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La teoria dell'astinenza in Senior

1. — Q u e s te n o te n o n in te n d o n o essere ch e u n b rev e c o m m e n to a lla tra d u zio n e d i a lcu n i p a ssi caratteristici d i S e n io r su lla teoria d e ll'a s tin e n z a (abstìnence) ch e, sorta u n s e c o lo fa , c o m e te n ta tiv o d i s p ie g a z io n e d e l p ro fitto n e ll’a m b ito d i una teo ria d e l v a lo re, con tra p p o sta a lla teoria d e l v a lo r e d i p u ro la v o ro , r iv iv e ancora o g g i n e lla m arsh allian a teoria d e ll’attesa (waìting). E sarà il ca so d i n o ta re sin d ’ora ch e p er / nojitto si è s o liti ad in ten d ere, a ll’e p o ca d i S en io r, p u r co n e c c e z io n i, co m e Say, e co n in certezze, tu tta q u e lla p arte d e l p r o d o tto c h e n o n si r is o lv e in salari o in ren d ita. U n a q u a n tità q u in d i, sp esso co n sid erata c o m e u n resid u o , v a ria b ile a seco n d a d e lla d e fin iz io n e d i sa la rio e di ren d ita, m a c h e te n d e ad in clu d ere tu tto q u e llo ch e va al « ca p italista » : n o n s o lo 1’« in teresse » v ero e p ro p rio d el ca p ita le, q u in d i, m a, o ltr e i g u a d a g n i e le p e r d ite di co n g iu n tu ra , a n ch e q u a n to o g g i ch ia m erem m o sa la rio d i d ir e z io n e e c o m p e n s o p er il risch io.

O ra se p u r fo s s e v ero , c o m e d ic e C an n an , ch e la teoria d e l v a lo r e c o m e p u ro co sto d i la v o ro d e v e la sua v o g a « a lla c o n fu s io n e p o p o la r e fra la c r e a z io n e d el v a lo r e e la crea zio n e d i c o se u tili e v a lu ta b ili ( 1 ) » , sarà in teressa n te v e d e r e se, n e lla c o n c e z io n e d i S en io r, la teoria d e ll’a stin en za n o n fo s s e c h e u n ten ta tiv o d i cruda g iu s tific a z io n e d e l p ro fitto , o n o n c o n te n e s se in v e c e essa e le m e n ti p er u n a c o m p r e n ­ s io n e d e lla realtà eco n o m ica , v a lid i a n c h e aH’in fu o r i d i u n a sp ecifica e caduca teoria d e l v a lo re.

Q u e s to , tan to p iù , a lla lu c e d e ll’ in terp reta zio n e p iù a m p ia c h e S e n io r stesso d à d e lla su a teo ria in la v o ri, p o sterio ri a lla sua Politicai Economy, in e d iti p er lu n g o te m p o , e ancora o g g i n o n b e n e n è in tera m en te co n o sciu ti. G ià a ccen n ata d a M a lth u s, p er cui i p rofitti so n o s o lo « u n e q u o co m p e n s o p er q u e lla p arte d e lla p r o d u ­ z io n e a cui il cap ita lista h a co n trib u ito » ( contributed by thè capitalist) ( 2 ) , p a re ch e il p r im o im p ie g o c o sc ie n te d e l te r m in e abstìnence in rig u a rd o a lla causa d e l p ro

-(1) Cannan, A Review of Economie Theory, London 1929, p. 186.

(2) Citato da Cannan, Tbeories of Production and Distribution, 3* ed. p. 205.

fitto si trovi nei

Primiples of Politicai Economy

di Scrope, usciti nel 1833. In essi si legge:

« Il profitto che il proprietario del capitale ottiene dal suo impiego produttivo.... deve essere inteso come un compenso che gli viene per il suo astenersi, per un periodo di tempo,

dal consumare in godimenti personali quella parte della sua proprietà; e il compenso è pro­

porzionato al tempo durante il quale il suo capitale è così impiegato, invece di essere speso, come reddito, in beni personali (upon bini self) » (3).

e vi è chiara l ’intenzione di difesa e di apologia del profitto, contro le conclusioni non ortodosse (« una mostruosa follia ») (4), che già Hodgskin traeva dalla teoria del valore di lavoro.

