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Teoria politica.

Nei governi provvisti di forme libere, quando vi sia davvero libertà si sta bene e si tace. Quando c'è tirannia, si soffre e si mormora; o, se la tirannia è troppo ombrosa, si tace di nuovo. Invece, sotto il dispotismo, si soffre e si ringrazia.108

Constant, nei Principi di politica, non utilizza quasi mai il termine “sovranità” che sostituisce con quello di “autorità sociale”. Ciò sta a significare che il potere proviene dal basso, contrariamente alla tradizione assolutistica che riteneva il potere sovrano qualcosa di trascendente, esterna e superiore alla società.

La filosofia politica di Constant ruota intorno alla confutazione della teoria del potere assoluto. La concentrazione del potere nelle mani di una sola persona o di un unico organismo è la fonte di molti mali, poiché altera e sovverte il processo regolare della vita sociale. Ragione e potere sono due poli dell'universo politico, se avanza l'una l'altro deve indietreggiare.

La teoria constantiana segna una rottura con il paradigma hobbesiano

108 B. Constant, «Introduction à l'Histore des Rèpubliques italiennes, par M. de Sismondi», La Minerve, 19 avril 1818, in Id., Recueil d'articles. Le Mercure, La Minerve et la Renommée, éd. Par Ephraim Harpaz, Genève, Droz, 1972, 2 vol., I, p.377.

della sovranità assoluta e illimitata.

Sulla scia di queste convinzioni, Constant critica Rousseau e la sua teoria politica. Quest'ultimo riteneva che qualsiasi autorità a capo di uno stato debba emanare attraverso la volontà generale. Su questo Constant concordava:

Tale principio si applica a tutte le istituzioni. Quando la teocrazia, la monarchia, l'aristocrazia dominano gli animi, esse coincidono con la volontà generale. Quando non li dominano non sono altro che forza. In una parola, non esistono al mondo che due poteri: uno, illegittimo, è la forza; l'altro, legittimo, è la volontà generale109.

I problemi che possono nascere da questo principio riguardano il riconoscimento e l'espressione della volontà generale, ma esso non dice nulla in merito alla legittimità di qualsivoglia forma di governo. Ciò che Rousseau non aveva compreso è che la volontà egemonica poteva impossessarsi della volontà generale e parlare a suo nome, e

inoltre che la positività della sovranità popolare non consisteva nell'essere illimitata bensì nel fatto che nessun uomo e nessuna fazione poteva assumere il potere se non gli era stato prima delegato.

«Non è possibile fare l'uomo ad immagine e somiglianza di un'astratta volontà generale e quando lo si tenta, lo Stato e l'autorità si degradano nella volgarità della forza»110.

Il principio rousseauviano che Constant critica con più vigore è quello espresso nel Contratto sociale, secondo il quale ogni individuo aliena se stesso con tutti i suoi diritti in favore della società. Non esiste nulla di più sbagliato; diversamente da quanto sosteneva Rousseau e altri intellettuali dell'epoca, ciò che era sbagliato della vecchia forma di governo non era chi possedeva il potere bensì il carattere illimitato di esso.

Il flagello del dispotismo, in altre parole, non può essere affrontato -come ha fatto Rousseau- guardando soltanto alla titolarità del potere, e quindi rimanendo all'interno della problematica delle forme di governo. Rimanendo in questa prospettiva, sul banco

degli accusati vengono chiamati-di volta in volta e a seconda dei punti di vista- i depositari del potere e mai il potere in se stesso. Ma si tratta di un formidabile errore perché è il grado della forza e non i depositari di questa forza che bisogna accusare. È l'arma e non il braccio che bisogna colpire.111

Quindi spostare semplicemente tale potere senza porgli dei limiti non poteva essere una soluzione

L'errore di Rousseau e degli scrittori amici della libertà , quando accordano alla società un potere illimitato, deriva dalla maniera in cui si sono formate le loro idee politiche. Essi hanno visto nella storia un piccolo numero di uomini, o anche un solo uomo, in possesso di un potere immenso che faceva molto male; ma la loro collera si è rivolta

contro i possessori del potere e non contro il potere stesso. Invece di distruggerlo hanno pensato soltanto a spostarlo.112

Partendo da queste convinzioni, Constant formula la sua teoria sul potere, la cui principale caratteristica deve essere quella di avere dei limiti.

