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Le teorie contrattualistiche

Il problema della ricerca di un punto di convergenza tra gli interessi di natura contrattuale, connessi al momento genetico della società, e quelli di natura “istituzionale”, relativi allo sviluppo del momento funzionale dell’impresa, è comune, infatti, anche a quelle linee di pensiero che cercano di dare rilievo all’utilizzo proprio dello schema contrattuale per rinvenire il fondamento della legittimità della distribuzione di potere interna alla società. E’ sulla base di queste teorie, c.d. “contrattualistiche”, che parte considerevole della dottrina, non solo italiana, ha potuto criticare il fenomeno della crescente autonomia decisionale dell’organo amministrativo rispetto all’assemblea – e con esso, le teorie che lo sostenevano – e fondare il tentativo di recuperare spazi importanti alla sfera di intervento dei soci.

Ci si riferisce, innanzitutto, a quelle letture tese a qualificare l’interesse della società come un interesse di gruppo, e precisamente come l’interesse comune a tutti i soci (attuali)103, sulla base delle indicazioni normative contenute soprattutto

negli artt. 2247, 2373 (a maggior ragione nella nuova formulazione) e 2377, 2° comma, c.c.. L’analisi di queste norme, che paiono attribuire una disponibilità esclusiva in capo ai soci dell’interesse sociale, insieme alla mancanza in altre di indici sicuri che consentissero, invece, di individuare in capo agli amministratori

102 E lo sottolinea bene COTTINO, Contrattualismo e istituzionalismo (Variazioni sul tema da uno

spunto di Giorgio Oppo), in Riv. soc., 2005, 693 ss., quando rinviene nella difesa del ruolo

“demiurgico” dell’imprenditore la stessa «vocazione giustificazionistica e legittimante... del potere imprenditoriale [dell’istituzionalismo]». Vedi infra par. 4.

un dovere di tutela di interessi diversi da quello dei primi104, ha condotto la

dottrina, con sufficiente concordia, ad escludere che il fenomeno societario possa essere qualificato da altre relazioni giuridiche se non dal legame contrattuale che fonda e disciplina i rapporti tra i soci e tra questi ultimi e gli amministratori105.

Ma se questo tipo di analisi sembra escludere del tutto una rilevanza degli aspetti “istituzionali” dell’impresa nella disciplina di fonte negoziale della società, quantomeno sul piano giuridico-formale, altre dottrine si concentrano, invece, proprio su una diversa raffigurazione del concetto di impresa, tale da riportarne la fenomenologia e gli effetti nell’ambito di operatività del contratto.

Nella nexus of contracts theory, infatti, l’impresa è rappresentata come un fascio di contratti, attraverso i quali i diversi fattori produttivi e le diverse componenti, non solo materiali, vengono organizzate e legate all’attività: l’impresa, in questa rappresentazione, sarebbe sì un’“istituzione”, ma creata dalla libera volontà delle parti, nella quale vengono realizzate relazioni di scambio e risolti in autonomia i conflitti di interesse che le caratterizzano. Secondo questa teoria, d’impronta neoclassica ma mai del tutto abbandonata106, è il contratto

104 Il percorso argomentativo che conduce ad affermare la rilevanza solo dell’interesse degli

azionisti sugli altri gruppi è, peraltro, comune ad altri ordinamenti: cfr., ad esempio, GRANTHAM,

op. cit., 569, che insiste sull’impossibilità di dare rilievo ad altri interessi senza perdere il controllo

sui manager.

105 La rilevanza di altri gruppi di interesse presenti nell’impresa sulla società è esclusa, in questa

lettura, dal fatto che de iure condito non sembra si possa rinvenire con certezza, tra le norme, alcuna indicazione volta a far emergere tali interessi fino al punto di farne ulteriori criteri direttivi nella gestione sociale, né una netta separazione di competenze che distingua la conduzione dell’impresa stessa dalla gestione della società, anzi: gli interessi di coloro che partecipano alla società prevalgono sugli altri proprio perché tale contratto è funzionale solo all’organizzazione di coloro che intendono esercitare in comune un’attività d’impresa, non a regolare l’esercizio di tale attività in funzione di interessi ad esso estranei. Le norme poste dal legislatore che tutelano, in vario modo, altri tipi di interessi (dei creditori, dei dipendenti, dei soci potenziali) possono rappresentare solo un limite al perseguimento dell’interesse sociale, non parte del suo contenuto: vedi ancora JAEGER, op. cit., 132 ss.. In realtà, come vedremo oltre, distinguere il valore delle norme su quest’ultimo piano è tutt’altro che agevole e testimonia, invece, la costante “irriducibilità” del fenomeno societario soltanto allo schema del contratto, o quantomeno la peculiarità dei rapporti contrattuali di tipo associativo: v., ad esempio, FERRO-LUZZI, I contratti

associativi, Giuffré, Milano, 1971.

106 I cui diversi aspetti sono stati a mano a mano meglio definiti e razionalizzati, soprattutto dalle

stesso a legittimare la posizione dei soci all’interno della società, in quanto frutto dell'attività di contrattazione107 con cui si realizza lo scambio di capitale di rischio

con il godimento di diritti amministrativi e patrimoniali sull’attività della società108.

Il meccanismo della contrattazione viene richiamato anche per spiegare lo scambio di capitale di debito con il diritto alla restituzione del capitale maggiorato degli interessi, realizzato con i creditori sociali; o ancora, per spiegare l’origine dell’assetto di diritti e doveri applicato ai dipendenti della società, ai fornitori, ai consumatori, e così via. Gli stessi amministratori sono legati alla società sulla base di un contratto, inquadrabile nella più ampia categoria delle “relazioni d’agenzia”109. Il pregio della teoria, quindi, sta proprio nell’aver ricondotto ad

unità – e nell’unità dello schema privatistico per eccellenza - gli aspetti istituzionali, organizzativi, dell’impresa e quelli contrattuali che venivano generalmente applicati alla relazione tra soci e società, a partire quantomeno dal momento in cui viene consentito all’autonomia delle parti di costituirne una.