Se nella ricardiana teoria del valore il profitto rimaneva come qualcosa di estraneo e di inspiegato (o almeno appariva tale), era abbastanza naturale che si andasse alla ricerca di una condotta da parte del capitalista di cui esso profitto fosse la ricompensa; non ha forse il capitalista investito quello che poteva invece tranquil­ lamente consumare? Il capitale è pur sempre visto come denaro che può esser speso in uno o nell'altro modo, o, vagamente, come beni che potrebbero essere consumati tanto dal capitalista che dai lavoratori. Il profitto del capitalista viene così equiparato al salario dell’operaio, qualcosa a cui egli ha altrettanto

diritto

quanto il lavoratore al suo salario, mentre entrambi, in un apologo alla Menenio Agrippa, sono dichiarati necessari.

« Il profitto è necessario per indurre il capitalista a impiegare il suo capitale nella pro­ duzione, cosi come il salario è necessario per indurre il lavoratore ad esercitare nello stesso modo la sua abilità e la sua forza. Il primo ha palesemente ( obviously) altrettanto diritto ad essere pagato per l'uso del suo capitale quanto il secondo per l'uso del suo lavoro. Entrambi si sono uniti per produrre un risultato comune, che non potrebbe esistere nell'assenza dell'uno o dell'altro» (5).

C’è solo questo in Senior, una difesa politica del profitto, mascherata da teo­ ria del valore, o non ci si trovano gli elementi per una più precisa definizione della funzione del capitalista, in connessione col processo produttivo? £ l’astinenza di Senior qualcosa di così semplice e banale, oppure non è che il punto di partenza per una spiegazione più approfondita, se pur non definitiva, del fenomeno profitto?

N on si pretende qui di dare una risposta, ma solo di segnare alcuni tratti che indichino, se non altro, la complessità del problema.

Due principalmente paiono essere le correnti che s’incontrano in Senior, ri­ guardo al problema della cosidetta astinenza (creazione del capitale e sua rimu­ nerazione); e ad esse corrispondono, grosso modo, l’interpretazione che troviamo

nella

Politicai Economy

del 1836 e quella che ci è data dalle lezioni tenute ad

Oxford tra il ’47 e il '52, totalmente inedite sino al 1928, ed anche oggi pubblicate solo in parte, ed in un modo molto discutibile.

(3) G. Po u l e t t Scrope, Principles of Politicai Economy, London, 1833, p. 146.

(4) Scrofe, Principles, p. 150.

(5) Scrope, Principles, p. 145.

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LA TEORIA DELL'ASTINENZA IN SENIOR 171

Cosi avremo: 1) l’astinenza in riguardo alla teoria del valore e intesa come causa del profitto e come parte del costo reale di produzione; 2) l’astinenza in ri­ guardo al processo di produzione e come fattore necessario per l’esistenza del ca­ pitale, se pur sempre in relazione ad un sistema di proprietà privata.

2. — Senior, il più chiaro e profondo tra gli epigoni della scuola classica, era

« un uomo troppo abile » (6) per porre una giustificazione del profitto in un modo cosi crudo come Scrope aveva fatto, o cosi ingenuo come Me Culloch prima di lui, (« Me Culloch aveva preso un brevetto d’invenzione per il « salario di un lavoro passato » molto prima che Senior prendesse il suo per il « salario dell’astinenza ») (7)

e in ogni modo il suo interesse e il suo modo di esposizione sono, nella

Politicai

Econotny,

strettamente teorici.

E certo però che Marx non aveva torto nel segnare il fattore politico come base, o almeno elemento determinante, della nuova teoria. « Dopo le ribellioni del 1830, egli dice, l’economia politica volgare afferrò l'occasione per i capelli e propose una dottrina destinata a salvare la società. Essa fu rivelata al mondo da N . W. Senior » (8).

Se avessimo dei dubbi Senior stesso ci smentirebbe : « persino saccheggio e confisca sono meno fatali all’astinenza di ciò che comunemente si chiama socialismo o comuniSmo ».

Ma nella teoria del valore di Senior c’era

qualcosa di più e di diverso,

il

tentativo di introdurre nella determinazione del valore un elemento effettivo e reale, quale l’apporto del capitalista, e che non era spiegato, o solo di sfuggita e in un modo incompleto, nella teoria di Ricardo.