La sovranità non può esistere se non in modo limitato; c'è un punto in cui si deve arrestare per lasciare il posto all'indipendenza individuale:

Vi è una parte dell'esistenza umana che resta, necessariamente individuale ed indipendente e che è, di diritto, sottratta a ogni competenza sociale. La sovranità esiste soltanto in maniera limitata e relativa. La sua giurisdizione finisce là dove inizia l'indipendenza dell'esistenza individuale. Se la società oltrepassa questo limite, si rende colpevole di tirannia non meno del despota che ha per titolo solo la spada

sterminatrice.113

Rousseau, non avendo riconosciuto questo spazio dell'individuo, ha lasciato il suo “contratto sociale” aperto al dispotismo.

Secondo Constant gli individui sono sottoposti necessariamente alle decisione della maggioranza, ma non per questo si deve ritenere che essa sia in ogni caso giusta. Essendo decisioni prese da uomini possono provenire da due fonti: dalla passione o dalla ragione, ognuna delle quali ha degli inconvenienti. Quando provengono dalla passione è chiaro che sono esposti ad errori, ma lo sono anche quando vengono prese attraverso la ragione. Il problema è che se a decidere è la maggioranza, il risultato è sempre il frutto di opinioni divergenti e a volte si sceglie il compromesso a discapito della verità.

È matematicamente provato che quando un'assemblea si riunisce per fare una scelta tra un certo numero di candidati, di solito quello che vince non è l'oggetto del maggiore assenso, ma della minore contrarietà. Alle opinioni della maggioranza

capita la stessa cosa che accade ai candidati nelle assemblee.114

Le decisioni prese dalla maggioranza non saranno le migliori possibili ma quelle che riescono ad accordare i più; quindi il risultato sarà quello di assumere l'idea meno peggiore anche a discapito di quella che sarebbe stata la più adeguata.

Per Constant però tutto ciò è inevitabile: è vero che il diritto della maggioranza è il diritto del più forte e come tale è ingiusto, ma, se non si ricorresse ad esso potrebbe essere la minoranza a decidere e la situazione che si genererebbe da tale sistema sarebbe di gran lunga peggiore.

Il filosofo insiste costantemente sui limiti dell'autorità politica e sui diritti nei quali l'unico ad avere giurisdizione è l'individuo stesso, senza queste premesse sarebbe inutile trattare dell'organizzazione del governo:

I diritti individuali consisterebbero nella facoltà di fare tutto ciò che non nuoce ad altri, ovvero nella libertà d'azione; nel

diritto di non essere costretti ad alcuna professione di fede di cui non si sia convinti, ovvero nella libertà religiosa; nel diritto di manifestare il proprio pensiero con tutti i mezzi di espressione.115

Porre dei limiti al potere diviene fondamentale per contrastare qualsiasi forma di dispotismo:

Per dispotismo intendo un governo dove la volontà del padrone è l'unica legge; dove le corporazioni, se esistono, sono organi che dipendono soltanto da lui; dove questo padrone si considera l'unico proprietario del suo impero e nei suoi sudditi non vede altro che usufruttuari; dove ai cittadini può essere tolta la libertà senza che il regime si degni di spiegarne i motivi e senza che sia lecito reclamarne la conoscenza.116

115 Ivi, p.51.

Il problema dell'età moderna è che spesso il dispotismo non si manifesta più in modo così dirompente, o per meglio dire non è l'unico modo in cui si può presentare. Il dispotismo moderno è più subdolo poiché riesce a mantenere i cittadini nella convinzione-illusione di essere liberi.

Constant mira allo smascheramento del dispotismo, per far sì che tutti gli uomini siano effettivamente liberi ed uguali e non semplicemente convinti di esserlo solo perché non sono più in grado di percepire il giogo al quale sono sottoposti.

