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TEICOPLANINA IN AMBIENTE CRITICO: OTTIMIZZAZIONE DEL DOSAGGIO.

Il principale determinante farmacodinamico di efficacia per gli antibiotici glicopeptidici è rappresentato dal mantenimento di una concentrazione plasmatica minima (Cmin) costantemente al di sopra della

MIC dell’agente eziologico (Cmin>MIC).

In riferimento a teicoplanina, nel corso di una valutazione clinico- farmacologica retrospettiva è stato osservato che quando Cmin era superiore

a 10 mg/L l’efficacia clinica di teicoplanina nella terapia delle gravi infezioni ospedaliere era del 60-65% dei casi, mentre saliva al 75-80% quando Cmin era > 20 mg/L.

Correlazione concentrazione plasmatica minima di teicoplanina e probabilita di guarigione clinica

0 10 20 30 40 50 60 70 80 90 100 1 2 3 4 5 6 Cmin (mg/L) % guariti

Al fine di garantire la massima efficacia è opportuno considerare che: Cmin >10 mg/L è il target minimale in grado di garantire efficacia

clinica, il cui raggiungimento deve essere tanto più precoce quanto più critiche sono le condizioni del paziente. Cmin >20 mg/L è invece il target da

perseguire nelle infezioni maggiori, specialmente se caratterizzate da localizzazioni a livello d’organo120.

Per i farmaci come teicoplanina, cha possiede una lunga emivita di eliminazione (>70-100h), è importante raggiungere rapidamente concentrazioni terapeutiche efficaci; per tale motivazione si inizia la terapia con una dose da carico (LD).

La dose da carico è una dose necessaria “a riempire uno spazio vuoto” (cioè il volume occupato dal farmaco stesso). La formula farmacocinetica per il calcolo della dose da carico dipende solo dal volume di distribuzione (Vd, il peso del paziente) e dalla concentrazione ottimale che vogliamo raggiungere), non è influenzata dalla funzionalità degli organi emuntori, pertanto deve essere somministrata anche in pazienti con insufficienza renale. LD = Vd × Ctarget

Nel corso di uno studio retrospettivo (Pea, et al.) relativo all’attività di monitoraggio delle concentrazioni plasmatiche (TDM) di teicoplanina riferito a 202 pazienti (condotto dal 1995 al 2002), è stato riscontrato che il tempo medio per raggiungere concentrazioni terapeuticamente efficaci (Cmin >10mg/L) era di 5 giorni121, la dose da carico era stata somministrata solo in un terzo dei pazienti.

Figura: concentrazioni plasmatiche di teicoplanina nei pazienti critici. La linea tratteggiata indica la concentrazione raccomandata nelle infezioni gravi (10 mg/L)2.

Figura: Andamento concentrazioni plasmatiche di teicoplanina durante i primi giorni di terapia in pazienti che hanno ricevuto (freccia chiusa) vs i pazienti che non hanno ricevuto (freccia aperta) dose da carico . La linea tratteggiata indica la concentrazione raccomandata nelle infezioni gravi (10 mg/L)2.

Visto il risultato gli stessi autori hanno elaborato uno studio prospettico per valutare l’effetto che un intervento mutlidisciplinare di tipo educazionale potesse avere sull’appropriatezza d’uso della teicoplanina. L’obiettivo dello studio, condotto su 600 pazienti, era quello di raggiungere precocemente la Ctarget (mediante applicazione della dose da carico) e

gravità dell’infezione. A differenza di quello che avveniva nello studio retrospettivo l’esposizione ottimale è stata raggiunta in seconda giornata122.

In conclusione Pea et al, hanno dimostrato che dosi di carico di teicoplanina permettono di raggiungere concentrazioni plasmatiche minime in tempi più brevi rispetto ad un protocollo standard, la somministrazione di teicoplanina deve proseguire poi con delle dosi di mantenimento (MD).

La dose di mantenimento rappresenta la quantità di farmaco che è necessaria per rimpiazzare la quota che è stata eliminata dagli organi emuntori durante ciascun intervallo posologico (24h per la somministrazione standard), ciò consente di mantenere le concentrazioni terapeutiche efficaci raggiunte grazie all’iniziale somministrazione della dose da carico.

La dose di mantenimento devono essere progressivamente ridotte in rapporto al grado di funzionalità renale del paziente. (A tal fine risulta particolarmente utile la stima della filtrazione glomerulare mediante la formula di Cockroft-Gault)3.