Questo richiederebbe un'ampia dimostrazione; ci limiteremo qui a citare alcuni tra i più caratteristici passi di Senior stesso, non avendo queste note altro scopo che di riproporre il pensiero di Senior all’attenzione degli studiosi, ponendo partico­ lare rilievo alle differenze sostanziali, mi pare, che vi sono tra le due versioni della

teoria. Prenderemo intanto come base e punto di partenza la

Politicai Economy

(9)

su cui, e su pochi altri opuscoli, si è fondata sino a pochi anni fa la conoscenza del pensiero economico di Senior, e a cui si riferiscono tanto le critiche di Marx e di Bohm-Bawerk, quanto le modificazioni di Cairnes e di Marshall. Il punto di partenza è la considerazione dei fattori di produzione, un dubbio retaggio di Say alla storia delle dottrine economiche, per cui l’astinenza viene premessa nella cata­ logazione, come qualcosa di necessario (in sostituzione al « capitale »), senza biso­ gno di venire dimostrata. Dopo aver affermato che i fattori originari di produzione sono il lavoro, definito come « l’esercizio volontario di facoltà fisiche e mentali per uno scopo di produzione » (p. 57) e gli agenti naturali, ossia « ogni agente produttivo in quanto non deriva la sua efficacia da atto dell’uomo » (p. 58) continua :

(6) Cannan, Theories, p. 213.

(7) Ma rx, Le capitai, 1* ed. francese, p. 266.

(8) Marx, id., p. 261.

(9) N. W . Senior, Politicai Economy, 2* ed., London, riprodotta dalla 1* ed., apparsa nella « Encyclopaedia Metropolitana», 1836.

« Ma benché il lavoro umano, e le forze della natura, indipendenti dall'uomo, siano gli originari (primary) fattori produttivi, essi richiedono la partecipazione di un terzo agente di produzione che dia loro piena efficacia. La più laboriosa popolazione, abitante il più fertile dei territori, se dedicasse tutto il suo lavoro alla produzione di risultati immediati, e ne consu­ masse man mano i prodotti, troverebbe ben presto anche la più dura fatica insufficiente a pro­ durre pur lo stretto necessario all'esistenza.

« A questo terzo principio, o strumento, di produzione, senza il quale gli altri due sono incfficenti, noi daremo il nome di astinenza: un termine con cui noi esprimiamo la condotta di una persona che o si astiene dall'uso improduttivo di quei beni di cui può disporre, o espressamente preferisce la produzione di remoti a quella di immediati risultati.

« Era agli effetti di questo terzo fattore di produzione che noi ci richiamavamo, quando ponemmo, come terza proposizione elementare, che la efficacia del lavoro e degli altri fattori di

produzione possono essere indefinitamente accresciuti usando i loro prodotti come mezzo per una ulteriore produzione. Tutte le osservazioni sull'astinenza, che seguiranno, non sono che svi­

luppo e illustrazione di questa proposizione; diciamo sviluppo e illustrazione perchè si potrebbe dire a mala pena che essa richiegga una prova formale (p. 58) ».

Dopo aver definito il capitale come « un articolo di ricchezza, ¡risultato di attività umana, impiegato nella produzione o distribuzione di ricchezza», seguita:

« E evidente che il capitale, così definito, non c un semplice strumento produttivo; nella maggior parte dei casi c il risultato della combinazione di tutti e tre gli strumenti di produ­ zione. Qualche agente naturale dovrà aver dato il materiale, un rinvio di godimento dovrà di solito averlo distolto da un uso improduttivo, e lavoro dovrà essere stato impiegato nel pre­ pararlo e nel conservarlo.

« Con la parola astinenza, noi intendiamo esprimere quel fattore, distinto dal lavoro e dalla natura, il cui intervento è necessario all'esistenza del capitale e che sta al profitto nella stessa relazione in cui il lavoro sta al salario. Siamo consci di impiegare la parola astinenza in un senso più esteso di quello ammesso dal linguaggio comune. Di solito si tende a vedere l'astinenza solo quando non è unita al lavoro. La si riconosce istantaneamente nella condotta di chi permette ad un albero o a un animale domestico di raggiungere il pieno sviluppo, ma è meno ovvia in chi pianta un arbusto o semina il grano.

« L'attenzione dell'osservatore è presa dal lavoro ed egli omette di considerare il sa­ crificio addizionale fatto quando il lavoro è diretto a un risultato distante. Noi chiamiamo asti­ nenza questo sacrificio addizionale, non perché astinenza non sia un'espressione discutibile, ma perchè non siamo stati capaci di trovarne un'altra a cui non si possano opporre maggiori obbie­ zioni (p. 59) ».

Citeremo in fine un altro brano, che ci pare renda ancora più chiaro il pen­ siero di Senior.