Anche il problema della legittimazione del potere interno alla società e all’impresa viene così risolto attraverso il recupero dell’elemento volontaristico nella disciplina dei rapporti economici e, soprattutto, sulla base dei diritti di fonte

107 Parliamo, in parte, di una contrattazione “ipotetica”: da un lato, infatti, al rapporto con i soci

(ma non solo a questo) è evidente che si applicano molte norme inderogabili dalle parti; dall’altro, anche l’applicazione delle norme, inderogabili o disponibili, si fonda sul presupposto che tali previsioni – dato il ruolo particolare che viene attribuito al fenomeno normativo in tale contesto teorico – rappresentano l’individuazione da parte del legislatore delle stesse regole che le parti avrebbero stipulato contrattualmente da sole: la legge – o il diritto di fonte giurisprudenziale – elimina, quindi, i costi di transazione per le parti ed è efficiente solo quando assolve questo ruolo integrativo o sostitutivo dell’autonomia contrattuale.

108 Un’esposizione basilare della teoria resta quella di EASTERBROOK, FISCHEL, The Economic

Structure of Corporate Law, Harvard Univ. Press., Cambridge, 1991, passim.

109 Su cui, ad esempio, la breve ma chiara definizione di HANSMANN, KRAAKMAN ET AL., The Anatomy

contrattuale110, dei quali possono essere, però, titolari anche gli altri stakeholder,

oltre che i soci111.

Tuttavia, la nexus of contracts theory si caratterizza, grazie agli sviluppi conseguiti negli ulteriori studi dedicati alla teoria, per il rilievo preponderante che assume, nell’elaborazione del modello, la definizione e l’allocazione dei diritti di proprietà, qualificati come diritti residuali sul controllo112. Sulla base delle

intuizioni di Coase, che hanno aperto l’analisi sui costi di transazione, l’impresa quale nesso contrattuale viene definita al tempo stesso come l’origine e lo strumento risolutivo dei costi che la contrattazione genera tra le parti per realizzare lo scambio di fattori necessari alla produzione. Da una parte, infatti, l’esistenza stessa dell’impresa nel mercato viene spiegata sulla base della necessità di eliminare o ridurre tali costi di transazione; dall’altra, l’assetto conclusivo di diritti ed obblighi che l’impresa realizza e soprattutto la resistenza di tale assetto nel tempo dipendono da altri costi transattivi, generati fondamentalmente dall’incapacità delle parti di stipulare contratti completi, adatti a regolare il comportamento di ciascun contraente in ogni circostanza ed evitare situazioni di opportunismo. Quindi, secondo un’applicazione più articolata del modello, l’impresa si presenta quale struttura che riduce i costi transattivi tra le parti, sia nella stipulazione dell’accordo che nella fase esecutiva dello stesso, perché realizza un'efficiente allocazione tra le varie constituencies dei diritti residuali del controllo, ovverosia dei diritti di controllare e decidere il

110 Con un parallelo e definitivo abbandono dell’applicazione della teoria dei diritti reali sulla

società: su questo fenomeno, vedi l’esaustivo riepilogo di GRANTHAM, op. cit., 557 ss.

111 In effetti, l’aver ricondotto ad unità le relazioni sociali e quelle d’impresa comporta innanzi

tutto una sovrapponibilità quasi perfetta tra l’ente-società e l’impresa, a seconda del numero di relazioni rientranti nel primo. Sotto questo aspetto la teoria del nexus of contracts non sembra divergere molto, nelle conclusioni, da quelle teorizzazioni istituzionaliste sopra esaminate – in particolare all’istituzionalismo tecnocratico alla francese, su cui vedi, ad esempio, PAILLUSSEAU, Les

fondements du droit moderne des sociétés, in Semaine juridique, 3148, 1984. E infatti, vedi le

riflessioni di SPADA-SCIUTO, op. cit., 60 ss., sulla natura “istituzionale” della teoria del nexus of

contracts.

112 L’abbandono dell’applicazione dei diritti di proprietà al contesto societario ha, ovviamente, un

costo: quello di dover ogni volta indagare e ritrovare una legittimazione nel contratto al potere dei soci, non più ricollegabile in modo automatico alla proprietà del capitale.

comportamento delle controparti tutte le volte che il contratto stipulato non preveda una regolazione specifica per il caso.

Applicando tali considerazioni alle società di capitali, appare logico (o meglio, efficiente) che i diritti residuali del controllo vengano attribuiti ai fornitori di capitale, che in quanto titolari di diritti patrimoniali residuali – sul surplus residuo rimanente dopo la soddisfazione degli altri contraenti – hanno i migliori incentivi a controllare il comportamento delle altri parti, perché più interessati ad un’efficiente gestione dell’impresa. Non solo: la classe degli azionisti, per lo stesso motivo, risulta essere anche quella più omogenea, sul piano degli interessi che persegue, ed è più adatta, perciò, ad esercitare i diritti residuali rispetto ad altri

stakeholder che, per via della loro disomogeneità interna, dovrebbero sopportare

costi ulteriori – costi della proprietà più alti di quelli sopportati dagli azionisti – per prendere decisioni collettive. Dunque, nell’ambito della nexus of contracts

theory, la contrattazione tra le parti a base dell’impresa realizzerebbe un’efficiente

allocazione dei diritti residuali del controllo solo attribuendoli agli azionisti, o comunque a partecipanti con le stesse caratteristiche.