Limitare il potere dell'autorità sociale non garantisce la salvaguardia dal dispotismo, la limitazione del potere è una condizione necessaria, ma non sufficiente. Il dispotismo moderno pone una difficoltà che è politica ed epistemologica. Questa difficoltà nasce dall'intricato rapporto tra potere e credenze: la tesi liberale classica propugna la separazione degli ambiti, Constant, oltre alla limitazione del potere rispetto alla sfera individuale, sostiene che il volto nuovo del dispotismo è tale da non essere visibile e riconosciuto. Nelle società moderne si è oppressi eppure ci si sente liberi, la totale separazione tra pubblico e privato è uno dei mezzi di cui il dispotismo moderno può avvalersi:

La convinzione di Constant che la “perdita della politica” a cui i moderni sembrano disposti a rassegnarsi rappresenti il più sicuro viatico per quelle nuove forme di dispotismo, che, dopo la Rivoluzione, non possono che nascere all'ombra della rappresentanza.117

La parte finale dei Principi di politica si occupa della relazione tra soggetti politici ed autorità e si chiude in modo scettico relativamente all'unione moderna tra potere e credenze.

Constant tenta comunque di trovare delle soluzioni per salvaguardare i popoli da forme di governo dispotiche, una è delle quali è la tripartizione dei poteri (legislativo, esecutivo, giudiziario) che devono essere limitati, elettivi e svolgere una funzione di controllo reciproco. Escluso il potere giudiziario che è per questi politicamente nullo, si occupa degli altri due: legislativo ed esecutivo.

Il potere legislativo deve esprimere la volontà nazionale, se non viene limitato può causare vari problemi quali la moltiplicazione delle leggi, il desiderio di piacere alla parte più rumorosa del popolo, la tendenza

a farsi dominare da una minoranza. Fissato il principio che anche il potere delle assemblee debba avere dei limiti ben precisi, Constant ne rivendica la centralità all'interno di un sistema politico basato sul consenso, ne difende l'inviolabilità, le prerogative e la derivazione popolare. Una vola eletti, i membri del legislativo devono essere inviolabili, altrimenti viene meno il principio di rappresentanza per il quale un rappresentante fa gli interessi della nazione sacrificando quelli momentanei e particolari dei suoi elettori. Le assemblee sono l'organo più adatto a legiferare, ma non devono essere le uniche in possesso di questa facoltà . Il potere esecutivo deve poter fare preposte di legge, poiché la divisione del potere prevede un controllo reciproco tra i vari organi.

Constant difende le elezioni popolari poiché favoriscono l'equilibrio sociale, obbligando le classi superiori e più agiate a guardare alle classi inferiori.

«Constant vede nel nesso tra libertà individuali e partecipazione politica il punto di equilibrio che consente di mantenere libero un sistema politico».118

Per quanto concerne il potere esecutivo, esso deve realizzare la volontà espressa nel legislativo. È un esecutivo complesso. La

riflessione di Constant in merito a questo potere si incentra sul problema di come fare sì che i due poteri si controllino reciprocamente senza che avvenga un abuso da parte di uno sull'altro. Contro gli abusi del legislativo ci sono secondo Constant due rimedi indiretti, che consistono nel sistema bicamerale e nella facoltà dell'esecutivo di proporre leggi; e due mezzi diretti in mano all'esecutivo, che sono il potere di veto e il potere di scioglimento delle camere.

I rimedi verso gli eventuali abusi dell'esecutivo sono la duplice facoltà del potere legislativo di limitare il diritto di guerra e di rifiutare le imposte.

La novità della teoria constantiana consiste nell'introduzione di un ulteriore potere capace di risolvere i conflitti tra i due poteri senza dar luogo a sua volta ad eventuali conflitti e soprattutto a concentrazioni di potere. Per poter essere giudice supremo degli altri poteri, esso dovrà essere realmente imparziale, egualmente distante dal legislativo e dall'esecutivo. Sarà un potere inattivo, mai potrà sostituirsi ai poteri che deve giudicare, i suoi membri dovranno essere eletti dal popolo e, una volta assunta questa carica, saranno automaticamente ineleggibili negli altri poteri, tutto ciò per garantire la giusta distanza ed obiettività.