« Per noi dunque l'uso di utensili implica esercizio di astinenza, usando questa parola

nel nostro significato più ampio di preferenza di risultati remoti a risultati immediati. In una società civile questo pare sia strettamente vero. E palesemente vero per l’uso di tutti quegli strumenti c materiali che possono essere usati a volontà, sia a scopo di godimento immediato, che a scopo di produzione ulteriore, come, ad esempio, la più gran parte delle riserve agricole. £ egualmente vero per la produzione di tutti quegli utensili che possono essere usati solo in forma produttiva, come arnesi e macchine. In uno stadio avanzato di civiltà anche l'arnese più comune è il risultato del lavoro di anni, forse di secoli, precedenti. Gli arnesi di un

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LA TEORIA DELL’ASTINENZA IN SENIOR 173

legname sono tra i più semplici che possiamo immaginare. Ma quale sacrificio di godimento presente deve essere stato durato dal capitalista che primo ha aperta la miniera di cui chiodi e martello sono il prodotto! Quanto lavoro diretto a risultati distanti deve essere stato impie­ gato da quelli che hanno formato gli strumenti con cui fu scavata la miniera! E se conside­ riamo che tutti gli utensili, salvo i semplici arnesi dei selvaggi, sono essi stessi il prodotto di precedenti utensili, potremo concludere che non c'è un chiodo, fra i milioni fabbricati ogni anno in Inghilterra, che non sia, in parte, il prodotto di lavoro applicato a risultati distanti, ossia, nella nostra nomenclatura, di astinenza durata sin da prima della conquista normanna o forse prima ancora dell'invasione sassone (p. 68) ».

Qui vediamo chiari i due elementi di cui, nel pensiero di Senior, si com­ pone l’astinenza; 1) un sacrificio di godimento presente; 2) lavoro diretto a ri­ sultati remoti, anche se per ora il principio attivo contenuto nel secondo elemento rimane nascosto dall’elemento sacrificio di beni presenti, che è implicito in tutti e due. Vedremo poi come questo secondo elemento sia il più importante e come Senior stesso finisca per portarlo, più o meno consciamente, in primo piano. Per ora vi sono entrambi nella definizione di astinenza.

Ma la semplificazione teorica, in altri casi perfettamente legittima, conduce qui Senior fuori strada: vi sono differenze sostanziali tra l’uomo isolato, che si

« astiene » dal consumare e dedica il

proprio

lavoro a risultati distanti, e un’eco­

nomia di scambio dove sorge il

capitalista,

come risparmiatore da un Iato e assun­

tore di lavoro dall'altro.

Ad un certo momento Senior pare conscio dell’artificiosità di questa conce­ zione, e ci ammonirà di una realtà sottostante alla partizione teorica in tre fattori, che si dividono il prodotto comune, e il profitto non sarà più ricompensa, ma sem­ plice differenza tra reddito e spese (p. 187), intendendo così propriamente la fun­ zione del capitalista essere non quella di sacrificare in astratto il presente al fu­ turo, ma di

indirizzare

le forze produttive a risultati remoti.

Ma pare che Senior abbia visto il punto fondamentale senza poterne trarre le logiche conseguenze. Si insiste sulla concezione di un capitalista che « provvede indirettamente lui stesso il lavoro, anticipando i salari ai lavoratori » (p. 186). Il costo di produzione rimarrà così una ipotetica « somma di lavoro e astinenza necessari alla produzione » (p. 101), mentre la limitazione dell’offerta dei beni che essi hanno contribuito a produrre, ripercuotendosi sul sistema dei prezzi, ne determinerà la ricompensa. I profitti sarebbero così, come i salari, il risultato di un sacrificio (p. 140), ricompensa senza cui quel sacrificio non verrebbe fatto, e che deve esser almeno supe­ riore ad un minimo, per altro indeterminato (p. 140).

Qui siamo nella parte più caduca di tutta la teoria dell’astinenza. Il voler considerare il profitto come una ricompensa per il sacrificio di beni presenti con­ duce Senior a un doppio conteggio.

Se si dedica il lavoro, di un anno ad esempio, alla produzione di un bene determinato, e vorremo calcolare quello che si è sacrificato per ottenere questo bene futuro, potremo considerare, o la quantità di lavoro attualmente sofferto, o il sacri­ ficio incorso con la rinuncia a quei beni più immediati che quel lavoro ci avrebbe altrimenti assicurato, ma non possiamo calcolare tanto il lavoro effettivamente impie­ gato, quanto un addizionale sacrificio di godimento dei beni più immediati, alla

cui produzione si è in tal modo rinunciato. Per ottenere quei beni più vicini avremmo pur dovuto sacrificare quella medesima quantità di lavoro.

Questo è stato dimostrato, molto chiaramente mi pare, da Böhm-Bawerk (10). Non del tutto a torto Marx poteva qui dire che « ad una categoria economica si sostituiva una ipocrita frase ». Nella distinzione tra capitalista e lavoratore, è perduto di vista, questa volta, l’unità del processo produttivo e l'unicità di sacrifìcio.

