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2. Fondamenti teorici

2.2. La terminologia

2.2.2. Le tendenze attuali

Budin non è il solo a proporre uno scenario alternativo a quello of- ferto dalle teorie delle principali scuole europee: negli anni più recen- ti, infatti, sono numerosi gli adattamenti che la teoria generale della terminologia elaborata da Wüster ha dovuto subire per rispondere alle esigenze dell’attività terminologica concreta. Se, infatti, tra i principi fondamentali della teoria wüsteriana vi erano, tra gli altri, la monose- mia e il carattere prescrittivo, nella realtà dei fatti notiamo come tali presupposti non sempre trovino una piena realizzazione.

Le terminologie scientifiche sono troppo stabili e non riescono a ri- flettere la mutevole dinamicità dei sistemi di conoscenze. Inoltre, in esse manca una delimitazione chiara dei domini e di conseguenza la polisemia (vale a dire la coesistenza, in uno stesso segno, di significati diversi) e la sinonimia (identità di significato tra due o più parole o espressioni), non ammesse dalla terminologia tradizionale, sono tutt’altro che rare. Ciò dipende dal fatto che, fatta eccezione per la comunicazione tra esperti di un determinato settore, i termini sono ri- levati nel loro uso nella lingua viva, che dipende dalla situazione co- municativa e dalla loro storia. La coerenza concettuale, la monosemia

e l’assenza di sinonimia rimangono quindi ideali pressoché irraggiun- gibili (Ray, 1995).

In particolare, in un contesto commerciale la sinonimia può trovare le sue ragioni in una strategia di marketing, secondo la quale un’azienda utilizza un proprio termine per distinguersi dalle altre. In tale caso l’esigenza di mantenere riconoscibile l’identità del prodotto o del marchio tramite quelle che Scarpa (2002) definisce “varianti commerciali” si scontra con la tendenza all’armonizzazione, compor- tando un alto grado di variazione terminologica. In altri casi le varia- zioni sinonimiche in un’azienda dipendono, in larga parte, dalla pro- gressiva stratificazione degli utenti che la sempre maggior specializ- zazione in tutti i settori dell’azienda ha creato all’interno delle aziende stesse e, eventualmente dalla diversa percezione di un concetto da par- te di utenti diversi. Probabilmente comparse in un primo momento a livello orale, tali variazioni si sono sedimentate anche nel linguaggio scritto e sono entrate a far parte della terminologia aziendale (Bertac- cini e Lecci, 2009).

Anche un approccio della terminologia altamente prescrittivo, co- me quello teorizzato da Wüster, potrebbe trovare realizzazione solo nella comunicazione tra esperti con un livello di specializzazione ele- vato. Sebbene osservando il contenuto di un dizionario la terminologia sembra essere chiara e sistematica, con equivalenze pressoché perfette tra due o più lingue e una netta definizione e delimitazione dei concet- ti, nel loro utilizzo naturale i termini costituiscono un mezzo di espres- sione e comunicazione e presentano quindi una variazione dipendente dai diversi registri funzionali utilizzati. Ne risulta un discorso caratte- rizzato da ridondanza e variazione concettuale e sinonimica, in cui la perfetta equivalenza tra diverse lingue non è sempre raggiungibile (Cabré, 2003).

Il reperimento, l’estrazione, lo studio e l’osservazione dei termini nel discorso naturale hanno creato, quindi, a una nuova corrente ter- minologica, che contesta alla teoria classica la limitazione dello studio del linguaggio come sistema e sostiene quindi che al carattere prescrit-

tivo debba prevalere quello descrittivo. (Soglia, 2002) Questo approc- cio, di tipo testuale, non considera la sinonimia un fattore di disturbo da tenere sotto controllo ed eliminare, bensì studia la terminologia nel- la complessità dei suoi usi sociali reali: in essi distingue una sinonimia di tipo patologico, che costituisce effettivamente un elemento di di- sturbo, e una sinonimia fisiologica, che, al contrario, permette al lin- guaggio specialistico di funzionare al meglio. Per esempio, nel caso della comunicazione tra esperti e profani la sinonimia è spesso fonda- mentale per permettere la corretta trasmissione delle informazioni (Bertaccini, Prandi, Sintuzzi & Togni, 2006).

