa perineale e nell’addome, andando a compromettere i visceri adiacenti e la loro funzione (Fossum, 2008). Possono essere singole o multiple, raramente comunicanti tramite piccolissime aperture con i dotti e gli acini della prostata. La loro parete è costituita da tessuto fibroso, talvolta con ammassi di materiale calcificato visibile radiograficamente (Lisciandro, 1995; Closa et al., 1995; Rife e

Thornburg, 1980), e può essere rivestita da epitelio prostatico secernente, che, nelle cisti di

maggiori dimensioni, può formare proliferazioni “a cavolfiore”. Il loro contenuto varia da incolore a rosato a brunastro, reso torbido dalla presenza di fibrina. All’interno di queste cisti è possibile rinvenire calcoli (Marcato, 2008).

1.4.1 Sintomatologia

I cani affetti da cisti prostatiche sono spesso asintomatici, finché le cisti divengono abbastanza ampie da causare ostruzione del retto, della vescia o dell’uretra. È stata osservata incontinenza urinaria (White et al., 1987) generalmente associata a sovradistensione della vescica e ostruzione parziale dell'uretra (Atilola e Pennock, 1986). Nel caso di cisti di grandi dimensioni, si può verificare una protrusione perineale o una distensione addominale. I sintomi con cui i soggetti vengono portati a visita comprendono depressione, inappetenza, stranguria, tenesmo e/o scolo ematico uretrale (Fossum, 2008). In uno studio condotto su cani con cisti prostatiche, il 26% mostrava sintomi urinari, il 37% gastrointestinali mentre il 48% manifestava sintomi di malattia sistemica (Krawiec e Helfin, 1992).

1.4.2 Diagnosi

Come per tutte le altre patologie, una anamnesi approfondita ed un accurato esame clinico rappresentano il primo passo per giungere ad una diagnosi certa. Attraverso la palpazione rettale, le cisti di piccole dimensioni vengono percepite come un ingrandimento asimmetrico;

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talvolta, nel lobo interessato, si notano aree molli e fluttuanti che se calcificate risultano dure (Barsanti e Finco, 1995). Le cisti paraprostatiche sono spesso percettibili anche attraverso la sola palpazione addominale (Stowater e Lamb, 1989). Cisti separate e di dimensioni maggiori solitamente si rilevano nella parte caudale dell'addome e nella regione perineale. Gli esami ematologici rientrano, generalmente, nella norma (Packlikova et al., 2006), sebbene in un gruppo di soggetti sia stata osservata leucocitosi neutrofila nel 30% dei casi (Weaver, 1978). Nelle analisi delle urine possiamo riscontrare ematuria, se delle emorragie si verificano al loro interno e se esse comunicano con l’uretra (Barsanti e Finco, 1995); a volte si riscontra una leggera proteinuria (Johnston et al., 2001). Se presente scolo uretrale, risulta necessario effettuare l'esame citologico del liquido, il quale permette di differenziare il fluido prostatico dall'urina; allo stesso scopo si può effettuare un'analisi delle urine su entrambi i campioni. Nello stesso paziente, il liquido cistico è solitamente più ricco di proteine rispetto all'urina (Weaver, 1978; Barsanti e Finco, 1995). La raccolta di fluido contenuto nella cisti durante il prelievo del liquido prostatico, dipende dalla presenza o meno di comunicazione fra la cisti e l'uretra. In genere, il liquido della cisti è giallo/sieroemorragico, caratterizzato da un numero ridotto di leucociti, e sterile (Johnston, 1985). Le radiografie possono evidenziare un contrasto minimo nell'addome caudale e una forma della prostata asimmetrica o irregolare. Si possono evidenziare aree di calcificazione (Lattimer e Essman, 2007). Le cisti di grandi dimensioni appaiono come masse dense di tessuto molle, simile alla vescica presenti nella regione caudoventrale e per questo, spesso, è necessario eseguire una uretrocistografia per determinare quale struttura rappresenti la vescica. Il reflusso uretroprostatico può essere più consistente del normale anche se frequentemente il mezzo di contrasto non refluisce all'interno della cisti (Weaver, 1978). Con l'uretrocistografia gassosa retrograda la prostata può apparire asimmetrica e il lume dell'uretra prostatica può essere stenotico. In caso di cisti intraprostatiche, l’esame ecografico rivela la presenza di cavità singole o multiple, ipoecogene o anecogene, a margini lisci che possono comportare asimmetria prostatica se molto voluminose. Cisti e ascessi intraparenchimali appaiono entrambi come strutture delimitate da una parete sottile e liscia. Il loro volume varia e il loro contenuto può essere completamente anecogeno o contenere foci ecogeni, dati da detriti cellulari (Lattimer e Essman, 2007). È presente un rinforzo di parete posteriore (Mattoon e Nyland, 2002). Secondo uno studio del 1987, la distinzione certa tra i due tipi di lesione non è possibile (Feeney et al., 1987). Studi

Riferimenti

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