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Dalla teoria alla prassi: la prospettiva delle modalità operative della competenza

competenza (ad esempio bisogna aggiungere: a) le riserve, che non sono soltanto attribuzioni di competenza, ma attribuzioni esclusive, e quindi diventano vincolo per tutti gli altri atti esclusi dalla riserva; b) le molte fonti atipiche […] ciascuna con le sue peculiari specificità; c) la gerarchia circoscritta, quale ad es. quella che corre tra decreto legislativo e legge di delegazione, e così via” e che “non sono sufficienti in senso intenzionale perché molte volte, anche se la gerarchia e la competenza colgono il momento prevalente ed essenziale nel rapporto tra fonti, queste stesse nozioni hanno bisogno di precisazioni e chiarificazioni che rendono i casi sottilmente diversi l’uno dall’altro, e quindi sfumano la nettezza e decisività degli strumenti principali usati”, per poi affermare che “l’ordine non riesce più ad essere sistematico e condotto secondo un solo criterio principale ordinatore (quello della gerarchia, come detto), ma diventa in qualche modo casuale”.

CAPITOLO PRIMO

32 Finora abbiamo esaminato i profili teorici della competenza, nel tentativo di ricostruirne i presupposti instaurativi e le condizioni di riconoscibilità. Una volta poste tali necessarie basi dogmatiche appare però indispensabile procedere ad un’analisi di tipo qualitativamente diverso, di carattere prettamente “sostanziale”, al fine di comprendere quale sia il reale funzionamento del criterio in esame.

Per far ciò è necessario verificare quali siano le reali modalità operative della competenza.

Ebbene, se si considera la competenza nell’ottica (già fatta propria da Crisafulli) della separazione o riserva, essa dovrà operare necessariamente nel rapporto tra atti. Questa è infatti una inevitabile ricaduta del modo di intendere la competenza come “riserva” esclusiva di una data fonte su una determinata materia; in questo modo la competenza esclude l’abrogazione tra fonti incompetenti, la ammette tra fonti competenti, determina l’invalidità della fonte incompetente.

Tuttavia, un’analisi approfondita delle relazioni normative consente di escludere una semplificazione sistematica di tal genere. L’osservazione del concreto comportamento dei moduli competenziali ha infatti diffuso “la consapevolezza di un operare della competenza dotato […] di esiti assai più multiformi; il che significa anche incerti, sotto il profilo dei risultati che assicurano”61.

L’esito dell’osservazione è, appunto, largamente significativo, poiché attesta – oltre ad un mutamento sostanziale delle regole sulla produzione - un diverso modo di intendere i rapporti tra centro e periferia e, mediatamente, le modalità di svolgimento del principio autonomistico.

La concreta evoluzione del sistema attesta infatti la tendenza della competenza ad operare, piuttosto che come rapporto tra atti-fonte, come

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rapporto tra norme, con un inevitabile spostamento dell’attenzione verso i profili contenutistici della produzione normativa. La causa di un tale ribaltamento di prospettiva viene tradizionalmente ricondotta ad un mutato assetto dei rapporti sostanziali sottostanti, quelli tra centro e autonomie regionali, “passato a sua volta […] da una concezione separatistico- garantistica a una concezione integrativo-collaborativa dei rapporti tra i due enti”62.

In realtà le ragioni di una tale evoluzione sembrano doversi ricondurre logicamente già alla stessa tecnica utilizzata dal Costituente per delimitare gli ambiti competenziali degli attori in gioco.

Infatti, pur in presenza di una norma “terza” di carattere costituzionale - per ciò stessa idonea a delimitare gli ambiti di disciplina di ciascuna fonte, si è ben presto posto il problema di come conciliare le ricostruzioni teoriche, astrattamente aderenti con le tecniche di riparto utilizzate, con il problema dell’interpretazione delle regole di riparto ivi contenute.

Questo perché il significato teorico che comunque si vuole attribuire

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S. NICCOLAI, Delegificazione e principio di competenza, cit., 160. Sul punto,

amplius, cfr. A. RUGGERI, Il regionalismo italiano: dal “modello” costituzionale alle

proposte della Bicamerale: innovazione o razionalizzazione di vecchie esperienze ?, in Le Regioni, 1998, 271 ss., spec. 281. L’evoluzione del modello nei termini sopra descritti

risulta peraltro avvalorata dalla diffusione di forme concorrenziali di ripartizione delle funzioni tra Stato e regioni, come si può osservare in particolar modo dalla combinazione dei rapporti tra legge statale e legge regionale, nonché dalla scarsa diffusione delle ipotesi di competenza-riserva, che sono rimaste di fatto confinate a quelle espressamente previste dalla Costituzione. Analogamente occorre ricordare la diffusione di numerose ulteriori fonti comunque riconducibili entro lo spettro della competenza-concorrenza, come le fonti di autonomia locale, le fonti adottate dalle autorità amministrative indipendenti, nonché infine le fonti di autonomia universitaria. In merito, cfr. A. D’ATENA, L’impatto del policentrismo

legislativo sul sistema delle fonti, in G. ROLLA – A. CECCHERINI (a cura di), Profili di

diritto parlamentare in Italia e in Spagna, Torino, 1997, 181 ss., il quale osserva che le

competenze legislative concorrenti, unitamente alle “ulteriori” fonti di autonomia sopra ricordate, rappresentano altrettanti casi di fonti suscettibili di inquadramento in funzione del loro contenuto prescrittivo, e non del procedimento formativo, fino ad affermare la non coincidenza degli ordine degli atti con l’ordine delle norme.

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34 alla competenza deve inevitabilmente confrontarsi con gli incerti confini delle materie e, conseguentemente, con l’attività interpretativa che risulta necessaria al fine di chiarire la portata delle attribuzioni riferibili ai soggetti coinvolti.

Un tale approccio conduce così ad affermare la prevalenza del “valore” (contenuto normativo) sulla “forza” di legge, dovendosi misurare le relazioni normative in base a parametri non solo formali (riconducibili al “tipo”), ma anche sostanziali, incarnati dagli ambiti materiali (spesso ambigui) posti dalla Costituzione come presupposto e limite dell’operare di ciascun atto normativo.

6. La competenza come rapporto tra norme: l’indifferenza del criterio