A lungo si è pensato che l’orientamento prescrittivo e quello de- scrittivo della terminologia potessero coesistere solo in contrapposi- zione. In realtà, come suggerisce Ray (1995), i due approcci si com- pletano a vicenda e, in alcuni ambiti, vengono portati avanti paralle- lamente. Per esempio, nelle scienze esatte sono gli scienziati stessi, nel loro ruolo di esperti, a occuparsi della standardizzazione del lin- guaggio tramite l’organizzazione delle conoscenze e, allo stesso tem- po, ad adottare un approccio più descrittivo nella stesura di articoli, trattati manuali e dizionari: in tal caso l’intervento della terminologia è ausiliario e si deve occupare esclusivamente dell’appropriatezza lin- guistica. Negli ambiti in cui le informazioni devono essere diffuse in larga scala, come per esempio nel settore della tecnologia e in ambien- te giuridico, l’intervento della terminologia è invece richiesto: esso deve concentrarsi però sugli aspetti linguistici e socioculturali piutto- sto che su quello cognitivo e mirare a disciplinare la comunicazione piuttosto che a standardizzare il linguaggio. Da queste osservazioni possiamo dedurre che, nell’attività terminologica pratica, la funzione linguistica e quella sociale prevalgono su quella cognitiva e, di conse- guenza, l’orientamento descrittivo risulta più rilevante di quello pre- scrittivo (che rimane pur sempre essenziale per l’attività terminologi- ca).

Uno dei principali riadattamenti della teoria generale della termino- logia è a opera di Sager (1990). Egli, come abbiamo già visto

all’inizio del capitolo, affianca alle due funzioni tradizionalmente con- siderate della terminologia (vale a dire quella cognitiva e quella lin- guistica) una terza funzione comunicativa; di conseguenza, il suo ap- proccio prevede lo studio dei termini all’interno di un contesto reale e non come semplici etichette da associare a concetti decontestualizzati. Inoltre, egli riconosce l’esistenza di relazioni concettuali complesse, che non possono essere registrate tramite le strutture proposte da Wüster, e la necessità di distinguere più livelli di comprensione: se, infatti, dagli esperti è richiesta una definizione terminologica del ter- mine, che ne evidenzi le caratteristiche intensionali e lo collochi all’interno di un sistema concettuale organizzato, gli utenti non esperti necessitano di una definizione di carattere enciclopedico, in grado di colmare la differenza di conoscenze. Infine, Sager distingue la forma- zione dei termini spontanea da quella che definisce “secondaria”, che segue un orientamento normalizzante.

Un’altra critica al modello wüsteriano che ha contribuito alla sua evoluzione è quella di Temmerman (1997, citata da Soglia, 2002), del- la quale riportiamo alcune osservazioni:

1) la definizione e la suddivisione tra le diverse discipline e all’interno di ogni singola disciplina sono sempre più diffi- cili e le contaminazioni tra domini diversi sempre più fre- quenti;

2) non è sempre possibile distinguere tra informazioni di natu- ra semantica e informazioni di natura enciclopedica;

3) l’approccio testuale della terminologia suggerirebbe uno studio diacronico dei termini piuttosto che quello sincroni- co, poiché la storia di un termine contribuisce al suo signifi- cato sincronico;

4) la standardizzazione dovrebbe essere analizzata dal punto di vista storico e sociale prima di essere accettata e adottata. Come riassume Cabré (2003), la teoria sviluppata da Wüster era mirata a garantire una comunicazione plurilingue precisa e non a de- scrivere ciò che la terminologia è realmente, tenendo conto della plu-

ralità e della varietà che la caratterizzano. Per tale motivo, la teoria generale della traduzione si è evoluta negli anni più recenti grazie ai contributi di altri studiosi. Tali contributi hanno riguardato i seguenti punti, che riepilogano le modifiche apportate alla teoria generale della terminologia e offrono una panoramica dello stato attuale della disci- plina (ibid.):

1) l’obiettivo della standardizzazione a livello internazionale è stato esteso in più ampie politiche di pianificazione lingui- stica;

2) la sinonimia controllata è ammessa (l’opera postuma di Wüster già prevedeva questa possibilità) e un certo livello di variazione sinonimica è quindi accettato, ma rimane da evitare se l’obiettivo della terminologia consiste in una standardizzazione del linguaggio;

3) le unità terminologiche non includono solo parole singole, ma anche unità fraseologiche;

4) sono stati introdotti modelli di organizzazione delle struttu- re concettuali che esulano dall’ordine gerarchico;

5) è ammesso il ricorso a un approccio diacronico, poiché l’evoluzione del termine risulta in alcuni casi essenziale per la sua comprensione.

I principi della teoria di Wüster che rimangono validi, invece, sono il primato del concetto sul termine e la precisione del concetto (mono- semia) all’interno di un determinato ambito.

Come nota Budin (2001), oggi si può parlare di una teoria della terminologia unica, sebbene collettiva, sfaccettata e multidimensiona- le, frutto dell’evoluzione delle teorie sviluppate dalla prima genera- zione di ricercatori a opera di una seconda generazione di studiosi del- la disciplina.