Altra strategia di somministrazione per teicoplanina è l’infusione endovenosa continua.

Questo tipo di somministrazione è teoricamente valida per tutte le classi di farmaci tempo-dipendenti: antibiotici glicopeptidici compresi. Infatti a parità di esposizione globale, rispetto a quella ottenibile con la stessa posologia giornaliera somministrata in modo intermittente, con l’infusione continua l’area sotto la curva concentrazione plasmatica tempo (AUC) rimane quantitativamente la stessa offrendo però una migliore qualità dell’esposizione.

Poiché, come precedentemente riportato, il principale determinante farmacodinamico di efficacia per teicoplanina è rappresentato dal mantenimento di Cmin>MIC, l’infusione continua consentirebbe di ottenere

concentrazioni efficaci anche nei confronti di patogeni con elevati valori di MIC (con scarsa sensibilità in vitro per gli antibiotici)123.

Da tener presente che durante l’infusione continua inizialmente la concentrazione plasmatica aumenta molto lentamente, il raggiungimento della Ctarget richiederebbe alcune ore, per questo motivo è necessario

iniziare la somministrazione dell’antibiotico con una dose da carico di entità pari alla prima dose intermittente.

Riguardo la somministrazione di antibiotici in infusione endovenosa continua esistono dati in letteratura con risultati piuttosto controversi, considerazione legata soprattutto allo scarso numero dei pazienti inclusi in tali studi.

In una meta-analisi pubblicata da Kasiakou et al, 2005 si sono analizzati i risultati di 9 studi randomizzati in cui si sono state comparate le modalità di somministrazione continua ed intermittente per gli stessi regimi di antibioticoterapia, in particolare sono stati presi in considerazione antibiotici β-lattamici, amminoglicosidi e vancomicina124.

Nella meta-analisi sono stati considerati come parametri di confronto l’eventuale fallimento terapeutico, la mortalità e la nefrotossicità.

Anche se non con rilevanza statistica il fallimento terapeutico è stato minore nei pazienti che hanno ricevuto l’infusione continua, la differenza invece è stata statisticamente significativa in un sottoinsieme di studi in cui è stata utilizzata la stessa dose totale giornaliera per entrambe le braccia in esame. Non sono state invece riscontrate differenze significative riguardo mortalità e nefrotossicità.

Nella meta-analisi si arriva alle seguenti conclusioni: “i dati suggeriscono che a parità di dosaggio giornaliero la somministrazione attraverso infusione endovenosa continua potrebbe essere più efficiente rispetto alle somministrazioni di tipo intermittente in riferimento all’efficacia clinica”.

In un recente studio osservazionale sono stati valutati 1700 monitoraggi di vancomicina effettuati in pazienti critici trattati con somministrazione intermittente (2-4 dosi/die) o infusione continua125. L’esposizione farmacodinamicamente ottimale per vancomicina è pari a 8- 10 mg/l. Al primo monitoraggio, effettuato 2,3 giorni dopo l’inizio del trattamento mentre il 45% dei pazienti trattati con le dosi intermittenti aveva una concentrazione subterapeutica, ciò accadeva solo nel 7,5% dei pazienti trattati con infusione continua, a testimonianza del fatto che quest’ultima modalità di somministrazione consente di ottenere una esposizione migliore.

Per una completa ottimizzazione di un trattamento antibiotico infine non si può prescindere dal considerare quelli che sono i parametri farmacocinetici e farmacodinamici propri di ciascun paziente, specialmente se critico. La tendenza moderna è quella dell’approccio multidisciplinare, il coinvolgimento di più figure specialistiche sembra essere infatti indispensabile per il raggiungimento della “terapia ideale”, cioè una terapia modulata sulla base delle caratteristiche specifiche della malattia e della fisiopatologia del singolo individuo126; può esserci infatti ampia variabilità dei parametri farmacocinetici e farmacodinamici sia entro lo stesso paziente, sia tra pazienti diversi che tra i diversi farmaci.

La compresenza del farmacologo clinico è indispensabile per individualizzare la terapia antibiotica ma particolarmente importante in ambito critico, la popolazione ricoverata nelle unità di terapia intesiva infatti può essere colpita da infezioni batteriche pericolose per la vita, e dal punto di vista fisiopatologico spesso presenta ampia variabilità interindividuale dovuta sia alla patologia di base che alla somministrazione di farmaci, si pensi ad esempio alle variazioni della clearance renale e al cospicuo carico di fluidi.

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