Quello della divisione dei poteri secondo Constant è uno dei metodi utili per impedire il dispotismo, ma non è l'unico, un altro è costituito dalla libertà.

Riprendendo uno dei grandi temi del dibattito pre- e post- rivoluzionario -il confronto tra Antichi e Moderni- e svolgendolo con straordinaria lucidità storica e concettuale, Constant dimostra come le profonde differenze geo-politiche, socio-economiche e culturali che separano le società moderne da quelle antiche determinano differenze politiche altrettanto profonde, culminanti in una diversa concezione della libertà.119

Capitolo10. La libertà.

Gli individui devono godere di una completa libertà di opinioni, interiore ed esteriore,sino a quando tale libertà non produca azioni nocive. Quando le produce essa fa un tutt'uno con tali azioni e dev'essere, a questo titolo, repressa e punita. Ma l'opinione separata dall'azione deve restare libera. La solo funzione dell'autorità è di mantenerla all'interno del suo dominio, quello della speculazione e della teoria.120

Nella concezione di Constant la libertà è il trionfo dell'individualità. Tutta la produzione dell'autore è attraversata dal concetto di libertà: la teoria della perfettibilità il cui fine è quello di una società costituita da uomini uguali e liberi, la conoscenza della verità che è il viatico per la libertà, l'opinione pubblica che è l'espressione di individui liberi. L'ultima parte dei Principi di Politica del 1806 è dedicata ai principi della libertà. Constant ritiene importante evidenziare che non possono mai ed in nessun caso esistere abusi della libertà e che chiunque ne abbia parlato, ha commesso un errore perché per commettere un abuso deve esserci potere, ma la libertà non è un potere.

La libertà è un potere soltanto nel senso in cui lo scudo è un'arma. Di conseguenza, quando si parla dei possibili abusi dei principi della libertà ci si esprime in modo inesatto. I principi della libertà avrebbero impedito tutto ciò che è stato definito un abuso della libertà. Poiché, tali abusi, chiunque ne sia l'autore, si verificano sempre a spese della libertà di un altro, essi non sono mai stati la conseguenza, bensì il rovesciamento di questi principi.121

Secondo Constant i principi della libertà sono utili e necessari a tutti, sono i garanti della felicità e della tranquillità.

Constant distingue due forme diverse di libertà: la libertà civile e la libertà politica. Nessuna delle due deve essere sacrificata a spese dell'altra, fare ciò vuol dire commettere un errore e sacrificare il fine per i mezzi o viceversa:

coloro che vogliono sacrificare la libertà politica per godere più tranquillamente della libertà civile non sono meno insensati di coloro che vogliono sacrificare la libertà civile nella speranza di assicurare ed estendere maggiormente la libertà politica. I secondi sacrificano il fine ai mezzi; i primi rinunciano ai mezzi, con il pretesto di raggiungere il fine.122

Constant polemizza contro coloro che ritengono inutile la libertà politica sostenendo che conta solo la felicità dell'uomo, e quindi se l'uomo è felice essere politicamente libero o meno è irrilevante:

ma che cos'è la libertà politica? È la facoltà di essere felici senza che alcun potere umano possa turbare arbitrariamente questa felicità. Se la libertà politica non fa parte dei godimenti individuali che la natura ha dato all'uomo, è proprio tale libertà, tuttavia, che

li garantisce. Dichiararla inutile significa dichiarare superflue le fondamenta dell'edificio nel quale si abita.123

Nella diversità tra le due forme di libertà e nell'importanza data all'una piuttosto che all'altra, Constant percepisce la differenza tra i popoli antichi ed i moderni; nella confusione tra questi due tipi di libertà, egli riconosce l'origine di molti mali. A questi argomenti dedica un celebre discorso, Della libertà degli antichi paragonata a quella dei moderni. La prima domanda che Constant si pone è cosa intendano i moderni con la parola libertà:

Il diritto di ciascuno di non essere sottoposto che alle leggi, di non essere né arrestato, né detenuto, né messo a morte, né maltrattato in alcun modo a causa dell'arbitrio di uno o più individui. Il diritto di ciascuno di dire la sua opinione, di scegliere la sua industria e di esercitarla, di disporre della sua proprietà e anche di abusarne; di andare, di venire

senza dovere ottenere il permesso e senza render conto delle proprie intenzioni e della propria condotta. Il diritto di ciascuno di riunirsi con altri individui, sia per conferire sui propri interessi, sia per professare il culto che egli e i suoi associati preferiscono, sia semplicemente per occupare le sue giornate o le sue ore nel modo più conforme alle sue inclinazioni, alle sue fantasie. Il diritto, infine, di ciascuno di influire sulla amministrazione del governo sia nominando tutti o alcuni dei suoi funzionari, sia mediante rimostranze, petizioni, richieste che l'autorità sia più o meno obbligata a prendere in considerazione.124

Questo tipo di libertà è la libertà civile. Essa è molto cara ai moderni, mentre ai popoli antichi era quasi completamente sconosciuta. Essi con libertà intendevano qualcosa di diverso:

124 B. Constant, Benjamin Constant, introduzione e traduzione di Umberto Cerrone, Simonà e savelli, Roma 1965, p.245.

Essa consisteva nell'esercitare collettivamente ma direttamente molte funzioni dell'intera sovranità, nel deliberare sulla piazza pubblica sulle guerra e sulla pace, nel concludere con gli stranieri i trattati di alleanza, nel votare le leggi, nel pronunciare i giudizi; nell'esaminare i conti, la gestione dei magistrati, nel farli comparire dinanzi a tutto il popolo, nel metterli sotto accusa, nel condannarli o assolverli. Ma se questo era ciò che gli antichi chiamavano libertà, essi ritenevano compatibile con questa libertà collettiva l'assoggettamento completo dell'individuo all'autorità dell'insieme.125

Questo tipo di libertà così cara ai popoli antichi è la libertà politica, per la quale essi erano disposti a sacrificare anche quella civile, tanto che nell'antichità non si ritrova alcuno dei godimenti che fanno parte della libertà dei moderni, le azioni private sono tutt'altro che libere

sono, invece, sottoposte alla più stretta sorveglianza: «Nulla è accordato all'indipendenza individuale né sotto il profilo delle opinioni, né sotto quello dell'industria, né soprattutto sotto il profilo della religione»126.

Al contrario di ciò che ritengono i moderni, per i popoli antichi era considerato naturale che l'autorità si interponesse tra l'individuo e le sue scelte.

Così nell'antichità l'individuo, libero e sovrano negli affari pubblici, non possiede alcuna libertà nel privato. Constant, come Condorcet, ritiene che nell'antichità non ci fosse la cognizione dei diritti individuali. Presso i moderni, al contrario, l'individuo è completamente libero nella vita privata ma la libertà politica, come la conoscevano gli antichi non gli e più concessa ed anche negli stati più liberi la sovranità del popolo è solo apparente: «la sua sovranità è limitata, quasi sempre sospesa; e se, a epoche fisse ma rare nelle quali è pur sempre circondato da precauzioni e ostacoli, esercita questa sovranità, non lo fa che per abdicarvi».127

Tale diversità fra antichi e moderni deriva da molteplici motivi, primo fra tutti la diversità di estensione: le ristrette dimensioni territoriali permettevano l'esercizio completo della libertà politica e nello stesso

126 Ivi, p.246. 127 Ivi, p.246.

tempo facevano sì che tutte le nazioni fossero bellicose. Ogni popolo urtava i confini dell'altro e se i popoli non conquistavano venivano conquistati. Le nazioni moderne sono completamente diverse, gli Stati sono molto più vasti, la loro tendenza non è per la guerra ma per la pace; ciò porta con sé una conseguenza e cioè che i moderni non dedicandosi alla guerra si occupano del commercio.

La guerra e il commercio non sono che due mezzi differenti per raggiungere lo stesso fine: quello di possedere ciò che si desidera. Il commercio non è che un omaggio reso alla

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