In realtà, Senior non sa liberarsi dall’attitudine moralistica, implicita nella scelta del termine astinenza, che gli varrà i sarcasmi di Lassalle. Astinenza è una meritoria « attività penosa », meno diffusa appunto tra le nazioni « meno civili »

e

tra le classi « più rozze » (p. 60). Come Cannan noterà, per classi rozze Senior

intende semplicemente quelle classi che sono anche le più povere (11).

Questo fare del profitto la ricompensa di un « sacrificio addizionale » (p. 100), compenso di qualcosa di « sgradevole » (p. 185), lo condurrà ad una strana limita­ zione del termine profitto per cui la distinzione tra profitto e rendita cesserebbe appena un dato capitale diventasse, per eredità o donazione, proprietà di un’altra persona, che non quella prima alla cui « astinenza » si deve l’origine di quel capi­ tale (p. 129). Anche se questa concezione si allargherà più tardi nella quasi-rendita marshalliana, certo Senior non era ben chiaro sui limiti e sulle conseguenze del concetto di astinenza, che pare a lui venuto come una prima spiegazione approssi­ mativa del fenomeno profitto, proprio come quella contenuta nella semplice frase: «sacrificare l'oggi per ottenere qualcosa dom ani»; e attorno a cui egli svolge una serie di osservazioni, acute alcune, errate altre, ma non bene ordinate e viziate dal comune difetto di origine.

Vedremo poi, che se ora il profitto che non ha origine da « sacrificio » personale, viene risolto in rendita, più tardi la semplice non alienazione di pro­ prietà verrà chiamata astinenza. Pure, come ha bene affermato Schumpeter (12), c’era una serietà in questo suo tentativo, qualcosa di suggestivo, se pure un po’ semplicista, quel fondo appunto di verità che era implicito in esso, e che spiega la grande influenza e la diffusione che la teoria dell’astinenza ha avuto nella letteratura anglosassone.

3. — Veniamo ora a considerare quella concezione dell’astinenza, a mio

parere più ricca e più fruttifera della prima, che troviamo nei due volumi

Indu­

striai Efficiency and Social Econpmy

(13) editi nel 1928 da S. Leon Lewy, che contengono materiale tratto in gran parte da lezioni inedite tenute da Senior ad Oxford tra il 1847 e il 1852, e corrette in parte dall’autore stesso tra il ’52 e il ’64, in vista probabilmente di una pubblicazione poi non avvenuta. Purtroppo l’editore odierno, pur meritorio, ha creduto opportuno di « ammodernare » l’ordine

(10) E. v. Bö h m- Ba w e r k, Geschichte und Kritik der Kapitalzins-Theorien, 4* ed.,

pp. 249-255.

(11) Cannan, Theories, p. 214.

(12) Io s e p h Sc h u m p e t e r, Epochen der Dogmen und Methodengeschichte, Tübingen

1924, p. 96.

(13) Na s s a u W. Se n i o r, Industrial Efficiency and Social Economy, Original ms. ar-

ranged and edited by S. Leon Levy, 2 voi., New-York, Henry Holt and Company, 1928.

LA TEORIA DELL’ASTINENZA IN SENIOR 175

delle lezioni e di ridurle a trattato, spezzettando e ridistribuendo le lezioni da come si trovano nei manoscritti, omettendone una parte (non è detto quale) e interca­ landole invece con vecchio materiale già pubblicato. L’arbitrario criterio editoriale ci lascia qualcosa di non completo e non cronologicamente a posto, che, fra l'altro, non pone bene in chiaro come tra la prima serie delle lezioni di Oxford, (da cui

nel 1836 fu tratta, su di una edizione francese del conte Arrivabene, la

Politicai

Economy)

e la seconda serie corrono quasi 20 anni. In ogni modo appare chiaro sin da principio il diverso punto di partenza.

I fattori di produzione sono ridotti a due soli : l’uno « le qualità fisiche e mentali dell’uomo », l’altro il capitale, non essendovi agente naturale che non porti traccia* della mano dell'uomo (p. 150) (14). Siamo in contraddizione con le definizioni precedenti e con l'enorme estensione già data alla categoria rendita. Il capitale poi, qui diventa semplicemente « ricchezza materiale impiegata produttivamente » (p. 181), risultato di una accumulazione intesa come « lavoro per un risultato remoto » (p. 196).

Se l’astinenza sarà ancora concepita come parte del costo di produzione, come sacrificio di cui il profitto è la ricompensa, verrà posto in primo piano quell’elemento

attivo,

che abbiamo visto d’altronde essere già implicito nella definizione data